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V. L'assenza di passioni nell'anima è più importante della purezza del corpo

In questo tipo di vita si deve fare di tutto perché la parte più alta dell'anima non venga avvilita dalla rivolta dei piaceri, e perché il nostro pensiero, invece di spaziare nelle regioni superiori e di guardare in alto, non venga trascinato in giù verso le passioni della carne e del sangue. Come può infatti esso contemplare con occhi liberi la luce intelligibile che gli è affine se resta inchiodato in basso ai piaceri carnali e se indulge ai desideri propri delle passioni umane, mostrando una propensione per la materia che è il frutto di un preconcetto cattivo e privo di disciplina? Come gli occhi dei porci che la natura fa volgere in basso ignorano le meraviglie celesti, così l'anima che è attirata dal corpo non è più in grado di contemplare il cielo e le bellezze superiori perché si volge verso la parte più bassa e bestiale della natura. L'anima libera e sciolta, per poter contemplare nel migliore dei modi il piacere divino e beato, non deve volgersi verso nessuna delle cose terrene e non gustare nessuno di quelli che l'opinione propria della vita comune spaccia per piaceri; al contrario, essa trasferisce il suo impulso amoroso dalle cose materiali alla contemplazione intelligibile ed immateriale delle bellezze. La verginità del corpo è stata concepita proprio perché potesse realizzarsi tale disposizione d'animo: la sua funzione precipua è quella di far dimenticare all'anima i movimenti passionali della natura e d'impedire ai bassi bisogni della carne di trovarsi in uno stato di necessità. Una volta liberatasi da questi, l'anima non correrà più il rischio di abbandonare e d'ignorare - abituandosi a poco a poco alle cose che sembrano permesse da una legge naturale - quel piacere divino e genuino che solo la purezza dell'elemento razionale che ci guida può perseguire.

VI. Elia e Giovanni seguirono la severa regola di questo tipo di vita

Mi sembra quindi che il grande profeta Elia e colui che visse successivamente «nello spirito e nella potenza di Elia», «il più grande dei nati dalle donne», abbiano insegnato con l'esempio della loro vita soprattutto una cosa, se si vuol prescindere da tutte le altre alle quali la loro storia allude velatamente: chi si sofferma nella contemplazione dell'invisibile deve separarsi dalla concatenazione dei fatti che è propria della vita umana, per non lasciarsi confondere e non errare nel suo giudizio sul vero bene, abituandosi agl'inganni prodotti dalle sensazioni. Entrambi infatti fin dalla loro giovinezza si estraniarono dalla vita umana e si collocarono per così dire al di fuori della natura, sia perché disprezzarono i cibi e le bevande più abituali e più in voga sia perché si misero a vivere nel deserto: poterono così conservare il loro udito al riparo dai rumori e la loro vista al riparo da ogni divagazione, mentre il loro gusto rimase semplice e non sofisticato, giacché entrambi soddisfacevano i propri bisogni con ciò che si presentava loro. Riuscirono in tal modo a realizzare un'effettiva tranquillità e serenità che non conosceva disturbi esterni ed elevarsi a quell'alto livello di grazia divina che la Scrittura ricorda a proposito di entrambi. Elia, divenuto una specie di amministratore dei beni divini, era padrone di chiudere ai peccatori e di aprire ai penitenti a sua discrezione i doni del cielo; per quanto riguarda Giovanni, il divino racconto non parla di nessuna di queste meraviglie, ma «chi guarda le cose in segreto» ha testimoniato che in lui la grazia era presente più che in qualsiasi altro profeta. Ciò avvenne forse perché essi dall'inizio alla fine consacrarono al Signore i loro desideri, che seppero mantenere puri e scevri da ogni affezione materiale, e non indulsero né all'amore per i figli, né alle preoccupazioni per la moglie né ad altri pensieri umani; giacché non ritenevano di doversi preoccupare del necessario nutrimento quotidiano e si mostravano superiori alla dignità data dalle vesti, soddisfacevano i propri bisogni con improvvisazioni, ricorrendo a ciò che trovavano: l'uno si riparava con pelli di capra, l'altro con pelo di cammello; a mio parere, non sarebbero giunti a tanta grandezza se si fossero fatti rammollire dal matrimonio, abituandosi ai piaceri corporei. Tutto questo, come dice l'apostolo, non è stato scritto senza scopo, ma perché venissimo spronati a regolare la nostra vita secondo la loro. Qual è dunque l'insegnamento che possiamo ricavarne? Chi vuole unirsi a Dio imitando i santi non deve soffermare il proprio pensiero su nessuna occupazione materiale, giacché se lo lascia disperdere in varie direzioni non è più in grado di dirigere verso Dio la propria mente ed i propri desideri.
Penso di poter spiegare quest'insegnamento più chiaramente con un esempio. Supponiamo che dell'acqua sgorgata da una sorgente si disperda a caso in vari rivoli. Finché scorre così, essa non si rivela adatta a soddisfare nessun bisogno dell'agricoltura, giacché la sua dispersione in molti rigagnoli fa sì che ciascuno di questi sia povero, poco efficiente, lento e senza forza. Se invece questi rivoli confusi fossero riuniti insieme e ciò che era disperso in molte direzioni venisse raccolto in modo da formare un unico corso, quest'acqua resa abbondante e vigorosa potrebbe essere usata per molti scopi utili. Allo stesso modo mi sembra che si comporti l'intelligenza umana: se si diffonde dappertutto, disperdendosi nel suo corso in ciò che piace sempre agli organi sensoriali, non possiede una forza sufficiente per dirigersi verso il vero bene; se invece venisse richiamata indietro, e riunita e tenuta insieme senza potersi più disperdere, in modo da muoversi secondo l'energia che le è propria e che la natura le ha dato, nulla più le impedirebbe di elevarsi e di toccare le verità degli esseri. Come l'acqua stretta in un condotto viene spinta spesso verso l'alto da una pressione proveniente dal basso senza potersi disperdere, benché il suo movimento naturale la porti ad andare piuttosto verso il basso, così anche la mente umana, quando è serrata da ogni parte dalla continenza come da uno stretto condotto, è portata dal suo movimento naturale verso il desiderio delle realtà più alte e non può più disperdersi. Ciò che è in perenne movimento e che ha ricevuto dal creatore tale proprietà naturale non può mai stare fermo, e non avendo più la possibilità di muoversi verso le cose vane non può non dirigersi tutto verso la verità: le vie che portano alla futilità gli sono sbarrate da ogni parte. Analogamente, vediamo anche che nei crocicchi i viandanti non si sbagliano sulla giusta via da percorrere quando evitano di andare vagando per altre strade che hanno in precedenza imparato. Come colui che viaggia riesce a mantenersi sul giusto cammino se si tiene lontano dai sentieri che lo fanno smarrire, così il nostro pensiero può riconoscere le verità degli esseri se abbandona ogni vanità. Il ricordo di questi grandi profeti sembra dunque insegnarci proprio a non farci prendere prigionieri dalle cose che vengono ricercate nel mondo. Il matrimonio è proprio una di queste: piuttosto, esso è l'inizio e la radice della ricerca della vanità.