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III. Ricordo degli aspetti spiacevoli della vita matrimoniale; si fa anche notare che l'autore del trattato non è celibe
Potessi trarre anch'io qualche profitto da tale pratica di vita! Con quanto maggiore entusiasmo mi sarei sobbarcato a questa fatica se, come dice la Scrittura, mi fossi impegnato nel mio discorso «animato dalla speranza di godere anch'io dei frutti dell'aratro e della trebbiatura»! Ora invece la conoscenza della bellezza della verginità è per me in un certo senso vana ed inutile, così come lo sono «i prodotti della terra per il bue che munito di museruola rivolta il terreno dell'aia» o come lo è per l'assetato l'acqua che scorre giù da un precipizio quando non può essere raggiunta. Beati coloro che possono scegliere liberamente le cose migliori e che non ne vengono tenuti lontani dopo essere stati catturati dalla vita comune! Noi siamo invece separati come da un abisso dalla gloria della verginità, alla quale non può giungere chi ha cominciato ad imprimere le sue orme sul cammino della vita secolare. Per questo noi non siamo che degli spettatori delle altrui bellezze e dei testimoni dell'altrui beatitudine: anche se ci siamo fatti una bella idea della verginità, la nostra sorte è simile a quella dei cuochi e dei servi, che fanno gustare ad altri la lussuosa tavola dei ricchi senza poter prendere nulla di ciò che è stato preparato. Come saremmo stati felici se le cose non fossero andate così e se non avessimo conosciuto il bello in seguito ad un tardo pentimento! Sono invece veramente invidiabili e si trovano in uno stato che non conosce preghiere e desideri coloro che non si sono preclusa la possibilità di godere di questi beni. Come si crucciano e si addolorano per la loro condizione coloro che raffrontano il lusso della ricchezza con la propria povertà, così noi, quanto più riconosciamo la ricchezza della verginità, tanto più commiseriamo l'altro tipo di vita, e avendo in mente le cose migliori arriviamo a comprendere di quali e quanti beni esso sia privo. Non parlo soltanto dei beni che la vita futura riserva a chi è vissuto secondo la virtù, ma anche di quelli che offre la vita presente. Se si esaminasse con cura la differenza tra la nostra vita secolare e la verginità, si vedrebbe che tra le due vite esiste pressappoco lo stesso divario che c'è tra le cose terrene e quelle celesti; chi osserverà più da vicino i fatti potrà rendersi conto della verità delle mie parole.
Da dove si deve cominciare, per dipingere questa vita difficile con le tinte tragiche che le si addicono? O come si possono portare sotto gli occhi i suoi mali comuni, che tutti conoscono per diretta esperienza e che tuttavia la natura riesce a nascondere non so come a coloro che pure li conoscono, data la propensione degli uomini ad ignorare i frangenti in cui si trovano? Vuoi che cominciamo dagli aspetti più seducenti? La prima cosa che si cerca nel matrimonio è il raggiungimento di una piacevole vita in comune. Ammettiamo che questa si realizzi, e presentiamo pure un matrimonio felice sotto tutti i punti di vista: diamo per scontate la stirpe illustre, la ricchezza sufficiente, l'età coincidente, la bellezza fiorente, quella grande attrazione che si può supporre presente in ciascuno dei due più che nell'altro, e quella piacevole emulazione grazie alla quale ciascuno dei due vuol superare se stesso nelle manifestazioni amorose. Aggiungiamo pure la fama, la potenza, la pompa, e tutto ciò che preferisci. Considera però i dolori che necessariamente si accompagnano ai beni che abbiamo enumerato e che li consumano lentamente. Non mi riferisco all'invidia di cui sono oggetto le persone illustri, né al fatto che il sembrare di essere fortunati nella vita attira le insidie degli uomini, e neppure al fatto che chiunque non gode di un bene in misura uguale è naturalmente portato ad invidiare chi sta meglio di lui, anche se per questi motivi la vita di chi sembra essere felice è insidiata dai sospetti e procura più dolori che piaceri. Tralascio tutto ciò: ammettiamo pure che l'invidia non prenda di mira costoro, anche se è ben difficile trovare una persona a cui tocchino contemporaneamente questi due privilegi, quello di essere più felice degli altri e quello di non essere oggetto d'invidia. Se vuoi, supponiamo priva di tutti questi mali la loro vita. Vediamo piuttosto se può essere felice chi si trova in una simile situazione fortunata.
Tu mi chiederai: «Quale sarà mai allora questo dolore, se neanche l'invidia tocca le persone felici?». Io dico che è proprio l’assoluta felicità della loro vita a fare da esca al dolore. Finché sono uomini - esseri mortali e caduchi - e guardano le tombe dei loro antenati, non possono separarsi dai dolori, tanto questi sono uniti alla loro vita: basta che abbiano un solo barlume di ragione. L'attesa continua della morte, che non è riconoscibile con dei segni precisi e che data l'incertezza del futuro terrorizza come se fosse sempre imminente, guasta la felicità del momento e turba ogni gioia con la paura di ciò che si aspetta. Fosse possibile sapere prima della prova quello che hanno subito coloro che sono stati provati! Se infatti ci si potesse introdurre in questo tipo di vita con qualche sotterfugio per rendersi conto della situazione, quanti correrebbero spontaneamente ad abbracciare la verginità, abbandonando il matrimonio! Come si starebbe attenti a non lasciarsi prendere dalle trappole che non offrono scampo! Il dolore che esse procurano non lo si può immaginare con esattezza, se non si cade prigionieri delle loro reti. Se fosse possibile guardare senza rischio, si vedrebbe la gran confusione prodotta dalle contrarietà, il riso mescolato alle lacrime, il dolore unito alla gioia, l'attesa della morte che è presente in tutti gli avvenimenti e che tocca ogni cosa piacevole. Quando lo sposo vede il viso amato, subito s'insinua in lui anche la paura della separazione; e se sente la dolcissima voce della sposa, pensa al momento in cui non la sentirà più; e quando la contemplazione della bellezza lo fa gioire, allora soprattutto teme l'arrivo del dolore; se poi pensa ai pregi della giovinezza e a tutto ciò a cui ambiscono gli stolti, come lo sguardo che risplende sotto le ciglia, le sopracciglia che si stendono sopra gli occhi, la guancia dal sorriso dolce e delicato, le labbra fiorenti grazie al loro rosso naturale, i capelli folti, fermati da fili d'oro e risplendenti sul capo grazie alle trecce variegate, e tutti questi splendori caduchi, proprio allora, purché abbia un minimo d'intelligenza, comprende nel suo intimo che questa bellezza è destinata a dileguarsi, a dissolversi ed a svanire nel nulla: le sue attuali sembianze si tramutano in ossa fetide e ripugnanti, senza lasciare tracce, ricordi o resti della presente fioritura.
Se penserà a queste cose e ad altre simili, potrà forse vivere felice? Potrà essere sicuro che i beni che gli sono a portata di mano gli rimarranno sempre? Da quanto si è detto risulta invece chiaro che, come dopo un sogno ingannevole, si troverà nell'imbarazzo, non nutrirà più fiducia nella vita e considererà quelli che sembrano beni come cose a lui estranee: se ha un minimo di capacità di osservazione, capirà perfettamente che nessuna di quelle cose che nella vita ci appaiono come beni si rivela nella sua reale natura, giacché la vita stessa, servendosi di sembianze ingannevoli, ci mostra le cose diverse da quello che in realtà sono, inganna con vane illusioni chi crede ciecamente in lei, si nasconde sotto mentite spoglie ed infine, dopo varie vicissitudini, si rivela improvvisamente diversa dalle speranze umane, che s'introducono con l'inganno nella mente degli stolti. Chi tien conto di tutto questo quale valore potrà più dare ai piaceri della vita? Quando potrà veramente godere, o gioire di quei beni che sembrano essere a sua disposizione? Sconvolto dalla paura di eventuali cambiamenti, non rimarrà invece sempre insensibile al godimento dei beni di cui può disporre?
Tralascio i segni, i sogni e simili altre sciocchezze, cose tutte che una consuetudine insensata rende oggetto di una superstiziosa osservanza e che vengono interpretate nel senso peggiore. Il momento del parto sorprende però la sposa; si pensa allora non alla nascita del figlio, ma alla presenza della morte, giacché il parto fa temere il decesso della madre incinta. Molte volte gli sposi non sono stati ingannati da questi foschi presagi: prima di celebrare il genetliaco, prima di potere assaporare qualcuno dei beni in cui avevano sperato, subito vedono la loro gioia tramutarsi in pianto. Ribollono ancora per l'incanto amoroso, sono ancora all'acme dei loro desideri, ancora non hanno potuto gustare i maggiori piaceri della vita, quando, come in un sogno, si trovano separati all'improvviso da tutti i beni che avevano a portata di mano. E che cosa accade successivamente? La camera nuziale è saccheggiata dai familiari come da dei nemici: non è essa, ma la morte a menar vanto, grazie alla tomba. In tale circostanza si levano invocazioni inutili, si battono invano le mani; si ricorda la vita precedente, si maledicono coloro che hanno consigliato le nozze, si rimproverano gli amici che non le hanno proibite; s'incolpano i genitori, vivi o morti che siano; ci si adira contro la vita umana, si accusa tutta la natura, la stessa provvidenza divina diventa oggetto di molti rimproveri e accuse; si combatte contro se stessi, si è in guerra con chi cerca di consigliare; non si indietreggia di fronte alle cose più strane, siano esse parole o fatti. Spesso, quando il dolore trabocca e la ragione viene inghiottita dalla disperazione in un modo che desta sorpresa, la tragedia ha un epilogo ancora più amaro, giacché neanche il coniuge che è rimasto riesce a sopravvivere alla disgrazia.
Ma questo non si verifica. Facciamo l'ipotesi migliore, supponendo che la sposa sia scampata ai pericoli del parto e che alla coppia sia nato un figlio, l'immagine stessa della bellezza dei genitori. E allora? I motivi del cruccio sono forse per questo diminuiti, o non si sono piuttosto accresciuti? I coniugi continuano ad avere le preoccupazioni di prima, ed in più hanno quelle per il figlio, nel timore che durante la crescita accada qualcosa di spiacevole, che si verifichi qualche disgrazia, o che qualche evento non desiderato sia foriero di malattie, di lesioni o di pericoli. Queste sono le preoccupazioni comuni ad entrambi gli sposi; ma chi potrebbe enumerare quelle che affliggono in particolare la sposa? Tralasciamo pure quelle banali e note a tutti, come il peso della gravidanza, il pericolo del parto, la fatica dell'allevamento, il fatto che un frammento del suo cuore se ne va con il figlio generato e che, se ha molti figli, la sua anima si divide in tante parti quanti sono i figli che ha avuto, di modo che essa sente nelle proprie viscere ciò che accade a ciascuno di loro. Ma perché parlare di tutte queste cose, universalmente note? Poiché però, come dice il divino oracolo, la sposa «non è padrona di se stessa»» ma «va da colui che in virtù del matrimonio è il suo padrone», anche se si separa per poco tempo dal marito, è come se fosse separata dalla propria testa: non sopporta la solitudine, ma considera anche una breve lontananza dello sposo come un'esercitazione alla vedovanza. La paura le fa subito dimenticare le speranze più belle. Per questo, piena di turbamento e di spavento, rimane con l'occhio fisso sull'ingresso di casa, mentre le sue orecchie ascoltano tutte le chiacchiere che si dicono intorno; il suo cuore è come frustato dalla paura, e prima ancora che giunga qualche notizia, il solo rumore sentito dinanzi alla porta, vero o supposto che sia, le scuote improvvisamente l'animo come se fosse un annunciatore di mali. Le notizie che vengono da fuori potrebbero forse essere buone, e non rappresentare un motivo di timore; eppure, lo svenimento precede l'annunzio e fa volgere la mente dai pensieri belli a quelli contrari. Questa è la vita delle persone felici. E’ veramente una bella vita! Non è certo paragonabile alla libertà assicurata dalla verginità.