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Dialogo: Dall'Unità al molteplice e al ritorno all'Unità -

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    AndreaStivaletta
    00 01/05/2014 09:34
    Volevo proporre un argomento di discussione.
    Le pietra di scarto che diventa la pietra d'angolo: quando ci nutriamo distruggiamo una struttura dotata di un certo ordine per liberare le energie che erano state fissate su quella struttura, energie che il nostro corpo assume per agire, per vivere, per creare quindi nuovo ordine strutturato nello spazio (il nostro corpo) e nel tempo (la nostra condotta di vita): ma l'input e l'output sono sempre diversi.
    Quando invece ci nutriamo del Corpo di Cristo, con l'Eucaristia, l'obiettivo è quello di tendere a quella struttura perfetta che è Dio, trasformando il nostro corpo e la nostra vita in un "modo" di Cristo (sul tema dell'uomo-individuo come modo di Cristo torna molto spesso Romano Guardini).
    In questo caso input ed output tendono ad identificarsi e unificarsi in Cristo.
    Possiamo allora dire che con Cristo si è invertito il processo evolutivo dell'universo che, partito dalla Monade Divina si è inizialmente frammentato in un Molteplice per motivi (a mio avviso) di carattere squisitamente logico-conoscitivo, ed ora, grazie al messaggio Evangelico dell'amore per il prossimo, completata quella fase esplorativa, conoscitiva, tende di nuovo ad unificarci tutti nell'unico corpo di Cristo, Dio incarnatosi nella pienezza dei tempi?
    Ed è li che possiamo sperare di conservare per l'eternità il nostro percorso di vita in quanto percorso di avvicinamento a Cristo?
    Ma in che termini?
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    Coordin.
    00 02/05/2014 08:06
    Caro Andrea,
    vedo che abbiamo risolto il problema tecnico che mi avevi segnalato e sei riuscito ad aprire un nuovo tema senza dover necessariamente fare dei messaggi su temi già aperti. [SM=g7348]

    Ti do il benvenuto.

    Siccome ti dicevo che per motivi di tempo mi occupo solo di alcuni settori del forum, lascio ad altri il compito per eventuale dialogo.

    Per curiosità ho cercato qualcosa su Guardini ed ho trovato questo passaggio interessante che penso si riferisca a quanto dici:

    Romano Guardini sempre attento alla contemporaneità, in ogni suo studio una posizione importante viene sempre data all’uomo, all’individuo che viene sempre da Guardini concepito come persona, un essere che non soltanto è ma possiede se stesso. L’uomo/persona è per natura un essere dialogico e solo, dice il filosofo, attraverso una relazione con un altro tu può arrivare a manifestare il suo autentico essere personale: la “natura nella prima forma” di cui si parlava poco fa. Compito dell’educatore è allora quello di accompagnare l’uomo/persona (che diventa allievo) alla sua compiuta realizzazione personale. Tutto ciò avviene in un lungo cammino insieme che porterà l’allievo a conoscere tanti tu fino ad arrivare all’ultimo Tu: Dio; questa è l’essenza stessa dell’educazione.

    [SM=g3228773]
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    ulisseitaca
    00 02/05/2014 09:50
    Ti do anche io il Benvenuto

    Enrico
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    Credente
    00 02/05/2014 12:02
    Unisco anche il mio benvenuto caro Andrea. [SM=g3228777]

    Il tema che ci hai proposto non è facile da affrontare in quanto utilizzi un linguaggio che per me almeno, non è tanto familiare.

    In ogni modo proverò a dire qualcosa e se vado fuori dal tema che hai voluto proporre non farti problema a dirmelo oppure chiarendomi meglio ciò che intendevi dire.

    Se ho capito bene il tuo ragionamento, noi quando ci nutriamo dei comuni alimenti, li assimiliamo a tal punto da farli diventare noi stessi; quando invece ci nutriamo di Cristo, è Lui che ci assimila a sè in modo da farci diventare gradualmente come Lui.

    Se è questo che vuoi dire, direi che posso condividerlo in pieno.

    Successivamente ci offri un altro pensiero in cui mi sembra di aver capito che l'unità di Dio, nel momento della creazione ha dato origine a tante realtà individuali, che senza Cristo avrebbero continuato ad essere sempre più isolate, ma che con Cristo hanno ritrovato la strada per ricomporsi in una unità.

    Se è questo che vuoi dire, mi trovi perfettamente daccordo, ed aggiungerei che forse il Signore nel permettere questo processo di individualizzazione degli esseri abbia voluto che ognuno arrivasse ad essere consapevole del proprio essere creatura e, in tale condizione, di poter scegliere liberamente di aderire al progetto di chi lo ha creato per formare insieme a tutti gli altri esseri un unico organismo tenuto insieme dalla vita e dalla linfa di Cristo che scorre in ciascuno di coloro che, nutrendosi di Lui, sono stati assimilati da Lui.

    Penso che il tuo tema porti a ulteriori sviluppi. Dimmi comunque se sono riuscito a cogliere il tuo pensiero o cos'altro vi sarebbe da mettere in luce.

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    AndreaStivaletta
    00 03/05/2014 13:42
    Re:
    Credente., 02/05/2014 12:02:

    Unisco anche il mio benvenuto caro Andrea. [SM=g3228777]

    Il tema che ci hai proposto non è facile da affrontare in quanto utilizzi un linguaggio che per me almeno, non è tanto familiare.

    In ogni modo proverò a dire qualcosa e se vado fuori dal tema che hai voluto proporre non farti problema a dirmelo oppure chiarendomi meglio ciò che intendevi dire.

    Se ho capito bene il tuo ragionamento, noi quando ci nutriamo dei comuni alimenti, li assimiliamo a tal punto da farli diventare noi stessi; quando invece ci nutriamo di Cristo, è Lui che ci assimila a sè in modo da farci diventare gradualmente come Lui.

    Se è questo che vuoi dire, direi che posso condividerlo in pieno.

    Successivamente ci offri un altro pensiero in cui mi sembra di aver capito che l'unità di Dio, nel momento della creazione ha dato origine a tante realtà individuali, che senza Cristo avrebbero continuato ad essere sempre più isolate, ma che con Cristo hanno ritrovato la strada per ricomporsi in una unità.

    Se è questo che vuoi dire, mi trovi perfettamente daccordo, ed aggiungerei che forse il Signore nel permettere questo processo di individualizzazione degli esseri abbia voluto che ognuno arrivasse ad essere consapevole del proprio essere creatura e, in tale condizione, di poter scegliere liberamente di aderire al progetto di chi lo ha creato per formare insieme a tutti gli altri esseri un unico organismo tenuto insieme dalla vita e dalla linfa di Cristo che scorre in ciascuno di coloro che, nutrendosi di Lui, sono stati assimilati da Lui.

    Penso che il tuo tema porti a ulteriori sviluppi. Dimmi comunque se sono riuscito a cogliere il tuo pensiero o cos'altro vi sarebbe da mettere in luce.





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    AndreaStivaletta
    00 03/05/2014 14:59
    Ti ringrazio per le tue preziose osservazioni.
    È importante per me vedere se gli argomenti che tratto riescono ad essere compresi e in che maniera lo sono.
    Iniziamo con il primo problema: la nascita del molteplice da Dio. La mia posizione è che dobbiamo considerare l’universo che ci circonda come un modo che ha Dio di manifestare se stesso: ancora meglio: di conoscere se stesso in tutte le sue infinite possibilità. Siccome però molte possibilità sono incompatibili fra loro allora è nato l’universo fisico formato da una massa decentrata su molteplici unità in movimento nello spazio tempo.
    A mio avviso, infatti, il molteplice massimizza il numero di possibilità attualizzabili.
    Questo problema conoscitivo diventa però un problema etico in quanto ogni unità prima o poi finisce per contrapporsi ad ogni altra nel compito di occupare spazio nel tempo. Da un punto di vista meramente fisico si tratta infatti di occupare ogni spazio nel tempo da parte di una materia che si è frantumata in mille pezzi ognuno in competizione con l’altro.
    Questo conflitto dalla fisica si riproduce nella vita: la mia affermazione potrebbe sembrare eccessiva, provocatoria: riportare ogni possibile conflitto fra persone al conflitto delle particelle di materia nell’occupare lo spazio!
    Eppure se consideriamo l’evoluzione dell’universo, che ha finito per produrre la vita, possiamo pensare che la materia abbia finalmente trovato nella vita umana un nuovo modo per risolvere quell’esigenza primordiale di occupare spazio nel tempo in modo non contraddittorio e che sia sempre in grado di aggiungere elementi di novità.
    Solo nella vita umana si ha una presa di coscienza piena del nostro compito, che è quello di dare vita a sempre nuove modalità di attualizzazione delle possibilità divine.
    Questa presa di consapevolezza porta a vedere il prossimo come se stessi, impegnato nella stessa tensione verso Dio. E ciò permette di vedere in lui il fine ultimo, che è Dio.
    Ed ecco allora che l’uomo rappresenta la prima esistenza materiale in grado di conquistarsi una vita eterna, in grado di ritagliarsi consapevolmente la sua specificità in questo percorso proprio perché ha presente l’obiettivo finale, ne ha preso coscienza. Il molteplice ha esaurito la sua spinta, la sua capacità di produrre originalità ed emerge in tutta la sua improduttività e tautologicità: molto più efficiente diventa coordinarsi con gli altri per riprodurre al proprio interno l’armonia divina.
    Solo dopo la presa di coscienza della natura conoscitiva del peccato originario che deriva dal prolificarsi del molteplice e solo dopo aver ammesso il proprio allontanamento da Dio è possibile lavorare per tornare a Dio. E, questo lavoro, consiste, paradossalmente, nel rafforzare la propria individualità donandosi agli altri, ovvero: nell’accettare che se sacrifico qualcosa che ho in più per donarla al prossimo che invece ne è carente ottengo di migliorare l’armonia del prossimo che è anche la mia armonia: posso in un certo senso proiettarmi nel prossimo ed avere la garanzia che quel sacrificio, proprio perché ha riprodotto l’armonia divina in un altro punto dell’universo, sarà unico ed eterno.
    L’eternità deriva dalla non-contraddittorietà dell’atto che, pur essendo irreversibile in quanto configura una perdita per me che ho fatto un sacrificio, non ha portato ad una diminuzione, ma, bensì, ad un mantenimento dell’armonia complessiva. In questi soli atti noi conquistiamo l’eternità a prescindere dalla nostra morte fisica.
    L’eternità, infatti, è dell’attimo che può essere conservato nel Regno dei Cieli, all’interno dello Spirito Santo, solo quando non configura contraddittorietà ma semplice riprodursi dell’armonia divina da un punto ad un altro.
    Pensate alla risposta che Cristo da ai sadducei che lo interrogano sulla resurrezione portando ad esempio la vita di una donna che, dopo la morte del marito ogni volta si risposa (Mt 22, 23-33): ogni matrimonio della donna, preso in se stesso, non è in contraddizione con gli altri e, pertanto, come atto in se stesso non contraddittorio, potrà passare al Regno dei Cieli; Dio non è il Dio dei morti ma dei vivi!
    Naturalmente si possono aggiungere molte altre considerazioni su come fare per minimizzare l’incoerenza nella propria vita in modo che possa passare tutta nel Regno dei Cieli e, insieme ad essa, anche tutte le potenzialità del pari incontraddittorie che abbiamo costruito, in noi o nel prossimo, grazie ad una condotta di vita impeccabile.

    Un abbraccio, Andrea
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    AndreaStivaletta
    00 04/05/2014 09:53
    Ho visto in bacheca che viene esposto come tema anche quello sulle moderne teorie cosmologiche.
    Non vorrei dare l’impressione di tendere ad una banalizzazione dell’argomento, ma a mio avviso basta limitarsi a ricordare il II principio della termodinamica, quello per cui il disordine nell’universo è crescente.
    Cosa significa? Significa che l’immensa energia che è allo stato di pura luce (i fotoni non hanno massa) quando viene considerata al di fuori delle categorie spaziotemporali (le quali sono nate come meccanismo conoscitivo dell’energia pura in Dio) noi, per poterla conoscere, non possiamo che vederla aggregata alla materia e la vediamo dar vita ad un percorso temporale irreversibile di degradazione strutturale che finirà con l’esaurirla completamente dal punto di vista spaziotemporale: dal punto di vista di Dio, dell’energia pura, non si è alterato nulla (nulla si crea e nulla si distrugge): l’energia è sempre li e, non appena l’universo materiale si sarà portato ad un grado di indifferenziazione disordinata completo, sarà pronta per dare vita ad un nuovo universo materiale proiettato spaziotemporalmente verso un processo di degradazione irreversibile come il precedente.
    I termini fisici di come ciò avvenga non mi sembrano poi così importanti.
    Il processo si ripete fino a che tutte le possibili evoluzioni temporali avranno esaurito tutte le potenzialità contenute in Dio, nell’energia pura che già S.Paolo ha visto come luce e che è rappresentabile come lo Spirito Santo, la sommatoria di tutte le possibilità dell’essere: ovvero, all’infinito.
    Gesù, in tutto questo processo di attualizzazione delle infinite possibilità di Dio, ci ha dato semplicemente l’orientamento, la Via verso la Verità. Come Vita noi abbiamo la responsabilità di attualizzare quel margine di indeterminazione che è previsto dalla fisica e che la semplice materia inorganica, governata da leggi deterministiche, non riesce altrimenti ad implementare. Una volta che abbiamo identificato il nostro ruolo, la nostra azione, la nostra prassi, può assumere quei caratteri di non contraddittorietà che le permetteranno di essere conservata in modo unitario, univoco ed unico nello Spirito Santo che è il “contenitore” di tutte le potenzialità: e così mi riaggancio al discorso che avevo sviluppato ieri in risposta alla tua richiesta di approfondimenti.
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    Credente
    00 04/05/2014 14:34
    Caro Andrea,
    i tuoi post toccano molti punti, per alcuni dei quali non ritengo di avere le competenze adeguate da poterle trattare. Mi limiterò a riprendere qualche spunto più accessibile dicendo a parole mie l'idea che mi sono fatto della Creazione e della redenzione.

    Intanto condivido quando dici in questo passaggio:

    "Solo dopo la presa di coscienza della natura conoscitiva del peccato originario che deriva dal prolificarsi del molteplice e solo dopo aver ammesso il proprio allontanamento da Dio è possibile lavorare per tornare a Dio. E, questo lavoro, consiste, paradossalmente, nel rafforzare la propria individualità donandosi agli altri, ovvero: nell’accettare che se sacrifico qualcosa che ho in più per donarla al prossimo che invece ne è carente ottengo di migliorare l’armonia del prossimo che è anche la mia armonia: posso in un certo senso proiettarmi nel prossimo ed avere la garanzia che quel sacrificio, proprio perché ha riprodotto l’armonia divina in un altro punto dell’universo, sarà unico ed eterno. ..."

    mia riflessione

    Una simile visione della nostra umana condizione implica una fede nell'eternità a cui siamo chiamati in quanto uomini che hanno maturato la consapevolezza di poter scegliere il bene e il male.

    La nostra individualità ci consente di scegliere in modo personale la via della vita e quella della morte.

    Ma naturalmente questa certezza ci deriva dall'aver creduto alla Parola rivelata, perchè non è facile dimostrare ad un non credente che di fronte a ciascun uomo vi è una vita eterna,e soprattutto che per poterla vivere nella condizione felice occorre fare quelle scelte libere ma non contradditorie, e cioè non in contrasto con le leggi armoniche che regolano la sussistenza del creato, inscritte in esso dal Creatore.

    Io penso che l'universo abbia avuto uno sviluppo che è durato molto tempo, 7 "giorni " divini che sono epoche lunghe non legate al movimento intorno al sole. Ma in tale sviluppo, che ha portato alla insorgenza di una persona umana dotata di intelletto e di coscienza propria, penso che il Signore abbia dato già dall'inizio una forza che ha portato gradualmente alla formazione di tutto ciò che sarebbe stato utile ed indispensabile per la vita umana.
    Quindi, anche ammettendo una specie di caos originario, sono portato a pensare che gli elementi di origine avessere in se le " informazioni " necessarie ad un loro ordinamento finalizzato.

    Per ora mi fermo. Riprenderò qualche altro spunto appena possibile, ma naturalmente se hai osservazioni su quanto da me espresso puoi replicare tranquillamente. [SM=g7430]


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    AndreaStivaletta
    00 04/05/2014 16:40
    Riuscire a condurre una vita non contraddittoria, per me, significa riuscire ad arrivare al nucleo della propria esistenza, a qualcosa che rimane valido in ogni nostro atto, a qualcosa in grado di costituire la pietra d’angolo della nostra futura vita eterna, facendocela intravvedere come naturale esplicitazione di tutte le potenzialità così conquistate durante la propria vita terrena, dando dimostrazione di coerenza interiore.
    Questo qualcosa da una parte deve essere in grado di dare una spiegazione logica ad ogni nostro atto, e dall’altra di connotarci nella nostra individualità. Generico e specifico nello stesso tempo.
    Per questo vedevo una possibile soluzione nella polarizzazione fra purezza dell’energia divina, che tutti ci riassume, ovvero, in grado di implementare potenzialmente qualsiasi atto, e individualità della storicità della nostra vita che ha realizzato parte di quell'energia divina, dando luogo ad uno degli infiniti modi indeterminati di Dio.
    Comunque si tratta di una mia interpretazione personale, di un tentativo di dare una maggiore visibilità a come potrebbe essere la nostra vita eterna. Ogni contributo alla discussione è sempre ben gradito.
    In merito a questo dibattito mi permetto di invitare chiunque sia interessato a fare riferimento al testo di Romano Guardini sulle cose ultime: il mio parroco mi ha anche fatto avere un articolo molto interessante da Civiltà Cattolica Quaderno 3886 (19 maggio 2012) il cui autore è Gerald O’Collins S.I. (titolo: quale corpo dopo la resurrezione?).

    Un saluto, Andrea.

    im3.freeforumzone.it/up/32/75/516604000.gif
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    Credente
    00 05/05/2014 15:10
    Caro Andrea,
    riprendo questo passaggio del tuo ultimo post:

    "Riuscire a condurre una vita non contraddittoria, per me, significa riuscire ad arrivare al nucleo della propria esistenza, a qualcosa che rimane valido in ogni nostro atto, a qualcosa in grado di costituire la pietra d’angolo della nostra futura vita eterna, facendocela intravvedere come naturale esplicitazione di tutte le potenzialità così conquistate durante la propria vita terrena, dando dimostrazione di coerenza interiore.
    Questo qualcosa da una parte deve essere in grado di dare una spiegazione logica ad ogni nostro atto, e dall’altra di connotarci nella nostra individualità..."


    Penso che la "non contradditorietà" e "coerenza interiore" a cui accenni, nella terminologia corrente cattolica, corrisponda a vivere secondo la voce della coscienza, che poi non è altro che la voce di Dio che ci richiama a fare la sua volontà, per poter avere la pace interiore nel presente in vista della gioia di goderlo nell'eternità.

    Ci sarebbe però da ricordare che spesso la coscienza umana può essere condizionata da fattori sociali, culturali, familiari tali da non permettere di avere un giudizio oggettivo sugli atti umani e sulle decisioni che siano in reale sintonia con Dio e non invece in contrasto con Lui.

    Ecco dunque la funzione importante della Chiesa, che ci consente di sapere, attraverso un insegnamento corretto di quanto la Scrittura dice, di sapere quali sono le cose che il Signore chiede realmente a noi sue creature, e in un modo certo, a differenza di quanto noi possiamo pensare in coscienza di poter fare o non fare, seguendo un sentimento che può divergere da quello di altri o cambiare nel tempo anche nella stessa persona, che potrebbe pentirsi successivamente di quanto precedentemente aveva fatto.
    Faccio un esempio banale. L'aborto è sentito da molti come un diritto inalienabile di fare ciò che si vuole del proprio corpo. La Chiesa ha più volte ricordato in maniera inequivocabile che quello che spesso si vuole addirittura far passare come una decisione di coscienza, sia in realtà nettamente contraria a quanto vuole Dio.

    Mi sembrava doverosa questa precisazione per non rimanere troppo nel vago nel nostro dialogo. Perchè la vita eterna è promessa ma tenendo presente che la nostra "fede" deve essere intesa come "fedeltà", al fine di raggiungere quella vita beata già e non ancora del tutto conquistata.

    Come saremo al di fuori della nostra vita terrena, possiamo immaginarlo e pregustarlo solo molto vagamente tenendo conto di alcune affermazioni della Scrittura, a partire dalla quale potremmo fare delle ipotesi, rimanendo tuttavia certo quanto ci dice s.Giovanni in una sua lettera: "ciò che saremo non è stato ancora rivelato, ma saremo simili a Lui, perchè lo vedremo così come Egli E'..."
    Parole entusiasmanti che dovrebbero incitarci notevolmente ad aderire senza esitazioni al Progetto che il Signore ha per ognuno dei sui figli e scuoterci da ogni ogni nostra lentezza.
    [Modificato da Credente 05/05/2014 15:33]
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    AndreaStivaletta
    00 05/05/2014 22:42
    Credo che a ciascuno di noi sia assegnato dall’eternità un ruolo preciso, un ruolo che permetta di dare pieno corso al ripristino dell’armonia divina in una struttura corporea dotata di precise funzionalità.
    Sono proprio le funzionalità, nel loro sovrapporsi ed alternarsi per dare una soluzione ai problemi di tutti i giorni, a caratterizzare la nostra individualità, il nostro carattere specifico.
    Il nostro compito nella vita è allora quello di riconoscerle, di capire la loro armonia, e di arrivare al punto di essere perfettamente pronti ad ogni evenienza: per sottolineare la mia posizione di perfetta simmetria antitetica con Nietzsche, contrapporrei alla sua volontà di potenza la mia nolontà d’atto.
    Questa situazione di atarassia, di beatitudine, è però un obiettivo che può essere raggiunto soltanto donando se stessi al prossimo, soltanto prendendo coscienza di ciò che abbiamo in più rispetto al necessario e donandolo agli altri, ma non per averne un riconoscimento da parte degli altri (si ricordi come Gesù stesso è sempre attento che non si diffonda la notizia delle sue opere di bontà verso il prossimo) ma semplicemente perché se ne ha troppo, e questo eccesso potrebbe alterare la propria armonia interiore, potrebbe legarci eccessivamente a qualcosa di esterno a noi e che non potrà rimanere con noi in eterno.
    Alla fine del nostro percorso, dopo che avremo levato tutto il di più, arriveremo alla perfetta armonia che è in Dio e, partendo da essa, riconoscendo la sua profonda necessità, evocheremo per contrappunto tutto ciò che si muove liberamente all’interno di quella schematismo perfetto e sempre uguale a se stesso: la parte indeterminata, libera di Dio a cui noi spetta di dare una forma.
    La creatività si misura quindi nella nostra capacità di donare agli altri grazie all’ottimizzazione nel gestire le nostre risorse: e questo si può raggiungere solo avvicinandoci alla perfezione di Dio, nella sequela di Cristo.
    Spero, con queste mie ulteriori precisazioni, di aver dato maggiore concretezza al mio discorso: i condizionamenti sociali, ambientali, di cui parli sono proprio ciò da cui dobbiamo dimostrare di emanciparci per essere liberi di interpretare Cristo in ogni situazione: e, concordo con te, sicuramente la Chiesa può darci delle indicazioni concrete in tal senso: non con rigide precettistiche, ma, bensì, allenandoci ad un sentire rituale, sempre più distaccato dal proprio se e sempre più proiettato verso gli altri.
    Nel merito trovo che sia molto illuminante il testo di Mario Perniola sul Sentire Cattolico, di cui consiglio la lettura. Ma anche Elettra Stimilli, dell’università di Salerno, nel suo testo su Ascesi e Capitalismo – Il debito del vivente, insiste su questa focalizzazione, presente nel cattolicesimo, su un finalismo senza scopo, ovvero, senza un beneficiario preciso, ma rivolto semplicemente al perfezionamento in se stesso del vivente: questo proprio per avvicinarlo sempre di più ad una fonte di armonia e perfezione divina.

    Sempre a disposizione per ulteriori approfondimento, mando una buona notte a tutti.
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    Credente
    00 06/05/2014 16:49
    Caro Andrea,
    potresti rendere con parole più alla mia portata la seguente espressione:

    ...la parte indeterminata, libera di Dio a cui noi spetta di dare una forma. ...

    Cosa intendi per parte indeterminata di Dio, a cui noi dovremmo dare una forma?
    Esiste nel linguaggio teologico comune qualcosa che possa farmi capire?
    [SM=g7474]

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    AndreaStivaletta
    00 06/05/2014 19:05
    Come la fisica quantistica prevede che vi sia una parte di realtà che le leggi deterministiche non possono prevedere e che deve quindi essere lasciata come indeterminata, così anche noi, presa coscienza delle regole che dominano la nostra vita, possiamo arrivare ad una serie di decisioni tutte compatibili con quelle regole e che lasciano indeterminata la decisione a favore dell'una o dell'altra. In questo, a mio avviso, risiede il principio della beatitudine.
    Infatti è proprio dalla presa di coscienza delle regole che ci dominano che possiamo apprezzare il bene della libertà: paradossalmente un carcerato ha allora più possibilità di apprezzare e fare tesoro della sua libertà solo di pensare che non una persona normale che pensa di essere libera ed invece è condizionata da tante cose di cui non si accorge.
    Per questo io do molta importanza al ritualismo, che, imponendoci delle regole all'apparenza del tutto formali, ci abitua ad apprezzare la libertà in qualsiasi circostanza in cui si crei un ambito ben delineato.
    Devi sapere che io sono anche un giocatore di scacchi: forse questo ti può aiutare a capire cosa intendo per rispetto delle regole al fine di garantirsi un maggior margine di libertà, fino alla vittoria finale. Ma questo solo come aiuto metaforico.

    Un saluto, Andrea
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    Credente
    00 07/05/2014 16:42
    Caro Andrea
    nel tuo ultimo post mi pare che siano espresse le cose che vengono dette, anche se in maniera diversa, anche nel gergo della fede.

    Credo che il Signore possa aver predeterminato almeno le linee generali per gli sviluppi della materia, ma una volta arrivato all'uomo con la sua intelligenza per poter decidere liberamente se aderire o meno a Lui, Egli stesso abbia lasciato l'uomo alla sua piena libertà, lasciando indeterminata, la sua scelta.
    Se l'avesse predeterminata, allora non si potrebbe avere beatitudine nell'adesione amorevole al Padre, ma solo obbedienza cieca ed inconsapevole dei benefici ricevuti. E non si avrebbe neppure la colpa o il merito di una qualsiasi scelta ma tutto sarebbe imputabile a chi avrebbe scelto per conto dell'uomo.
    Mentre invece è l'uomo che di volta in volta sceglie e determina anche le conseguenze delle sue scelte. Come al gioco degli scacchi, ogni mossa determina una serie di "conseguenze" alcune delle quali rimediabili, altre pericolose, o addirittura irrimediabili, altre del tutto opportune ed azzeccate.

    Sono pertanto persuaso che Dio, anche se preconosce quello che sceglieremo, non lo predetermina.

    In questo, penso che la tua visione sia analoga alla mia.
    Se vuoi possiamo andare avanti. Tieni presente che a volte la mia risposta potrebbe ritardare qualche giorno. Non fartene un problema perchè sto al PC, impegni permettendo, e quando posso cerco di dare un mio contributo.



    [Modificato da Credente 07/05/2014 16:44]
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    AndreaStivaletta
    00 07/05/2014 21:50
    Volevo cogliere l’occasione per svolgere alcune brevi considerazioni a margine di un convegno che si è tenuto proprio oggi nella mia città, Bolzano, presenti Vito Mancuso e il pm Rispoli, molto noto qui in città.
    Di Mancuso già sapevo: ha delle serie difficoltà a scindere ciò che è terreno da ciò che è spirituale, anche se a parole si definisce essenzialmente molto più spirituale della Chiesa Romana. Per questo se ne esce con affermazioni che rasentano la blasfemia quando sostiene l’impossibilità di difendere un Dio che permette il dilagare del male nel mondo. Ma cos’è poi questo male? Ecco alcuni esempi: l’essere brutti, deformi, non adeguati alla società, reietti! Forse Mancuso dimentica il messaggio Evangelico: gli ultimi saranno i primi; beati i poveri di spirito perché loro sarà il Regno dei Cieli. Perché Gesù dice questo? Ma proprio perché chi è più colpito da situazioni disagiate è anche meglio in grado di riconoscere la sia pur minima (per le considerazioni mancusiane) beatitudine, libertà, che si sarà saputo conquistare avendo capito le regole della sua condizione. Anche il più disadattato ha in se una possibilità di riscatto; proprio come per uno scacchista, più difficile è la partita maggiore la gioia per la vittoria finale.
    E, alla fin fine, se il dolore è così grande, così insostenibile, esiste pur sempre una via d’uscita naturale, naturalissima: la morte. Che non va presa come un male, ma, per un credente, come finalmente il momento del suo incontro con Dio.
    Perché per il ricco è così difficile entrare nel Regno dei Cieli? Ma proprio perché la sua agiatezza gli rende più difficile capire il meccanismo armonico che governa ogni situazione, ogni vita, e che proviene sempre da Dio e, come tale, è sempre lo stesso, ritualizzabile.
    Come sempre lo stesso è il meccanismo schematico, quantitativo, che informa l’armonia, la bellezza la giustizia, così si manifesta in forme individuali sempre diverse, specifiche di ogni persona che veramente in tal senso potrà già considerarsi come “modo” di Cristo, anche nel suo vivere apparentemente disagiato.
    Per fortuna al termine del convegno (dove, fra parentesi, non c’è stato posto per un dibattito) mi sono confrontato con delle parrocchiane che la pensavano esattamente come me: Mancuso tende ad illudere la nostra intelligenza, a fargli intravvedere un Dio sociale, che porta il benessere a tutti, che bandisce la miseria dal mondo: era proprio quello che a suo tempo ci si aspettava anche da Gesù!
    Mancuso non potrà mai arrivare a capire la teologia crucis, e si adagia sulla teologia gloriae.

    Un caro saluto, e non temere a chiedermi altri chiarimenti che sicuramente mi aiutano nel mio percorso di Fede.
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    Credente
    00 09/05/2014 13:02
    Caro Andrea,
    certamente il male che vi è nel mondo pone ai credenti la domanda: come mai Dio permette tanti disastri, tanti orrori, se è un Dio di amore?

    Noi la risposta la troviamo nella Croce, che è il mezzo scelto da Dio per la salvezza di tutti, e tutti coloro che sono incamminati verso la redenzione dovrebbero accettare di unirsi al capo di cui sono membra, portando con Lui la propria parte di peso.

    Quindi la tua riflessione va nella direzione indicata dal Vangelo. Non so esattamente cosa si sia detto nel convegno a cui hai partecipato ma mi pare di capire che il discorso sia andato in altra direzione e sembra che abbia attribuito a Dio le disgrazie umane.

    Mentre leggevo mi è venuta alla mente la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro;
    soprattutto quando dice: Lc 16,25 Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.

    La legge del contrappasso appare qui in tutta la sua evidenza come tu stesso hai ben fatto rilevare nel tuo ultimo post.

    Non è quindi una invenzione dantesca o dei preti. Se tutti noi avessimo ben presente questa semplice "regola del gioco" sono convinto che si avrebbero importanti ricadute per la società intera; non ci si affannerebbe per soddisfare le avidità, ma ci si contenterebbe del necessario, e tutti potrebbero stare molto meglio anche sulla terra, oltre che poter aspirare ai beni celesti .

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    AndreaStivaletta
    00 10/05/2014 09:28
    Devo dire che la parabole che tu hai citato è molto esemplare e su di essa ho avuto modo di riflettere spesso. Il Papa ne ha anche parlato in una delle sue prime omelie.
    Io non ci vedo del tutto una legge del contrappasso che punisce il ricco e premia il povero. Quello che è mancato nel ricco Epulone è stato di riconoscere in Lazzaro un modo di realizzare l’armonia divina pari a quello che aveva realizzato lui.
    Non vi deve essere differenza: entrambi sono modi di realizzare quell’armonia. Solo che Lazzaro è riuscito ad amare il modo di Epulone senza tuttavia arrivare all’invidia, laddove Epulone non ha in alcun modo apprezzato il modo di Lazzaro, ritenendo il suo sicuramente il più armonico. Si è lasciato accecare dai beni terreni, dalla quantità, senza riconoscere che qualitativamente era uguale a Lazzaro, con la stessa missione di realizzare una vita beata che aveva anche Lazzaro .
    La parabola può senz’altro prestarsi ad invitare la gente ad amare il prossimo, a fare la carità, a realizzare un benessere sociale diffuso. Questo senz’altro! Ma, a mio avviso, il precetto cristiano deve essere letto nella sua completezza: ama il prossimo tuo come te stesso.
    E mi spiego: se Epulone avesse fatto la carità a Lazzaro non avrebbe fatto altro che sancire la sua presunta superiorità rispetto a Lazzaro. Con il suo gesto avrebbe eletto il suo modo di vita, basato sul lusso e sul godimento materiale, ad unico modo di vita armonico, rispettoso delle leggi del Signore che mira sempre a realizzare in noi la sua beatitudine eterna. Ma così non può essere.
    Ognuno di noi realizza a modo suo quell’armonia.
    Certamente occorre che sia garantito da vivere a tutti, in modo da creare le premesse per una libera scelta su come realizzare quell’armonia. Ma talvolta le condizioni di indigenza sono addirittura più favorevoli ad una riflessione sulla molteplicità dei modi con cui ciascuno di noi può realizzare quella scintilla divina che si porta dentro e che è alla base della sua vita eterna.
    Ecco dunque cosa è mancato a Epulone e che giustifica la legge del contrappasso: l’apertura mentale, il concepire che anche Lazzaro poteva realizzare quell’armonia divina, quella beatitudine che lui vedeva solo nel godimento e nella ricchezza. Ed ecco anche perché la sua pena potrebbe non essere eterna: la possibilità di presa di coscienza dopo la morte non possiamo escluderla a priori, e ciò lo porterebbe a vivere il modo di Lazzaro, questo si, ma come modo di beatitudine eterna alla pari del suo.
    Il modo corretto di amare il prossimo, come Gesù ci ha insegnato, è: come se stessi, come una creatura che realizza il divino al pari di noi ma in un’altra maniera che, talvolta, ci rimane nascosta, imperscrutabile.
    È sbagliato sia amarla perché ha troppo sia amarla perché ha troppo poco: nel primo caso si pecca di invidia con le conseguenze cui può portare; nel secondo caso di orgoglio: per questo Gesù diceva che non bisogna vantarsi delle proprie donazioni, dei propri atti di bene, ma farli di nascosto.
    L’ estrema simmetria logica di questa posizione, che possiamo riconoscere anche in diversi passaggi del Padre Nostro (come in Cielo così in Terra; rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori) non può che farmi pensare ad un ideale di “sentire neutrale” che è un concetto tanto caro a Mario Perniola e che lui attribuisce in toto al sentire rituale della religiosità cattolica.
    Ed è un peccato che questa, che è l’essenza del cattolicesimo, venga spesso oscurata da tentazioni secolari come il benessere per tutti con la conseguenza di tacciare la Chiesa stessa di peccati non suoi: i suoi beni dovrebbero essere dati ai poveri, il clero è corrotto dall’agiatezza, ecc.ecc.: temi che teologi come Mancuso cavalcano facilmente con danni spesso irreparabili nei confronti dell’autentico sentimento cattolico che tende ad annacquarsi, ad appiattirsi su concezioni che esulano dalla sua dimensione squisitamente religiosa e rituale.
    Dalle tue risposte mi sembra che ancora su questo punto ci troviamo un po’ distanti: vedo che tu ancora fai riferimento ad un ideale di vita troppo specifico cui tutti avrebbero diritto; si rischia così di fare lo stesso errore eurocentrico di Mancuso, e questa è la strada che ci fa giudicare come male presente nel mondo laddove questo ideale non si è potuto realizzare.
    Le vie del Signore, della redenzione, sono infinite: esistiamo apposta per realizzarle e, nell’infinità dei mondi terreni che si realizzeranno, ognuna avrà il suo spazio specifico. Solo questa presa di coscienza potrà salvarci in eterno in una prospettiva di vita (eterna) che ci raccordi con tutte le altre che hanno fatto lo stesso percorso di presa di coscienza su di loro.
    Questa è la mia conclusione con tutte le conseguenze etiche connesse su cui possiamo continuare il nostro interessante confronto e approfondimento.
    Sempre a disposizione ti saluto caramente e ti abbraccio.
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    ulisseitaca
    00 10/05/2014 11:08
    La legge del contrappasso non punisce il ricco e premia il povero ma punisce l'egoista, l'insensibile, il chiuso ai bisogni degli altri.
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    Credente
    00 10/05/2014 13:39
    Caro Andrea,
    riporto qualche tua espressione:
    "...Dalle tue risposte mi sembra che ancora su questo punto ci troviamo un po’ distanti: vedo che tu ancora fai riferimento ad un ideale di vita troppo specifico cui tutti avrebbero diritto...;

    non sono riuscito forse a spiegarmi bene e cerco di precisare. Parlavo di ricadute sociali benefiche se ognuno imparasse a vivere condividendo il proprio superfluo con gli altri. Cosa che avrebbe potuto fare anche Epulone nei confronti di Lazzaro riconoscendone la dignità, e senza privarsi del suo necessario.
    Concordo perciò quando dici:
    "... Quello che è mancato nel ricco Epulone è stato di riconoscere in Lazzaro un modo di realizzare l’armonia divina pari a quello che aveva realizzato lui.
    Non vi deve essere differenza: entrambi sono modi di realizzare quell’armonia. Solo che Lazzaro è riuscito ad amare il modo di Epulone senza tuttavia arrivare all’invidia, laddove Epulone non ha in alcun modo apprezzato il modo di Lazzaro, ritenendo il suo sicuramente il più armonico. Si è lasciato accecare dai beni terreni, dalla quantità, senza riconoscere che qualitativamente era uguale a Lazzaro, con la stessa missione di realizzare una vita beata che aveva anche Lazzaro ..."

    Quindi la mia idea non è quella di un livellamento di tutti che sarebbe un appiattimento ma una corale unità in cui ognuno faccia la sua parte secondo le proprie capacità e risorse.


    Vorrei però capire meglio quando dici:
    "...Le vie del Signore, della redenzione, sono infinite: esistiamo apposta per realizzarle e, nell’infinità dei mondi terreni che si realizzeranno, ognuna avrà il suo spazio specifico. Solo questa presa di coscienza potrà salvarci in eterno in una prospettiva di vita (eterna) che ci raccordi con tutte le altre che hanno fatto lo stesso percorso di presa di coscienza su di loro. .."

    Come cattolico sono persuaso che il Signore prima di negarci il suo Regno, per il quale è venuto ad offrire se stesso in sacrificio di espiazione, ci metterà in condizione di poter accettare o rifiutare la sua salvezza, rispettando la nostra libertà, ma offrendoci la piena consapevolezza della nostra libera accettazione. Inoltre sono convinto che ci offrirà anche il modo per poterci purificare e renderci conto in pienezza di eventuali errori commessi nella vita presente: questo è quello che chiamiamo purgatorio.
    Non capisco a cosa ti riferisci con l'espressione "infinità dei mondi terreni": spiegami meglio.

    [SM=g7474]
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    AndreaStivaletta
    00 10/05/2014 19:54
    Vedo con piacere che anche ulisseitaca sta seguendo il nostro dibattito: il suo appunto era necessario, infatti tutto verte sulla nostra capacità di empatia, di saperci immedesimare nel prossimo fino ad arrivare ad essere veramente il prossimo. Questa circolazione fra diverse personalità può avvenire senza implicare la distruzione della propria personalità, a mio avviso, solo se si fonda su un riferimento unico che rappresenti l’armonia divina nel suo massimo splendore: ovvero, su Cristo.
    Riferendoci a Lui solo possiamo conquistare la necessaria oggettività per vedere la nostra vita come una delle tante che hanno pari dignità di fronte a Cristo, raggiungendo quel modo di sentire così ben descritto da Perniola nel suo testo sul cattolicesimo.
    Raggiungere l’atarassia, infatti, spesso si identifica con l’indifferenza: ma questo deve essere inteso in senso positivo, ovvero, nel senso che ci si può muovere liberamente nei confronti del prossimo, senza temere di essere accusati di avere dei secondi fini. Non nel senso che non bisogna fare nulla: l’atarassico cattolico dovrebbe sapere di essere un modo di Dio come tutti i suoi prossimi e questo lo deve sempre indirizzare a capire in che modo anche il prossimo esplica il suo ruolo: cogliere la scintilla divina nel prossimo gli consente di vedere se stesso nel prossimo.

    Ma mi sembra doveroso rispondere anche al mio interlocutore primario.
    La tua domanda su quelli che io ho definito gli infiniti mondi terreni trova una risposta nella filosofia dell’idealismo, in particolare di Emanuele Severino.
    Questo filosofo ha avuto una formazione cattolica ma poi lo sviluppo del suo pensiero lo ha portato a distaccarsi dalla Chiesa (in passato è stato docente dell’università Cattolica di Milano).
    Ma non per questo bisogna rigettare molte delle sue posizioni.
    In particolare egli sostiene che l’essere (Dio) è sempre uguale a se stesso (come l’uno di Parmenide) e quindi non può che essere eterno: il fatto che noi vediamo enti che si trasformano e muoiono nel tempo deve allora essere una pura illusione dettata dal nostro pensiero nichilista.
    Nulla andrà perduto. Tanto che Severino fa allora l’ipotesi che tutti gli atti possibili immaginabili siano sempre conservati nell’essere e che, semplicemente, talvolta vengono proiettati e talvolta no, talvolta appaiono e talvolta no.
    Il principio di non contraddizione, poi, fa in modo che le apparizioni debbano essere spaziotemporalmente coerenti e, quindi, incentrate su molteplici principi conoscitivi.
    Quello che io aggiungo a questa visione è che è possibile sempre ricostruire su un certo soggetto il limite conoscitivo massimo che può raggiungere rispetto alla sfera di tutte gli atti possibili ed immaginabili e che, per andare oltre questo limite e tornare a Dio, all’unico principio conoscitivo, non vi è che una strada, che è quella che ci ha indicato Gesù: amare il prossimo, capirlo nella sua coerenza interna fino a prefigurare una ricostruzione “efficiente” dell’insieme di tutte gli atti possibili ed immaginabili: per efficiente intendo, minimizzando i motivi di attrito, e, quindi, il numero di soggetti deputati a portare avanti la sua conoscenza.
    Ed ecco perché in apertura della discussione io avevo identificato la necessità del molteplice con una questione esclusivamente conoscitiva: l’universo come lo conosciamo non è che uno degli infiniti modi con cui Dio conosce se stesso.
    Ma, in ogni universo l’unica figura che non può che rimanere identica in quanto non meglio perfettibile è solo quella di Gesù, del Dio che si è fatto carne per suggellare la via della Redenzione a Dio stesso, alla sfera di tutte le possibilità (che io identifico nello Spirito Santo).
    Per questo la nostra vita eterna dovrà fare i conti con la presa di coscienza di questo meccanismo e con le sue conseguenze: sul modo con cui ciò può avvenire sono aperto ad approfondimenti ulteriori.
    Conscio che alcuni passaggi possono essere un po’ oscuri vi chiedo di non risparmiare le domande, sperando di aver modo di chiarirli meglio in futuro e mando un saluto a tutti.
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    ulisseitaca
    00 10/05/2014 20:22
    Troppo complesso, Cristo è molto più semplice, non complicarti la vita, che non serve a nulla.
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    AndreaStivaletta
    00 11/05/2014 14:36
    Sono d'accordo con te quando affermi che Cristo è nella semplicità.
    Tuttavia ti posso assicurare che io non mi sto complicando la vita quando cerco di trovare una via logica in grado di spiegare anche le affermazioni più paradossali di Cristo.
    Partendo infatti dalla Fede che in Lui vi sia la Verità, il mio sforzo di interpretarlo anche alla luce della filosofia moderna non è una complicazione inutile ma è un'esplorazione sicuramente ardita e problematica ma con la consapevolezza che verrà coronata dal successo.
    Certamente rimangono delle aree oscure: Tertulliano arrivò ad affermare: "Credo quia absurdum".
    Altra era la posizione di S. Tommaso nel suo sforzo di applicare Aristotele al credo cattolico.
    A mio avviso ogni pensatore ha aggiunto un gradino alla scala che porta alla piena comprensione di Cristo: ma, naturalmente, la Fede è sufficiente per salvarsi.
    Ritengo pertanto che sia attività propriamente degna dell'uomo quella di investigare su Dio e, quindi, su Cristo, sua manifestazione piena sulla Terra.

    Per dare qualche lume a quanto detto ieri, posso aggiungere che ogni singolo fotogramma di cui si compone lo Spirito Santo preso in se stesso non ha una valenza etica positiva o negativa: non è né bene né male. Se è possibile, per t che tende all'infinito prima o poi si manifesterà. Sta a noi fare in modo che si manifesti con una valenza positiva, ovvero, meno entropica possibile, meno distruttiva possibile: al limite lasciandolo solo al livello di atto potenziale.
    Per fare un esempio concreto posso fare riferimento alla scaramanzia, che è il tipico atteggiamento di propiziarsi esiti positivi grazie alla precisione con cui si dimostra di avere bene a mente gli esiti negativi di una certa sequenza di eventi. Si lascia nel virtuale l'atto negativo e si suppone che ciò riesca meglio quando si dimostra di avere ben presente il fotogramma negativo in ogni suo dettaglio.
    Per arrivare ad assumere questo atteggiamento in modo concreto e fattivo occorre dimostrare in toto la propria indifferenza all'esito negativo, dimostrarci atarassici: per fare un semplice esempio, uscire con l'ombrello perché esca il sole: mi dimostro perfettamente indifferente alla pioggia e, quindi, propizio l'uscita del sole.

    Forse la scaramanzia è un esito folcloristico di come è stato metabolizzato nella cultura popolare italiana il messaggio evangelico?

    Spero di non aver ulteriormente complicato la comprensibilità del mio pensiero, e vi invito a continuare il confronto, se possibile.

    Un incoraggiamento a tutti: la riflessione non deve essere un ostacolo alla Fede!
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    Credente
    00 11/05/2014 15:59
    Personalmente ritengo che il Credo costituisca il cardine principale su cui poggia la nostra Fede e su quelle ulteriori precisazioni che i vari Concilii hanno fatto per chiarire questioni sorte man mano lungo il corso della storia proprio perchè a volte è stato necessario intervenire su diatribe che avrebbero rischiato di creare scissioni all'interno della Chiesa, Corpo di Cristo.

    Ma rimanendo entro gli argini tracciati per non far deviare il corso della fede, sono certamente possibili, riflessioni e approfondimenti che ciascuno può fare per arricchire se stesso e gli altri con quanto riesce ad elaborare fondando la propria costruzione su quanto trova già posto.

    Anche s Paolo affermava qualcosa del genere dicendo in 1Cor 3,10

    ... Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce.
    11 Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. 12 E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, 13 l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno.
    14 Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa;
    15 ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco...

    Ora quindi la nostra Ragione, dono di Dio, chiede legittimamente di comprendere fin dove è possibile i motivi dell'azione di Dio, del suo Progetto, del perchè avvenga questo o quello.

    Non credo vi sia nulla in contrasto con una fede vera e sincera nel volersi interrogare su tante questioni. L'importante alla fine rimane quanto asseriva s.Agostino:
    nelle cose oscure occorre umiltà
    nelle cose incerte occorre carità
    nelle cose certe occorre unità

    In questa ottica penso valga la pena scambiarsi dei punti di vista, nonostante qualche difficoltà nella comprensione delle espressioni usate.
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    Credente
    00 13/05/2014 11:17
    Caro Andrea,
    rileggendo qualche punto dei tuoi post, trovo ancora oscuro alcuni particolari.
    Ad esempio quello che dici riferendoti allo Spirito Santo non è chiaro.
    Tu scrivi:
    "...posso aggiungere che ogni singolo fotogramma di cui si compone lo Spirito Santo preso in se stesso non ha una valenza etica positiva o negativa: non è né bene né male. Se è possibile, per t che tende all'infinito prima o poi si manifesterà. Sta a noi fare in modo che si manifesti con una valenza positiva, ovvero, meno entropica possibile, meno distruttiva possibile: al limite lasciandolo solo al livello di atto potenziale. ..."


    Per la maggioranza dei cristiani lo Spirito Santo è una Persona, che procede dal Padre e dal Figlio. Che si dona a chi lo chiede e si dispone a riceverlo con il cuore umile e sincero aiutandolo con la sua guida e la sua protezione a camminare nella via della carità. Ma può darsi che uno lo rifiuti consapevolmente e si chiuda alla sua Grazia anche di fronte alla piena evidenza che gli viene concessa, magari in certi casi nell'ultimo istante della vita. Si tratta di un peccato che Gesù qualifica come la bestemmia contro lo Spirito Santo che non potrà trovare remissione mai, perchè il rifiuto è fatto con piena avvertenza e deliberato consenso e un tale atto di libertà vincola Dio stesso al rispetto ed a non potergli offrire la propria luce, pace e gioia.


    Perciò un tale caso, contemplato nella Scrittura, non potrà mai essere perdonato. Anche gli stessi angeli ribelli hanno fatto una scelta pienamente consapevole e irreversibile, tale da non poter essere modificata dallo stesso Creatore che per amore ha creato esseri liberi.

    Ora, dai tuoi post mi è parso di capire che tu pensi ad una possibile conversione in future vite di possibili altri mondi che permetta agli uomini di maturare e di salvarsi.
    Non so se ho afferrato bene il tuo pensiero e quindi correggimi se così non fosse.

    Per quanto sappiamo dalla fede, il Signore concede di purificarsi, anche dopo la morte, in vista della salvezza, a chi non lo rifiuta ma desidera salvarsi aggrappandosi alla grazia che gli viene offerta in virtù del sacrificio di Cristo. Ma se tale grazia viene respinta, come potrebbe Dio forzare ed imporre la sua volontà di portare un'anima dove essa non vuole essere portata?
    Ecco dunque che il Signore si trova costretto a dover accontentare tale sua creatura, che non è di natura divina ma umana, tenendosi lontano da questa sua creatura, che va dove non vi è luce nè pace nè gioia.
    Questo è pressappoco quanto possiamo ipotizzare stando alla Rivelazione. E' certamente possibile immaginare e ipotizzare qualcosa per quanto riguarda il purgatorio, e magari ragionarci sopra per cercare di comprendere meglio di cosa si tratti. In ogni caso si rimarrebbe nel campo delle ipotesi.

    Mi fermo aspettando tuo riscontro
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    AndreaStivaletta
    00 13/05/2014 20:46
    Devo premettere una considerazione.
    Non pretendo di essere depositario della verità: il mio tentativo è quello di conciliare certi approdi del pensiero scientifico e filosofico con la dottrina della Fede.
    Per questo io faccio l’ipotesi che le tre Persone che esprimono Dio siano delle rappresentazioni necessarie per noi uomini che siamo proiettati in una dimensione spaziotemporale.
    Per questo io vedo nel Figlio l’insieme delle vite che hanno realizzato i modi di Dio nel tempo (tutti i nostri corpi che vanno a formare l’unico corpo mistico di Cristo) e nello Spirito Santo l’insieme di tutte le potenzialità, anche quelle che non hanno avuto uno svolgimento nel tempo e sono rimaste solo allo stato potenziale. Il Padre ha poi scelto a quali di queste potenzialità dare vita: lui è il Creatore dell’universo.
    Non tutte le potenzialità di vita vengono realizzate nel nostro universo, in quanto l’attualizzazione di alcune entra in contraddizione con l’attualizzazione di altre: posso allora ipotizzare che, per dare vita a tutte le potenzialità dello Spirito Santo siano necessari più universi fisici, più atti di creazione. Ma questa è solo un’ipotesi: per il nostro universo l’atto della Creazione è unico ed è stato realizzato dal Padre all’inizio dei tempi.
    La nostra salvezza risiede allora nella presa di coscienza che la nostra vita, pur caratterizzandosi per la sua irreversibilità, per il suo essere destinata alla morte, tuttavia è riuscita ad organizzare in modo armonico le sue potenzialità, riconoscendole come dono dello Spirito Santo che noi abbiamo avuto l’incarico di attualizzare liberamente nella nostra vita. Ecco che il nostro entrare, grazie all’armonia raggiunte, nel corpo di Cristo ci da, in un certo qual modo, accesso a tutti gli altri corpi di Cristo, quelli passati e quelli futuri. Allo stesso modo in cui noi arriviamo a riconoscerci quali corpi già risorti in Cristo, come già risorte di altri.
    In questo senso, come dicevo all’inizio della discussione, input ed output tendono ad uguagliarsi nella sostanza, seppure in forme sempre diverse. Ci alimentiamo di Cristo per riprodurre Cristo: l’entropia derivante dalla distruzione del cibo viene esattamente compensata dall’aver fatto della nostra vita cibo da donare come alimento per altri in un circuito amoroso che sempre più si allarga.
    Spero, con questa mia precisazione, di aver dato un contributo al chiarimento della mia posizione.
    Un caro saluto….. anch’io, per impegni di vario tipo, non riesco ad essere costante nei miei interventi.
  • OFFLINE
    Credente
    00 14/05/2014 19:40
    Caro Andrea,
    il chiarimento è ancora da chiarire.
    Tu dici:
    "... io vedo nel Figlio l’insieme delle vite che hanno realizzato i modi di Dio nel tempo (tutti i nostri corpi che vanno a formare l’unico corpo mistico di Cristo) e nello Spirito Santo l’insieme di tutte le potenzialità, anche quelle che non hanno avuto uno svolgimento nel tempo e sono rimaste solo allo stato potenziale. Il Padre ha poi scelto a quali di queste potenzialità dare vita: lui è il Creatore dell’universo.
    Non tutte le potenzialità di vita vengono realizzate nel nostro universo, in quanto l’attualizzazione di alcune entra in contraddizione con l’attualizzazione di altre: posso allora ipotizzare che, per dare vita a tutte le potenzialità dello Spirito Santo siano necessari più universi fisici, più atti di creazione..."

    Nel campo della Fede le ipotesi sono possibili ma sempre però rimanendo entro gli argini che Dio stesso ha indicato definendo o descrivendo le cose che lo riguardano, come accennavo in precedenza. Perchè al di fuori di tali argini, anche volendo fare lo sforzo di omogeneizzare i dati della scienza con quelli della fede, si rischia di non cogliere quanto è necessario, e forse andare a parare molto lontano.

    Il Figlio, ci viene presentato dalla Scrittura, come l'Unigenito Dio (Gv.1,18) il che significa l'unico Figlio generato dal Padre, della sua stessa natura divina e della stessa sostanza eterna, immutabile, impeccabile. Tutte caratteristiche che sono per natura estranee alla nostra natura umana, che ha avuto un inizio nel tempo, è mutevole ed è soggetta a peccati. Non siamo perciò scintille divine in senso proprio ma solo in senso metaforico. Mentre il Figlio è tale in senso proprio, ed è l'unico ad esserlo. Però noi possiamo, per grazia, diventare figli adottivi, (cf Ef.1,5) e in tal senso andiamo a formare il corpo mistico di Cristo.
    Ma potremmo anche rifiutare per sempre questa incorporazione, essendo liberi di farlo e la nostra natura, che non è divina, ed è ben distinta da Dio, rimarrebbe irreversibilmente lontano dal Creatore.
    Questo è quanto ci propone in modo chiaro e concorde sia la Scrittura, sia la Tradizione che il Magistero.

    Ammesso inoltre che il Creatore possa creare altri universi, ciò però non significa che Egli dia altre chance a chi ha già definitivamente fatto la propria scelta. Può significare che continui a creare altri esseri oltre noi così come ha fatto creando già tante schiere di diverse gerarchie angeliche e che forse si trovano in altre dimensioni, magari collimanti con la nostra. In questo caso possiamo fare anche delle ipotesi perchè non contraddicono la fede.

    Dici poi:
    "...il nostro entrare, grazie all’armonia raggiunte, nel corpo di Cristo ci da, in un certo qual modo, accesso a tutti gli altri corpi di Cristo, quelli passati e quelli futuri...."

    per non rimanere nel vago in questo campo che è proprio della fede e non della scienza, noi cattolici professiamo che dopo la morte l'anima resta in attesa della resurrezione del corpo, che a seconda della sua determinazione sarà glorificata o abbietta per sempre, e fino a tale momento conclusivo della storia umana, dopo l'unica morte corporale non entra in nessun altro corpo materiale.
    Spero di aver fornito qualche elemento utile almeno per escludere possibili fraintesi che potrai sempre meglio illustrare quando potrai.
    [SM=g7430]
    [Modificato da Credente 15/05/2014 11:08]
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    AndreaStivaletta
    00 15/05/2014 20:18
    Penso che bisognerà provare ad essere più specifici.
    Il passaggio da te ricordato della lettera di S.Paolo agli Efesini, fa a sua volta riferimento al Vangelo secondo Giovanni, dove, nel prologo, si dice: "A quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio". Poco avanti si dice che costoro sono stati generati (non creati!) da Dio. A me sembra evidente che questa indicazione non sia così metaforica.
    Il mistero eucaristico trasforma l'ostia consacrata in corpo di Cristo: sarebbe blasfemia parlare di metafora! Ma allora, in che senso possiamo dire l'ostia consacrata "corpo di Cristo"? Nello stesso senso con cui possiamo dire noi stessi generati, grazie allo Spirito Santo, in Dio.
    A mio avviso, quindi, nel senso che dobbiamo credere che ogni sostanza corporea ha in se i presupposti per essere armonizzata a Dio, e, pertanto, ad esserne sostanza. Basta prenderne coscienza: si tratta di un passaggio del tutto spirituale, proprio dell'uomo.
    Il problema fondamentale che ci impedisce di comprendere come si possa essere nello stesso tempo individui e sostanza divina senza scadere nel panteismo, consiste nel nostro rapporto con le categorie spaziotemporali.
    Se non ci fossero le categorie di spazio e tempo non vedremo una molteplicità di corpi individuali ma vedremo soltanto Dio, l'essere, il divino, l'uno di Parmenide.
    Le categorie di spazio e tempo sono le più efficienti per dare un'attualizzazione coerente alla sostanza divina, che, così, può manifestarsi, può realizzarsi, dando corpo concreto alla sua infinitezza.
    Ci si potrebbe anche limitare a dire che senza quelle categorie non ci sarebbe il molteplice e, quindi, neppure l'uomo. Come ho già accennato in altri punti deve essere preservata una quota di indeterminazione nel modo in cui cogliamo Dio nell'universo: per questo vediamo la realtà proiettata spaziotemporalmente: per renderci conto che rimane una parte di potenzialità inattualizzabili in presenza di altre e che quindi esiste una certa liberà d'azione, e l'azione migliore è proprio quella che minimizza le possibilità che vengono compromesse da essa.
    Ma per ottenere ciò occorre allargare la propria coscienza a tutto il molteplice, affinchè ciò che viene compromesso dall'azione pur ottimale di un individuo possa comunque essere recuperato da altri.
    Ecco come il sapersi inseriti nel corpo unico di Cristo ci permette di raggiungere la vita eterna della nostra individualità in quanto prendiamo coscienza di essere modi di Cristo, sue possibilità, alla stregua di tutti gli altri appartenenti al corpo di Cristo.
    La vita eterna, quindi, non la devi vedere come un'altra possibilità derivante da una nostra reincarnazione: questo era l'errore degli indù, non il mio. La vita eterna è costituita da tutti gli attimi della nostra vita in cui abbiamo sperimentato un atto di grazia, di armonia pura e divina.
    Questi attimi sono stati quindi già vissuti nella vita reale ma ciò non impedisce che possano mantenersi in eterno una volta che il tempo sia stato abolito. Mantenuti come attimi eternati nello Spirito Santo, dotati dello stesso corpo che li aveva fatti originariamente: il nostro.
    Come ho già detto in altri passaggi: noi, come facenti parte del molteplice, siamo il modo con cui Dio conosce se stesso nello spazio-tempo: è vero che esiste il peccato, la corruzione, la morte, ma, proprio in quanto riusciamo a trovare una quadratura fra input ed output, fra produzione e consumo, fra entropia e sintropia, allora riusciamo a prendere coscienza dell'atto di grazia che mantiene costante l'armonia solo apparentemente persa nel tempo recuperandola in sempre nuove potenzialità che diventano attualizzabili.
    Ma non sono sicuro che questa mia precisazione di oggi possa essere considerata un chiarimento: esistono molti punti che meriterebbero maggior spazio di trattazione. Ti chiedo di avere pazienza e di continuare a propormi domande che stimolino un dialogo proficuo spero per entrambi.
    Un saluto.
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    Credente
    00 16/05/2014 16:56
    Caro Andrea,
    cerchiamo di approfondire secondo la fede della Chiesa, il punto se noi uomini siamo creati o generati.

    Riporto un breve estratto della omelia 2 del commento di s.Agostino al vangelo di Giovanni relativamente al verso 13 del cap. :

    l'unico Figlio che egli aveva generato e per mezzo del quale tutto aveva creato, questo Figlio, lo inviò nel mondo perché non fosse solo, ma avesse dei fratelli adottivi. Noi infatti non siamo nati da Dio come l'Unigenito, ma siamo stati adottati per grazia sua. L'Unigenito infatti è venuto per sciogliere i peccati, che ci impedivano d'essere adottati: egli stesso ha liberato coloro che voleva fare suoi fratelli, e li ha fatti con lui eredi.


    Dobbiamo infatti notare bene il versetto da te richiamato:
    "A quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio"

    in tale versetto si dice chiaramente che figli noi lo possiamo DIVENTARE, se accettiamo per mezzo della Fede di accoglierLo in noi. Se lo dobbiamo DIVENTARE è evidente che non lo siamo per natura, generata da carne e sangue.

    Una conferma del fatto che noi siamo stati creati da Dio e non inizialmente generati ci viene anche da quanto qui esprime l'evangelista:

    Giov 1,3 "tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. "
    Si dice qui che tutto l'esistente, uomini compresi, sono stati FATTI, per mezzo del Figlio, Parola vivente.

    Ora quindi in che senso noi DIVENTIAMO FIGLI, realmente figli, e quindi nati da Dio, così come espresso non metaforicamente ma realmente nel verso 13 del prologo ?
    Nel senso che accogliendo lo Spirito Santo che è Dio, ci uniamo a Lui e veniamo resi nuove creature, nate di nuovo. Ecco perchè Gesù parlando con Nicodemo gli diceva:

    Giov 3,5 «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6 Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito.

    Se è necessaria una nuova nascita per vedere il regno, significa che quella naturale non è di natura divina. Solo ciò che è nato dallo Spirito, successivamente alla nascita naturale, diventa figlio perchè viene assimilato, unito alla natura divina, e perciò ADOTTATO.
    Dice infatti s.Paolo:
    1Cor 6,17 Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito.
    Noi dunque veniamo divinizzati, resi figli, dalla presenza dello Spirito Santo che è Dio e che viene ad abitare in noi, dopo la nuova nascita, che si verifica quando noi accogliamo il Figlio Unigenito.
    Dalla visione d'insieme delle citazioni si può facilmente verificare che non vi sono contraddizioni nelle espressioni bibliche e nell'insegnamento millenario della Chiesa su questo punto. Spero tu ne convenga
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    AndreaStivaletta
    00 17/05/2014 10:29
    Quello che tu mi dici non è poi così differente da quello che cerco di portare avanti io.
    Sul fatto che dobbiamo diventare figli di Dio, per cui siamo, in un certo senso, figli adottivi di Dio, sono senz’altro d’accordo.
    Il mio sforzo è semplicemente quello di rendere coerenti fra loro diverse parti del messaggio evangelico.
    Vedo per esempio che non mi hai controbattuto sul tema dell’Eucarestia: quello che ci viene offerto nella S.Messa è il corpo di Cristo, è veramente il corpo di Cristo, non metaforicamente.
    Devo quindi dare per condiviso che un elemento spirituale, ovvero, la nostra Fede in Cristo, può compiere il miracolo di assimilare una semplice ostia al vero corpo di Cristo.
    Questo, a mio avviso, perché la Fede ci può dare quell’umiltà, quella modestia, quella povertà di spirito che è la sola (Gesù lo ribadisce in più punti) in grado di farci comprendere che Dio può essere in ogni cosa se solo la si riesce a vedere con l’occhio puro di chi lo cerca sinceramente, per un interesse che è solo conoscitivo e non anche appropriativo.
    E questo è un elemento squisitamente spirituale, dove emerge la nostra purezza, la nostra apertura verso il prossimo e verso Dio.
    Se fossi panteista riterrei inutile questo percorso spirituale conoscitivo, annettendo di per se stessa alla carne, alla materia, la sostanzialità divina: e questo sarebbe un errore.
    Perciò noi per Fede crediamo nella capacità che ha lo Spirito di trasformare la materia e di renderla eterna, come eterna sarà la carne che ci rivestirà se saremo stati degni di approdare al Regno dei Cieli.
    Il discorso che faccio io è soltanto cercare di capire come questo elemento conoscitivo possa compiere questo miracolo.
    Per questo sostengo che la materia, isolata dallo spazio-tempo, sia comunque in se stessa eterna e che l’elemento conoscitivo ha in se stesso la capacità di dare una sintesi positiva ad una materia che altrimenti, considerata semplicemente nel suo muoversi nello spazio durante il tempo, apparirebbe solo come caotica e “peccaminosa”.
    Conoscere nello Spirito, per me, ha quindi una grande importanza in quanto crea le premesse affinché un insieme di “fotogrammi” strutturati in massa che si muove nello spazio durante il tempo possa trovare nel soggetto conoscente quell’elemento di sintesi logica in grado di riscattarla dalla caoticità e ripristinarne l’armonicità divina.
    Non per nulla Cristo è il Verbo per eccellenza, ovvero, l’elemento conoscitivo in grado di indicarci la Via affinché la nostra Vita possa diventare Vera, ovvero, eterna nello Spirito Santo.
    Il modo in cui ciò possa avvenire è e deve essere libera espressione di ciascuno di noi, libera interpretazione in grado di caratterizzare la nostra individualità. L’azione non deve scaturire dalla conoscenza, dalla presa di coscienza, ma la presa di coscienza dell’elemento spirituale deve darci la vista su una ampia gamma di scelte aventi tutte la stessa capacità di dare forma alle nostre funzionalità, alle nostre potenzialità.
    La presa di coscienza del potersi muovere in un insieme di alternative comportamentali deve però anche accompagnarsi con la consapevolezza che la scelta di una di queste implica la rinuncia ad un’altra in quanto avrebbe la stessa valenza sostanziale: cambierebbe soltanto la forma che da alle mie funzionalità, ma, in sostanza, sarebbe ripetitiva e, quindi, inutile, tautologica, contraddittoria in un’ottica incrementativa di senso.
    Per questo ritengo vera espressione di libertà il comportamento di colui che arriva a lasciare che siano altri ad attualizzare forme, magari all’apparenza più piene, più soddisfacenti, ma che lui stesso ha già attualizzato sostanzialmente con comportamenti più sobri, più semplici ma proprio per questo anche più vicini a Dio, meno soggetti alla moda del momento.
    Questo io lo definisco l’atteggiamento donativo di colui che ha raggiunto l’atarassia: e soltanto colui che ha raggiunto un pieno distacco dalla formalità, dalla materialità, è in grado di donare agli altri senza secondi fini, come ha fatto Gesù con i suoi miracoli. Donare cosa? Donare le altre forme con cui realizzare sostanzialmente la stessa combinazione di potenzialità, in quanto ciascuno ha una diversa forma delle potenzialità stesse, ciascuno la sua propria ed è quindi sbagliato invidiare in altri quello che noi possiamo realizzare in modo diverso ma in modo a noi formalmente più adeguato.
    La rinuncia alla formalità non deve essere quindi rinuncia alla sostanzialità di una vita incrementativa di senso. Quando questa vita è riuscita a toccare tutta la combinatoria delle proprie potenzialità dando una forma ad ognuna, allora può dirsi compiuta, può dirsi che ha svolto fino in fondo il suo ruolo e la morte sarà solo apparente, in quanto, di fatto, non implica sostanzialmente la rinuncia a nulla.
    Ricordando la parabola dei talenti, si deve ammettere che Gesù ci sprona a mettere a frutto le nostre potenzialità, a realizzarle, a trovare un giusto spazio a loro in modo che tutte possano aver vita: solo così possiamo infatti accedere alla vita eterna, al Regno dei Cieli: avendo sempre un “fotogramma” di riferimento sulla nostra persona, un “fotogramma” di vita vissuta da noi, che ci metta alla pari con qualsiasi altra vita, perché anche noi abbiamo sviluppato fino al massimo tutte le nostre potenzialità.
    Solo la Fede può indicarci come si articolino nella nostra persona queste potenzialità, che forma esse hanno: ma possiamo essere sicuri che tutti hanno sempre le stesse potenzialità sostanziali, quello che cambia è solo il loro aspetto, non la loro completezza. Si tratta solo di riconoscerle: e, per arrivare a ciò possono essere utili sistemi come quelli illustrati negli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, che mira proprio a trovare lo scopo nella vita di ciascuno, la vocazione di ciascuno (S. Ignazio la definisce: la propria elezione).
    Concluderei dicendo:
    “Beato colui che fa qualcosa non perché se non la facesse non potrebbe più farla, ma perché è arrivato a capire che, in qualsiasi altro modo in cui potrebbe essere fatta, sarebbe sostanzialmente sempre la stessa cosa, realizzerebbe sempre la stessa cosa: solo così potrà raggiungere la consapevolezza che quell’azione gli apparterrà per sempre, in eterno”
    Questo è, a mio avviso, il modo con cui si raggiunge il Regno dei Cieli, già in questa vita, fissando un percorso storico in grado di mantenere una coerenza logica che va al di la di spazio e tempo.
    Spero di aver chiarito qualcosa, anche se mi rendo conto che il messaggio etico sottostante lascia a ciascuno ampia libertà nel modo di realizzare questo obiettivo. Ad ognuno il compito arduo di trovare la sua strada verso la Redenzione in Cristo.
    Un caro saluto.
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    Credente
    00 18/05/2014 20:26
    Caro Andrea,
    cerco di riprendere i vari punti da te esposti molti dei quali condivido, mettendo in corsivo solo le tue espressioni, per far riconoscere quello che rispondo ad ogni punto.

    Quello che tu mi dici non è poi così differente da quello che cerco di portare avanti io.
    Sul fatto che dobbiamo diventare figli di Dio, per cui siamo, in un certo senso, figli adottivi di Dio, sono senz’altro d’accordo.

    Il chiarimento era necessario, perchè altrimenti Gesù risulterebbe solo uno o al massimo il primo tra tanti esseri tutti figli della stessa sostanza divina e questo non sarebbe secondo retta fede.


    Il mio sforzo è semplicemente quello di rendere coerenti fra loro diverse parti del messaggio evangelico.
    Vedo per esempio che non mi hai controbattuto sul tema dell’Eucarestia: quello che ci viene offerto nella S.Messa è il corpo di Cristo, è veramente il corpo di Cristo, non metaforicamente.
    Devo quindi dare per condiviso che un elemento spirituale, ovvero, la nostra Fede in Cristo, può compiere il miracolo di assimilare una semplice ostia al vero corpo di Cristo.

    Certamente, credo anch'io che l'Eucarestia dopo la consacrazione, indipendentemente da noi, in forza della promessa e della potenza di Dio, diventi realmente il Corpo e Sangue di Cristo



    Questo, a mio avviso, perché la Fede ci può dare quell’umiltà, quella modestia, quella povertà di spirito che è la sola (Gesù lo ribadisce in più punti) in grado di farci comprendere che Dio può essere in ogni cosa se solo la si riesce a vedere con l’occhio puro di chi lo cerca sinceramente, per un interesse che è solo conoscitivo e non anche appropriativo.
    E questo è un elemento squisitamente spirituale, dove emerge la nostra purezza, la nostra apertura verso il prossimo e verso Dio.
    Se fossi panteista riterrei inutile questo percorso spirituale conoscitivo, annettendo di per se stessa alla carne, alla materia, la sostanzialità divina: e questo sarebbe un errore.

    Ok, siamo d'accordo che la natura materiale, pur essendo creata da Dio, non è una sorta di emanazione o separazione dalla sua sostanza.


    Perciò noi per Fede crediamo nella capacità che ha lo Spirito di trasformare la materia e di renderla eterna, come eterna sarà la carne che ci rivestirà se saremo stati degni di approdare al Regno dei Cieli.

    Condivido confermando con quanto dice Paolo in
    Rom 8,11 E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
    Da cui ricaviamo che la nostra materialità attuale potrà essere trasformata e resa gloriosa ed eterna dallo Spirito che avremo accolto in noi e che ci ha dato quella nuova vita generata da Dio di cui diventiamo figli.


    Il discorso che faccio io è soltanto cercare di capire come questo elemento conoscitivo possa compiere questo miracolo.

    Non credo che sia la nostra conoscenza ad operare il miracolo della nostra trasformazione ma la presenza dello Spirito Santo in chi si dispone alla Sua azione come appunto dice s Paolo


    Per questo sostengo che la materia, isolata dallo spazio-tempo, sia comunque in se stessa eterna e che l’elemento conoscitivo ha in se stesso la capacità di dare una sintesi positiva ad una materia che altrimenti, considerata semplicemente nel suo muoversi nello spazio durante il tempo, apparirebbe solo come caotica e “peccaminosa”.

    Forse non comprendo bene quello che vuoi dire. In ogni caso posso dire che la fede ci insegna che lo spazio e il tempo con la materia e gli esseri viventi, hanno avuto un inizio e quindi non sono da sempre. E' stato quindi un atto creativo del Padre che mezzo della sua Parola vivente ha dato origine all'esistente che si è venuto sviluppando secondo le potenzialità che Egli ha messo nelle cose create


    Conoscere nello Spirito, per me, ha quindi una grande importanza in quanto crea le premesse affinché un insieme di “fotogrammi” strutturati in massa che si muove nello spazio durante il tempo possa trovare nel soggetto conoscente quell’elemento di sintesi logica in grado di riscattarla dalla caoticità e ripristinarne l’armonicità divina.

    Se vuoi dire che la comprensione e l'accettazione della Verità rivelata possa condurci alla salvezza, sono d'accordo.


    Non per nulla Cristo è il Verbo per eccellenza, ovvero, l’elemento conoscitivo in grado di indicarci la Via affinché la nostra Vita possa diventare Vera, ovvero, eterna nello Spirito Santo.

    Se "per eccellenza" intendi l'unico, siamo d'accordo, in quanto il Padre non ha altro Verbo.

    Per ora interrompo lasciando un mio contributo ala seconda parte del tuo ultimo post, che mi appare più difficile da capire, per una prossima volta.  
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