00 10/05/2014 19:54
Vedo con piacere che anche ulisseitaca sta seguendo il nostro dibattito: il suo appunto era necessario, infatti tutto verte sulla nostra capacità di empatia, di saperci immedesimare nel prossimo fino ad arrivare ad essere veramente il prossimo. Questa circolazione fra diverse personalità può avvenire senza implicare la distruzione della propria personalità, a mio avviso, solo se si fonda su un riferimento unico che rappresenti l’armonia divina nel suo massimo splendore: ovvero, su Cristo.
Riferendoci a Lui solo possiamo conquistare la necessaria oggettività per vedere la nostra vita come una delle tante che hanno pari dignità di fronte a Cristo, raggiungendo quel modo di sentire così ben descritto da Perniola nel suo testo sul cattolicesimo.
Raggiungere l’atarassia, infatti, spesso si identifica con l’indifferenza: ma questo deve essere inteso in senso positivo, ovvero, nel senso che ci si può muovere liberamente nei confronti del prossimo, senza temere di essere accusati di avere dei secondi fini. Non nel senso che non bisogna fare nulla: l’atarassico cattolico dovrebbe sapere di essere un modo di Dio come tutti i suoi prossimi e questo lo deve sempre indirizzare a capire in che modo anche il prossimo esplica il suo ruolo: cogliere la scintilla divina nel prossimo gli consente di vedere se stesso nel prossimo.

Ma mi sembra doveroso rispondere anche al mio interlocutore primario.
La tua domanda su quelli che io ho definito gli infiniti mondi terreni trova una risposta nella filosofia dell’idealismo, in particolare di Emanuele Severino.
Questo filosofo ha avuto una formazione cattolica ma poi lo sviluppo del suo pensiero lo ha portato a distaccarsi dalla Chiesa (in passato è stato docente dell’università Cattolica di Milano).
Ma non per questo bisogna rigettare molte delle sue posizioni.
In particolare egli sostiene che l’essere (Dio) è sempre uguale a se stesso (come l’uno di Parmenide) e quindi non può che essere eterno: il fatto che noi vediamo enti che si trasformano e muoiono nel tempo deve allora essere una pura illusione dettata dal nostro pensiero nichilista.
Nulla andrà perduto. Tanto che Severino fa allora l’ipotesi che tutti gli atti possibili immaginabili siano sempre conservati nell’essere e che, semplicemente, talvolta vengono proiettati e talvolta no, talvolta appaiono e talvolta no.
Il principio di non contraddizione, poi, fa in modo che le apparizioni debbano essere spaziotemporalmente coerenti e, quindi, incentrate su molteplici principi conoscitivi.
Quello che io aggiungo a questa visione è che è possibile sempre ricostruire su un certo soggetto il limite conoscitivo massimo che può raggiungere rispetto alla sfera di tutte gli atti possibili ed immaginabili e che, per andare oltre questo limite e tornare a Dio, all’unico principio conoscitivo, non vi è che una strada, che è quella che ci ha indicato Gesù: amare il prossimo, capirlo nella sua coerenza interna fino a prefigurare una ricostruzione “efficiente” dell’insieme di tutte gli atti possibili ed immaginabili: per efficiente intendo, minimizzando i motivi di attrito, e, quindi, il numero di soggetti deputati a portare avanti la sua conoscenza.
Ed ecco perché in apertura della discussione io avevo identificato la necessità del molteplice con una questione esclusivamente conoscitiva: l’universo come lo conosciamo non è che uno degli infiniti modi con cui Dio conosce se stesso.
Ma, in ogni universo l’unica figura che non può che rimanere identica in quanto non meglio perfettibile è solo quella di Gesù, del Dio che si è fatto carne per suggellare la via della Redenzione a Dio stesso, alla sfera di tutte le possibilità (che io identifico nello Spirito Santo).
Per questo la nostra vita eterna dovrà fare i conti con la presa di coscienza di questo meccanismo e con le sue conseguenze: sul modo con cui ciò può avvenire sono aperto ad approfondimenti ulteriori.
Conscio che alcuni passaggi possono essere un po’ oscuri vi chiedo di non risparmiare le domande, sperando di aver modo di chiarirli meglio in futuro e mando un saluto a tutti.