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1. L'attività riflessiva dello spirito e l'evidenza che ne risulta. - Lo scientismo avrebbe ragione se la confusa attualità della coscienza umana s'aprisse unicamente all'evidenza che viene dall'esperienza e che abbiamo chiamato evidenza materiale. Ma proprio mentre lo spirito umano si propone di perseguire metodicamente quest'evidenza e le sue conseguenze, acquistando cosi il comportamento dello spirito scientifico, si esplicita l'attività riflessiva, che è l'altra componente dell'attività spirituale. Correlativa all'attività riflessiva, si determina un'altra modalità dell'evidenza, della quale la scienza come tale non si deve preoccupare, ma che l'uomo non può non notare, modalità che abbiamo caratterizzato parlando di evidenza riflessiva. Infatti vi è quest'evidenza ogni volta che, oltre l'esperienza spontanea o acquisita mediante lo studio, lo spirito umano diviene cosciente della sua attività come tale, in quanto allora coglie. la realtà nella visuale di quest'attività divenuta cosciente a se stessa, prima di tutto nel suo fatto e poi nelle sue condizioni e leggi. L'ontologia, e anche la filosofia, è possibile solo in proporzione di quest'evidenza riflessiva.


Quindi lo scientismo, pretendendo di trasferire in negazioni ontologiche le leggi d'un comportamento metodico della scienza, non è più un atteggiamento scientifico, ma un'opzione filosofica, la quale è possibile solo quando, in vista delle stesse negazioni, usa surrettiziamente e inconsciamente possibilità riflessive sulle quali bisogna ritornare, per spiegarsi chiaramente. Le spiegazioni scientiste sono un rifiuto di considerare il fatto riflessivo, che tuttavia lo spirito deve attualizzare e, in certo senso, sfruttare, almeno per formulare le sue negazioni. Conseguentemente la filosofia scientista finisce col negare l'ordine da cui riceve tuttavia il suo essere in quanto affermazione filosofica. È questa la sua contraddizione fondamentale. Quindi contro lo scientismo si impone anzitutto il compito di spezzare il prestigio di quest'incoerente negazione e di prendere coscienza del fatto che lo spirito umano riflessivo non può accontentarsi d'utilizzare, anche se rifiuta d'ammetterlo, il fatto della coscienza riflessiva. Basta questo semplice rilievo a imporre un pensiero filosofia) capace di giustificare le affermazioni costruttive dell'ontologia e le certezze, che cosi si possono avere, riguardo alla divina realtà.


2. Legittimità e certezza di quest'evidenza. - Lo spirito scientista tende a riservare esclusivamente alla conoscenza scientifica la qualifica di conoscenza speculativa e veramente oggettiva, e a vedere qualsiasi altra conoscenza inquinata da elementi che ne impediscono o ne falsano l'oggettività. Le affermazioni metafisiche riguardanti principi irriducibili a quelli attinti dalla scienza, vengono considerate come opzioni soggettive, che la ragione critica considera come basate in modo contingente sui temperamenti individuali, e quindi prive di valore autentico di verità e inconsistenti. Però anche questo è un modo di misconoscere l'evidenza riflessiva che, pur diversamente dall'evidenza materiale,s'impossessa intellettualmente della realtà ed è in grado di fondare un ordine di verità autenticamente speculative, poiché nella coscienza riflessiva lo spirito coglie realmente, distintamente e senza che vi si mescoli la confusione affettiva, la verità dell'atto conoscitivo e può metodicamente fare l'analisi delle condizioni dell'atto stesso, e in particolare può riconoscere la condizione ontologica dell'oggetto della conoscenza umana. 11 pensiero cosi costituito ha certamente una forma diversa da quella della conoscenza scientifica, che del resto suppone già sbozzata in antecedenza. Però questa forma è tutt'altro che esteriore all'ordine speculativo, essendo la vera chiave di volta e l'unica capace di specificare in ultima analisi la misura della certezza scientifica.


3. L'affermazione filosofica dell'esistenza di Dio e l'apertura all'eventualità d'una rivelazione. -L'affermazione filosofica dell'esistenza di Dio è il frutto conclusivo d'un processo intellettuale fondato sull'evidenza riflessiva, poiché la riflessione permette di riconoscere la reale condizione ontologica dell'oggetto della conoscenza umana, il quale non è soltanto bruta realtà materiale, ma è provvisto d'una certa intelligibilità perfino nella sua stessa esistenza. D'altra parte qui non si tratta affatto d'un postulato soggettivo, ma d'una condizione d'una realtà anteriore all'appello razionale provocato dal dato nello spirito umano: ciò che è non è soltanto esistenza immediata e bruta, ma realtà giustificata, anche se la giustificazione completa sfugge allo spirito che se n'è posta la questione. Lo spirito è dunque abilità a passare da ciò che è attinto dal pensiero riflessivo all'affermazione d'un principio ultimo di giustificazione della realtà. Quando nominiamo Dio, ci riferiamo a questo principio.


Questo processo di passaggio, attuato secondo i vari modi di considerare la realtà effettivamente conosciuta, dalla metafisica è chiamato dimostrazione dell'esistenza di Dio. Così il pensiero filosofico vede che la realtà mutevole è fondata sopra un'attualità immutabile e trascendente alla natura, che l'essere contingente ne richiama un altro per sé necessario, che la diversità delle cose imperfette dev'essere riunita sotto l'unità d'un essere primo e assolutamente perfetto, ecc.


Rimarrebbe da dimostrare più chiaramente che tale affermazione dell'esistenza di Dio è possibile solo se implica la trascendenza dell'essere divino, esclusa dalla soluzione panteista. In sostanza la cosa è legata all'irriducibilità di natura che vi è tra l'evidenza materiale e quella riflessiva, poiché questa, per principio, si riferisce a un ordine di realtà completamente diverso da quello che si può raggiungere attraverso l'evidenza materiale. Il panteismo, con la tendenza a identificare Dio e la natura del tutto cosmico, misconosce un'indicazione importante della coscienza riflessiva. Ma per tutto questo possiamo accontentarci d'indicare, direi, i perni e le tappe della discussione con lo scientismo, lasciando che ciascuno ricorra all'insegnamento usuale della teologia cattolica su ciò che noi abbiamo soltanto indicato.


D'altra parte il processo intellettuale, possibile attraverso l'evidenza riflessiva, sfocia nell'affermazione dell'esistenza di Dio, in modo da permettere di comprendere l'eventuale intervento d'una rivelazione. L'evidenza riflessiva nella coscienza umana è connessa con uno stato dello spirito che ragiona sull'universo e su ciò che vi si vede. Ora la metafisica è lungi dal permettere un'esauriente risposta alle varie incertezze sollevate dalla ragione inquirente sull'universo. Lo spirito umano può affermare l'esistenza di Dio, ma non ne scopre affatto la natura intima, e tanto meno riesce a chiarire il mistero del destino di questo mondo, né il mistero del proprio destino in seno a questo mondo. A questo riguardo il- pensiero umano potrà costruire diverse ipotesi, ma è sua caratteristica l'incapacità di determinarsi razionalmente sulla verità di qualcuna di queste ipotesi e, in modo generale, gli resta sempre l'incertezza riguardo alle questioni di quest'ordine. Perciò l'evidenza riflessiva non è affatto esauriente, poiché in certi campi lascia l'uomo necessariamente sospeso, non già perché sia impossibile o impensabile una determinazione, ma unicamente perché nella presente condizione è inaccessibile al pensiero strettamente filosofia).


Né si creda die le conclusioni categoricamente negative alle quali ordinariamente in questo campo s'adattano i filosofi che si dicono razionalisti, razionalmente si trovino meglio delle conclusioni affermative, poiché dal punto di vista strettamente filosofia) le conclusioni negative non sono più solide delle altre. L'indeterminazione e l'aspettativa sono qui la sorte propria dello spirito umano, e proprio questo fatto apre la porta perché la rivelazione possa, quando lo voglia, entrare in scena per iniziarci ad un nuovo settore di realtà. E questo è anche ciò che giustifica il fatto della rivelazione, perché l'uomo ha bisogno d'essere fissato sul suo destino essenziale e nell'incertezza in cui è lasciato dalle risorse naturali, ha bisogno di ricevere da D'io la diiarezza che lo integra al fine divino dell'universo. Ed ecco ritrovata, senza difficoltà, la giustificazione che San Tommaso e la teologia cattolica danno al fatto d'una rivelazione venuta da Dio.


4. Evidenza riflessiva, rivelazione e autonomia scientifica. - L'indispensabile autonomia scientifica è forse l'argomento più profondo di cui si serve il razionalismo scientista contro il fatto religioso. La scienza è e non può essere che esercizio autonomo dell'evidenza umana, poiché non c'è scienza se non si parte da ciò che è realmente manifesto, se non ci si attiene rigorosamente ad esso e se non lo si elabora con metodi che sono a stretta disposizione dello spirito proprio dell'uomo. L'esperienza, quale va intesa in virtù di questo programma generale, e le operazioni, che permettono il formarsi del sapere, danno vita a un sistema nel centro del quale, per principio, la trascendenza non si trova esplicitamente manifestata; perciò la scienza si può diportare come se non esistesse il " soprannaturale "; lo spirito umano infatti deve giungere a definire l'ordine " naturale " come l'equivalente di ciò che esso può effettivamente cogliere nelle cose.


Nulla di tutto questo è materialmente contestabile, quando si tratta solo d'enunciare le condizioni stesse della conoscenza scientifica. La scienza, quale oggi la concepisce il sapere positivo, non può cogliere il " soprannaturale n e giungere al fatto trascendente. Ma questo non significa die ci sia motivo di concludere che non esiste nessuna trascendenza e che il soprannaturale è impossibile, semplicemente perché la trascendenza divina e il soprannaturale si pongono sopra un altro piano. È veramente proprio del pensiero, guidato da una certa riflessione, riprendere tutto l'insieme della materialità della conoscenza in una comprensione ulteriore dell'universo e dell'esistenza. La scienza può elaborare la materialità della conoscenza con tutto il rigore e l'autonomia che vuole (ed è desiderabile che lo faccia il più possibile), ma non s'impone meno il problema di riprendere quest'acquisto seguendo le prospettive del pensiero riflessivo. Ora i principi di tale ripresa possono essere non solo filosofici, ma anche specificamente religiosi, nella misura in cui, fondandosi sopra un'autorità divina, determinano ciò che è lasciato nell'incertezza dell'evidenza riflessiva umana. La realtà religiosa, quando parte da principi autentici e ben intesi, anziché essere incompatibile e indifferente alla scienza, è normalmente destinata ad accettare la scienza e ad assumerla in quella visione dell'universo che la fede deve costruirsi, senza mutilare minimamente il sapere materiale e il sistema delle sue possibilità intrinseche.


Quindi la verità religiosa ha e deve avere per principio, il rispetto totale del sistema umano della scienza e, molto lungi dall'essere contraddetta dallo sforzo della ricerca autonoma, ha l'obbligo d'ammettere tale ricerca e anche di provocarla, per giungere, attraverso di essa, a radicarsi più completamente nell'universo umano. Una credenza può andare contro la scienza solo quando lotta contro di essa sul terreno dell'evidenza materiale. Ora la sostanza della verità religiosa non si pone affatto su tale terreno, ma su quello delle certezze verso cui l'evidenza riflessiva apre lo spirito umano. Del resto la teologia cattolica è la prima a considerare inaccettabile qualsiasi proposizione di verità cosiddetta religiosa contraria alle evidenze naturali dello spirito. Quindi una credenza sviluppata nel disprezzo della scienza, fino a contraddirne espressamente le conclusioni, è necessariamente priva di fondamento e di verità.


Reciprocamente a questo principio, la scienza deve avere il rispetto totale per la credenza religiosa. La pretesa scientista che con il suo spirito mutila la totalità dell'essere è inaccettabile. La scienza in tutte le cose è capace di conoscere ciò che le permette l'evidenza materiale umana, ma per natura rimane incompetente ogni volta che il discernimento del fatto suppone che lo spirito si volga all'evidenza riflessiva. Perciò è ingiustificato il passaggio dal metodo scientifico alle conclusioni pronunciate dal razionalismo scientista: ciò che coglie la scienza non è tutta la realtà. Quello che la scienza coglie è certamente reale, ma c'è anche un'altra realtà che bisogna giudicare secondo principi diversi da quelli adoperati dalla scienza. Il razionalismo scientifico misconosce questo fatto perché trasforma il metodo della conoscenza scientifica, cioè le regole die guidano questa conoscenza, in un'ontologia, cioè in affermazioni ca-tegoriche, che pretendono di circoscrivere in modo assoluto la realtà delle cose, cioè ridurre la realtà a ciò che è sperìmentabile. Oppostamente a quest'errore, il vero atteggiamento dello spirito esige che s'unisca il rispetto totale della riflessione per la conoscenza scientifica con una totale disponibilità di questa conoscenza ai giudizi che permettono ulteriormente la riflessione alla credenza religiosa fondata.


Ciò significa che bisogna comprendere rottamente l'autonomia della scienza. In realtà sarebbe necessario distinguere l'autonomia di metodo, die è innegabilmente un'autonomia ma su un piano in certo modo ancora astratto, e l'autonomia esistenziale, che sarebbe quella d'un soggetto che si' attua pienamente da sé nella realtà effettiva e concreta. La scienza umana non possiede quest'autonomia esistenziale. La scienza si vede dipendente da un oggetto che le da un'evidenza, ma essa non riesce affatto, nemmeno nell'ordine matematico, a completare da sola il sistema totale di quest'evidenza, tanto che lo stato perfetto della sintesi scientifica resta necessariamente un ideale inattuabile. La scienza non può nemmeno dare l'autonomia esistenziale all'essere umano, che in realtà viene determinato dalla realtà scientifica solo in parte e, per quanto sia vasto il sistema scientifico effettivo, l'uomo ha in se stesso la vocazione a un sistema più ampio di perfezionamento nell'esistenza. Ora molte difficoltà derivano dal fatto che si confondono troppo frettolosamente le due moralità d'autonomia, metodologica ed esistenziale, e il razionalismo è, per cosi dire, tutto quanto fondato sulla loro identificazione.


5. Verità religiosa e integrazione della verità scientifica. - Perciò la conoscenza scientifica non dispensa lo spirito da uno sforzo ulteriore di pensiero e di giudizio, sforzo che, sfortunatamente, viene troppo spesso inteso come se dovesse svolgersi sullo stesso piano dello sforzo della scienza e dovesse cogliere gli oggetti nello stesso modo di quest'ultima. Speriamo che quanto abbiamo detto faccia meglio vedere la profonda differenza d'ordine che separa l'affermazione scientifica dal giudizio filosofia" o religioso. Il giudizio religioso non ha affatto come oggetto la determinazione d'una verità materiale delle cose accessibili all'esperienza umana; esso intende fissare lo spirito umano sopra realtà che hanno soltanto l'effetto d'inserire queste verità materiali, quali si trovano essere, in un significato dell'universo, dell'essere umano, del suo destino... ecc, che trascende la scienza. Vi è qui un .comportamento simile a quello del giudizio filosofia".


Facendo questo, la verità scientifica non è né maltrattata né violentata, ma è semplicemente ripresa in una visuale di verità più profonda, perché è chiamata a sostenere, altrettanto bene e, in linea di principio, anche meglio delle conoscenze ingenue, le determinazioni di questa visuale. Il pensiero dell'uomo, per essere visione religiosa dell'universo, non ha affatto bisogno di restare nello stadio d'un pensiero anteriore al risveglio della curiosità scientifica e allo sviluppo della ricerca motivata da questa curiosità. Anzi, la conoscenza scientifica, perfetta espansione della facoltà umana di accedere alle cose, è disposta a questa ripresa armoniosa nel ritmo d'uno sforzo che associa riflessione e credenza per rispondere alle questioni d'insieme che l'universo propone all'uomo.


A questo riguardo la migliore apologetica sarà non quella dei discorsi, ma quella dei fatti; Una visione cristiana dell'universo, capace d'assumere i dati e lo spirito stesso della scienza, risponderà certamente meglio alle classiche difficoltà del razionalismo scientista, che non molte discussioni contro le obiezioni e molte pagine di polemica. L'edificazione d'una tale visione cristiana dell'universo, che in definitiva riprenderebbe l'ambizione delle somme medioevali, può sembrare perfettamente possibile, e forse persino facile, poiché molti pregiudizi scientisti stanno affievolendosi, quasi minati internamente da una duplice crisi. Da una parte le scienze han ripreso l'analisi dei loro fondamenti, e si sono accorte in modo preciso che non è possibile stabilirli con la facilità prima immaginata; d'altra parte, con il problema delle loro risonanze pratiche sul piano dell'esistenza umana, esse hanno toccato realtà per le quali pare imporsi sempre più il ricorso a facoltà di giudizio superiori a quella proveniente dalla scienza e dalla tecnica. Ecco quanto si può già opporre allo scientismo; ma gioverebbe ancora di più servirsi di queste possibiltà aperte per dare una formula positiva alla sintesi d'un'informazione scientifica e d'un giudizio religioso sull'universo. Qui occorre almeno sottolineare con forza il principio della legittimità di questa sintesi, a quelle condizioni che abbiamo definito con quanto abbiamo detto.