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SCIENZA E FEDE

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    00 26/03/2014 18:42

    Tratto da Nos raisons de croire - Réponses aux objection

    INTRODUZIONE

    La scienza moderna non è soltanto un insieme di conoscenze e di capacità investigative in atto; non è nemmeno quest'insieme più un immenso gioco di tecniche che affermano il dominio sempre più vasto dell'uomo sulla natura. La scienza ormai è un materiale fondamentale e un elemento organico della civiltà, con la mediazione del quale partecipiamo direttamente o indirettamente a un determinato modo d'esistenza umana, modo che ben distinto se confrontato con le civiltà anteriori o esteriori allo sviluppo delle scienze, e per di più cosciente della propria differenza e superiorità. Oggi, ineluttabilmente, la scienza è il testimonio privilegiato della ragione umana, sicché i problemi che essa solleva raggiungono quasi immediatamente il problema dei rapporti tra l'immanenza razionale e la trascendenza rivelata. In definitiva la scienza, molto più che essere una questione relativa al sistema astratto del pensiero, pone una questione d'opzione concreta riguardo all'umano. Perciò sembra impossibile poterne ignorare il fatto e sommamente pericoloso misconoscerlo. Qui ricordiamo solo di passaggio che la società cristiana, dopo cinque secoli, ha dovuto registrare che si è dissolta quella forma d'unità spirituale umana, della quale nel Medioevo era stata l'efficace portatrice. Oggi le gravi parole ammonitrici del supremo magistero ci ricordano che lo scandalo dei nostri secoli è il fatto che la Chiesa ha perduto gli ambienti popolari e la classe operaia. Ora è evidente che la causa di questi fatti è per una notevole parte una certa insufficienza dell'atteggiamento cristiano nei confronti dell'universo della scienza moderna.

    Per questo le presenti pagine, che espongono e giustificano la fede cattolica di fronte al fatto della scienza, cercheranno di superare il punto di vista d'un'apologetica unicamente preoccupata di confutare le principali obiezioni mosse contro la religione e, almeno indirettamente, cercheranno di compiere uno sforzo di comprensione positiva, l'unica che oggi sia chiarificatrice, quando sorgono difficoltà a opporre scienza e religione.

    Senza questa precisazione d'insieme, qualsiasi risposta immediata a ogni difficoltà particolare sarà sempre poco persuasiva e inefficace, come un sistema di difese troppo fragili sotto la spinta d'un assalitore dotato d'una forza di grandezza diversa. Il vero metodo dell'apologetica cristiana deve ormai associare le risposte particolari (cui non si può certo rinunciare) a una visione molto larga e comprensiva dei problemi fondamentali. È assolutamente urgente fare intravedere, in un contesto nuovo, che è possibile un'armonia spirituale, analoga a quella per cui lottarono i grandi dottori cattolici e che la Chiesa negli atti del suo magistero non ha mai cessato di proclamare attuabile.

    Lo sforzo per assumere quest'atteggiamento impone, in qualche misura, il piano degli sviluppi che seguiranno. Dedicheremo la prima parte a caratterizzare i rispettivi campi della scienza e della fede, a porre in rilievo le condizioni per un mutuo accordo, discutendo la posizione scientista e le sue obiezioni contro l'affermazione religiosa; la seconda parte s'occuperà più in particolare delle difficoltà che possono nascere dalle pretese della tecnica scientifica di reggere integralmente la vita dell'uomo, sulla quale però la religione non intenderà mai smettere d'esercitare il proprio influsso.


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    00 26/03/2014 18:43
    CAPITOLO I. - LA SCIENZA E LO SCIENTISMO DI FRONTE ALL'AFFERMAZIONE RELIGIOSA

    Distinzione tra scienza e scientismo. - È proprio della scienza essere una ricerca umanamente autonoma della natura quale viene rivelata dall'esperienza, come pure è una caratteristica essere coestensiva alla condizione di materialità delle cose e, in certo modo, di cogliere sempre la realtà in quanto materiale. Pretendere che la scienza rinunci a ciò cui è obbligata, significherebbe esattamente chiederle di rinunciare ad essere scienza. Bisogna quindi mantenere ben distinta la legittimità di questa doppia condizione della conoscenza scientifica e guardarsi dal volerne ricusare le esigenze. Tuttavia non si deve confondere il metodo scientifico con lo scientismo: quello è un insieme di regole che guidano l'attività scientifica nella ricerca o nell'elaborazione; questo è sostanzialmente un'opzione d'ordine filosofico con tesi molto discutibili, anche quando sembrano giustificate dalle apparenze.

    Le difficoltà del dialogo tra lo scienziato e il credente. - Le difficoltà che il razionalismo scientista presenta come irresistibili, sono certo molto naturali allo spirito umano, per il fatto stesso che esso pratica il pensiero scientifico. Molti stentano a dare loro una risposta esatta; invece il credente sente molto bene che tra il suo atteggiamento e il pensiero scientifico non c'è affatto l'opposizione di principio affermata dallo scientismo; sente essere possibile una sintesi, e alla occorrenza, vive effettivamente di essa. Ma per lui è molto difficile dire in che cosa consista tale sintesi e presentare il suo pensiero religioso in modo da non prestare il fianco a fondate obiezioni dell'incredulità scientista.

    E questo ordinariamente perché tanto il credente quanto lo scientista tendono a misconoscere il modo con cui la verità religiosa e la credenza intervengono nello spirito e possono assimilare inconsciamente le affermazioni riguardanti Dio, l'anima o la rivelazione, alle affermazioni che la ricerca scientifica può giustificare. La tentazione di chi cerca di rendere ragionevole la sua fede è d'accontentarsi, in tale materia, di far appello a qualcosa che è nell'ordine dell'evidenza materiale; e allora l'incredulo, che obietta a nome della scienza, riesce facilmente a dimostrare che, quando s'invoca l'evidenza materiale, tocca alla scienza di entrare in azione e che la scienza è sufficiente, facendo credere che la fede possa sussistere solo in quanto il pensiero resta prescientifico o mescolato alle determinazioni affettive della soggettività, e che debba indietreggiare incessantemente e ineluttabilmente a mano a mano che il pensiero scientifico prende effettivamente possesso del suo campo. La preoccupazione d'evitare quest'inconveniente conduce troppo spesso a negare al pensiero scientifico le prerogative che, nel suo ordine, gli sono effettivamente proprie. Ma tale atteggiamento finisce di generare spiacevoli conseguenze, una delle quali è lo scandalo giustificato, che l'incredulo prova di fronte alla fede presentata in questo modo.

    Conseguentemente oggi, con una scienza tanto vivamente cosciente della propria condizione e dei propri metodi, occorre uno sforzo notevole e costante per essere chiari e condurre la discussione senza impegnare la posizione religiosa su un terreno che non è il suo, e dove corre pericolo d'essere molto presto condotta in un vicolo cieco. L'attuale livello, dove ormai si pone l'apologetica, esige una solida dottrina sulla natura della conoscenza religiosa e dei suoi rapporti con la conoscenza scientifica.

    Dall'evidenza materiale a quella riflessiva. - Sembra quindi necessario riconoscere chiaramente il duplice ordine dell'evidenza umana e la gerarchla esistente tra l'ordine dell'evidenza materiale proprio della scienza e l'ordine dell'evidenza riflessiva. Finché lo spirito non riconosce questa dualità, non si può trattare con chiarezza il problema dei rapporti tra scienza e religione: lo scientismo prende notevoli cantonate quando pretende di ridurre tutto il sistema della ragione allo sviluppo dell'evidenza materiale; ma capita pure spesso che i credenti e gli apologisti prendano abbagli complementari, lasciandosi andare a rappresentare in modo indebitamente materiale l'affermazione religiosa. La prima risposta d'insieme che si deve dare allo scientismo e alle sue difficoltà consiste quindi nel rilevare il fatto dell'evidenza riflessiva e nel farne riconoscere il vero stato nei confronti dell'evidenza che serve al pensiero scientifico. Dovremo pertanto precisare successivamente questi punti:

    - C'è un'evidenza irriducibile a quella di cui si serve la scienza moderna, ed è essenzialmente legata all'attività riflessiva dello spirito.
    - Tale evidenza ha un valore distinto di verità e di certezza, è autenticamente intellettuale, e il suo sviluppo è pure una funzione indispensabile della
    ragione umana.
    - Quest'evidenza per se stessa permette alcune affermazioni metafisiche, come quella dell'esistenza di Dio, e permette anche di comprendere l'eventuale intervento d'un principio trascendente a determinare il giudizio in un atto di credenza religiosa.
    - Relativamente alla scienza, quest'evidenza lascia sempre intatto tutto il dispiegamento autonomo della ricerca scientifica, conforme alle condizioni
    che la scienza riconosce a se stessa; proibisce soltanto di passare, se non vi sono altre ragioni, dal comportamento metodologico dello scienziato alla camuffata pretesa ontologica, qual è in realtà lo scientismo.
    - Quindi la verità religiosa, in rapporto alla conoscenza scientifica, verrà tempre presentata come una verità d'ordine ulteriore; verità che riprende, illuminata da nuove fonti di giudizio, l'insieme delle verità umane, non esclusa la scienza. Abbiamo un esempio di quest'integrarsi della verità scientifica con
    l'ordine del pensiero religioso, senza che quella subisca qualche attentato da questo, nell'affermazione della divina provvidenza. L'identico volto dell'universo, che la scienza scopre senza mai rinunciare alle leggi del suo sforzo, è anche il vero volto di questa realtà, i cui minimi tratti sono disposti provvidenzialmente da Dio. La scienza, anziché contraddire l'intuizione religiosa, può essere lo strumento d'una nuova espansione di essa.

    Ora dobbiamo commentare brevemente ciascuno di questi punti.
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    00 26/03/2014 18:44

    1. L'attività riflessiva dello spirito e l'evidenza che ne risulta. - Lo scientismo avrebbe ragione se la confusa attualità della coscienza umana s'aprisse unicamente all'evidenza che viene dall'esperienza e che abbiamo chiamato evidenza materiale. Ma proprio mentre lo spirito umano si propone di perseguire metodicamente quest'evidenza e le sue conseguenze, acquistando cosi il comportamento dello spirito scientifico, si esplicita l'attività riflessiva, che è l'altra componente dell'attività spirituale. Correlativa all'attività riflessiva, si determina un'altra modalità dell'evidenza, della quale la scienza come tale non si deve preoccupare, ma che l'uomo non può non notare, modalità che abbiamo caratterizzato parlando di evidenza riflessiva. Infatti vi è quest'evidenza ogni volta che, oltre l'esperienza spontanea o acquisita mediante lo studio, lo spirito umano diviene cosciente della sua attività come tale, in quanto allora coglie. la realtà nella visuale di quest'attività divenuta cosciente a se stessa, prima di tutto nel suo fatto e poi nelle sue condizioni e leggi. L'ontologia, e anche la filosofia, è possibile solo in proporzione di quest'evidenza riflessiva.


    Quindi lo scientismo, pretendendo di trasferire in negazioni ontologiche le leggi d'un comportamento metodico della scienza, non è più un atteggiamento scientifico, ma un'opzione filosofica, la quale è possibile solo quando, in vista delle stesse negazioni, usa surrettiziamente e inconsciamente possibilità riflessive sulle quali bisogna ritornare, per spiegarsi chiaramente. Le spiegazioni scientiste sono un rifiuto di considerare il fatto riflessivo, che tuttavia lo spirito deve attualizzare e, in certo senso, sfruttare, almeno per formulare le sue negazioni. Conseguentemente la filosofia scientista finisce col negare l'ordine da cui riceve tuttavia il suo essere in quanto affermazione filosofica. È questa la sua contraddizione fondamentale. Quindi contro lo scientismo si impone anzitutto il compito di spezzare il prestigio di quest'incoerente negazione e di prendere coscienza del fatto che lo spirito umano riflessivo non può accontentarsi d'utilizzare, anche se rifiuta d'ammetterlo, il fatto della coscienza riflessiva. Basta questo semplice rilievo a imporre un pensiero filosofia) capace di giustificare le affermazioni costruttive dell'ontologia e le certezze, che cosi si possono avere, riguardo alla divina realtà.


    2. Legittimità e certezza di quest'evidenza. - Lo spirito scientista tende a riservare esclusivamente alla conoscenza scientifica la qualifica di conoscenza speculativa e veramente oggettiva, e a vedere qualsiasi altra conoscenza inquinata da elementi che ne impediscono o ne falsano l'oggettività. Le affermazioni metafisiche riguardanti principi irriducibili a quelli attinti dalla scienza, vengono considerate come opzioni soggettive, che la ragione critica considera come basate in modo contingente sui temperamenti individuali, e quindi prive di valore autentico di verità e inconsistenti. Però anche questo è un modo di misconoscere l'evidenza riflessiva che, pur diversamente dall'evidenza materiale,s'impossessa intellettualmente della realtà ed è in grado di fondare un ordine di verità autenticamente speculative, poiché nella coscienza riflessiva lo spirito coglie realmente, distintamente e senza che vi si mescoli la confusione affettiva, la verità dell'atto conoscitivo e può metodicamente fare l'analisi delle condizioni dell'atto stesso, e in particolare può riconoscere la condizione ontologica dell'oggetto della conoscenza umana. 11 pensiero cosi costituito ha certamente una forma diversa da quella della conoscenza scientifica, che del resto suppone già sbozzata in antecedenza. Però questa forma è tutt'altro che esteriore all'ordine speculativo, essendo la vera chiave di volta e l'unica capace di specificare in ultima analisi la misura della certezza scientifica.


    3. L'affermazione filosofica dell'esistenza di Dio e l'apertura all'eventualità d'una rivelazione. -L'affermazione filosofica dell'esistenza di Dio è il frutto conclusivo d'un processo intellettuale fondato sull'evidenza riflessiva, poiché la riflessione permette di riconoscere la reale condizione ontologica dell'oggetto della conoscenza umana, il quale non è soltanto bruta realtà materiale, ma è provvisto d'una certa intelligibilità perfino nella sua stessa esistenza. D'altra parte qui non si tratta affatto d'un postulato soggettivo, ma d'una condizione d'una realtà anteriore all'appello razionale provocato dal dato nello spirito umano: ciò che è non è soltanto esistenza immediata e bruta, ma realtà giustificata, anche se la giustificazione completa sfugge allo spirito che se n'è posta la questione. Lo spirito è dunque abilità a passare da ciò che è attinto dal pensiero riflessivo all'affermazione d'un principio ultimo di giustificazione della realtà. Quando nominiamo Dio, ci riferiamo a questo principio.


    Questo processo di passaggio, attuato secondo i vari modi di considerare la realtà effettivamente conosciuta, dalla metafisica è chiamato dimostrazione dell'esistenza di Dio. Così il pensiero filosofico vede che la realtà mutevole è fondata sopra un'attualità immutabile e trascendente alla natura, che l'essere contingente ne richiama un altro per sé necessario, che la diversità delle cose imperfette dev'essere riunita sotto l'unità d'un essere primo e assolutamente perfetto, ecc.


    Rimarrebbe da dimostrare più chiaramente che tale affermazione dell'esistenza di Dio è possibile solo se implica la trascendenza dell'essere divino, esclusa dalla soluzione panteista. In sostanza la cosa è legata all'irriducibilità di natura che vi è tra l'evidenza materiale e quella riflessiva, poiché questa, per principio, si riferisce a un ordine di realtà completamente diverso da quello che si può raggiungere attraverso l'evidenza materiale. Il panteismo, con la tendenza a identificare Dio e la natura del tutto cosmico, misconosce un'indicazione importante della coscienza riflessiva. Ma per tutto questo possiamo accontentarci d'indicare, direi, i perni e le tappe della discussione con lo scientismo, lasciando che ciascuno ricorra all'insegnamento usuale della teologia cattolica su ciò che noi abbiamo soltanto indicato.


    D'altra parte il processo intellettuale, possibile attraverso l'evidenza riflessiva, sfocia nell'affermazione dell'esistenza di Dio, in modo da permettere di comprendere l'eventuale intervento d'una rivelazione. L'evidenza riflessiva nella coscienza umana è connessa con uno stato dello spirito che ragiona sull'universo e su ciò che vi si vede. Ora la metafisica è lungi dal permettere un'esauriente risposta alle varie incertezze sollevate dalla ragione inquirente sull'universo. Lo spirito umano può affermare l'esistenza di Dio, ma non ne scopre affatto la natura intima, e tanto meno riesce a chiarire il mistero del destino di questo mondo, né il mistero del proprio destino in seno a questo mondo. A questo riguardo il- pensiero umano potrà costruire diverse ipotesi, ma è sua caratteristica l'incapacità di determinarsi razionalmente sulla verità di qualcuna di queste ipotesi e, in modo generale, gli resta sempre l'incertezza riguardo alle questioni di quest'ordine. Perciò l'evidenza riflessiva non è affatto esauriente, poiché in certi campi lascia l'uomo necessariamente sospeso, non già perché sia impossibile o impensabile una determinazione, ma unicamente perché nella presente condizione è inaccessibile al pensiero strettamente filosofia).


    Né si creda die le conclusioni categoricamente negative alle quali ordinariamente in questo campo s'adattano i filosofi che si dicono razionalisti, razionalmente si trovino meglio delle conclusioni affermative, poiché dal punto di vista strettamente filosofia) le conclusioni negative non sono più solide delle altre. L'indeterminazione e l'aspettativa sono qui la sorte propria dello spirito umano, e proprio questo fatto apre la porta perché la rivelazione possa, quando lo voglia, entrare in scena per iniziarci ad un nuovo settore di realtà. E questo è anche ciò che giustifica il fatto della rivelazione, perché l'uomo ha bisogno d'essere fissato sul suo destino essenziale e nell'incertezza in cui è lasciato dalle risorse naturali, ha bisogno di ricevere da D'io la diiarezza che lo integra al fine divino dell'universo. Ed ecco ritrovata, senza difficoltà, la giustificazione che San Tommaso e la teologia cattolica danno al fatto d'una rivelazione venuta da Dio.


    4. Evidenza riflessiva, rivelazione e autonomia scientifica. - L'indispensabile autonomia scientifica è forse l'argomento più profondo di cui si serve il razionalismo scientista contro il fatto religioso. La scienza è e non può essere che esercizio autonomo dell'evidenza umana, poiché non c'è scienza se non si parte da ciò che è realmente manifesto, se non ci si attiene rigorosamente ad esso e se non lo si elabora con metodi che sono a stretta disposizione dello spirito proprio dell'uomo. L'esperienza, quale va intesa in virtù di questo programma generale, e le operazioni, che permettono il formarsi del sapere, danno vita a un sistema nel centro del quale, per principio, la trascendenza non si trova esplicitamente manifestata; perciò la scienza si può diportare come se non esistesse il " soprannaturale "; lo spirito umano infatti deve giungere a definire l'ordine " naturale " come l'equivalente di ciò che esso può effettivamente cogliere nelle cose.


    Nulla di tutto questo è materialmente contestabile, quando si tratta solo d'enunciare le condizioni stesse della conoscenza scientifica. La scienza, quale oggi la concepisce il sapere positivo, non può cogliere il " soprannaturale n e giungere al fatto trascendente. Ma questo non significa die ci sia motivo di concludere che non esiste nessuna trascendenza e che il soprannaturale è impossibile, semplicemente perché la trascendenza divina e il soprannaturale si pongono sopra un altro piano. È veramente proprio del pensiero, guidato da una certa riflessione, riprendere tutto l'insieme della materialità della conoscenza in una comprensione ulteriore dell'universo e dell'esistenza. La scienza può elaborare la materialità della conoscenza con tutto il rigore e l'autonomia che vuole (ed è desiderabile che lo faccia il più possibile), ma non s'impone meno il problema di riprendere quest'acquisto seguendo le prospettive del pensiero riflessivo. Ora i principi di tale ripresa possono essere non solo filosofici, ma anche specificamente religiosi, nella misura in cui, fondandosi sopra un'autorità divina, determinano ciò che è lasciato nell'incertezza dell'evidenza riflessiva umana. La realtà religiosa, quando parte da principi autentici e ben intesi, anziché essere incompatibile e indifferente alla scienza, è normalmente destinata ad accettare la scienza e ad assumerla in quella visione dell'universo che la fede deve costruirsi, senza mutilare minimamente il sapere materiale e il sistema delle sue possibilità intrinseche.


    Quindi la verità religiosa ha e deve avere per principio, il rispetto totale del sistema umano della scienza e, molto lungi dall'essere contraddetta dallo sforzo della ricerca autonoma, ha l'obbligo d'ammettere tale ricerca e anche di provocarla, per giungere, attraverso di essa, a radicarsi più completamente nell'universo umano. Una credenza può andare contro la scienza solo quando lotta contro di essa sul terreno dell'evidenza materiale. Ora la sostanza della verità religiosa non si pone affatto su tale terreno, ma su quello delle certezze verso cui l'evidenza riflessiva apre lo spirito umano. Del resto la teologia cattolica è la prima a considerare inaccettabile qualsiasi proposizione di verità cosiddetta religiosa contraria alle evidenze naturali dello spirito. Quindi una credenza sviluppata nel disprezzo della scienza, fino a contraddirne espressamente le conclusioni, è necessariamente priva di fondamento e di verità.


    Reciprocamente a questo principio, la scienza deve avere il rispetto totale per la credenza religiosa. La pretesa scientista che con il suo spirito mutila la totalità dell'essere è inaccettabile. La scienza in tutte le cose è capace di conoscere ciò che le permette l'evidenza materiale umana, ma per natura rimane incompetente ogni volta che il discernimento del fatto suppone che lo spirito si volga all'evidenza riflessiva. Perciò è ingiustificato il passaggio dal metodo scientifico alle conclusioni pronunciate dal razionalismo scientista: ciò che coglie la scienza non è tutta la realtà. Quello che la scienza coglie è certamente reale, ma c'è anche un'altra realtà che bisogna giudicare secondo principi diversi da quelli adoperati dalla scienza. Il razionalismo scientifico misconosce questo fatto perché trasforma il metodo della conoscenza scientifica, cioè le regole die guidano questa conoscenza, in un'ontologia, cioè in affermazioni ca-tegoriche, che pretendono di circoscrivere in modo assoluto la realtà delle cose, cioè ridurre la realtà a ciò che è sperìmentabile. Oppostamente a quest'errore, il vero atteggiamento dello spirito esige che s'unisca il rispetto totale della riflessione per la conoscenza scientifica con una totale disponibilità di questa conoscenza ai giudizi che permettono ulteriormente la riflessione alla credenza religiosa fondata.


    Ciò significa che bisogna comprendere rottamente l'autonomia della scienza. In realtà sarebbe necessario distinguere l'autonomia di metodo, die è innegabilmente un'autonomia ma su un piano in certo modo ancora astratto, e l'autonomia esistenziale, che sarebbe quella d'un soggetto che si' attua pienamente da sé nella realtà effettiva e concreta. La scienza umana non possiede quest'autonomia esistenziale. La scienza si vede dipendente da un oggetto che le da un'evidenza, ma essa non riesce affatto, nemmeno nell'ordine matematico, a completare da sola il sistema totale di quest'evidenza, tanto che lo stato perfetto della sintesi scientifica resta necessariamente un ideale inattuabile. La scienza non può nemmeno dare l'autonomia esistenziale all'essere umano, che in realtà viene determinato dalla realtà scientifica solo in parte e, per quanto sia vasto il sistema scientifico effettivo, l'uomo ha in se stesso la vocazione a un sistema più ampio di perfezionamento nell'esistenza. Ora molte difficoltà derivano dal fatto che si confondono troppo frettolosamente le due moralità d'autonomia, metodologica ed esistenziale, e il razionalismo è, per cosi dire, tutto quanto fondato sulla loro identificazione.


    5. Verità religiosa e integrazione della verità scientifica. - Perciò la conoscenza scientifica non dispensa lo spirito da uno sforzo ulteriore di pensiero e di giudizio, sforzo che, sfortunatamente, viene troppo spesso inteso come se dovesse svolgersi sullo stesso piano dello sforzo della scienza e dovesse cogliere gli oggetti nello stesso modo di quest'ultima. Speriamo che quanto abbiamo detto faccia meglio vedere la profonda differenza d'ordine che separa l'affermazione scientifica dal giudizio filosofia" o religioso. Il giudizio religioso non ha affatto come oggetto la determinazione d'una verità materiale delle cose accessibili all'esperienza umana; esso intende fissare lo spirito umano sopra realtà che hanno soltanto l'effetto d'inserire queste verità materiali, quali si trovano essere, in un significato dell'universo, dell'essere umano, del suo destino... ecc, che trascende la scienza. Vi è qui un .comportamento simile a quello del giudizio filosofia".


    Facendo questo, la verità scientifica non è né maltrattata né violentata, ma è semplicemente ripresa in una visuale di verità più profonda, perché è chiamata a sostenere, altrettanto bene e, in linea di principio, anche meglio delle conoscenze ingenue, le determinazioni di questa visuale. Il pensiero dell'uomo, per essere visione religiosa dell'universo, non ha affatto bisogno di restare nello stadio d'un pensiero anteriore al risveglio della curiosità scientifica e allo sviluppo della ricerca motivata da questa curiosità. Anzi, la conoscenza scientifica, perfetta espansione della facoltà umana di accedere alle cose, è disposta a questa ripresa armoniosa nel ritmo d'uno sforzo che associa riflessione e credenza per rispondere alle questioni d'insieme che l'universo propone all'uomo.


    A questo riguardo la migliore apologetica sarà non quella dei discorsi, ma quella dei fatti; Una visione cristiana dell'universo, capace d'assumere i dati e lo spirito stesso della scienza, risponderà certamente meglio alle classiche difficoltà del razionalismo scientista, che non molte discussioni contro le obiezioni e molte pagine di polemica. L'edificazione d'una tale visione cristiana dell'universo, che in definitiva riprenderebbe l'ambizione delle somme medioevali, può sembrare perfettamente possibile, e forse persino facile, poiché molti pregiudizi scientisti stanno affievolendosi, quasi minati internamente da una duplice crisi. Da una parte le scienze han ripreso l'analisi dei loro fondamenti, e si sono accorte in modo preciso che non è possibile stabilirli con la facilità prima immaginata; d'altra parte, con il problema delle loro risonanze pratiche sul piano dell'esistenza umana, esse hanno toccato realtà per le quali pare imporsi sempre più il ricorso a facoltà di giudizio superiori a quella proveniente dalla scienza e dalla tecnica. Ecco quanto si può già opporre allo scientismo; ma gioverebbe ancora di più servirsi di queste possibiltà aperte per dare una formula positiva alla sintesi d'un'informazione scientifica e d'un giudizio religioso sull'universo. Qui occorre almeno sottolineare con forza il principio della legittimità di questa sintesi, a quelle condizioni che abbiamo definito con quanto abbiamo detto.


     


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    00 26/03/2014 18:45
    CAPITOLO II. - SCIENZA E RELIGIONE DI FRONTE ALL'AVVENIRE DELL'UOMO

    L'uomo s'incarica di se stesso. - Le scienze, e soprattutto quelle riguardanti l'uomo, rischiano veramente di sollevare contro le credenze e la pratica religiosa una forma d'obiezione quasi inedita nel passato, e che dobbiamo considerare sempre più da vicino. Infatti la scienza moderna, nel suo stesso principio, è non solo sforzo di conoscere disinteressatamente, ma volontà di trasformare tecnicamente la natura, proporzionatamente alle possibilità aperte attraverso la scienza. Le scienze riguardanti l'uomo sono ormai talmente progredite da poter cogliere le prime istanze d'un'azione generale sulla natura umana. Un progresso parallelo della biologia umana, della psicologia, della conoscenza dei determinismi sociali, delle tecniche di previsione statistica permette di concepire sempre più chiaramente gl'indizi d'un nuovo modo, con cui l'uomo può prendere in mano il proprio destino. Lo scienziato ritiene possibile che non sia lontano il giorno in cui toccherà all'uomo assumersi la responsabilità della propria evoluzione come specie vivente, e di far sorgere un nuovo stato d'esistenza umana in una nuova organizzazione della terra.

    In tutto ciò ha indubbiamente molta parte il mito. Ma stupisce vedere fino a che punto idee di questo genere (dalla teoria del superuomo nietzschiano alle divinazioni scientifiche di certi romanzi d'anticipazione) stimolino lo spirito moderno. Pur essendo confusi e pur cercando se stessi attraverso sogni veramente inefficaci, questi pensieri hanno qualcosa di simile a quelli che agitarono il mondo del Rinascimento, quand'erano in gestazione la scienza e lo spirito che apparvero col secolo XVII. Un'importante complesso spirituale dell'umanità è forse in via di formazione sotto i nostri occhi.

    Conseguenze d'ordine religioso. - Ora non è impossibile che si possa rinnovare considerevolmente l'obiezione che le religioni asserviscono l'uomo. Al quadro dell'umanità tenuta sotto tutela dalla morale e dalle osservanze religiose, s'oppone l'immagine d'un'umanità sempre più emancipata per opera della scienza, e capace di prendere in proprio favore iniziative impreviste, guidata solo dal principio d'una decisione autonoma. Il sistema di regole di vita della tradizione cristiana o della morale cattolica corre quindi pericolo di apparire soltanto come un'insieme di regole superate e indegne della situazione presente, divenute come otri vecchi incapaci di contenere il vino d'un'esistenza trasformata. Il contrasto non è certamente divenuto generale, ma si possono fin d'ora diagnosticare due punti, dove già si comincia a formularlo.

    a) La trasmissione della vita. - II primo punto è quello della morale riguardo alla trasmissione della vita umana, sulla quale la Chiesa cattolica si mostra sempre molto stretta con esigenze che, del resto, hanno ragioni molto complesse: il senso acuto della purezza e della possibile decadenza della spiritualità nello scatenarsi disordinato della sessualità e, forse ancora di più, l'atteggiamento rispettoso verso il mistero della vocazione divina insita nell'esistenza umana. Ma oggi la scienza mette l'uomo sempre più in grado di compiere un'azione d'insieme sui fenomeni biologici della sua riproduzione, dove le possibilità si rivelano astrazion fatta da ogni esigenza morale. Si tratta, oggi, non solo di vari interventi nel corso della gravidanza, ma si agisce sullo stesso processo di fecondazione, con azioni che forse preludono a un estendersi assai più considerevole dei poteri dell'uomo sulla biologia umana.

    D'altra parte siamo di fronte non solo a iniziative limitate a casi individuali, ma a possibilità d'insieme capaci di dominare perfino i fenomeni sociali. L'uòmo di scienza, al quale si svelano questi poteri, rifiuta quasi istintivamente di riconoscere valida una legislazione morale fissata ancor prima che questi poteri fossero diventati fatti umani, e quindi rimprovera la religione di paralizzare con decisioni, aprioristiche in queste materie, la libera conquista del vero equilibrio dell'agire umano. L'agire scientifico sembra conoscere l'unica regola di tentare tutto il possibile. Ora la morale cattolica da spesso l'impressione di voler ritenere questo possibile contrario alla legge divina dell'esistenza umana.

    b) La condotta delle masse. - II secondo punto riguarda la condotta delle masse. Oggi sembra di assistere a un processo che impregna l'esistenza con registri sempre più complessi di causalità umana e il mondo, in questo senso, assume densità e compattezza finora sconosciute. Ora all'origine della maggior parte, se non di tutti, questi registri di causalità, si trova uno sviluppo tecnico nato dai progressi della conoscenza scientifica. Ne segue che l'uomo, in linea di principio, ha la possibilità di concentrare sempre più metodicamente le leve d'azione sulla propria collettività e di tentare, con l'ausilio dei capi politici, esperienze sempre più possenti per riformare il proprio essere. Anche qui l'uomo dì scienza pensa istintivamente che il tentare il possibile è la vera legge dell'azione, e che tutte le barriere d'una morale prestabilita devono necessariamente cedere quando appaiono aperti nuovi campi alla tecnica. Cosi, nello spirito dello scienziato, un'etica del compimento del possibile tende a sostituire l'etica proposta dall'insegnamento religioso.

    Certo i primi e tragici esempi di questa nuova etica, apparsi recentemente nel mondo, benché ancora troppo tinti di romanticismo e di passione per rivelarsi quali erano effettivamente, hanno provocato l'orrore dell'uomo civile. Ma non bisogna credere che tutto sia cosi risolto, perché il moto delle idee non ha cambiato orientamento. La reazione umana alle crisi bestiali degli anni che abbiamo vissuto, e che forse dovremo ancor vivere, ne prepara soltanto una certa sublimazione. Nietzsche aveva veduto l'etica della volontà di potenza al livello della potenza passionale, ma s'avvicina il tempo in cui essa deve salire al livello della potenza razionale e scientifica. Nietzsche aveva prima di tutto sognato il superuomo individuale; lo sviluppo della scienza sveglia sempre più nell'uomo l'ideale della sovraumanità collettiva. Ma anche trasferito in questo modo, non sembra affatto che lo spirito cristiano possa accettare un'etica della volontà di potenza come regola dell'esistenza collettiva dell'umanità. In una parola diciamo che la scienza conosce effettivamente la cosa umana; ma agli occhi della religione cristiana, sia per ragioni umane, sia per motivi divini, è impossibile die l'uomo faccia il proprio bene decidendosi a trattare se stesso interamente come una cosa, né sul piano individuale, né sul piano collettivo. Quindi il conflitto cova finché lo spirito scientifico non sia convenientemente illuminato sul modo di servirsi dei suoi poteri in materia umana.

    Come si rischia di fare l'opzione. - La pretesa che ha talvolta lo scienziato di predire e anche d'incaricarsi dell'avvenire dell'uomo appare dunque inaccettabile alla credenza religiosa. Ma questo non significa che l'estensione della scienza e lo sviluppo umano del complesso delle tecniche non abbiano un'immensa importanza per l'avvenire, come appare almeno confusamente a ogni spirito che partecipa della vita moderna del mondo. Proprio di qui viene la forza, che rischia d'essere sempre più terribile, dell'obiezione lanciata contro la regola religiosa dell'esistenza da coloro che parteggiano per la trasformazione scientifica della vita a tutti i livelli umani. Come s'è già detto, nel momento in cui l'opzione diventa alternativa, c'è molto da temere che si prendano le decisioni favorevoli al mondo della scienza e sfavorevoli a quello della credenza.

    Le condizioni della sintesi futura. - In fondo ogni problema d'apologetica è dominato da un sottinteso problema teologico, e dalla chiara soluzione del problema teologico si può determinare come l'apologetica debba esporre sia le idee e sia i metodi relativi che usa onde presentare le idee stesse. Qui il problema teologico è ancora imperfettamente formulato, perché ha un'essenza assai nuova, e la soluzione non pare chiaramente acquisita. In modo molto generale, per la religione cristiana si tratta di sapere come la morale da essa insegnata, con le regole che vengono formulate tenendo conto d'un certo stato della cultura umana, possa trovare l'equilibrio in funzione dei nuovi stati di questa cultura.

    Il fatto importante del periodo attuale è precisamente la comparsa di poteri generali e materiali per trasformare la condizione umana. Una morale che, per evitare le questioni, interdicesse anticipatamente l'uso di questi poteri, sarebbe praticamente e inevitabilmente scartata dal moto effettivo dell'esistenza. Così a mezzo del secolo XVIII non avrebbe servito a nulla voler impedire la possibile industrializzazione in nome degli squilibri sociali e delle miserie umane che essa avrebbe comportato, nel caso che squilibri e miserie allora fossero stati previsti. Cosi è, fatte le debite proporzioni, per le trasformazioni ancor più profonde che s'annunciano fin d'ora. Del resto una simile morale sarebbe lontanissima dal soddisfare l'esigenza di regolazione ragionevole, come si definisce la morale autentica.

    D'altronde non pare affatto che la religione cristiana sia stata data all'uomo per dispensarlo dall'affrontare il rinnovamento delle circostanze umane: tutto lo sforzo moralizzatore della Chiesa, e specialmente quello di cui abbiamo un esempio nelle encicliche degli ultimi pontefici, attestano la preoccupazione sempre più viva di trovare le soluzioni per equilibrare i principi della legge religiosa con i dati presenti della vita. Si può dunque oggi porre legittimamente la questione di sapere come si debba tener conto di ciò che viene annunciato dal progresso delle scienze riguardo a quello che dovrà essere la futura integrazione morale e religiosa. Certo non sarà affatto l'eliminazione della legge religiosa, che finora ci è venuta attraverso la Chiesa cattolica, a dare la soluzione; sarà anzi una conquista più profonda delle virtualità umane da parte dello spirito di Cristo.

    Compiti apologetici. - Se la soluzione d'un tale problema di teologia morale non ha nulla d'impossibile, non sembra però che finora si possa dire del tutto acquisita. Alcune decisioni particolari del magistero ecclesiastico in materia di deontologia medico-chirurgica fissano importantissimi punti di riferimento riguardo alla trasmissione della vita; però la materia delle azioni di massa che traversano l'umanità, è soggetta a maggiori incertezze, e pare che a questo riguardo si debba attendere una maturazione sia della coscienza umana come di quella religiosa. Di conseguenza l'apologista cristiano si deve accontentare di tenere posizioni ancora un po' provvisorie e indeterminate, accettando l'idea d'un lavoro d'opprofondimento teologico e, nello stesso tempo, preoccuparsi di conservare la chiarezza privilegiata che l'insegnamento cristiano apporta già in certe materie. Qui, come altrove, la prima tappa d'un'apologetica efficace sarà quella di dare all'uomo di scienza il senso di quest'associazione necessaria di quello che egli può dare col suo apporto, con quello che viene all'uomo da un'altra fonte di determinazione spirituale. Noi ritroviamo, trasferito nell'ordine della conoscenza morale, il problema fondamentale dell'integrazione della scienza nella sintesi effettiva della coscienza umana, sintesi sulla quale quanto abbiamo detto in questo capitolo ci permette di non insistere oltre.
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    00 26/03/2014 18:46
    CONCLUSIONE

    Questi pochi rilievi bastano almeno a far vedere che oggi il problema del confronto tra la scienza e la religione cattolica è ben altro che un problema solo intellettuale e speculativo: è anche un problema umano, il quale include un atteggiamento concreto e pratico dell'uomo riguardo alla propria esistenza. La religione cristiana che, fin dalle origini, pretese d'essere l'unica autentica guida della vita umana sulla terra, non può pensare di ritirarsi da questo campo, come non pensa di rinunciare a quei campi che più comunemente le vennero contestati negli ultimi secoli. Del resto qui l'apologista cristiano non dovrà per nulla cedere alla tentazione di timidità: la posizione dei principi della morale evangelica, nel seno della presente crisi umana, è forse più forte di quanto sia mai stata, per poco che si sappia apprezzare esattamente le realtà in gioco.

    Fermiamo qui il confronto tra il sistema del pensiero scientifico con quello della credenza e della vita religiosa, dov'è indirettamente in gioco tutta una condizione moderna dell'intelligenza e della vita. Qui una delle maggiori difficoltà dell'apologetica è di non essere inferiore, se non alle idee pure, almeno a una completa densità umana di vita concreta e concretamente orientata nel senso di certe opzioni. Sembra che l'unico mezzo sia unire a una sufficiente partecipazione a quest'universo della scienza moderna, un saldissimo senso del rapporto fondamentale tra coscienza scientifica e coscienza religiosa: tutto dipende da questa chiarificazione, di cui abbiamo cercato di delineare i princìpi. L'apologetica sarà valida in quanto saprà mostrare come l'universo della scienza, senza rinunciare a se stesso, può entrare nel sistema d'un universo più alto, dominato dalle luci filosofiche e religiose della conoscenza del vero Dio e della rivelazione d'un Amore redentore.
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    00 06/05/2014 16:37

    Anche la teologia è una scienza




    Il professor Piero Benvenuti, docente di Astrofisica all’Università di Padova e direttore del CISAS (Centro Interdipartimentale degli Studi e attività spaziali), ha recentemente riflettuto in modo simile, sottolineando un’altra caratteristica della teologia: «Se per scienza intendiamo un procedere verso la conoscenza della verità, allora sicuramente la teologia è da ascrivere a questa categoria. Vanno però distinti i metodi: la scienza fisica utilizza un metodo ormai codificato che è il metodo appunto scientifico, basato sul dato sperimentale. Tutto ciò che non può essere sperimentato, non può essere trattato con metodo scientifico. Ma questo non esaurisce tutta la realtà, poiché esistono tante entità – per esempio l’amore, l’amicizia, l’onesta… – che ci sono ben presenti ma che non si possono misurare con metodo scientifico. Quindi affermo che la teologia, così come la filosofia, è una scienza che adotta un metodo diverso da quello scientifico. I due metodi possono integrarsi tra loro, lo sbaglio commesso nel passato è stato considerare l’uno o l’altro metodo come esclusivi».


    Nell’intervista il prof. Benvenuti ha spiegato che «dallo studio della natura attraverso il metodo scientifico, ci si rende conto che non è mai possibile ottenere una prova ontologica definita» dell’esistenza di Dio. «Ciò detto, ci sono degli indizi che sostengono l’idea di un Creatore, che è tuttavia una libera adesione di fede». Uno di questi indizi, secondo Benvenuti, è la «comunanza di ordine e razionalità che riscontriamo nel cosmo così come nel nostro procedere mentale», che appare«qualcosa di difficilmente spiegabile senza un’unità creativa. Però, ribadisco, si tratta sempre di una libera adesione di fede, poiché si può credere che ciò che ciò sia frutto del caso».


    Descrivendo il rapporto storico tra scienza e fede, ha osservato che «nel secolo scorso si apre un importante spiraglio di dialogo, grazie all’avvento della relatività generale e della fisica quantistica. Ci si è resi conti che all’interno della scienza, anche utilizzando il metodo scientifico, ci sono dei limiti alla conoscenza della realtà. Tutto sommato anche lo stesso Galileo Galilei aveva osservato, a suo tempo: “Io rinuncio a tentare di comprendere l’essenza, a capire l’essenza delle cose, mi limito a considerare i fenomeni”. Se da un lato, si ha dunque una svolta da parte della fisica moderna, dall’altro anche la teologia compie dei passi importanti. I documenti del Concilio Vaticano II, in particolare la Dei Verbum, mettono in chiaro in modo molto preciso che tutte le Scritture sono ispirate, ma che quest’ispirazione è funzionale alla nostra salvezza e non alla spiegazione di come è fatto il mondo. Si arriva così ad affermare che le elaborazioni sulle Sacre Scritture sono complementari ai risultati d’ambito scientifico. D’altronde, già san Tommaso d’Aquino aveva fugato ogni contrasto tra scienza e teologia affermando che “la luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio” (Summa contra Gentiles). Concetto coerentemente ripreso dalla recente Esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco in un sottocapitolo che si chiama appunto Dialogo tra la fede, la ragione e le scienze».



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    00 23/07/2014 23:21
    NASA Goddard Photo and Video



     


    Intervista a Guy Consolmagno, astronomo vaticano





    Pochi sanno che il piccolo territorio dello Stato vaticano ha un osservatorio astronomico che dipende direttamente dal papa, e forse pochissimi hanno sentito che c'è tutta una comunità di sacerdoti e fratelli gesuiti che si dedica specificatamente agli studi astronomici, sia nell'Osservatorio Vaticano che nella sua filiale in Arizona (Stati Uniti).

    Abbiamo voluto intervistare uno dei suoi grandi esperti, fratello Guy Consolmagno, che ha un curriculum particolare: è astronomo, scienziato planetario ed esperto di meteoriti e asteroidi, oltre ad aver studiato Filosofia e Teologia. Ha compiuto parte dei suoi studi al MIT e a Harvard, dove ha insegnato per alcuni anni, e ha servito nel Corpo della Pace degli Stati Uniti in Kenya per due anni negli anni Ottanta.

    Nel 1989 è entrato nella Compagnia di Gesù, dove ha deciso di prendere i voti come fratello della comunità. Oggi è il responsabile della collezione di meteoriti dell'Osservatorio Vaticano e ha partecipato a una missione speciale in Antartide nella quale sono state trovate centinaia di meteoriti preservati in blocchi di ghiaccio azzurro. Ampissimo il suo elenco di conferenze, pubblicazioni e articoli su riviste specializzate e notevole la sua partecipazione attiva al mondo scientifico.

    Ci ha ricevuti nel quartier generale dell'Osservatorio Vaticano a Castel Gandolfo (Roma). Abbiamo trovato un appassionato di scienza, ma anche un uomo con un profondo amore per la Chiesa e per la sua missione evangelizzatrice.

    Allegro e spontaneo, ci ha mostrato le strutture dell'Osservatorio per poi riceverci nel suo laboratorio, dove - seduti tra microscopi, computer e qualche meteorite sotto esame - abbiamo avuto una lunga conversazione.

    Oggi siamo testimoni, attraverso i mezzi di comunicazione, di una sorta di “guerra” tra la religione e la scienza. Autori scientifici famosi non solo tendono a relegare la religione all'aspetto meramente privato, ma affermano che chi ha convinzioni religiose non può essere un vero scienziato.

    In molte occasioni sentiamo che la scienza ha constatato l'“inesistenza di Dio”, o che ci troviamo in un'epoca “post-religione”, in cui finalmente la religione è stata superata e non è altro che il ricordo di un passato ignorante. Dall'altro lato, a volte si è manifestata una certa opposizione alla scienza da parte di credenti di varie religioni, sia per ragioni etiche che per una sorta di timore prodotto quando i progressi scientifici sono percepiti come opposti alle convinzioni religiose.

    Perché questa specie di guerra?

    Bisogna capire che le persone che stanno generando una guerra tra scienza e religione stanno cercando di venderti qualcosa. Hanno un'agenda definita, e questa agenda non si basa sulla verità. Ciò si applica ai due poli, sia all'ateo che insiste sul fatto che la religione non è altro che una fonte di male che ai fondamentalisti religiosi per i quali la scienza è la fonte di tutti i mali.

    Entrambi cercano di dire che il male non è in loro, ma negli altri. In fondo cercano di negare che il peccato originale è presente in tutti noi. È in qualche modo anche una risposta di fronte alla paura.

    Il fondamentalismo è una risposta alla paura. Se hai paura della religione, stai affermando che non hai fede nella tua scienza; se temi la scienza, stai affermando indirettamente che non hai fiducia nella tua religione. In fondo non hai fiducia nella verità. Rispondendo alla domanda originale, credo che il motivo sia il timore.

    Gli scienziati che non hanno alcuna preparazione filosofica e cercano di filosofare sono ridicoli. Li abbiamo visti in molti libri, e li vendono in gran parte a persone che vogliono in anticipo essere d'accordo con loro. Dall'altro lato, le persone credenti che non hanno alcuna preparazione scientifica sono ugualmente ridicole quando cercano di parlare di scienza. Stanno anche cercando di vendere libri a persone che sono già d'accordo con loro.

    L'ironia è che la gran parte delle persone religiose non è fondamentalista, ed è anche d'accordo con la scienza. E la maggioranza degli scienziati è felice della religione. Se ci pensiamo, entrambi i gruppi sono composti dalle stesse persone!

    Noi che formiamo questa grande maggioranza, però, abbiamo permesso che il dibattito pubblico fosse dominato dalle persone che stanno cercando di venderti qualcosa, di un estremo o dell'altro. E la gran parte delle volte, quello che stanno cercando di vendere non ha nulla a che vedere né con la scienza né con la religione.
    Nel suo caso, come scienziato, potremmo affermare che essere cattolico – e quindi credere in un Dio che ha creato l'universo e che quello stesso Dio è la Via, la Verità e la Vita – la aiuta ad essere uno “scienziato migliore”?

    A volte dimentichiamo che, a un livello fondamentale, per essere uno scienziato bisogna avere certe convinzioni religiose. E dico “certe” convinzioni religiose perché non tutte le religioni e culture condividono queste convinzioni.

    La prima cosa in cui uno scienziato deve credere è che l'universo fisico è reale. Alcune religioni credono che tutto sia un'illusione. E se tutto è un'illusione, quale sarebbe il motivo di essere scienziati? Per questo bisogna credere all'universo fisico.

    Bisogna anche credere che l'universo fisico funzioni attraverso regole, leggi e con una logica. Ma se si è pagani e si crede che una cosa è caduta perché un dio l'ha fatta cadere, e che un fulmine in una tormenta avviene perché il dio del fulmine lo ha provocato per protestare, o che il grano è cresciuto perché il dio del grano l'ha fatto crescere... Se tutto ciò che accade nell'universo è il risultato di qualche diavoletto, o spirito intelligente, non c'è modo di fare scienza. Solo mediante la negazione della credenza nei diavoletti intelligenti possiamo chiederci “Perché accadono le cose?”

    Gli antichi romani perseguitavano i cristiani perché li consideravano atei, e avevano quasi ragione. Ci sono tante e tali versioni di dei nelle quali io non credo, perché credo in un solo Dio... E per il primo comandamento devo mettere da parte tutti quegli dei. Non li adorerò, e non darò loro nemmeno credibilità. In quel senso, credo solo in un Dio in più rispetto a Richard Dawkins… (ride). Ma è un Dio soprannaturale, che esiste al di là della natura, e prima della natura.

    Ciò vuol dire che posso chiedermi validamente come funzioni la natura. Oltre a ciò, quello che conosco grazie alla Rivelazione è che Dio ha creato l'universo in modo logico... il che mi dà un altro motivo per cercare di comprendere l'universo logicamente.
    Se effettivamente la fede e la scienza sono unite così intimamente, perché sorge questo dibattito? Chi ne beneficia?

    Quando si considera con attenzione la storia della guerra tra scienza e religione, si scopre che deriva realmente dal XIX secolo, dalla tarda epoca vittoriana. A volte l'agenda era molto semplice: ad esempio, se un partito politico era collegato alla Chiesa, il partito politico opposto iniziava a diffondere l'idea “La scienza è la nostra fonte di verità”.

    In Nordamerica è avvenuto come parte di un movimento contro l'immigrazione. La gente che proclamava che la religione era antiscientifica era la stessa che cercava di impedire che immigrassero persone i cui cognomi terminavano con vocale, perché non poteva fidarsi di “quei cattolici”.

    C'è anche gente che ha abusato della scienza. Ad esempio, l'evoluzione è una valida descrizione del meccanismo che spiega come si arriva da una specie all'altra, ma ci sono persone che prendono l'idea dell'evoluzione e la applicano all'eugenetica, al darwinismo sociale o la utilizzano per giustificare qualunque tipo di cose terribili.

    Nello stesso senso, ci sono persone che dicono “La mia religione è una fonte di verità”, ma al contempo utilizzano questa affermazione per opprimere la gente che temono perché non è della stessa religione. Torniamo nuovamente al problema della paura.

    Un filosofo ignorante sulla scienza filosoferà male. Ciò non vuol dire che debba dimenticare la scienza. Al contrario, deve studiarla! E una buona scienza! E se è possibile, dedicare del tempo a questo studio per imparare o, meglio ancora, per collaborare.

    Una delle grandi cose relative alla scienza è che nessuno vi si dedica da solo. Ogni scienziato ha uno o due collaboratori, ha una squadra. Nessuno sa abbastanza per fare il lavoro da solo. Non sarebbe splendido se gli scienziati e i filosofi potessero pubblicare come squadra e imparare gli uni dagli altri? Avremmo un filosofo che sa un po' di scienza e uno scienziato che sa un po' di filosofia che lavorano insieme allo stesso progetto.

    Negli Stati Uniti il dibattito è stato caratterizzato dalla “teoria dell'evoluzione” contro la “teoria del disegno intelligente”. Ha appena affermato che l'evoluzionismo può spiegare come una specie provenga da un'altra, ma che in passato non è stato sempre applicato correttamente e ha superato i propri limiti. Ha qualche opinione sulla teoria del disegno intelligente?

    È un ottimo esempio di una bella idea utilizzata da persone che ne hanno distorto il senso. Credo in Dio e vedo la presenza di Dio nella splendida logica dell'universo. Per questo posso usarla per “Disegnatore” in questo senso, e questo è il senso tradizionale.

    Le persone che credono di poter utilizzare la scienza per provare l'esistenza di Dio finiscono per fare della scienza qualcosa di più potente di Dio stesso. Per questo alla fine il dio che cercano di provare non è il Dio reale.

    La gente che dice “Non capisco come accada questo in natura e quindi deve accadere perché Dio esiste” riduce Dio a un essere soprannaturale – fondamento di tutto ciò che esiste –, a un dio-naturale che lancia palle infuocate. Finiamo così per tornare al dio pagano della natura. È questo il pericolo.

    La scienza è un cammino con molti ostacoli verso una verità che non raggiungeremo mai totalmente. E la scienza è un terreno molto fragile per sostenere la tua religione, perché la scienza dell'anno 2200 sarà molto diversa da quella del 2013.

    Circa questo che ha appena descritto, è un po' sorprendente sapere che dal 1774 la Chiesa cattolica ha un osservatorio astronomico, attivo fin ad oggi. Ha la sua sede principale nel territorio vaticano di Castel Gandolfo, accanto alla residenza papale, e ha anche un osservatorio con tecnologie di ultima generazione in accordo con l'Università dell'Arizona sul monte Graham. Che senso ha che la Chiesa abbia un osservatorio proprio?

    C'è una ragione semplice e una più profonda. Quella semplice è per mostrare al mondo che la Chiesa promuove la scienza. Letteralmente con il suo denaro, letteralmente con i suoi edifici, sui quali ha installato dei telescopi. La residenza estiva papale di Castel Gandolfo ha dei telescopi sul tetto. La chiesa di Sant'Ignazio a Roma ha avuto dei telescopi su di essa. La Chiesa promuove la scienza e la sostiene.

    In questo senso, la Chiesa non solo non ha paura della scienza, ma la incoraggia, sempre che sia rivolta alla verità e non ne abusi per giustificare cose che in fondo sappiamo che sono sbagliate.

    La seconda ragione, quella più profonda, è che l'universo fisico è una via attraverso la quale Dio comunica con noi. “Dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute” (Rom 1,20). È una citazione dalla Lettera di San Paolo ai Romani. Potremmo dire che Dio rivela se stesso attraverso le cose che ha creato.

    Noi siamo quindi chiamati a studiare le cose che ha creato per poter conoscere meglio Dio. Personalmente, quando constato l'universo fisico e il modo in cui funziona, sperimento una grande gioia, simile a quella che sperimento nella preghiera. È la presenza di Dio.

    fonte : Aleteia


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    00 03/09/2014 20:41
    La Chiesa è nemica della scienza?


    Immaginiamo un’udienza di san Giovanni Paolo II con un gruppo di insegnanti di discipline scientifiche. Anche in mancanza di una testimonianza diretta, non è difficile ipotizzare il tono e i contenuti che avrebbero potuto animare l’incontro; almeno nelle sue linee portanti, fatta salva l’imprevedibilità e l’originalità di ogni incontro con uomini di quella statura.

    Il Papa polacco avrebbe molto probabilmente iniziato richiamando l’attenzione sull’identità e sull’esperienza personale dei docenti, prima che sulle discipline o sulle, pur importanti, questioni epistemologiche e metodologiche. Ci piace pensare che avrebbe aperto il discorso ricordando la figura di un Maestro, in particolare di sant’Alberto Magno, come ha fatto nel suo primo incontro con scienziati e studenti a Colonia il 15 novembre 1980.

    Il grande vescovo e naturalista tedesco può a buon diritto essere posto alle radici della scienza nel Medio Evo europeo, non solo per la vastità dei suoi studi e per il peso che hanno avuto per alcuni secoli i suoi scritti scientifici; ma soprattutto per alcuni elementi di modernità del suo approccio alle scienze: come il grande realismo e il ruolo dell’osservazione come fattore determinante della conoscenza della natura.

    Non per nulla Pio XII nel 1941 lo ha proclamato patrono dei cultori delle Scienze naturali e Giovanni Paolo II ha ulteriormente precisato il valore di quella proclamazione additandolo come esempio di intellettuale cristiano: «Alberto riconosce l'articolarsi della scienza razionale in un complesso di ordine di conoscenze diverse, ove essa trova conferma della sua natura peculiare ed insieme si scopre orientata verso le mete proprie della fede. In questo modo Alberto ha concretizzato lo statuto di una intellettualità cristiana, i cui principi fondamentali sono da ritenersi ancor oggi validi».

    Approfondendo i contenuti che delineano la fisionomia di un maestro e di un uomo di scienza, possiamo pensare che, sempre nella nostra udienza ricostruita, Giovanni Paolo II avrebbe messo in primo piano due temi, collegati tra loro, che hanno un enorme risvolto pedagogico e culturale: l’unità della persona, del soggetto della conoscenza, e la tensione alla verità, come linea portante della conoscenza stessa; come aveva fatto qualche mese prima, rivolgendosi a un convegno di studenti universitari, nel mese di Aprile del 1980: «Vi invito, perciò, a scoprire, nell’integrale e grandiosa unità interiore dell’uomo, il criterio al quale debbono ispirarsi l’attività scientifica e lo studio, per poter procedere in armonia con la realtà profonda della persona, e quindi al servizio di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. L’impegno scientifico non è un’attività che riguarda la sola sfera intellettuale. Esso coinvolge l’uomo intero». È legittimo pensare che tale impegno scientifico comprenda anche l’esperienza dell’insegnamento delle discipline scientifiche, che quindi andrà impostato con lo stesso respiro e secondo la medesima prospettiva di integralità.

    Subito dopo ecco il nesso con la ricerca della verità: «Questi [l’uomo] infatti si lancia con tutte le proprie forze nella ricerca della verità, proprio perché la verità gli appare come un bene. Esiste dunque una inscindibile corrispondenza fra la verità e il bene. Questo significa che tutto l’operare umano possiede una dimensione morale. In altre parole: qualunque cosa facciamo - anche lo studio - noi avvertiamo al fondo del nostro spirito un’esigenza di pienezza e di unità».

    da: Il Timone
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    00 04/10/2014 22:54
    Scienza e teologia, punti fermi del dialogo

    Il dialogo tra scienza e fede? Possibilissimo come dimostra la storia, necessario come richiede ancor di più l’attuale momento culturale. Ma a due condizioni: un certo "scientismo" deve lasciar cadere la tesi secondo cui soltanto quella scientifica, fondata su fatti sperimentalmente accertati, è conoscenza certa. Così come «il teologo deve rinunciare alla pretesa di piegare in senso apologetico i risultati della ricerca sperimentale». Lo ribadisce il gesuita
    Giandomenico Mucci sull’ultimo numero della Civiltà Cattolica, in un lungo intervento che ha comunque di mira la prima delle due condizioni e difatti si intitola “Le critiche degli scienziati alla teologia”. Padre Mucci passa in rassegna alcune delle voci che si occupano di scienza sui media italiani e ne stigmatizza l’approccio segnato da un «fastidioso atteggiamento di supponenza e di superiore saggezza» rispetto al mondo credente. Quell’atteggiamento che liquida l’esperienza religiosa come un insieme di «suggestioni evocative e autoconsolatorie» che frenano «le migliori predisposizioni morali dell’uomo» (Gilberto Corbellini), o che arriva a vedere nel magistero papale l’idea «che è la scienza in sé a essere pericolosa» (Armando Massarenti). 
    Una mentalità «provinciale», pungola Mucci, se si guarda per esempio al contesto angloamericano. E qui il riferimento va in primis a quanto formulato da uno dei massimi biologi evoluzionisti degli ultimi decenni, Stephen J. Gould (1941-2002), con la sua proposta di considerare due «insegnamenti non sovrapponibili», quello della scienza che si interessa della «scena dell’essere e dell’esistere», e quello della teologia che si occupa del «fondamento».

    A questa disamina un filosofo della scienza come Giulio Giorelloribatte che «si fa sempre bene a richiamare un nucleo di idee come quelle di Gould, anche per sgomberare il campo da argomenti di tipo sociologico che io trovo molto deboli. Come quando si prova a impostare il dialogo tra scienza e fede sul numero di scienziati credenti o non credenti censiti in un determinato Paese». E se Mucci richiama il fatto che la scienza dovrebbe essere «un’attività antidogmatica», anche qui Giorello conviene, «anche se preferirei chiamarla atteggiamento critico, che è il modo in cui funziona l’impresa scientifica. Certo, alcuni scienziati possono essere condizionati dalle passioni più diverse, ma sono d’accordo con quanto ha scritto il primatologo Frans De Waal ne Il Bonobo e l’Ateo, rispondendo a chi sostiene cheanche la scienza ha i suoi "dogmi". De Waal dice che comunque, su lungo periodo, le obiezioni e l’anticonformismo in ambito scientifico vengono premiati. Anche se talvolta con fatica. Basti pensare alle puntigliose obiezioni mosse da Einstein alla meccanica quantistica e a Niels Bohr in particolare, che alla lunga hanno migliorato il livello di ricerca della stessa fisica quantistica. Io ho la sensazione che se c’è un contrasto tra scienza e fede non è perché parlano di due mondi diversi o dello stesso mondo cercando cose diverse. Ma nasce dal tipo di argomentazione che viene adottato. Nella scienza non c’è spazio per alcun principio di autorità, nessuna forma di sapere infallibile. Mentre la questione dell’infallibilità caratterizza, a partire dalle Sacre Scritture, diverse religioni».  

    Padre Mucci cita i «dolci lumi» evocati dalla filosofa Roberta De Monticelli e alla luce dei quali sarebbe possibile la soluzione delle conflitti tra scienza e fede. Ancora Giorello: «Concordo con De Monticelli sull’importanza dell’Illuminismo, ma è sul "dolci" che non sono d’accordo. Sono per valorizzare, come il grande studioso Jonathan Israel, quello che è chiamato "illuminismo radicale", che ha la sua radice in Spinoza e Hume, che è stato un illuminismo rigoroso e soprattutto che non ha avuto paura delle forti polemiche. Il non aver paura delle polemiche è il nerbo della libertà filosofica. Se la religione è capace di essere coraggiosa nel difendere le proprie posizioni e nel rendere il valore cristallino della fede, ben venga. La considero un arricchimento».

    Detto questo, Giorello non concorda comunque con la tesi di fondo del gesuita: «Non trovo che in Italia ci sia un rischio di "scientismo", trovo invece che ci siano stati diversi movimenti  antiscientifici. Non c’è bisogno di tornare al caso Galileo: pensiamo ai danni fatti dalla vulgata dell’idealismo italiano, con le teorie scientifiche viste come un insieme di pseudoconcetti, o a esponenti del marxismo che sono arrivati ad applicare il materialismo storico financo alla teoria della relatività». 

    Da parte di un epistemologo e storico della scienza come Giorgio Israel c’è invece ab initio una presa di distanza dalla proposta di Gould, vista con simpatia da Mucci: «Non la condivido, perché il pensiero non può essere diviso in zone d’influenza come un territorio mediante una transazione politico-diplomatica. Non può che finir male. Nel passato, l’intolleranza religiosa ha perseguitato un libero pensiero che di per sé non aveva alcun elemento strutturale di ateismo o di riduzione del ruolo della ragione ai "meri fatti". Oggi, si rischia la prepotenza di un pensiero ateistico-positivistico che, spacciandosi come portavoce della scienza, mira a dichiarare come irrazionale e illegittimo il pensiero religioso. Occorre ridare spazio a forme di pensiero che non s’identificano con il razionalismo "ridotto" e che non sono rappresentate dalla sola teologia».

    E sul pregiudizio anti-religioso di non poca pubblicistica scientifica italiana, così commenta lo studioso: «Penso che andrebbe introdotta nelle scuole la lettura commentata dei brani in cui Edmund Husserl – che di scienza ne capiva più di molti "scienziati" di oggi – spiegava come la scienza moderna faccia parte di un progetto complessivo di comprensione razionale, una scienza onnicomprensiva della totalità dell’essere che riguarda tutti i problemi della ragione, e quindi non solo anche quelli metafisici, ma anche il "problema di Dio come fonte teleologica di qualsiasi ragione nel mondo, del senso del mondo". Husserl ha spiegato come alcuni fraintendimenti e oscurità irrisolti in questo progetto siano all’origine di un concetto positivistico della scienza come "concetto residuo" che ha accantonato tutto ciò che non appare come "mero fatto". Il caso più evidente è dato dalla trasformazione del dualismo cartesiano in una forma di monismo materialistico. Ed è ironico costatare che, tanto è forte il legame della scienza con la metafisica – che il positivismo fa credere di poter escludere – da riemergere nel tentativo di difendere una metafisica materialistica. Altro che mera aderenza positivistica ai fatti!».

    «Ne è testimonianza – prosegue ancora Israel – l’interesse spasmodico che molti scienziati hanno più che nei temi specifici delle loro ricerche, nel dimostrare che il libero arbitrio non esiste, che tutto si riduce a Dna e neuroni. Beninteso, è legittimo coltivare una metafisica ateistica: a condizione di non spacciarlo come risultato della scienza. È un grave errore accettare una simile contraffazione e pensare di trovare terreni di transazione teorica entro discipline come la "neuroteologia", che oltre a essere inconsistenti sono strutturalmente atee. Ed è un grave errore accettare l’idea che scienziato sia, per definizione, chi propugna quelle visioni. Se si ripartisce il terreno in questo modo – da un lato i teologi, dall’altro la scienza e gli scienziati, tutti positivisti e atei – non c’è da stupirsi che i media selezionino in un certo modo commentatori e divulgatori e gli altri non esistano. E allora di che stupirsi se questo alimenta toni sprezzanti da parte di chi si sente legittimato come unico rappresentante della "scienza"?».
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    00 13/12/2014 22:28

    Anche in Italia c’è bisogno di scienziati credenti coraggiosi




    Bibbia e scienzaL’appello ad un’armonia tra scienza e fedelanciato recentemente da Papa Francesco ha immediatamente fatto scattare in Italia, scandalizzato, il laicismo bigotto e conservatore. Come abbiamo rilevato, il quotidiano “Repubblica” ha storpiato le parole del Pontefice facendolo passare il Pontefice per un creazionista protestante, il fisico Carlo Rovelli si è precipitato a ricordare che tutti gli scienziati sono atei e l’immancabile e ormai imbarazzante Piergiorgio Odifreddi ha scritto che la scienza dimostra che Dio non esiste.


    Tutto già visto, solite reazioni standardizzate e e meccaniche come avviene da anni in Italia. All’estero le cose sono differenti, anche perché a parlare dell’armonia tra scienza e fede (in televisione come sui quotidiani) non vengono chiamati sempre il solito teologo/sacerdote a difendere una tesi e lo scienziato ateo dall’altra parte. Ma è un dialogo tra scienziati, o tra filosofi o tra teologi e intellettuali non credenti. Ognuno si confronta con l’altro nello stesso campo di appartenenza.


    E’ infatti così possibile leggere quasi quotidianamente interventi molto interessanti, vediamo i più recenti. Uno di questi è quello del biologo Jan F. Dudt, docente presso il Grove City College. «Alcuni cristiani»ha spiegato«si sentono in dovere di respingere le spiegazioni scientifiche dell’evoluzione a causa della “colpa per associazione”, ovvero associando esse a quei teorici che si dichiarano apertamente ostili alle dottrine cristiane». Eppure, «ci sono alcune cose che impariamo soltanto dalla Bibbia e che non possiamo trovare studiando la natura. La Genesi è chiara sui rapporti tra Dio, gli esseri umani e il resto della creazione. La Scrittura ci informa anche del nostro bisogno di redenzione, che Cristo è nato da una vergine e che Egli è morto ed è risorto dai morti. Queste verità non sono ipotesi da verificare, ma proposizioni che vanno giudicate con la fede, spiritualmente». Dall’altra parte, «la scienza ha contribuito ad aiutarci a leggere la Scrittura. L’evolutione può essere un esempio». Per questo, «il giorno che faremo cattivo uso della scienza dicendo che un miracolo non è mai avvenuto, né assumendo che Adamo non era storico, è il giorno che avremo fatto un grande passo verso un malsano sincretismo con il naturalismo».


    Su “The Guardian” abbiamo apprezzato anche la recensione del libro “Faith and Wisdom in Science” del prof. Tom McLeish, docente di Fisica presso l’Università di Durham e membro del Biophysical Sciences Institute. Egli offre una moltitudine di ragioni storiche, culturali e antropologiche perché occorre guardare la scienza e la teologia come parte di un’unica “città” culturale. McLeish offre un quadro della scienza come disciplina di saggezza che aiuta una migliore comprensione della creazione nei libri della Genesi, dei Proverbi, delle lettere di San Paolo e, soprattutto, in quel meraviglioso inno alla scienza della terra che è il Libro di Giobbe. Chi lo ha scritto, afferma il fisico, «stava pensando al ciclo idrologico, sotto forma di poesia e teologia». Egli mostra che nelle Scritture si riflette spesso unatensione tra caos e ordine che è alla base di tutti i tipi di fenomeni studiati dalla scienza moderna.


    In un’intervista il giovane fisico Ken Hahn, nuovo professore di Fisica presso la John Brown University, ha raccontato la sua storia di cristiano e di scienziato. «Non vedo alcun grande conflitto»ha affermato«ma nella cultura c’è un grande scisma tra la fede e la scienza. Sono pienamente consapevole del fatto che nella chiesa ci sono molte voci in competizione. Ma so che Dio non mente. La Bibbia non è un libro di testo di scienza,ma è vero».


    Alvin Platinga, prestigioso filosofo americano, professore emerito di Filosofia presso Calvin College e l’University of Notre Dame, ha risposto ad un’intervista spiegando: «La maggior parte delle persone che afferma ci sia un conflitto tra scienza e fede, aggiungono qualcosa alla scienza. Pensano che essa possa dire qualcosa su Dio ed invece non è così. Se si accetta la fede in Dio, penserete della scienza solo come un modo di scoprire questo mondo che Dio ha creato». La tensione su questo argomento «arriva da due lati. Da una parte ci sono persone come Richard Dawkins e Daniel Dennett, che affermano che la scienza sia incompatibile con il cristianesimo o qualsiasi altra religione. Essi stessi sono atei e vogliono sostenere che la scienza implichi l’ateismo in qualche modo. Beh, abbastanza naturalmente, alcuni cristiani credono a loro e si sentono molto sospettosi verso la scienza e sono inclini a non prenderla sul serio. Dall’altro lato ci sono i creazionisti cristiani, che prendono i primi capitoli della Genesi in modo letterale e pensano che il mondo abbia 6.000 o 8.000 anni. Così respingono la teoria scientifica dell’evoluzione, che ovviamente dice che l’universo è di gran lunga più antico». Entrambi questi gruppi«stanno pensando al naturalismo, più che all’evoluzione, che è l’idea che non ci sia alcuna persona come Dio o qualcosa di simile a Dio. Ma l’evoluzione non dice nulla sul fatto che ci sia o no una persona come Dio. E’ un’aggiunta metafisica che importano nella nozione scientifica dell’evoluzione».


    Abbiamo citato qualche esempio di interventi che si trovano sui media occidentali, cosa che non avviene in Italia. Eppure, c’è bisogno anche in Italia che gli scienziati credenti entrino nel dibattito culturale per contribuire a smontare la leggenda sul presunto conflitto tra scienza e fede, di cui fin troppi hanno abusato. Come ha spiegato Matteo Bonato, dottorando del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova: «Molto lavoro rimane ancora da fare, anche da parte della comunicazione scientifica e di quella religiosa, per rassicurare la frazione di popolazione che mostra ancora un atteggiamento di timore o diffidenza verso le spiegazioni scientifiche e per mostrare la ricchezza degli studi interdisciplinari nella descrizione della realtà e nella ricerca della verità».



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    00 04/07/2015 22:46
    Amir D. Aczel

    “Perché la scienza non nega Dio”

    Raffaello Cortina Editore, Milano. 2015, pp. 246 (euro 21,00)

    “In questo libro io non mi sono affatto proposto di dimostrare l’esistenza di Dio sotto alcuna forma. Miravo, invece, a mostrare in maniera convincente, spero, che la scienza non ha confutato che Dio esiste”. Sintetizza così Amir Aczel, divulgatore scientifico israeliano, naturalizzato americano, il lavoro presentato nel suo libro “Perché la scienza non nega Dio”. Un altro protagonista in più all’eterna discussione tra scienza e fede.

    Qualche antefatto. Tutto ha avuto inizio con un dibattito televisivo in Messico, in cui Richard Dawkins ha avanzato una tesi: le nostre conoscenze di fisica costituiscono la nuova e principale fonte di prova che qualsiasi congettura a proposito di un creatore non sia affatto necessaria. In quell’occasione l’autorevole biologo evoluzionista si è trovato di fronte al fisico Amir Aczel.


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    Aczel nel saggio si propone di confutare, con autorevolezza e competenza, i nuovi argomenti di Dawikins, che ha avuto la pretesa di sconfinare in un campo non propriamente suo: quello della fisica. Lo fa in un contesto culturale che sembra aver accettato due convinzioni abbastanza diffuse: oggi scienza e fede non possono coesistere in alcun modo ma, anzi, si contrappongono; e, addirittura, la scienza può essere utilizzata per smontare gli argomenti della religione.

    Richard Dawkins cita il celebre scambio di battute fra l’imperatore Napoleone Bonaparte e il brillante matematico francese Pierre-Simone de Laplace. Quest’ultimo fece dono del suo libro Meccanica celeste, nel quale dimostrava come la fisica newtoniana governasse le complicate interazioni tra i pianeti, a Napoleone. L’imperatore lo lesse, e poi disse al matematico: “avete scritto un intero libro sul mondo senza menzionare il suo creatore”. La risposta di Laplace fu: “Sire, non ho avuto bisogno di quell’ipotesi”. Secondo Aczel, Dawkins trascura la parte finale della storia: in seguito, Napoleone riferì questo scambio di battute con Laplace a un altro grande matematico francese, Joseph-Louise Lagrange. La risposta di Lagrange fu: “Ah, ma è un’ipotesi così bella; spiega tante cose”. Come si evince da questo scambio di battute, all’epoca esistevano concezioni differenti anche fra i maggiori matematici e astronomi. La tesi di Aczel è che oggi, invece, la stragrande maggioranza degli scienziati si è allineata al pensiero del neoateismo.

    Il fisico israelo-statunitense passa in rassegna nella prima parte i vari motivi per cui nelle civiltà umane è sorto il bisogno di credere in un’entità sovrannaturale. Addirittura, scienza e religione andavano di pari passo, quando addirittura non coincidevano. Tuttavia, nega che le Scritture possano essere interpretate alla lettera trattandosi invece di eventi con un valore allusivo metaforico.

    L’autore propone poi una disamina delle più prestigiose teorie, dal Big Bang, scoperto dal sacerdote cattolico belga Georges Lemaître, ai quanti alla relatività. Tutte queste teorie, secondo Aczel, non hanno fornito alcuna prova che l’idea di un creatore debba essere necessariamente errata. Come può la meccanica quantistica predicare qualcosa su Dio se le sue leggi sono complicatissime? Le sue leggi sono così incomprensibili per noi da dare ragione alla celebre frase di Richard Feynman: “Se pensate di aver capito la fisica quantistica, allora non avete capito la fisica quantistica”. In nome della scienza quindi, sostiene Aczel, non si può affermare che Dio non esiste: si tratta di qualcosa di inafferrabile e inconoscibile, che trascende la conoscenza umana.

    Questo saggio è una risposta forte al neoateismo, che vede nella scienza la sua più potente alleata contro Dio. Aczel sostiene che il compito della scienza sia quello di perseguire la verità, e questo significa difenderla. Scienza e fede possono, nella sua visione, coesistere, in un clima di mutuo rispetto e tolleranza. C’è ancora spazio, dunque, per l’interrogazione a un tempo filosofica e teologica sul creatore del mondo. Al termine di questa lettura resta la convinzione che l’effettiva esistenza di un Dio risponda a un bisogno individuale meritevole di rispetto come ogni altra scelta che risponda a un intimo bisogno di consolazione e speranza.
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    00 22/07/2015 19:17
    [Modificato da Credente 22/07/2015 19:17]
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    00 11/09/2015 17:15




    L’affermazione di Galileo, che il mondo sia matematico è proprio il frutto dell'unione tra religione e scienza. Ma Giorgio Israel, professore di matematica all’Università La Sapienza di Roma, afferma:”Il principio di Galilei è stato però estremizzato e frainteso fino a farle significare che non solo il mondo fisico, ma ogni aspetto del mondo sia matematico” inaugurando il riduzionismo positivistico. La difesa migliore dal relativismo, ha concluso Israel, consiste nell’ammettere “una razionalità e un’idea di oggettività più ampie di quelle suggerite dai canoni scientifici, dentro i quali non c’è spazio per l’idea di Dio”.



    I contributi positivi portati dalla scienza non vengono negati, anzi sono valorizzati dalla fede ragionevole. Purtroppo,da un'analisi superficiale dell' universo, spesso accade, che esso venga ridotto ad un insieme di atomi, molecole e leggi fisiche. Non lasciando spazio per quel Dio creatore descritto nel primo capitolo della Genesi.


    Difatti, basandosi su un'interpretazione ingenua o puramente scientifica del racconto della Genesi, è accaduto di vederla ridotta ad una bella favola, non più credibile nemmeno per i bambini. Ma l'universo e tutto ciò che contiene sono solamente il frutto di fortuite combinazioni uscite da un gioco folle delle molecole, nel quale le leggi fisiche ne governano la danza? Oppure bisogna chiedersi se dietro questo gioco cieco vi è lo sguardo e la volontà del Dio Creatore? Questa è la domanda che sta alla base del rapporto tra fede e scienza.


    Secondo considerazioni storiche, si è propensi a ritenere scienza e religione antagonisti inconciliabili. Questo accade quando una delle due discipline sconfina nel campo dell'altra, pensando che il metodo utilizzato per l'analisi nel suo settore sia applicabile anche all'altro.






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    00 09/11/2015 17:33

    La cosmologa Wickman: «vi spiego perché la scienza moderna è God-friendly»



    God e big bangSe qualcuno è interessato ad un bel libro in lingua inglese consigliamo l’ultimo lavoro della prof.ssa Leslie Wickman, astrofisico della NASA e direttore del Center for Research in Science presso la Azusa Pacific University. Il libro si intitola God of the Big Bang: How Modern Science Affirms the Creator (Worthy Publishing, 2015).


    Dopo un decennio di scatenate pubblicazioni antiteiste, il mondo scientifico è tornato a riflettere seriamente delleimplicazioni filosofiche e teologiche delle scoperte scientifiche. Il libro di Wickman è proprio un approfondimento sul fascino verso il creato offerto dalla scienza negli occhi di uno scienziato credente, che parte da questa affermazione:«Dal momento che Dio si rivela sia nei testi sacri che nella natura, essi non possono logicamente essere in contraddizione tra loro. Quindi la chiave per una più piena comprensione di chi è Dio sta nell’osservare come il messaggio della Scrittura e l’evidenza della natura si incastrano e si integrano».


    In un’intervista recente l’analisi della realtà del dibattito pubblico che offre è lucida: «L’illusione di un conflitto tra scienza e religione può emergere solo a causa di una conoscenza incompleta ed errata delle Scritture o dei fatti della natura, o solo una generale mancanza di comprensione di come le due aree si integrano. L’illusione di un conflitto tra scienza e religione sembra essere perpetuata soprattutto dai fondamentalisti agli estremi poli di questa finestra di dialogo. Queste due posizioni estreme danno luogo ad un conflitto apparente tra scienza e religione, ma il vero conflitto è fra “scientismo” (una combinazione di scienza naturale e una visione del mondo secolare), e “creazionismo” (una combinazione di visione cristiana del mondo e un severo letteralismo biblico). Ma la scienza può essere praticata con successo senza una visione del mondo secolare, così come il cristianesimo può essere fedelmente praticato senza un’interpretazione della creazione in 6 giorni».


    Dal punto di vista cosmologico ci sono alcuni argomenti che ben si integrano alla fede cristiana, «il modello del Big Bang dell’universo è molto più God-friendly rispetto al modello popolare prima di esso (il modello dello stato stazionario). Il Big Bang afferma che c’è stato un inizio per l’universo e, per effetto della logica, un inizio richiede una causa o un principio. Inoltre, contrariamente all’opinione popolare, il Big Bang non fu un’esplosione caotica ma piuttosto un evento finemente sintonizzato molto altamente ordinato».


    Un secondo argomento interessante, anch’esso emerso grazie alla scienza moderna, è che «l’universo mostra un lungo e crescente elenco di caratteristiche che devono essere esattamente come sono per sostenere la complessità della vita, suggerendo fortemente che vi è una certa intelligenza creativa dietro tutto questo». E’ ciò che viene chiamato “fine tuning” o “regolazione fine” o principio antropico, l’evidenza cosmologica che ha portato alla conversione al deismo, ad esempio, il celebre fisico e divulgatore scientifico inglese Paul Davies.


    Molti scettici obiettano all’argomento del “fine tuning” la tesi del Multiverso, ovvero l’esistenza di un innumerevole numero di universi rendendo molto meno speciale il nostro e il pianeta su cui viviamo. Ma, come ha spiegato il prof. Elio Sindoni, ordinario di Fisica Generale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca: «il principio antropico non è stato enunciato con intenti religiosi ma puramente scientifici. Contro di esso si pone la teoria del multiverso, un’ipotesi affascinante benché impossibile da confermare sperimentalmente, quindi inaccettabile come confutazione di questo principio, basato, comunque lo si voglia interpretare, su dati fisici» (E. Sindoni, Siamo soli nell’universo?, Editrice San Raffaele 2011, p. 141).


    Sarebbe bello comunque un confronto serio su questo ma l’ideologia del creazionismo americano (e l’ideologia del naturalismo filosofico) infuoca il dialogo e svia l’attenzione. Come ha spiegato la prof.ssa Wickman «la Bibbia non è mai stata concepita per essere un libro di scienza, il suo messaggio è teologico. Gli scrittori hanno usato la scienza antica accettata dai loro contemporanei per descrivere la natura, altrimenti il loro messaggio sarebbe stato incomprensibile per coloro a cui si rivolgevano».



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    00 13/11/2015 08:24

    L’astrofisico John ZuHone:
    «la fede cristiana ama la ragione e la scienza»

    ZuHone JohnCi sono piaciute molto le riflessioni dell’astrofisico americano John ZuHone, docente presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) e presso il NASA Goddard Space Flight Center, abbiamo così voluto condividerle.

    Intervistato da un giornalista dell’Huffington Post ha infatti parlato della sua esperienza come scienziato e come cristiano: «Sono un astrofisico della NASA e anche un seguace di Gesù Cristo. Per quasi tutta la mia vita sono stato sia affascinato dalla scienza, sia un credente in Dio»«La fede cristiana», ha continuato ZuHone, «ha una grande considerazione per la ragione, la ricerca e la scienza. San Paolo, ad esempio, dice: “Esaminate ogni cosa e trattenete ciò che vale” (1 Tes 5,21). Il Salmista dice: “I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono” (Salmo 19)».

    Ecco, ha proseguito l’astrofisico americano, «cosa dice tutto questo a me, come cristiano? Dio mi parla sia attraverso la Sua parola nelle Scritture sia attraverso la natura, e posso scoprire la verità studiando entrambe. La mia finitezza e la tendenza verso l’egocentrismo indicano che la mia comprensione sarà sempre imperfetta, così se trovo una contraddizione tra Scrittura e natura significa probabilmente che ho capito male la Scrittura, o forse ho studiato male quello che la natura sta cercando di dirimi, o entrambe. Per esempio, se le prove dimostrano chiaramente che l’universo è nato miliardi di anni fa, vuol dire che io devo interpretare in altro modo il capitolo primo della Genesi». Il ragionamento è molto semplice ed efficace e può certamente aiutare tante persone a riflettere sui loro approcci così diffidenti al mondo scientifico. Il prof. ZuHone è di fede protestante e certamente ha più esperienza diretta con ambienti e gruppi pregiudizialmente timorosi rispetto alla ricerca scientifica.

    Le sue parole, inoltre, portano alla mente la riflessione del card. Roberto Bellarmino, il noto ecclesiastico tra i responsabili del primo processo a Galileo Galilei, il cui pensiero era paradossalmente “più scientifico” dello stesso ricercatore pisano (oltretutto amico personale di Galilei). Così infatti scrisse a padre A. Foscarini il 12 aprile 1615: «Dico che quando ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piú tosto dire che non l’intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata». Ovvero, senza dimostrazione la scienza non può affermarsi come verità e in caso di dimostrazione allora bisogna crederle e migliorare, in questo caso, la nostra interpretazione delle Scritture (che non sono e non vogliono essere un libro scientifico!).

    Tornando alle parole dello scienziato americano, la sua conclusione è stata questa: «Dio dice mediante il profeta Isaia: “Venite quindi e discutiamo assieme” (Is 1,18). Credo, e spero, che rispondendo a questa chiamata di Dio, questo Dio che nella persona di Gesù Cristo è morto e risorto per i miei peccati, Egli mi darà la comprensione di cui ho bisogno per essere non solo uno scienziato migliore, ma un miglior seguace di Lui.


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    00 28/03/2017 18:27

    Neuroteologia:
    il trascendente non è “fabbricato” dal cervello


     

    di Maria Beatrice Toro
    *psicologa e psicoterapeuta

     

    Nella storia del pensiero occidentale fede e ragione sono state variamente definite come due modalità di conoscenza distinte, dotate di differenti proprietà, oggetti e caratteristiche. A seconda dei presupposti filosofici di partenza dei vari pensatori, esse sono state viste come istanze più o meno distanti; a volte sono state contrapposte e, altre volte, interpretate come qualcosa di conciliabile o complementare. In ogni caso, fede e ragione sono sempre state dipinte come facoltà umane caratterizzate da procedimenti e meccanismi mentali chiaramente differenziabili.

    La razionalità pura si avvicina all’oggetto del conoscere attraverso le categorie spazio temporali e segue un metodo basato sull’osservazione empirica e sulla sperimentazione per prove ed errori, attraverso regole e procedure oggi condivise da una vasta comunità scientifica internazionale. Queste peculiarità ne rappresentano il punto di forza, poiché consentono una descrizione spassionata e scientifica delle cose naturali. Le medesime caratteristiche comportano, tuttavia, un importante limite, in quanto fanno sì che la “ragione pura”[1]possa intercettare in modo adeguato il solo mondo dei fenomeni naturali, risultando inadatta a cogliere la realtà ultima delle cose. Il filosofo Kant chiamò tale realtà noumeno, o cosa in sé. Affermò, poi, che esso non può essere toccato dai cinque sensi né dall’intelletto  poiché sensi ed intelletto, inevitabilmente, riportano l’esperienza entro schemi spazio-temporali adatti alla sola dimensione del visibile. La conoscenza per fede rientra, invece, in un ambito diverso, che il filosofo non considerò mai in contrapposizione alla ragione. Nella fede l’oggetto è avvicinato con modalità che vanno oltre il ragionamento puramente logico, coinvolgendo sentimento e intuizione.

    Oggi, la neuroteologia sostanzia queste intuizioni ribadendo che il rapporto con il trascendente avviene secondo modalità cerebrali che coinvolgono aree diverse, laddove emozione e cognizione si integrano, mettendo da parte gli aspetti del conoscere più direttamente legati alla spazialità. Nella ricerca neurologica, dunque, la spiritualità appare inestricabilmente connessa a un modo di funzionamento cerebrale specifico e distinguibile dai meccanismi attraverso i quali il cervello conosce usualmente il mondo. Tale modalità consente l’emersione dell’esperienza del contatto con il trascendente.

    La neuroscienza ci mostra, attraverso i metodi della visualizzazione del cervello in funzionamento, che durante la meditazione, la preghiera e, probabilmente, anche durante le esperienze di pre-morte[2], si attivano configurazioni neurali e meccanismi altamente specifici.

    Secondo il neurologo Kevin Nelson[3], in particolare, la scoperta delle basi neurali dell’esperienza spirituale non dimostra, come in campo scettico si è sostenuto, la illusorietà di tale esperienza riducendola a “malfunzionamento”, ma ci offre una prospettiva interessante di integrazione, dalla quale guardare alla religiosità. Al pari della conoscenza logica, infatti, anche la fede passa attraverso il cervello dando alla persona sensazioni che sostanziano l’esperienza del credere. Nonostante i cervelli funzionino tutti secondo le medesime regole, la libertà umana fa sì che possiamo assumere punti di vista diversi riguardo a tali esperienze, delle quali, tuttavia, oggi riconosciamo il substrato biologico. Sia in campo di scienza che di fede, diverse persone hanno opinioni diverse sul senso delle cose, giuste o erronee che siano. Così, scrive Nelson, secondo i Cristiani gli evangelisti sono stati ispirati da Dio quando scrissero i Vangeli: oggi sappiamo che, per farlo, non utilizzarono niente di misterioso, ma parti del loro cervello. Al di là di questo dato, la scienza non può informarci sul senso delle loro intuizioni, poiché dobbiamo ammettere, prosegue il neurologo, che il cervello non riesce mai a dare pienamente conto di se stesso. Anche se noi sapessimo come si attiva ogni singola molecola durante un’esperienza di spiritualità, dunque, il senso del suo mistero sopravvivrebbe, lasciandoci liberi di esprimere una nostra risposta alla domanda di senso fondamentale.

    Seguendo gli studi neuro teologici, si può affermare che, in qualche modo, “Dio è nel cervello[4], ma ciò non significa che Egli sia “tutto nel cervello”. Mi pare una distinzione fondamentale[5] e credo che, per onestà intellettuale, dobbiamo considerare erronea una sovrapposizione delle due affermazioni. A volte, tuttavia, taluni scettici utilizzano la neurologia come un verdetto scientifico negativo sulla fede[6], affermando che l’esperienza del trascendente è frutto di una illusione del cervello. Come abbiamo visto in precedenti articoli comparsi su questo sito, la questione non può essere risolta attraverso la scienza, poiché questa non riesce a occuparsi del senso ultimo dei fenomeni che descrive (o uscirebbe fuori dal suo ambito, che consiste, propriamente, nell’indicare come i fenomeni avvengano e non il loro perché). La neuroscienza ci dice che l’esperienza di Dio avviene attraverso un’attivazione cerebrale peculiare: ciò non significa che il trascendente sia “fabbricato” dal cervello, né sarebbe, d’altra parte, corretto affermare che nei neuroni si è trovata la prova dell’esistenza di Dio. Dobbiamo limitarci a interpretare tali dati per quello che sono, ovvero una conferma dell’intuizione filosofica che il senso di connessione con il trascendente rappresenti una facoltà distinguibile dal pensiero logico. Oggi, allora, attraverso la neuroteologia sappiamo che fede e ragione sono qualcosa di diverso, ma non di oppostodopotutto utilizzano ambedue il cervello per manifestarsi.

    La spiritualità rappresenta per milioni di persone qualcosa di imprescindibile per dar senso alla vita. Ciò è accaduto in tutte le epoche della storia: il realismo dell’esperienza dell’oggetto di fede si appoggia su talune capacità di funzionamento cerebrale, di cui tutti in nuce disponiamo, che ci incoraggiano alla fede religiosa. Come scrive Begley, i  rituali religiosi riescono a facilitare l’attivazione di queste capacità, poiché tendono a focalizzare l’attenzione sullo spirito, bloccando le percezioni sensoriali, incluse quelle che la zona deputata all’orientamento utilizza per stabilire i confini dell’io. Ecco perché persino i non credenti si commuovono durante i riti religiosi. “Finché il nostro cervello avrà questa struttura”, dice Newberg, “Dio non andrà via”[7]. Per alcuni questa universale possibilità di fare esperienza del trascendente può esser vista come un “effetto collaterale” dell’evoluzione di altre abilità fondamentali per la sopravvivenza (quali la solidarietà e una disposizione speranzosa verso la vita), ma una tale interpretazione, come insegnano gli studiosi stessi, rappresenta una questione da affrontare fuori dal campo del dibattito esclusivamente scientifico. Possiamo liberamente ritenere che le attivazioni neurologiche coinvolte nell’esperienza spirituale siano una strana casualità, oppure scegliere di guardare ad esse come a un meccanismo straordinario, fatto apposta per allargare i nostri orizzonti e le nostre vedute della vita. Sono in molti, peraltro, a ritenere che determinati pattern di attivazione neurale vadano considerati come il “canale corporeo” attraverso il quale il divino comunica con l’umano.

    Di certo c’è che l’esperienza del trascendente viene ricavata attraverso un procedimento raffinato e complesso, che va oltre la pura logica, coinvolgendo il piano mentale, l’emotivo e il corporeo: ciò ci consente, allora, di dire qualcosa che la filosofia aveva sempre intuito, ovvero che la fede è una facoltà a sé stante, che comporta una partecipazione globale dell’essere umano allorché tenti di dare una risposta al mistero dell’esistere.

     

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    Note

    [1]. Come la definì Kant nella Critica della ragion pura
    [2]. Esperienze da soggetti che, a causa di malattie o traumi, hanno sperimentato fisicamente una condizione vicina alla morte (con comaarresto cardiaco  o encefalogramma piatto), senza tuttavia morire, avendo la sensazione di essere tornati indietro dalla morte alla vita. Tipicamente vengono riferite la sensazione di essere fuori dal corpo e di guardarlo dall’alto; possono essere presenti visioni, tra le quali la più frequente è quella di essere al limite di un tunnel da cui si è attratti.
    [3]. Nelson, K. Can faith reside within brain?, Fox News 22.04.12
    [4]. Newberg, D’Aquili, Dio nel cervello – la prova biologica della fede, Mondadori, Milano, 2002
    [5]. Portata all’attenzione del mondo scientifico dal ricercatore Craig Aen Stockdale
    [6]. Toro, M.B. Neuroteologia: un verdetto sulla fede?
    [7]. Sharon Begley, La Repubblica, 31.01.01


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    00 27/07/2018 11:02

    Il premio Nobel Charles Townes: «credo in Dio anche grazie alla scienza»




    Charles TownesIl fisico americano Charles Townes, vincitore del premio Nobel nel 1964 per l’invenzione che portò alla realizzazione del laser, è morto pochi giorni fa all’età di 99 anni. L’annuncio è stato dato dall’Università della California a Berkeley, in cui Townes era professore emerito in fisica.


    E’ stato uno dei pionieri nel campo dell’astronomia a infrarossi, insieme a un team di colleghi fu il primo a scoprire molecole complesse nello spazio ed è accreditato per aver determinato la massa di un buco nero supermassivo al centro della Via Lattea. Il celebre fisico è inserito nel nostro dossier in cui abbiamo riportato le citazioni dei più grandi scienziati sul legame tra scienza e fede. Il prof. Townes, membro della Pontificia Accademia delle Scienze, è stato sempre molto interessato alla metafisica, tanto da affermare: «Credo fermamente nell’esistenza di Dio, basandomi sull’intuizione, sulle osservazioni, sulla logica, e anche sulla conoscenza scientifica» (C.H. Townes, “A letter to the compiler T. Dimitrov”, 24/05/2002).


    Nessuna dicotomia dunque, la sua stessa persona impegnata nella fede cristiana e nella carriera scientifica, coronata dalla vincita del premio Nobel, dimostra che non vi può essere alcun conflitto. Ricevendo nel 2005 il Premio Templeton rispose al suo amico (ateo) fisico Steve Weinberg, noto per la frase: “Quanto più l’universo diventa comprensibile più appare inutile”. «Devo dirvi innanzitutto che Steve Weinberg mi ha fatto i complimenti per questo premio. Noi dobbiamo prendere le decisioni in base ad un giudizio, certo, ma abbiamo anche qualche prova per rispondere. Credo, ad esempio, che il riconoscimento che questo universo è così appositamente progettato sia una di queste. Questo è un universo molto particolare e dev’esserci stato un fine». Tra le altre cose, il prof. Townes ha anche citato il successo della preghiera: «Vi sono infatti altre prove pertinenti come gli effetti della preghiera. E la risposta, almeno in alcuni esperimenti, è che la preghiera sembra avere effettivamente effetti positivi. Dobbiamo guardare in generale e trarre conclusioni meglio che possiamo. Steve Weinberg ha un giudizio facile, ha detto che tutto è accidentale e senza scopo. Io ho un diverso tipo di giudizio».


    In un’altra occasione scrisse, «la scienza, con i suoi esperimenti e la logica, cerca di capire l’ordine o la struttura dell’universo. La religione, con la sua ispirazione e riflessione teologica, cerca di capire lo scopo o significato dell’universo. Queste due strade sono correlate. Io sono un fisico. Anch’io mi considero un cristiano. Mentre cerco di capire la natura del nostro universo in questi due modi di pensare, vedo molti elementi comuni tra scienza e religione. Sembra logico che a lungo i due potranno anche convergere»(C.H. Townes, “Logic and Uncertainties in Science and Religion”, in Proceedings of the Preparatory Session 12-14 November 1999 and the Jubilee Plenary Session 10-13 November 2000).


    Come spesso ha ripetuto uno dei più noti fisici italiani, Antonino Zichichi, la stessa scienza avanza e si basa su un atto di fede: «La religione, con la sua riflessione teologica, si basa sulla fede. Ma anche la scienza si basa sulla fede», scrisse ancora C. Townes. «Come? Per il successo scientifico dobbiamo avere fede che l’universo sia governato da leggi affidabili e, inoltre, che queste leggi possano essere scoperte dall’indagine umana. La logica della ricerca umana è affidabile solo se la natura è di per sé logica. La scienza funziona attraverso la fede nella logica umana, che può nel lungo periodo comprendere le leggi della natura. Questa è la fede della ragione […]. Noi scienziati lavoriamo sulla base di un assunto fondamentale per quanto riguarda la ragione nella natura e la ragione nella mente umana, un presupposto che si svolge come un principio cardine della fede. Tuttavia, questa fede è così automatica e generalmente accettata che difficilmente la riconosciamo come una base essenziale per la scienza» (C.H. Townes, “Logic and Uncertainties in Science and Religion”, in Proceedings of the Preparatory Session 12-14 November 1999 and the Jubilee Plenary Session 10-13 November 2000).


    Quello del celebre fisico non era il Dio lontano e indifferente di Albert Einstein e dei deisti, ma l’Uomo incarnatosi 2000 anni fa: «Come una persona religiosa, sento fortemente la presenza e le azioni di un Essere ben al di là di me stesso, eppure semprepersonale e vicino» (citato in S. Begley, “Science found God”, Newsweek Vol. CXXXII, No. 4, 27/7/1998, pag. 44-49).



    [Modificato da Credente 27/07/2018 11:03]
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    00 25/08/2018 12:35

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    00 25/08/2018 12:36

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    00 30/03/2019 11:08

    L’astrofisico De Bernardis:
    «La scienza? Ha bisogno della fede»

    Paolo De Bernardis, vincitore del Premio Balzan per l’astronomia. Una visione intelligente e moderna sul rapporto di compatibilità tra scienza e fede.

     

    Non ha dubbi l’astrofisico italiano Paolo De Bernardis: «La Fede ha bisogno della Scienza così come la Scienza della Fede». Vincitore del Premio Balzan per l’astronomia e l’astrofisica, grazie alla missione che ha permesso per la prima volta di determinare la curvatura spaziale dell’universo, De Bernardis è docente presso l’Università Tor Vergata di Roma.

     

    “Moltissimi gli scienziati credenti, competenti quanto gli altri”.

    In una intervista, De Bernardis ha ragionato sulla fine dell’Universo, presentando l’ipotesi di un Big Crunch (un enorme scontro di tutta la materia rimasta) o di un Big Rip (lo strappo del tessuto cosmico, preludio alla sua morte termica). Concludendo con un accenno al dibattito etico tra scienza e fede: «Ci sono moltissimi scienziati credenti e non per questo meno attivi di altri». Su questo sito web, per chi fosse interessato, abbiamo realizzato un lungo elenco di scienziati credenti contemporanei.

    Esaurita sempre più la spinta neo-scientista che ha caratterizzato la seconda decade degli anni 2000, non sono pochi gli uomini di scienza che riaffermano la loro vicinanza alla metafisica. «Noi scienziati, che andiamo ai limiti dell’universo e della vita, ricorriamo sempre più spesso a nozioni di teologia e filosofia per spiegarci il cosmo», ha infatti affermato il cosmonauta russo Sergej Vasil’evic Avdeev, ex ateo. Oggi però racconta: «Credo ci sia qualcosa d’inspiegabile che governa tutte le cose. In sostanza penso che esista Dio! Questa mia attenzione alla spiritualità si è sviluppata e accresciuta mentre ero nello spazio».

     

    Le parole di Fabiola Gianotti:” Io credo, piena compatibilità tra scienza e religione”.

    Le parole dei due scienziati sono sovrapponibili al pensiero espresso dalla più famosa fisica italiana, Fabiola Gianotti, direttore generale del CERN di Ginevra: «la scienza e la religione devono restare su due strade separate», ha dichiarato. «La scienza si basa sulla dimostrazione sperimentale e la religione si basa su principi completamente opposti, cioè sulla fede, tanto più benemerito chi crede senza aver visto. E la scienza non potrà mai dimostrare l’esistenza o la non esistenza di Dio. Si, io credo, la scienza è compatibile con la fede, non ci sono contraddizioni. L’importante è lasciare i due piani separati: essere credenti o non credenti, non è la fisica che ci darà una risposta».

    fonte UCCR


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    00 19/10/2021 17:10
    L'INDAGINE SULL'ESISTENZA DI DIO

    La scienza non dice che DIO NON ESISTE per la semplice ragione CHE NON E' OBBIETTIVO DELLA SCIENZA FARE AFFERMAZIONI O EMETTERE NEGAZIONI DI CIO' CHE ESULA DAL SUO CAMPO DI INDAGINE: LA NATURA INTESA COME L'UNIVERSO-MONDO IN TUTTE LE SUE MANIFESTAZIONE E NELL'INFINITA' VARIETA' DEI FENOMENI CHE VI SI PRODUCONO DEI QUALI SOLO POCHI SONO DA NOI OSSERVABILI.

    L'obbiettivo della scienza è infatti l'osservazione dei fenomeni e la loro interpretazione nell'ambito di Teorie già elaborate e non falsificate, ovvero producendo Nuove Teorie. Fondamentale è inoltre l'ampliamento delle capacità osservative con l'ideazione, la progettazione e la realizzazione di nuovi e/o più potenti mezzi di osservazione.
    Il Nobel prof. Parisi ha espresso con grande chiarezza LA NETTA DEMARCAZIONE DI INTENTI TRA SCIENZA E RELIGIONE. E' tuttavia compito della scienza analizzare quelli che vengono definiti "fenomeni non spiegabili scientificamente" .
    In questo caso la Scienza in primo luogo controlla che siano effettivamente se realmente sia accaduto ciò che si afferma essere non spiegabile. Appurato che il "fenomeno" si è effettivamente manifestato se ne studia la compatibilità con le enunciazioni già controllate, quindi se ne individuano le cause. Praticamente nellaquasi totalità dei casi esistono spiegazioni che fanno ritenere che quanto è stato osservato rientra pienamente della categoria dei fenomeni naturali.
    Nei pochi casi in cui non si perviene ad una spiegazione,la scienza può ripetere le osservazioni magari con l'utilizzo di nuovi mezzi, ma vi possono essere fenomeni tali che fanno ritenere ragionevole un intervento soprannaturale.



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    00 09/12/2021 17:29

    “La scienza spiegherà i miracoli”: ecco perché è una fallacia logica



    La scienza e i miracoli. Molti scettici si affidano al motto “la scienza spiegherà tutto” quando non riescono a liquidare un evento prodigioso ben documentato, non accorgendosi di cadere nello stesso errore di chi usa il “dio delle lacune”.


     


    L’errore di molti credenti, quando si imbattono in tematiche scientifiche, è quello di introdurre la “spiegazione di Dio” ogniqualvolta nessuna teoria sperimentale è in grado di fornire una spiegazione a qualcosa che non si conosce (o che ancora la scienza non conosce). Viene così introdotto un “dio” per mascherare l’ignoranza ed è giustamente definita la fallacia del “dio delle lacune” o “dio tappabuchi”.


    Chiaramente il cristianesimo non è certo una spiegazione alternativa alla scienza e non può puramente essere inteso come “dio delle lacune”. Al contrario, si potrebbe dire, è la ragione di ogni spiegazione. Il filosofo Richard Swinburne, ad esempio, ha magistralmente spiegato: «Io sto presupponendo un Dio allo scopo di spiegare perché la scienza spiega; io non nego che la scienza spieghi, ma presuppongo Dio per spiegare perché la scienza spiega. Proprio il successo della scienza nel mostrarci quanto profondo sia l’ordine del mondo fornisce valide ragioni per credere che tale ordine abbia una causa ancora più profonda» (Esiste un Dio?, Lateran University Press 2013, p. 79).


    Anche gli scettici, tuttavia, commettono frequentemente a loro volta un errore. Lo ha fatto il filosofo Larry Shapiro, dell’Università del Wisconsin, pubblicando un approfondimento sui “miracoli”, in particolare sulla risurrezione di Gesù. Nel suo The Miracle Myth (Columbia University Press 2016), dopo aver scritto che tali prodigi sono “estremamente improbabili” (p. 58), “vanno contro a tutto ciò che conosciamo” (p. 25), “non sono mai giustificati” (p. 57), “hanno origine fuori dalla natura” (p. 31) e “possono persino violare le leggi della natura” (p. 149), ha tentato di teorizzare alternative naturalistiche, prendendo ampio spunto dai testi dei due principali studiosi scettici del primo cristianesimo, Richard Carrier e Bart D. Ehrman (anche se quest’ultimo ha negato qualunque validità storica agli argomenti di Carrier: cfr. Did Jesus Exist?, Harper Collins 2012, p. 2-3, 17-19, 167).


    Shapiro ha dichiarato che le contro-spiegazioni ai miracoli possono sempre essere postulate, e che c’è «sempre una causa naturale, anche quando attualmente non la comprendiamo» (p. 49). Incredibilmente, è arrivato a postulare l’esistenza di extraterrestri che avrebbero indotto le statue della Vergine a piangere sangue (p. 51). Dopo aver ammesso l’inspiegabilità di numerosi eventi ritenuti miracolosi dal cattolicesimo, il suo suggerimento è stato di attendere future spiegazioni naturalistiche, dato che su diversi prodigi attualmente non ne esistono di esplicative.


    Al filosofo ha replicato Gary Habermas, storico americano ed eminente studioso di Nuovo Testamento, probabilmente il più autorevole sulle “prove storiche” della resurrezione di Cristo. Restando nel campo dei miracoli evangelici, Habermas ha fatto notare come Shapiro sia costretto ad ammettere che spesso l’ipotesi miracolosa è l’unica in grado di rendere soddisfacentemente conto dei fatti accaduti e delle loro conseguenze. La quasi totalità degli storici del primo cristianesimo, infatti, concorda sul fatto che Gesù era considerato effettivamente un guaritore miracoloso. Lo scettico Marcus Borg, ad esempio, ha scritto: «Nonostante la difficoltà che i miracoli comportano per la mente moderna, per motivi storici è virtualmente indiscutibile che Gesù fu un guaritore ed esorcista» (Jesus: A New Vision, Harper Collins 1987, p. 61). Anche Dale Allison del Seminario Teologico di Princeton, che si definisce “deista criptico”, ha scritto: «Sono sicuro che i discepoli hanno visto Gesù dopo la sua morte» (Resurrecting Jesus: The Earliest Christian Tradition and its Interpreters, T&T Clark 2005, p. 346).


    Ma non è questo il punto, già in passato ci siamo soffermati sulla storicità dei miracoli di Gesù. La questione è la decisiva risposta del prof. Habermas al comportamento degli scettici quando si imbattono nel tema dei miracoli, sopratutto quando sono sufficientemente studiati (ad esempio le guarigioni inspiegabili di Lourdes). Non potendoli liquidare frettolosamente, in quanto ben documentati (a prescindere dalla loro autenticità), solitamente utilizzano la strategia del «”naturalismo delle lacune“. Questa posizione presuppone che il naturalismo debba essere automaticamente vero, perciò abbraccerebbero di cuore qualsiasi altra spiegazione piuttosto che l’opzione soprannaturale». Tale approccio, ha proseguito Habermas, «confida ciecamente e fideisticamente in non specificate future ricerche che saranno usate per respingere molte idee religiose o spiegazioni razionali indesiderate». Così, affermare che “la scienza spiegherà tutto”, pur di non prendere sul serio ipotesi scomode, seppur capaci di dare una spiegazione coerente del fatto misterioso, equivale a presupporre un “dio delle lacune”. Una fallacia logica.


    Infine, ultima riflessione, la smisurata fiducia accreditata alla scienza andrebbe utilizzata non solo per una futura smentita degli argomenti a favore dei miracoli, ma anche per gli argomenti contro ai miracoli: «anch’essi si basano su determinati presupposti filosofici e scientifici che più avanti nel tempo potrebbero essere abbandonati» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 604).



    [Modificato da Credente 09/12/2021 17:30]
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    00 09/12/2021 17:38

    Troppo affidamento alla scienza? Ecco i limiti del naturalismo filosofico




    Scientismo«Io sono una persona di scienza e prove. La verità può essere determinata solo empiricamente, e la scienza è l’unico modo per conoscere veramente la verità». Questa è una tipica affermazione di che intende “far la gara” tra le varie forme di pensiero, specialmente per denigrare la conoscenza della realtà tramite il metodo della fede. C’è infatti una differenza tra metodo scientifico (un processo razionale basato su test ed esperimenti) e scientismo (un impegno irrazionale di naturalismo filosofico). I naturalisti filosofici si rifiutano di prendere in considerazione come spiegazione per gli eventi che osservano qualsiasi cosa al di fuori del mondo naturale e usano i metodi della scienza applicandoli a qualunque aspetto della realtà umana.


    Come ha spiegato Papa Francesco, «lo scientismo e il positivismo si rifiutano di ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle proprie delle scienze positive», in questi casi «non è la ragione ciò che si propone, ma una determinata ideologia, che chiude la strada ad un dialogo autentico, pacifico e fruttuoso».


    1) L’apologeta americano J. Warner Wallace ha recentemente osservato che chi divinizza la scienza per screditare le altre forme di pensiero si sta anche contraddicendo: «Quando le persone dicono che “la scienza è l’unico modo per conoscere davvero la verità” bisognerebbe semplicemente chiedere loro se “sanno” che questa affermazione è vera. Se la risposta è affermativa, si dovrebbe chiedere loro come la scienza li ha aiutati ad arrivare a questa conclusione. Si scoprirà che l’affermazione “la scienza è l’unico modo (o il modo migliore) per conoscere la verità” non può essere verificata dalla scienza! Questa affermazione è una proclamazione filosofica che sfida la stessa affermazione». La contraddizione vale per tutti i tentativi di citare la scienza a proprio supporto per delegittimare la fede o le credenze degli altri.


    2) Ma ci sono altri “guai” per gli scientisti: un eccessivo affidamento alla scienza è anche fortemente limitante, ci sono infatti tantissime verità su cui la scienza non può intervenire per dimostrarle come vere o come false, oltre alle verità metafisiche. Ci sono le verità logico-matematiche, ad esempio, che devono essere accettate come presupposti fondamentali prima di impegnarsi in qualsiasi studio scientifico, precedono la stessa scienza. Ci sono le verità morali ed etiche: la scienza non può dirci ciò che è moralmente virtuoso, non potrà dire nulla sull’autenticità dell’onestà, dell’amore, dell’amicizia, tanto meno potrà dimostrarne l’esistenza. Eppure per noi sono cose vere e verificate, più vere che nemmeno l’eliocentrismo o la forza di gravità. Esistono anche le verità estetiche, la scienza non potrà aiutarci a determinare o giudicare ciò che è bello e ciò che è brutto, nemmeno potrà spiegare perché ci piace o non ci piace qualcosa esteticamente. Infine ci sono anche le verità storiche che non sono soggette alla ripetibilità, principio fondante del metodo galileiano.


    Se vogliamo davvero respingere tutte le categorie di verità che non possono essere determinate o verificate scientificamente, allora dovremmo respingere anche le verità relative alla logica, alla matematica, alla morale, all’etica, all’estetica, alla storia e alla metafisica. Praticamente tutte le affermazioni più importanti su cui basiamo le nostre vite dovrebbero essere ignorate e definite come inaffidabili.


    3) Infine, un eccessivo affidamento alla scienza è anche pregiudizialmente di parte. Lo si capisce bene se facciamo l’esempio dei miracoli: se le leggi e processi naturali possono spiegare il fenomeno, non c’è nessun problema da parte dei cristiani e dei credenti in generale, nessun miracolo è necessario alla fede e ben vengano le spiegazioni che dimostrano un falso prodigio. Se invece le leggi e i processi naturali non riescono a fornire una spiegazione adeguata ad un fenomeno e le prove indicano l’esistenza di qualcosa di soprannaturale, gli scientisti e i naturalisti sono costretti a censurare ed escludere l’intera categoria di spiegazione soprannaturale, prima ancora di determinare con certezza l’esistenza di qualcosa di soprannaturale.


    Come ha concluso Warner Wallace, «si scopre così che il mondo cristiano ha la capacità di abbracciare le spiegazioni naturali senza rifiutare quelle soprannaturali, e viceversa. Un eccessivo affidamento alla scienza (descritto come “scientismo” o “naturalismo”) fa invece respingere pregiudizialmente qualcosa di soprannaturale prima ancora di cominciare a studiare una spiegazione. Quale di questi due approcci è più pregiudizievole? Quale è almeno tollerante della varietà di spiegazioni che sono a nostra disposizione? Un eccessivo affidamento sulla scienza ha purtroppo accecato la nostra cultura sulla ricchezza delle possibilità esplicative. Non c’è da meravigliarsi che molti post-illuministi abbiano tanta difficoltà a trovare quello che cercano veramente».



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    00 14/12/2021 14:53

    "LO DICE LA SCIENZA"

    «Lo dice la scienza»: questa è una delle frasi che maggiormente è entrata nell’uso comune negli ultimi anni. Da un punto di vista scientifico, non esiste “la scienza”, esistono semmai gli scienziati. I quali, proprio perché adottano un metodo scientifico, sono sempre pronti a mettersi in discussione. Lo scienziato è umile di natura, un’affermazione è scientifica solo se un domani può essere dimostrata falsa. Tuttavia, sin dai tempi di Bacone, esiste un’idea di scienza che si sostituisce alla religione, come spiegazione del tutto. Ed è questa visione che prevale, sia tra i comunisti orfani del comunismo, sia tra i cristiani che si sentono «adulti».

    «Lo dice la scienza»: questa è una delle frasi che maggiormente è entrata nell’uso comune negli ultimi anni e sempre più in nome della scienza vengono prese decisioni su ogni aspetto della vita sociale. Questo rende necessario chiarire cosa essa significhi veramente o se abbia realmente un senso.

    Innanzitutto va detto che non esiste un soggetto denominato “la scienza”, esistono invece persone identificate come “scienziati” che pronunciano delle affermazioni che sono scientifiche proprio in quanto passibili di confutazione. Il filosofo Karl Popper insegnava che un’affermazione non può essere ritenuta scientifica se non fornisce una possibilità di essere dimostrata falsa. Impedire l’espressione di voci critiche, eventualmente con la giustificazione della non adeguatezza dell’interlocutore, è quindi una contraddizione, se ci si vuole muovere nell’ambito del metodo scientifico. Il vero scienziato inoltre risponde a tutti, deve potersi spiegare anche con persone non competenti di media cultura, una frase attribuita ad Einstein afferma “Non hai veramente capito qualcosa, se non sai spiegarla a tua nonna”.

    Il vero scienziato poi non è mai arrogante, questo contrasta visibilmente con l’atteggiamento spesso irridente di alcuni esponenti della scienza che vengono chiamati a confrontarsi pubblicamente riguardo temi di impatto sociale, il premio Nobel per la fisica Richard Feynman affermava che “Scienza è credere nell’ignoranza degli esperti”.

    “Lo dice la scienza” in quanto affermazione dogmatica non solo è per ciò stesso antiscientifica, ma è una frase resa possibile solo da un lento, ma continuo, lavoro di abbassamento del livello scolastico che ha portato a trasmettere nozioni sempre meno comprese, fino a raggiungere un valore dogmatico. Un fenomeno descritto dallo scrittore Aldous Huxley nel suo Il Mondo Nuovo quando, riguardo all’educazione scientifica impartita, fa dire ad un suo personaggio: “Voi non avete ricevuto una cultura scientifica e di conseguenza non potete giudicare”. La cultura scientifica è una cultura del dubbio ed è l’opposto della fede nella scienza.

    La fede nella scienza sperimentale va contro il suo fondatore Galileo Galilei, grazie al quale venne superato il principio di autorità, l’ipse dixit, da quel momento nessuno avrebbe potuto più argomentare con un “è vero perché lo dico io che sono l’autorità”. Ma negli stessi anni la scienza diventava uno strumento di potere nell’opera di Francis Bacon che, nella sua utopia La Nuova Atlantide, indicava gli scienziati come nuovi sacerdoti e guide della società. La scienza, in Bacon, diventa una fede surrogata che può sostituire la politica e l’ideologia. Questo è avvenuto, ad esempio, con la fine del comunismo quando un sistema mitopoietico scientista ha preso il posto dell’ideologia marxista. Il carattere, necessariamente in comune, per questa sostituzione è la pretesa di offrire una salvezza: si passa dalla salvezza di classe del comunismo a quella fisica della scienza sperimentale, entrambe unificate nel materialismo.

    La scienza diventa fede quando pretende, e soprattutto quando le viene riconosciuto, il diritto di diventare spiegazione dell’intero quadro del reale dimenticando che il limite epistemologico della scienza sperimentale è proprio posto nell’impossibilità di fare affermazioni di senso. Accettare una scienza come spiegazione di tutto è compiere una scelta di fondo che nega il senso. Jacques Monod nel suo Il caso e la necessità poneva come base della scienza il postulato di oggettività cioè “il rifiuto sistematico a considerare la possibilità di pervenire ad una conoscenza vera mediante qualsiasi interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali”, affidarsi alla scienza per spiegare il mondo presuppone quindi come scelta iniziale l’abbandono di una ricerca di senso.

    La scienza come strumento unico o sovrano per assumere decisioni sulla vita politica e sociale di una popolazione è dunque in sé la scelta di una mancanza di senso e in definitiva la negazione di una umanità che attribuisce un valore all’etica, al trascendente e a ciò che è propriamente umano, è una delega a costruire una società su principi biofisici. La società scientista come surrogato della religione ha bisogno di proprie tavole della legge da venerare e rispettare, di sacerdoti e santoni con tuniche bianche, di individuare trasgressori ed eretici, di mantenere i rituali propri della società religiosa e sviluppare un linguaggio proprio fatto di termini, simboli, gesti che hanno una valenza di identificazione e riconoscimento.

    Lo scientismo ha attratto gli orfani del marxismo e per questo viene fatto proprio anche oggi da chi da quella tradizione proviene. “Vota la scienza” è stato significativamente lo slogan di un partito in una recente campagna elettorale. Il rischio dell’affermarsi dello scientismo come sostitutivo riduttivo di una teoria sul mondo diventa reale quando una precedente visione entra in crisi o semplicemente si indebolisce, una frase riferita alla fine del comunismo affermava: “Baffone ci ha lasciati nei pasticci… non ci resta altro che la prospettiva di modernizzare il Paese”.

    Il rischio di uno slittamento analogo può nascondersi anche in una visione religiosa che si rivolge troppo al sociale distraendosi dal trascendente, che si fa discorso politico, una religiosità “adulta” che si occupa prevalentemente dei corpi non riconoscendo più i bisogni profondi dello spirito, che guarda al progresso pensando che la tradizione sia qualcosa di un passato da superare e forse da dimenticare.

    Dopo che ‘Baffone’ ha lasciato nei pasticci il comunismo la scelta di volgersi verso lo scientismo potrebbe apparire la prospettiva anche di una religiosità delusa e ridotta a dottrina sociale, allora il sentiero percorso dagli orfani del comunismo potrebbe essere condiviso da un cristianesimo stanco, ripiegato sul sociale e troppo fiducioso in una salvezza biologica che proviene dalla scienza.

    di Enzo Pennetta


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    00 07/12/2022 16:10

    Poiché le relazioni tra scienze e fede restano un argomento complesso, il gesuita François Euvé pubblica con Étienne Klein La Science, l’épreuve de Dieu (Salvator).
    Abbiamo intervistato il religioso.

    Nelle nostre società, la scienza ha assunto un ruolo importante, talvolta a detrimento della fede. Rilanciata dall’enciclica Fides et ratio del 1998, la questione dei rapporti tra questi due modi del conoscere non cessa di suscitare interrogativi. Olivier Bonnassies e Michel-Yves Bolloré hanno pubblicato nell’ottobre 2021 Dieu, la science, les preuves (ed. G. Trédaniel), con cui i lettori vengono invitati a osservare come l’attuale ricerca scientifica lasci essa stessa la porta aperta all’esistenza di Dio. 

    Per aggiungere la propria pietra all’edificio, il sacerdote gesuita François Euvé, scienziato e capo-redattore della rivista Études, pubblica con le edizioni Salvator La Science, l’épreuve de Dieu. Non per dire il contrario, ma per permettere di pensare la complessità della cosa. Per ricordare che il “Dio di Gesù Cristo” non è un meccanico o una cosa da provare, ma una persona con cui entrare in relazione, che impegna più della ragione umana: la libertà. L’abbiamo intervistato. 

    Valdemar de Vaux: Lei ha letto il libro Dieu, la science, les preuves, uscito nell’ottobre 2021. Perché ha voluto nutrire il dibattito scrivendo una specie di risposta? 

    François Euvé s.J.: È un dibattito molto importante, come attesta il successo del libro. Molte persone si interrogano sull’esistenza di Dio, anche quelle che non si riconoscono credenti. I successi della scienza sono impressionanti. Al contempo, quel che nel grande pubblico si conosce delle “nuove” teorie (ad esempio la relatività o la fisica quantistica) è profondamente intrigante. Gli scienziati stessi, almeno quelli che lavorano sui modelli dell’universo, non esitano a porre questioni di ordine metafisico: che cos’è la materia? l’universo ha un inizio assoluto? e via dicendo… Mi è sembrato importante presentare una sorta di stato dell’arte della questione, una specie di inventario di grandi argomenti integrato da un apporto storico. È un campo in cui lavoro da molto tempo, ma non avevo mai avuto l’occasione di fare una piccola sintesi non tecnica della mia riflessione in merito. La pubblicazione di Dieu, la science, les preuves è stata l’accensione della miccia. 

    V. d.V.: Il titolo della sua opera evoca “la prova” che la scienza rappresenta per Dio: che cosa intende? 

     

    F. E. s.J.: È piuttosto comune pensare che la scienza metta Dio alla prova. La scienza, di fatto, pretende di spiegare i fenomeni naturali senza ricorrere a cause soprannaturali. Resta ovviamente dell’insperato. Nel tessuto sempre più serrato delle spiegazioni del mondo, restano spazi bianchi, questioni aperte, in particolare il passaggio dalla materia inerte a quella vivente. Nulla però dice a priori che tali spazi e questioni resteranno aperte e bianchi: tutto ciò rimanda alla difficile questione dell’azione divina nel mondo, almeno nel mondo fisico. 

    V. d.V.: Il problema è forse semantico: che parola utilizzare per parlare degli indizi sulla propria esistenza che il Creatore ha lasciato nella creazione? 

    NTC

    F. E. s.J.: Meglio essere precisi sui termini. La parola “prova” è spesso compresa nel senso forte di “dimostrazione rigorosa che non lascia alcun margine di interpretazione”. Ammettere la conclusione di un teorema matematico non impegna la libertà. La si può impiegare in un senso più debole, però io preferisco parlare di “segni”, come nel Vangelo secondo Giovanni. Sono, se vogliamo, degli “indizi”. Che un evento inatteso mi sproni a rendere grazie a Dio non mi pone alcuna difficoltà, anche se altre persone possono vedervi il risultato del caso. Il segno suppone l’impegno di una libertà. 

    V. d.V.: A partire dalle più recenti scoperte scientifiche, si può ancora essere materialisti? 

    F. E. s.J.: Lo si dovrebbe chiedere a quanti si dicono “materialisti”… Si devono distinguere almeno due accezioni del termine: una filosofica e una pratica. La prima posizione mi pone meno difficoltà, benché io non la condivida. Nessuna persona sensata pretende che la scienza abbia spiegato tutto; un’anima scientifica, però, non può invocare troppo alla svelta istanze esplicative preternaturali o soprannaturali. La seconda attitudine potrebbe assomigliare alle prime pagine del libro della Sapienza (Sap 2,2): poiché siamo nati dal caso, tutto è permesso perché la vita è priva di senso. Questo invece pone una questione. 

    V. d.V.: Provare l’esistenza di Dio non significa, paradossalmente, negarlo? 

    F. E. s.J.: In prospettiva cristiana, Dio non è una “cosa”, un oggetto che esista come esiste la scrivania a cui sto seduto, ma una persona con cui sono in relazione vitale. Il “conoscere” non è del medesimo ordine del conoscere un elettrone, un cromosoma o una galassia: ciò suppone un modello teorico e una verifica sperimentale oggettiva. Provare l’esistenza dell’atomo è una cosa, ma non si può impiegare la medesima procedura per il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. La relazione che stringo con lui riguarda la libertà. 

    V. d.V.: Che differenza c’è fra un dio “grande orologiaio” e il Dio di Gesù Cristo? 

    F. E. s.J.: Il “grande orologiaio” rimanda alla poesia di Voltaire: si fonda sull’idea che il mondo sia un orologio, ossia una costruzione meccanica. Il modello è la visione di Newton e dei fondatori della scienza moderna, come Cartesio. Si sa che Pascal era critico verso questo Dio «dei filosofi e dei sapienti». Il Dio che si rivela in Gesù Cristo presenta un altro “profilo”, se possiamo dire così. La sua potenza si manifesta nel suo contrario, come san Paolo ha vigorosamente sottolineato. Questo ci mostra l’azione divina creatrice in modo ben diverso che secondo il modello della fabbricazione di una macchina. 

    V. d.V.: Insomma che cosa può dire la scienza su Dio e sulla fede? 

    F. E. s.J.: Mi piace molto la formula che papa Giovanni Paolo II utilizzò nel 1998 in una sua lettera a p. George Coyne: «La scienza può purificare la religione dall’errore e dalla superstizione». Evidentemente, la formula è negativa: la scienza ha un ruolo critico. Più positivamente, l’attività scientifica valorizza la ragione umana, la capacità umana di conoscere il mondo e di agire su di esso. 

    V. d.V.: E inversamente, che cosa può dire la fede sulla scienza? 

    F. E. s.J.: È ciò che segue dalla formula precedente: «La religione può purificare la scienza dall’idolatria e dai falsi assoluti». Anche qui, da principio essa è critica nei riguardi della tentazione di ogni discorso razionale di ripiegarsi su sé stesso. 

    Storicamente, il cristianesimo ha giocato un ruolo non trascurabile nella formazione della scienza moderna. Non è solo perché il mondo è un kosmos e non un chaos, come riconoscono i filosofi greci: è soprattutto, a mio avviso, l’idea che l’universo, avendo un principio, ha una storia. Altrimenti detto, non è tanto la scienza in quanto teoria bensì in quanto ricerca, a rilanciare permanentemente la sfida, perché il mondo è un mistero inesauribile. 

    V. d.V.: In fondo, il problema non è spirituale: abbiamo paura che Dio ci lasci liberi e ci inviti a partecipare alla creazione? Dio è presente, ma questa presenza non annulla né inibisce la nostra azione. 

    F. E. s.J.: Assolutamente! Una delle componenti centrali della nozione teologica di “creazione” è che il Creatore conferisce alle sue creature una piena autonomia. Non sono marionette fra le mani di un burattinaio, ma degli esseri liberi. Come scrive san Tommaso d’Aquino, il Creatore non dà soltanto l’essere, ma anche la capacità di essere causa dell’essere. 

    Certamente, l’orizzonte dell’azione creatrice di Dio è la relazione con lui, la comunione di tutte le creature fra loro e con Dio; ma questa comunione non può che essere cosa da persone libere, a meno che non si adotti un modello collettivistico. Se si parla di azione divina, non si tratta di un’azione coercitiva, bensì di un’azione congiunta. 

    V. d.V.: Come tenere l’equilibrio tra fede e ragione, per evitare sia lo scientismo sia il fideismo? Senza confusione né separazione… 

    F. E. s.J.: Come distinguere senza separare e unire senza confondere? La Chiesa cattolica rigetta al contempo sia il fideismo (la ragione non gioca alcun ruolo nella confessione della fede) sia il razionalismo (la confessione della fede sarebbe dimostrabile per via di ragione, vale a dire senza fare appello alla Rivelazione). C’è sempre una linea di cresta, fra questi due estremi: riconoscere la ragione significa riconoscere la parte di autonomia della persona umana. Ci sarebbe però l’illusione di una perfetta indipendenza, che mi fa credere di poter vivere astraendomi da ogni forma di dipendenza. Invece noi siamo profondamente interdipendenti, perché non è che diamo e basta, ma diamo e riceviamo. Potremmo dire che il razionalista non fa che dare e il fideista non fa che ricevere. Ma noi abbiamo bisogno di scambio, di condivisione, di dialogo. E il Dio che si rivela in Gesù Cristo ha a che fare con questo dialogo. 

    fonte ALETEIA