00 19/03/2014 11:40
CAPO 23 -- Demoni sono gli dei adorati dai Pagani, come confessano quegli stessi dei, quando vi sono costretti dallo scongiuro dei Cristiani

[1] Inoltre, se anche i Maghi creano dei fantasmi e le anime dei defunti perfino disonorano, se bimbi trucidano, per trarre la rivelazione di un responso, se con fallacie ingannatrici molti miracoli si divertono a operare, se anche sogni inspirano, in loro assistenza avendo il Potere degli angeli-demoni, una volta per tutte invitati, per opera dei quali capre e mense hanno per costume di divinare: quanto più quel potere per proprio conto e per proprio interesse non dovrebbe con tutte le forze studiarsi di operare quello che al servizio mette di un interesse altrui!

[2] Oppure, se gli angeli-demoni quello stesso operano che anche i vostri dei, dov'è in tal caso la superiorità della divinità, che certamente credere si deve essere superiore ad ogni potere? Non sarà dunque più conveniente presumere essere essi, i demoni, che si fanno dei, quando le medesime cose operano che li fanno passare per dei, piuttosto che ritenere che gli dei pari siano agli angeli-demoni?

[3] Si fa distinzione e differenza, penso, fra i luoghi, di modo che nei templi ritenete dei quelli, che altrove dei non chiamate; talché diversamente sembri fare il pazzo uno che le sacre torri trasvola, e diversamente quello che i tetti dei vicini attraversa; e che un'altra potenza si riveli in colui che i genitali o le braccia, e in colui che la gola si sega. Pari le conseguenze della pazzia furiosa, uno è il genere dell'instigazione.

[4] Ma basta con le parole. D'ora in avanti dimostrazione proprio di fatti, con cui vi proverò essere la stessa la qualità di entrambi i nomi. Si mostri qui, proprio davanti ai vostri tribunali, uno che sotto l'azione di un demone essere risulti: all'imposizione di parlare, fattagli da un cristiano qualsivoglia, quello spirito veracemente confesserà di essere un demone, come altrove falsamente confessò di essere un dio.

[5] Ugualmente si conduca innanzi uno di quelli che sono ritenuti subire l'influenza di un dio, di coloro che, sopra le are alitando, la divinità aspirano dal profumo, coloro, che a furia di rutti guariscono, che ansimando profetizzano.

[6] Codesta stessa vergine Celeste, di pioggia promettitrice, codesto stesso Esculapio, di rimedii rivelatore, somministratore della vita a un Socordio, a un Tenatio, a un Asclepiodoto, destinati a morire l'indomani: se di essere demoni non confesseranno, a un cristiano mentire non osando, lì stesso il sangue di quel cristiano sfrontatissimo versate.

[7] Che di più chiaro di un tale procedimento? Che di più fedele di una tale prova? La verità semplice è nel mezzo, la sua virtù l'assiste: non sarà permesso aver sospetti. Direte che codesto per virtù di magia avviene o per un imbroglio del genere, se i vostri occhi o le vostre orecchie ve lo permetteranno.

[8] Ma che si può obiettare contro ciò che nella nuda sincerità si mostra? Se, d'altra parte, sono veramente dei, perché di essere demoni, mentendo, dicono? Forse per fare piacere a noi? Allora senz'altro la vostra divinità ai Cristiani è soggetta. Ma non è da stimarsi divinità quella che a un uomo è soggetta e, ciò che torna a disdoro, a un suo nemico.

[9] Se, d'altra parte, sono vuoi demoni, vuoi angeli, perché altrove di agire in qualità di dei rispondono? E invero, come quelli che sono ritenuti dei chiamarsi demoni non avrebbero voluto, se veramente fossero dei - è chiaro, per non rimetterci della loro maestà -, così anche questi, che positivamente conoscete essere demoni, altrove agire in qualità di dei non oserebbero, se effettivamente degli dei esistessero, dei cui nomi abusano: avrebbero, infatti, timore di abusare della maestà di esseri a loro senza dubbio superiori, e tali da doversi paventare.

[10] Così non esiste affatto codesta divinità, che ritenete esistere; perché, se esistesse, né i demoni confesserebbero di simularla, né gli dei la rinnegherebbero. Poiché dunque l'una e l'altra parte in una confessione si accordano, l'esistenza negando degli dei, riconoscete che esiste un'unica genia, quella dei demoni, dall'una parte e dall'altra realmente.

[11] Ora cercate degli dei: ché quelli che tali avevate presunti, conoscete essere demoni. Ugualmente per opera mia, per bocca dei medesimi dei vostri rivelanti, non solo non essere dei essi e nemmeno nessun altro, ma anche codesto contemporaneamente verrete a conoscere, chi sia veramente Dio, se quello e unico che i Cristiani confessano; e se creduto e adorato essere debba così, come la fede dispone e la disciplina dei Cristiani.

[12] Diranno in pari tempo anche chi sia quel Cristo con la sua leggenda: se un uomo di condizione comune, se un mago, se dopo la morte dai discepoli sottratto al sepolcro; se ora finalmente si trovi tra gl'inferi, se non piuttosto in cielo, destinato a venire di là tra il sommovimento di tutto l'universo, tra l'orrore del mondo, tra il pianto universale, non però dei Cristiani; quale possanza di Dio e spirito di Dio e parola e sapienza e ragione e figlio di Dio.

[13] Si provino a ridere anch'essi con voi di tutto quanto ridete voi; si provino a negare che Cristo ogni anima restituita dall'inizio dei tempi al corpo giudicherà; si provino a dire davanti a questo tribunale se per avventura codesto ufficio Minosse e Radamanto hanno sortito, secondo la concorde opinione di Platone e dei poeti.

[14] Si provino almeno a respingere il marchio della loro vergognosa condanna; neghino di essere spiriti immondi, cosa che anche dalle loro pasture si sarebbe dovuta comprendere, dal sangue e dal fumo e dai puzzolenti roghi degli animali e dalle lingue impurissime degli stessi vati; neghino di essere stati per la loro malizia in precedenza condannati per il giorno medesimo del giudizio con tutti i loro adoratori e le loro operazioni.

[15] Sennonché tutto codesto dominio e potestà nostra su di loro la sua forza trae dal pronunciare il nome di Cristo e dal ricordare quello che secondo il volere di Cristo loro da parte di Dio sovrasta e attende. Cristo temendo in Dio e Dio in Cristo, ai servi di Dio e di Cristo si assoggettano.

[16] Così per il solo contatto e soffio nostro, dalla vista afferrati e dalla rappresentazione di quel fuoco, al nostro comando anche si allontanano dai corpi, di malavoglia e dolenti e vergognosi per la vostra presenza. Credete loro, quando sul proprio conto il vero parlano, voi che loro credete quando mentiscono.

[17] Nessuno a proprio disdoro mentisce; sì bene, invece, per averne onore. Più manifesta è la credibilità in coloro che a proprio danno confessano, che in coloro che a proprio vantaggio negano.

[18] In fine codeste testimonianze dei vostri dei sogliono creare dei Cristiani; il più spesso credendo ad essi, crediamo in Cristo Signore. Essi la fede accendono nelle nostre Scritture, essi la fiducia in quello che speriamo costruiscono.

[19] Voi li onorate a quanto mi consta, anche col sangue dei Cristiani. Non vorrebbero, dunque, perdere voi tanto utili, tanto servizievoli verso di essi - non fosse altro, per non essere un giorno messi in fuga da voi divenuti Cristiani -, se ad essi, davanti a un Cristiano che vuole provare a voi la verità, mentire fosse lecito.

CAPO 24 -- Non dunque meritano i Cristiani di essere accusati di lesa religione per non adorare dei demoni. Inoltre è ingiusto negare ai Cristiani quella libertà religiosa, che è concessa a tutti i popoli.

[1] Tutta codesta confessione di quei demoni, con cui di essere dei negano e con cui rispondono non esservi altro dio tranne quell'unico, cui noi serviamo, è sufficientemente idonea a respingere l'accusa di lesa religione, specialmente romana. E invero, se non esistono per certo dei, nemmeno esiste per certo una religione; se una religione non esiste, perché non esistono dei, per certo nemmeno noi, per certo, rei siamo di lesa religione.

[2] Per contro, invece, su di voi la rampogna rimbalzerà, che, di culto la menzogna onorando, e la vera religione del vero Dio non solo trascurando, ma per di più impugnando, commettete contro la verità un delitto di vera irreligiosità.

[3] Orbene, ammesso che risultasse essere quelli dei, non concederete, in base all'opinione comune, esservi un dio più alto e potente, come dire un dio principe dell'universo, di assoluta maestà? E invero così anche molti la divinità stabiliscono, da volere che l'impero e la dominazione somma presso uno solo si trovi, e i suoi uffici presso molti. Così Platone un Giove grande nel cielo descrive, da un esercito accompagnato di dei, e, in pari tempo, di demoni:

[4] doversi perciò venerare del pari anche i suoi procuratori e prefetti e governatori. E tuttavia qual colpa commette chi l'opera sua, in cui spera, indirizza a guadagnarsi piuttosto il favore del Cesare, e l'appellativo di dio, come quello di imperatore, ad altri non attribuisce che a chi tiene il primo posto, giudicandosi delitto capitale altri, tranne Cesare, chiamare tale e obbedirgli come tale?

[5] Uno onori Dio, un altro Giove; uno le mani supplici verso il cielo tenda, altri verso l'ara della Fede; uno, se credete, conti, pregando, le nuvole, un altro le travi del soffitto; uno al proprio Dio voti l'anima propria, altri quella di un caprone.

[6] Badate, infatti, che non concorra anche questo al delitto di irreligiosità, togliere la libertà di religione e la scelta interdire della divinità, così che non mi sia permesso onorare chi voglio, ma sia costretto a onorare chi non voglio. Nessuno vorrà essere onorato da chi non vuole farlo, nemmeno un uomo.

[7] E per vero agli Egiziani è data la facoltà di praticare una così vana superstizione, col divinizzare uccelli e bestie e condannare nel capo chi qualcuno di questi dei abbia ucciso. Inoltre ogni provincia e città ha un suo dio, come la Siria Astarte, l'Arabia Dusare, il Norico Beleno, l'Africa Celeste, la Mauritania i suoi principi.

[8] Ho nominato, credo, province romane, né tuttavia sono romani i loro dei; ché non sono in Roma onorati più che non siano quelli, che anche attraverso l'Italia stessa hanno il loro riconoscimento per un culto municipale: Deluentino fra quei di Cassino, Visidiano fra quei di Narni, Ancaria fra quelli di Ascoli, Norzia fra quelli di Volsinio, Valenzia fra quelli di Ocricoli, Ostia fra quelli di Sutri, tra i Falisci Giunone, che in onore del padre Curis anche ne prese l'appellativo.

[9] Invece a noi soli di professare è impedito una religione propria. Offendiamo i Romani e non siamo ritenuti Romani, noi che una divinità non propria dei Romani onoriamo.

[10] Per fortuna che c'è un Dio di tutti, a cui tutti, si voglia o non si voglia, apparteniamo. Ma tra voi onorare di culto è lecito qualunque cosa, tranne il Dio vero: quasi che questo non sia piuttosto il Dio di tutti, a cui tutti apparteniamo.

CAPO 25 -- Non all'opera degli dei è debitrice Roma della sua grandezza, ché l'origine di quelli è posteriore alla origine di Roma. La quale, inoltre, distrusse le città, dove vigeva il culto di quelli.

[1] Ma abbastanza prove della falsa e della vera divinità sembrami avere addotto, dimostrando come le prove non solo su ragionamenti si fondino, né solo su argomenti, ma anche su testimonianze di quelli stessi, che ritenete dei; talché di ritornare non c'è bisogno più sopra questa questione.

[2] Ma poiché interviene la menzione particolarmente della gente romana, non tralascerò la discussione provocata dalla presunzione di coloro, che affermano i Romani per merito della loro religiosità diligentissima essere tanto in alto saliti, da occupare il mondo; ed essere tanto vero che gli dei esistono, che più degli altri prosperano coloro, che più degli altri sono verso di essi riguardosi.

[3] Già: codesta ricompensa è stata alla gente romana per gratitudine pagata dagli dei romani! è stato Sterculo e Mutuno e Larentina ad estendere l'Impero! Ché non vorrei credere che degli dei forestieri abbiano voluto che codesto a una gente straniera capitasse, piuttosto che alla propria; e che il patrio suolo, in cui sono nati, cresciuti, nobilitati e sepolti abbiano ceduto a gente d'oltremare.

[4] Se la veda Cibele, se alla città romana si è affezionata, in ricordo della gente troiana, da essa protetta contro le armi degli Achei, in quanto, si capisce, del suo paese: voglio dire, se provvide a passare dalla parte dei vendicatori, cui sapeva che avrebbero la Grecia soggiogato, debellatrice della Frigia.

[5] Essa, dunque, trasportata nell'urbe, una grande prova della sua maestà anche ai nostri giorni rivelò: quando, essendo stato Marco Aurelio strappato allo Stato a Sirmio il 17 marzo, quell'archigallo veneratissimo il 24 dello stesso mese, in cui di sangue impuro faceva libagioni, incidendosi anche le braccia, i soliti ordini di pregare ugualmente diede per la salute dell'imperatore Marco, già morto.

[6] O messi tardi, o dispacci sonnolenti, per cui colpa Cibele la morte dell'imperatore prima non conobbe, per impedire che i Cristiani di una tale dea ridessero!

[7] Ma nemmeno Giove avrebbe dovuto senz'altro permettere che la sua Creta dei fasci romani il colpo subisse, dimenticando quell'antro dell'Ida e i bronzi dei Coribanti e quel dolcissimo odore colà della sua nutrice! Non avrebbe egli dovuto preferire quel suo sepolcro a tutto il Campidoglio, affinché sul mondo quella terra piuttosto dominasse, che le ceneri coperse di Giove?

[8] Avrebbe mai potuto Giunone volere che distrutta fosse la città punica, da lei amata e preposta a Samo, proprio dal popolo degli Eneadi?. Che io sappia, " Là erano le sue armi. Là il suo cocchio: che qui l'impero fosse sopra le genti, Se i fati lo permettessero, già fin d'allora essa tendeva e si sforzava ". Quella povera sposa e sorella di Giove forza non ebbe contro i destini. è vero: Giove stesso sottostà al fato. -

[9] Ma tuttavia i Romani non attribuirono ai fati, che loro consegnarono Cartagine contro la decisione e i desideri di Giunone, tanto onore, quanto a quella prostitutissima meretrice di Larentina.

[10] è sicuro che parecchi dei vostri dei furono re. Orbene, se il potere possiedono di conferire un regno, quando regnarono essi, da chi quel beneficio ricevettero? Chi Saturno e Giove avevano venerato? Uno Sterculo, penso. Sennonché questa divinità, insieme con le relative formule di preghiere, venne in Roma più tardi.

[11] Ma anche se alcuni non furono re, tuttavia erano sotto il regno di altri non ancora loro adoratori, dapoiché non ancora dei erano essi ritenuti. Dunque ad altri si appartiene concedere il regno, giacché molto prima si regnava che di questi dei si scolpissero le immagini.

[12] Ma quanto vano non è mai la grandezza della gente romana attribuire al merito della religiosità, dal momento che dopo la costituzione dell'impero - o meglio tuttora del regno - si sviluppò la religione! Infatti, sebbene da Numa la mania delle pratiche superstiziose sia stata concepita, tuttavia il culto tra i Romani non ancora di simulacri o di templi risultava.

[13] Religione frugale e riti poveri e nessun Campidoglio dagli edifici in gara di toccare il cielo; ma altari casuali, fatti di zolle, e vasi ancora di Samo e un fumo sottile: in nessun luogo la persona stessa del dio. Non ancora infatti a quel tempo ingegni di Grecia e di Toscana avevano l'urbe inondata con la fabrica di loro simulacri. Perciò i Romani non furono religiosi prima che grandi; perciò non per questo grandi, perché religiosi.

[14] Anzi come mai grandi per la loro religiosità essi, cui per la loro irreligiosità derivò la grandezza? Se non m'inganno, infatti, ogni regno o impero con le guerre si conquista e con le vittorie si estende. D'altra parte guerre e vittorie di città prese e abbattute per lo più risultano. Codesta faccenda senza offesa degli dei non torna: le stesse le distruzioni di mura e di templi, pari di cittadini e di sacerdoti le stragi, e non dissimili delle ricchezze sacre e profane le rapine.

[15] Pertanto tanti i sacrilegi dei Romani, quanti i trofei; tanti i trionfi sopra gli dei, quanti sopra i popoli; tante le prede, quanti i simulacri, che tuttora rimangono, degli dei tratti in prigionia.

[16] Orbene, tollerano di essere dai loro nemici adorati, anzi un impero senza termine concedono a coloro, di cui le offese, più che le adulazioni, avrebbero dovuto rimunerare? Vero è che esseri, i quali nulla sentono, altrettanto impunemente offendere si lasciano, quanto inutilmente adorare.

[17] Certo non si può convenientemente prestar fede che appaiano essere per merito di loro religiosità cresciuti coloro, che, come abbiamo esposto, offendendo la religione crebbero o crescendo la offesero. Anche quei popoli, i cui regni nel complesso dell'impero romano confluirono, quando questi regni perdettero, senza instituzioni religiose non erano.