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Capitolo 3

Ma i Novaziani affermano che, eccettuate le colpe più gravi, concedono il perdono alle più lievi. Non certo Novaziano, l'origine prima della vostra eresia. Egli fu convinto che non dovesse concedersi ad alcuno la possibilità di conseguire il perdono. Evidentemente non se la sentiva di legare ciò che non era poi in grado di sciogliere, e di incorrere nel rischio che, una volta condannata la colpa, ci si attendesse da lui il condono. Voi, dunque, mettete sotto accusa vostro padre con questo modo di ragionare, con la distinzione, cioè, che fate tra peccati, a giudizio vostro, assolvibili e quelli che reputate irrimediabili. Dio, però, che ha garantito a tutti clemenza e che ha concesso ai sacerdoti, senza alcuna riserva, la potestà del perdono, non fa distinzioni. Soltanto, chi avrà ecceduto nella colpa, ecceda parimenti nel fare penitenza. Più gravi i peccati, più abbondanti lacrime sono necessarie per lavarli. Non si può, quindi, dare l'assenso a Novaziano che rifiutò a tutti il perdono, né a voi che, emulando e a un tempo condannando il maestro, spegnete ogni ardore di pietà quando occorrerebbe maggiormente alimentarlo. La pietà di Cristo ci ha insegnato che più gravi sono i peccati, più validi sostegni necessitano a sopportarne il peso.

Quale iniquità è questa del dovere rivendicare le cose possibili a concedersi e riservare a Dio le impossibili? Che altro significa ciò se non scegliere per sé le situazioni suscettibili di misericordia e lasciare al Signore la materia tutta passibile di inflessibile castigo? Privo di significato è per voi il passo biblico: "Resti fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore, come dice la Scrittura: affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e trionfi quando sei giudicato". Dio medesimo dice: "Voglio l'amore e non il sacrificio", affinché comprendiamo che il Signore è largo di misericordia e non già inflessibile nel rigore. Come può essere, perciò, gradito a Dio il sacrificio che gli offrite? Voi ripudiate la pietà, egli, invece, afferma di non volere la morte, ma l'emendamento del peccatore.

L'Apostolo, suo fedele interprete, dice: "Dio mandò il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato, e in vista del peccato, ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi". Non dice "a somiglianza della carne", perché Cristo ha assunto la realtà della carne umana, non la parvenza. Né dice "a somiglianza del peccato", giacché "egli non ha commesso peccato" ma ha preso le sembianze del peccato per la nostra salvezza. E' venuto "a somiglianza di carne del peccato", cioè ha assunto la parvenza della carne peccatrice. Perciò "somiglianza", poiché sta scritto: "E' uomo e chi sa conoscerlo?". Era, cioè, uomo nella carne in conformità alla natura dell'uomo, e poteva essere conosciuto. Era uomo fornito di doti trascendenti l'umana possibilità, l'uomo, pertanto, di cui è detto "chi sa conoscerlo?". Aveva la nostra carne, ma era immune dai difetti di questa.

Non era stato, infatti, generato come gli altri uomini dall'accoppiamento del maschio e della femmina. Concepito dallo Spirito Santo e dalla Vergine, aveva assunto un corpo mortale, non solo non macchiato da alcuna colpa ma neppure sfiorato da quell'ignominioso miscuglio di sostanze proprio della nascita o del concepimento. Noi mortali nasciamo, infatti, all'insegna del peccato. Il nostro primo vedere la luce è già nella colpa, come leggiamo in David: "Ecco nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre". La carne di Paolo era il corpo della morte, come egli dice: "Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?". La carne di Cristo ha condannato quel peccato dal quale il Signore, nascendo, fu immune, e che, morendo, ha crocifisso, affinché nella nostra carne, ove prima era macchia a causa della colpa, ci fosse giustificazione in virtù della grazia.

"Che diremo dunque in proposito" se non ciò che l'Apostolo ha detto: "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ha donato ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?". Cristo, dunque, difende, Novaziano accusa. L'uno ha redento gli uomini perché siano salvi, l'altro condanna a morte. Il primo dice: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite", l'altro, al contrario, afferma: Non sono misericordioso. Cristo dice: "Troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero", Novaziano, invece, impone un grave peso, un duro giogo.