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Capitolo 10

Forse qualcuno potrebbe tollerare che tu provi vergogna di invocare Dio e non, invece, di pregare l'uomo, e che tu abbia ritegno di supplicare il Signore, cui il tuo modo di operare non sfugge, e non, invece, di fare palesi le tue colpe all'uomo, cui possono rimanere nascoste? Non vuoi che, se preghi, ci sia gente che lo sappia e possa riferirlo? Eppure, se si tratta di dare soddisfazione all'uomo, non ti accosti forse a un gran numero di persone, le scongiuri perché interpongano i buoni uffici, ti prostri alle ginocchia, baci i piedi, metti innanzi i figli innocenti, perché invochino pietà per il padre? Ostenti, tuttavia, neghittosità a fare ciò nella Chiesa, a supplicare Dio, a ricercare il patrocinio dei fedeli, perché preghino per te. Nella Chiesa si arreca disonore col non confessare le colpe, giacché tutti siamo peccatori. In essa merita di più chi è più umile, ed è più giusto chi maggiormente disprezza se stesso.

La madre Chiesa pianga per la tua salvezza e lavi la tua colpa con le lacrime. Cristo ti veda nella tua afflizione e dice: "Beati voi che piangete, perché riderete". Egli gradisce che più persone preghino per una sola. Nel Vangelo, mosso a pietà delle lacrime della vedova, poiché erano moltissimi a piangere per lei, ne richiamò il figlio alla vita. Esaudì prontamente Pietro che pregava affinché Dorcade risuscitasse, poiché i poveri gemevano per la morte della donna. Perdonò subito l'apostolo che aveva versato amarissime lacrime. Se anche tu piangerai in tal maniera, Cristo rivolgerà a te gli occhi e la colpa sarà cancellata. L'esercizio del dolore allontana la morbosa cupidigia del peccare, la seduzione della colpa. Ci travagliamo per le iniquità perpetrate e, intanto, teniamo lontane quelle che potremmo commettere. Dalla condanna della colpa scaturisce una disciplina dell'innocenza.

Nulla, perciò, ti distolga dall'esercitare la penitenza. Ne sei partecipe con i santi, e voglia il cielo che tu riesca ad emulare il loro pianto! David "si nutriva di cenere come di pane; mescolava il pianto alla sua bevanda". Ora maggiormente gioisce, poiché versò più abbondantemente le lacrime. Dice: "Fiumi di lacrime discesero dai miei occhi".

Giovanni pianse molto e, come dice, gli furono rivelati i misteri di Cristo. Non così la donna che travolta dal peccato, non versò lacrime come avrebbe dovuto: se la spassava, indossava abiti di porpora e scarlatto, faceva sfoggio di molto oro e di pietre preziose. Meritatamente, pertanto, si strugge nel travaglio di un pianto senza fine.

Alcuni sono convinti che si possa più volte fare penitenza. Essi "sono presi da desideri indegni di Cristo". Se attendessero, infatti, alla penitenza di tutto cuore, non crederebbero alla necessità di doverla ripetere. "Uno solo è il battesimo", una sola è la penitenza, quella, s'intende, che si fa in pubblico. Ogni giorno, infatti, dobbiamo pentirci del peccato, ma, mentre la penitenza giornaliera è dei peccati più lievi, la pubblica è delle colpe di maggiore entità.

Mi sono imbattuto più spesso in persone che hanno conservato la loro innocenza che non in gente che abbia atteso a pentirsi con coerenza. Credi forse che si possa parlare di penitenza là dove si intriga in vario modo per ottenere cariche, regna il bere sfrenato, viene praticato l'accoppiamento carnale? Bisogna dire con decisione addio al secolo, abbandonarsi al sonno meno di quanto la natura esiga, alternarlo con lamenti, romperlo a mezzo con gemiti, riservarlo alla preghiera. E' necessario, insomma, vivere come se fossimo per sempre morti al nostro modo di condurre l'esistenza terrena. L'uomo deve rinnegare se stesso, trasformarsi radicalmente, come la tradizione racconta a proposito di un giovane. Costui, dopo aver amato una cortigiana, partì alla volta di un paese lontano. Cancellata che ebbe dall'animo la passione, ritornò e si imbatté nella donna che aveva amata. Essa, meravigliata che il giovane non le rivolgesse neppure la parola e pensando, quindi, di non essere stata riconosciuta, incontratolo di nuovo, gli disse: "Sono io", e l'altro: "Ma io non sono più io".

Il Signore, perciò, a ragione dice: "Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". I morti e sepolti con Cristo non devono, quasi fossero ancora in vita, avere l'animo rivolto alle cose di questo mondo. Paolo dice: "Non toccate, non prendete tutte le cose destinate a scomparire con l'uso. L'uso di per sé della vita cagiona, infatti, la corruzione dell'innocenza.

Capitolo 11

La penitenza, dunque, è un bene. Se essa non esistesse, tutti differirebbero la grazia del battesimo alla vecchiaia. A una ipotesi assurda del genere, valga come risposta che è preferibile possedere un qualcosa da rattoppare che non avere da ricoprirsi. Ma nemmeno gli abiti rappezzati una sola volta possono ancora essere usati come nuovi, quelli, invece, cuciti e ricuciti finiscono con il logorarsi del tutto.

Il Signore, quando dice: "Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino", ha sufficientemente ammonito coloro che rinviano la penitenza. Ignoriamo in quale ora viene il ladro, non sappiamo se la nostra anima ci sarà richiesta la notte stessa. Dio scacciò Adamo dal paradiso subito dopo la colpa. Non frappose indugi, ma, perché facesse penitenza, lo privò delle delizie e, immediatamente, lo rivestì di una tunica di pelle, non già di seta.

Quale giustificazione c'è perché tu debba rinviare? Forse quella di commettere un maggior numero di peccati? Dunque, perché Dio è buono, tu vuoi essere malvagio, e "ti prendi gioco dei tesori della sua bontà e pazienza"? La mitezza del Signore dovrebbe, al contrario, essere per te incitamento a pentirti. Appunto, il santo David dice a tutti: "Venite, adoriamo e prostriamoci innanzi a lui e piangiamo al cospetto di nostro Signore che ci ha creati". Il medesimo David, come sai, versa lacrime sul peccatore che è morto senza pentirsi. In un caso del genere non rimane altro che provare forte dolore e piangere. Egli dice: "Figlio mio Assalonne, figlio mio Assalonne"! Chi è definitivamente morto va pianto senza alcuna riserva.

A proposito degli esuli, che, raminghi dagli aviti confini fissati dalla legge di Mosè, si erano infangati dei peccati di questo mondo, odi che canta: "Sui fiumi di Babilonia, là sedemmo e piangemmo al ricordo di Sion". Il salmista vuole insegnare che la stirpe dei rei di apostasia deve provvedere al ravvedimento, quando i colpevoli sono ancora in condizione di avere tempo a disposizione e in situazione suscettibile di mutamento. Perciò, ricorre all'esempio dei Giudei trascinati in miseranda schiavitù come prezzo della colpa.

Non c'è dolore maggiore di quello che prova chi nella schiavitù del peccato si ricorda dei supremi beni dai quali è decaduto, ha tralignato. Si è, infatti, allontanato dal meraviglioso, sublime proposito di approfondire la conoscenza di Dio, per rivolgersi a ciò che è materiale, effimero.

Adamo pensò di nascondersi, non appena avvertì la presenza di Dio. Tentò di celarsi, quantunque lo ricercasse, lo chiamasse con parole che dovevano trafiggere il cuore di lui che si nascondeva: "Adamo, dove sei?". Cioè, perché ti celi, perché ti occulti, perché eviti il Signore che desideravi vedere? La colpa rimorde la coscienza al punto tale che, anche senza il giudice, si punisce da se stessa e desidera occultarsi. Non riesce, però, a celarsi agli occhi di Dio.

Nessuno che sia in colpa deve arrogarsi, quindi, il diritto, l'uso illecito dei sacramenti. Sta scritto: "Hai peccato? Fermati". Lo dice anche David nel salmo cui si è accennato: "Appendemmo le nostre cetre ai salici di quella terra". Più avanti: "Come cantare il cantico del Signore in terra straniera?". Se la carne combatte con lo spirito ed è riluttante a lasciarsi guidare dall'anima, ad ubbidirle, è terra straniera che non è dissodata dal lavoro del contadino e non produce, pertanto, i frutti della carità, della pazienza, della pace. Perciò, meglio fermarsi, quando non si è in grado di attendere alle opere della penitenza, affinché nell'esercitarla non capiti di agire in modo da dovere ancora ad essa far ricorso. Se, infatti, non è stata una sola volta bene usata e opportunamente praticata, non si ricava alcun frutto dalla penitenza cui si è atteso e ci è tolta la possibilità di valercene successivamente.

Quando la carne oppone resistenza, è necessario, allora, che lo spirito sia rivolto a Dio. Se le opere vengono meno, la fede porti soccorso. Se le seduzioni della carne o le potestà nemiche incalzano, lo spirito sia assorto in Dio. Quando, infatti, la carne sferra il suo attacco, corriamo i pericoli più gravi. Eppure alcuni, con tutte le loro forze, fanno violenza all'anima, tentando di privarla di ogni sostegno. Perciò, è detto: "Distruggete, distruggete, anche le sue fondamenta".

David, appunto, mosso a pietà da lei esclama: "Figlia infelice di Babilonia!". Senz'altro è sventurata, giacché è ormai figlia di Babilonia, non più di Dio. Invoca in suo favore l'intervento di chi possa guarirla: "Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà sulla pietra". Beato, cioè, chi spezzerà contro Cristo i pensieri caduchi, peccaminosi, e fiaccherà tutti gli impulsi non conformi a ragione, in virtù di una cosciente autocritica: chi, ad esempio, in balia di un amore adulterino possa tenere lontano lo struggente desiderio del congiungimento carnale con una prostituta e rinunziare alla passione per guadagnarsi Cristo.

Dunque, abbiamo appreso innanzi tutto che occorre fare penitenza, e ciò quando la bramosia di peccare si è spenta; ancora, che nella schiavitù del peccato dobbiamo essere rispettosi, non già arroganti. A Mosè che desiderava sempre più addentrarsi nella conoscenza del mistero celeste, è detto: "Togliti i sandali dai piedi". A maggior ragione è necessario, quindi, che noi liberiamo i piedi della nostra anima dai legami del corpo e sciogliamo i passi dai nodi che ci avvincono a questo mondo.