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Capitolo 15

Da buon maestro ha promesso l'uno o l'altro dei farmaci, ma ha finito col fare dono di entrambi. E' venuto "con il bastone", poiché ha allontanato dalla santa comunione chi si era macchiato di colpa. A ragione, appunto, è detto che chi viene separato dal corpo di Cristo è dato in balia a Satana. Ma è venuto anche "con amore e spirito di dolcezza", sia perché ha abbandonato il reo nelle mani di Satana in maniera, però, da salvarne l'anima, sia perché ha reintegrato nei sacramenti chi prima aveva escluso.

E' necessario, infatti, da una parte, che chi è caduto in colpa grave resti segregato, perché "un poco di lievito" non faccia fermentare "tutta la pasta", dall'altra, che il vecchio lievito sia purificato. Occorre, cioè, sia purificare in ciascuno l'uomo vecchio, l'uomo esterno con le sue azioni, sia nella moltitudine chi ha messo radici nel peccato e si è infangato di colpe di ogni specie. Opportunamente è detto che bisogna purificarlo, non già gettare via. Ciò che è mondato serve ancora: è, infatti, purificato, affinché l'utile che presenta sia separato dall'inutile. Ciò che, invece, è gettato via non offre possibilità d'impiego.

Già da allora, perciò, l'Apostolo ha ritenuto che il reo dovesse essere reintegrato nei sacramenti, se manifestasse la volontà di essere mondato. A ragione dice "purificate". Chi è redento dal peccato e mondato nell'animo in forza delle preghiere e del pianto di tutti, consegue la purificazione mediante le opere dell'intero popolo ed è lavato dalle lacrime del medesimo. Cristo, infatti, ha permesso che la Chiesa, la quale meritò in grazia del suo avvento che tutti fossero salvi ad opera di uno solo, potesse riscattare uno solo ad opera di tutti.

Questo è il significato del pensiero di Paolo, che le parole non rendono chiaro. Riflettiamo ora sull'espressione usata dall'Apostolo: "Purificate il lievito vecchio per essere pasta nuova, poiché siete azzimi". La Chiesa, da una parte, si addossa il peso del peccatore verso il quale deve dimostrare pietà con pianto, preghiera, afflizione. Deve, cioè, aspergersi, per così dire, completamente del suo lievito, affinché i residui di colpa nel penitente siano purificati ad opera di tutti, in virtù, direi, di un'azione collettiva di misericordia e di pietà scevre di debolezza. D'altra parte, poi, la Chiesa, come ce lo insegna la donna del Vangelo, che di essa, appunto, è simbolo, mescola il fermento nella farina, finché l'intera massa lieviti in modo che possa essere consumata in tutta la sua purezza.

Il Signore mi ha insegnato nel Vangelo di quale lievito si tratti. Dice: "Non capite che non alludevo al pane, quando vi ho detto: Guardatevi dal lievito dei Farisei e dei Sadducei? Allora essi compresero che egli non aveva detto che si guardassero dal pane, ma dalla dottrina dei Farisei e dei Sadducei". Questo è, dunque, il lievito, l'insegnamento, cioè, dei Farisei e il disputare dei Sadducei, che la Chiesa intride nella sua farina, mitigando il significato letterale troppo duro della legge mediante l'interpretazione spirituale e frantumandolo con la macina delle sue argomentazioni. Trae, per così dire, dall'involucro del senso letterale quello più profondo, ineffabile dei misteri e infonde la fede nella resurrezione, in virtù della quale si celebra la pietà di Dio e si crede che i morti risuscitino.

Né mi sembra fuori luogo la similitudine a proposito del passo evangelico, se è vero che regno dei cieli e riscatto del peccatore costituiscono un tutt'uno. Buoni o cattivi, cospargiamoci della farina della Chiesa, affinché tutti diventiamo nuova pasta. Il Signore, perché nessuno temesse che la mescolanza di un lievito corrotto alterasse la massa, ha detto: "Affinché siate nuova pasta, poiché siete azzimi". L'impasto, cioè, vi restituirà alla purezza perfetta della vostra innocenza. Quindi, allorché proviamo pietà, noi non siamo infangati dalla colpa di un altro, bensì dobbiamo ascrivere il riscatto del reo a grazia concessaci, senza che la nostra primitiva purezza subisca alterazioni. Perciò, ha aggiunto: "Cristo nostra Pasqua, è stato immolato". La passione di Gesù ha arrecato universale beneficio, ha donato la redenzione ai peccatori pentitisi delle ignominie perpetrate.

Nell'attendere alla penitenza, lieti in vista del riscatto, "imbandiamo dunque" il buon cibo. Non vi è alimento più soave della dolcezza, della misericordia. All'imbandigione, alla gioia non si mescoli invidia nei riguardi del peccatore redento, affinché il fratello acrimonioso di cui parla il Vangelo non si escluda da se medesimo dalla casa del padre. Mostrò, infatti, risentimento verso chi era stato accolto, giacché si augurava in cuor suo che fosse, invece, per sempre bandito.

Voi Novaziani siete del tutto simili a costui, non potete negarlo. Avete, infatti, rinunziato, come dite, a radunarvi nella Chiesa, poiché era stata data speranza ai lapsi di ritornare nel suo grembo in virtù della penitenza. Ma è pretesto specioso questo che avanzate. Novaziano, in verità, tramò lo scisma, in seguito al grave colpo della mancata elezione a vescovo.

Non capite, dunque, che l'Apostolo ha fatto la profezia nei vostri riguardi? Non dite a voi forse: "Siete gonfi d'orgoglio piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione"? Non c'è dubbio che il reo allora è tolto di mezzo, quando la colpa è cancellata. L'Apostolo non afferma che il peccatore deve essere bandito dalla Chiesa, allorché consiglia di purificarlo.

Capitolo 16

Se l'Apostolo ha condonato la colpa, appellandovi a quale autorità, voi sostenete, invece, che non si deve concedere il perdono? Chi più ubbidiente alla legge di Cristo, Novaziano o Paolo? L'Apostolo sapeva che il Signore è misericordioso e che si mostra offeso dal rigore eccessivo e non già dalla clemenza dei discepoli.

Giacomo e Giovanni dicevano di invocare dal cielo il fuoco che consumasse le persone non disposte ad accogliere il Signore. Gesù, però, li ha rimproverati, dicendo: "Non sapete di quale spirito siete. Il Figlio dell'uomo, infatti, non è venuto per condurre alla perdizione le anime degli uomini, ma per salvarle". Ha detto: " Non sapete di quale spirito siete", poiché erano del suo medesimo. A voi, invece, dice: Non siete del mio spirito, giacché non emulate la mia clemenza, ripudiate la mia pietà, rinnegate la penitenza che volli venisse praticata nel mio nome dai miei apostoli.

Invano dite di annunziare la penitenza, se non ne ammettete il frutto. Le ricompense, gli utili, ci sono di stimolo al lavoro. Gli uomini sono sollecitati a una qualche attività o dai premi o dai frutti, ed ogni impegno viene meno con la dilazione dei premi e dei frutti. Il Signore, affinché la fede dei discepoli diventasse più ardente in virtù dei profitti immediati, ha detto che chi, abbandonati tutti i propri beni, lo seguisse, riceverebbe "sette volte tanto" nella vita presente e nella futura. Ha promesso "in questa vita" per togliere ogni senso di fastidio che potesse derivare dalla dilazione. Ha aggiunto "nella futura", perché già nella presente tu imparassi a credere che ti sono dovute ricompense in quella a venire. Il provento di beni immediati è garanzia di futuri.

Se, pertanto, chi è reo di colpe esercita la penitenza per amore di Cristo, come può essere ricompensato "in questa vita" se non lo riammettete alla comunione dei fedeli? E' mia volontà che il colpevole nutra speranza nel perdono, lo domandi con le lacrime, lo chieda con i gemiti, lo invochi con il contributo di pianto di tutto il popolo, e scongiuri perché gli sia usata clemenza. Se due, tre volte la sua riammissione non è stata consentita, sia convinto di non avere innalzato suppliche con il dovuto ardore. Versi lacrime più copiose, si ripresenti ancora più miserabile nell'aspetto, abbracci i piedi, li lavi con il pianto, non se ne distacchi, finché Gesù dica di lui: "Gli sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato".

Ho conosciuto persone che nell'esercitare la penitenza hanno scavato il volto con le lacrime, solcato le guance con il pianto irrefrenabile, disteso a terra il corpo perché tutti lo calpestassero. Con il volto scarno e pallido per il digiuno hanno rivelato fattezze di morte in un corpo ancora vivo.

Capitolo 17

Attendiamo forse che essi da morti ottengano il perdono, se già da vivi hanno rinunziato alla vita? L'Apostolo dice: "Per quel tale è già sufficiente il castigo che gli è venuto dai più, cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo perché egli non soccomba a eccessiva tristezza". Come "il castigo che gli è venuto dai più" è sufficiente alla punizione, così la preghiera innalzata dai più lo è al perdono. Il Maestro di spiritualità, consapevole della nostra debolezza e interprete della bontà divina, esige che si rimetta il peccato. Vuole che si presti opera di conforto, affinché il penitente non soccomba a tristezza per la stanchezza cagionatagli da un lungo rinvio.

L'Apostolo ha , perciò, concesso il perdono. Né soltanto lo ha elargito, ma ha voluto che l'amore di carità verso il peccatore fosse più intenso ancora. Chi è caro a Dio non è spietato, ma mite. Né si è limitato a perdonare, bensì ha voluto che tutti lo imitassero. Ha detto che è stato misericordioso per amore del prossimo, perché molti non si rattristassero per una sola persona: "A chi voi avete perdonato, perdono anche io, e lo faccio per voi davanti a Cristo, perché non cadiamo in balia di Satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni". Con accortezza gira alla larga dal serpente chi è consapevole dei suoi tranelli infiniti ed esiziali. Il demonio non trama che il male. Ci è sempre intorno per cagionare morte. Dobbiamo, perciò, stare all'erta, perché quello che dovrebbe essere per noi il farmaco non diventi per lui materia di trionfo. Faremmo il suo gioco, se chi potesse salvarsi mediante il perdono, dovesse dannarsi a causa dell'afflizione eccessiva.

Perché fosse poi chiaro che allude al peccatore che ha ricevuto il battesimo, ha aggiunto: "Vi ho scritto nella lettera di non mescolarvi con gli impudichi di questo mondo". E più avanti: "Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello ed è impudico o avaro o idolatra". I rei che aveva stretti al medesimo giogo in vista del castigo, ha voluto che lo fossero anche al fine di ottenere il perdono. Aggiunge: "Con questi tali non dovete neanche mangiare insieme". Quanta severità nei riguardi degli ostinati, eppure quanta benevolenza verso coloro che pregano! Contro gli uni si leva in armi giacché Cristo è stato offeso, a favore degli altri invoca il soccorso del Signore.

Ma sta scritto: "Ho dato questo individuo in balia di Satana per la morte della sua carne". Qualcuno, pertanto, potrebbe turbarsi e domandare: "Come può avere ottenuto il perdono, se la carne è morta del tutto? Non è forse chiaro che l'uomo redento sia nel corpo che nell'anima è anche salvato sia nell'uno che nell'altra? Possono, di conseguenza, l'anima senza il corpo, o il corpo senza l'anima, indissolubilmente legati come sono nell'azione, nell'opera, essere partecipi del castigo o del premio?". Si risponda che nel passo in esame "morte" non significa totale annientamento, bensì castigo della carne. Chi è morto al peccato vive in Dio. Le lusinghe, perciò, della carne cessano. Essa muore ai desideri per rinascere alla castità e alle opere sante.

Quale esempio migliore di quello che ci offre la madre di tutti? La terra, dal cui grembo siamo tratti, se interrompiamo l'assiduo lavoro dei campi, appare squallida, muore quasi ai vigneti, agli oliveti in essa piantati. Non perde, tuttavia, la linfa vitale, quella che potremmo dire la sua anima. In seguito, infatti, se riprendiamo a coltivarla e gettiamo i semi che maggiormente si adattano alla natura del terreno, risorge, dando frutti più rigogliosi. Non deve, dunque, sembrare strano se è detto che la nostra carne muore. Dobbiamo, cioè, intendere che non ha per sempre cessato di vivere, ma è stata repressa la sua inclinazione al peccato.