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CAPITOLO IV. - LA CHIESA E LA SINAGOGA

La visuale missionaria c'invita a dire alcune parole su questo tema a modo d'appendice. Sappiamo che la religione giudaica era una preparazione al Vangelo, ma la grande maggioranza della sinagoga non volle riceverlo e, d'altra parte, alcuni cristiani eretici, come Marcione, non vollero riconoscersi dipendenti da essa. Le relazioni posteriori tra la Chiesa e la sinagoga furono trattate da San Paolo come un grande mistero nei capitoli 9-11 della lettera ai Romani. La conversione d'Israele, popolo che rimane eletto, è assicurata da Dio, contrariamente a quello che dicevamo sulla certezza della riunione delle Chiese, e avrà una importanza escatologica decisiva.

Benché la Rivelazione ci dica più riguardo a questo punto missionario che riguardo ad altri, tuttavia le attività missionarie delle Chiese cristiane verso la sinagoga non sono sviluppate. Da parte cattolica ricordiamo l'Associazione degli amici d'Israele, che alle autorità ecclesiastiche è parsa un po' avventata e nel 1928 venne censurata da un documento del Sant'Uffizio. Da qualche tempo va sorgendo negli ambienti cattolici specialmente francesi (Péguy, Bloy, Claudel, Maritain, Bonsirven, Erik Peterson, Rene Schwob, Jean de Menasce, Daniélou) un certo interesse per i problemi giudaici.

Invece negli ambienti protestanti anglosassoni le missioni verso i giudei sono più numerose; attualmente c'è la tendenza a unirle al Movimento ecumenico, e uno specialista in materia, il dottor James Parkes, nel 1944 scrisse in un articolo: A Christian looks at thè Chrìstian Mission to Jews (Theology, 1944, t. 41), dove preconizza l'applicazione del metodo ecumenico in questo campo. In Inghilterra, da parte anglicana ci sono tentativi di comunità giudeo-cristiane, munite di liturgia speciale. Infine segnaliamo, riconoscenti per l'aiuto che ne abbiamo ricevuto nella redazione di questa nota, l'esistenza a Londra del Christian Institute of Jewish Studies, l'antico Institutum judaicum delitzchianum di Lipsia, che pubblica un bollettino.