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Tuttavia certi aspetti del problema k scienze e Bibbia a restano ancora attuali, perché le obiezioni, come le leggende, hanno la vita resistente; per classificarle secondo la loro importanza, distinguiamo:

l.o le obiezioni desunte da certe constatazioni della Bibbia che hanno parvenza di affermazioni scientifiche, ma che sono erronee di fatto;
2.o quelle desunte dalla pretesa ignoranza dei Libri santi riguardo al meccanismo della natura, all'esistenza e al funzionamento delle leggi dette naturali;
3.o infine e soprattutto quelle provenienti dalla pretesa sintesi scientifica dei Libri santi, dalla cosmologia biblica, cioè dalle speculazioni degli autori sacri sulla costituzione, origine e destino dell'universo.

§ 1. - I pretesi dati scientifici erronei della Bibbia.

Un buon numero d'esegeti razionalisti si diverte a ripetere gli errori scientifici di cui, secondo loro, la Bibbia è piena. A titolo d'esempio ne indichiamo tre fra i più noti: II Levitico (11, 6) pone la lepre tra i ruminanti; il libro di Giosuè (10, 13) dice che il sole gira attorno alla terra, e quello di Giobbe (89, 14) afferma che lo struzzo abbandona le uova affidandole al calore della sabbia.

Risposta. - Ci fanno sorridere tanto le difficoltà quanto le sottili risposte che un tempo ne davano i difensori della verità biblica. Nei tre casi citati, e negli altri simili, gli autori ispirati non hanno affatto l'intenzione d'impartirci una lezione di scienze naturali, ma di descrivere i fenomeni della natura, cioè del regno vegetale e animale, della vita umana, del mondo fisico e dell'universo astronomico secondo le apparenze sensibili, come già diceva l'enciclica leonina Providentissimus. Cosi facendo non s'ingannarono essi, né inducono i lettori in errore.

Il ricorso alle apparenze sensibili non risolve tutte le difficoltà, poiché in certi passi dei libri sacri gli agiografi s'esprimono non precisamente partendo dai dati concreti e sensibili dell'esperienza, ma dai dati scientifici del tempo, dati che la loro opera presuppone esprimendosi in funzione di essi e a prima vista pare accettarli e confermarli. Tutto l'Antico Testamento, dalla Genesi ai Maccabei, presuppone la stessa visione dell'universo, comune nel mondo antico; qui non si tratta più di adattamento alle apparenze, ma si tratta necessariamente di nozioni soggettive, basate sopra un'inesatta osservazione e soprattutto sopra una differente interpretazione dei fenomeni osservati.

(2) II Mamtel d'Études bibliques di Lusseau et Collomb, dei quali è nota la prudenza, pone come tesi (voi. I, Téqui, Parigi 1936, p. 176) : "La verità d'un'affermazionebiblica si misura generalmente in dipendenza dal genere letterario al quale appartiene ".

Specialmente in apologetica, se negassimo la serietà della difficoltà avremmo torto; ma, per avere una vera difficoltà, anche qui dovremmo poter provare che l'agiografo fa sue le concezioni scientifiche erronee del suo ambiente, fino a insegnarle formalmente, od anche soltanto a insinuarle. Però a me pare che fino a questo punto non si arrivi. Gli agiografi presuppongono semplicemente le nozioni scientifiche; senza integrarle alla materia formale dei loro giudizi. Infatti ogni qual volta esse si trovano in opere d'indole storica il caso è chiaro; l'autore le prende dalla cultura del suo tempo, senza però pronunciarsi sul loro valore e senza pensare d'inculcarle, ma esprimendosi come facevano comunemente gli uomini contemporanei. L'enciclica leonina dice molto sensatamente: Sicut communis sermo per ea ferebat tempora.

A più forte ragione ciò avviene nei libri poetici il cui genere letterario esclude quasi completamente il disegno d'insegnare freddamente: nella maggior parte dei casi, i poeti si servono di nozioni pseudoscientifiche solo per trame stimolo alla loro immaginazione creatrice, o almeno per avere un punto di partenza. Maggior difficoltà può sorgere dai libri didattici, ma, a bene considerarli, essi espongono una saggezza che consiste soprattutto, se non unicamente, in una norma di vita morale e religiosa, e non si può affatto provare che intendano insegnare le scienze.

È chiaro che in queste condizioni si è a mal partito quando si vuole sfruttare contro la veracità dei libri sacri i pochi elementi della scienza imperfetta che si vuole imputare ad essi, mentre essi altro non sono che le briciole d'una cultura generale profana, posseduta dagli agiografi prima della loro vocazione. Il carisma dell'ispirazione non soppresse in loro tale scienza, né la sostituì con altre nozioni cadute, per così dire, già bell'e fatte dal cielo e suggerite allo spirito degli agiografi senza verun legame col tempo e con lo spazio. Una tale supposizione urta contro le vedute della psicologia ed è anche contro le vie ordinarie della Provvidenza, che per realizzare i suoi disegni si serve delle cause seconde. Inoltre, se la Provvidenza avesse agito diversamente, sarebbe andata contro la natura che è propria dei libri sacri, i quali sono un messaggio rivolto prima di tutto ai contemporanei degli autori ispirati. Quindi la luce divina penetrò l'intelligenza degli agiografi attraverso gli elementi della cultura profana dell'epoca in cui vissero, elementi che in certo modo furono una specie di velo, che temperò e filtrò lo splendore di questa luce abbagliante per troppi. Insomma, l'esegesi cattolica veglierà per non confondere i contorni pseudoscientifici, tacitamente supposti dagli agiografi, con l'insegnamento inculcato da essi, cadendo in una specie di confusione tanto grossolana che, diremo con una frase dello Zohar, significherebbe confondere il vino col barile che lo contiene.