00 25/02/2014 23:28
10. La presa di Gerico per opera di Giosuè. - II racconto della presa di Gerico è una delle più belle narrazioni del libro di Giosuè, ma gli scavi eseguiti sul luogo, dove sorgeva l'antica città cananea, mettono in dubbio la storicità del miracolo fatto da Dio su richiesta del conquistatore ebraico.

I dubbi vennero formulati per la prima volta dopo gli scavi iniziati da Ernst Sellin nel 1908-1909. Com'è noto, l'esploratore tedesco esumò una doppia cerchia di mura, costruite sopra il piano d'un ovale con la punta a sud. La parte orientale delle mura era certamente scomparsa, ma Sellin pensa che la demolizione di questa sezione dei bastioni risalga all'epoca bizantina. Dagli scavi pare quindi risultare che le trombe dell'esercito vittorioso di Giosuè non fecero crollare le mura della città cananea.

Che cosa pensare di questa difficoltà?

È un fatto che la storia della città di Gerico, come dovrebb'essere descritta dopo gli scavi, appare sempre più complicata; dopo le ultime ricerche per opera di Garstang, sorsero nuove difficoltà, ma io credo che non impediscano d'inserire nella storia archeologica della città una caduta delle mura, sopraggiunta per esempio a causa d'un terremoto.

(21) E. Ruffini, Chrtmologìa V. et JV. Testamenti in aeram nostram collata, Roma 1924, P- 37
(22) Bruges Bayaert 1936.

In attesa che si conosca meglio la storia archeologica di Gerico, pare che si possa segnalare l'ingegnosa interpretazione del libro 6 di Giosuè data dal can. Van Hoonacker, secondo il quale il testo ebraico attesterebbe non la caduta delle mura della città, ma la caduta delle truppe della guarnigione, e parecchi elementi del racconto appoggiano quest'interpretazione (23).

11. II miracolo compiuto da Giosuè nella valle di Gabaon. - Ormai nessuno, che abbia capito le spiegazioni date sopra sulla Bibbia e le scienze naturali, prenderà sul serio l'obiezione dei vecchi razionalisti che accusavano la Bibbia, Giosuè e lo Spirito Santo d'essere in contraddizione con le teorie astronomiche di Galileo. Rimane però la difficoltà: un miracolo grandioso: terra che si arresta e quindi arresto del moto degli altri corpi celesti, il che sembra sproporzionato con il fine relativamente modesto che si proponeva la Provvidenza, e cioè la disfatta d'una banda armata di Cananei.

È noto come il can. Van Hoonacker, sviluppando ingegnosamente le congetture di alcuni autori anglicani e cattolici, girò la difficoltà dicendo che il testo, il quale parla dell'arresto del sole, non si dovrebbe intendere come un arresto del moto, ma dello splendore. Dal punto di vista filologico e letterario la spiegazione è plausibile, né vi si oppone l'inerranza biblica (24).

12. Le storie di Sansone, Tobia e Giona. . Vogliamo segnalare questi tre cicli di narrazione perché sono tra le più difficili a spiegarsi, e perché da tempo quasi immemorabile hanno offerto agli esegeti indipendenti materia a molteplici obiezioni.

a) Sansone. " Prima di Samuele e di Saul non c'è personaggio cui l'antica storia giudaica dedichi più attenzione che a Sansone, della tribù di Dan " (25). La sua leggenda, aggiunge Loisy (26), è meravigliosa, ma la storia ne ritiene ben poco, trattandosi soprattutto d'un eroe leggendario.

Risposta. - La storia delle gesta di Sansone non è affatto banale e ne] 1903 il P. Lagrange ne dava questo giudizio: " La cornice storica è perfettamente determinata e nulla autorizza a dubitare della lotta che l'eroe danita sostenne contro i suoi nemici. Dallo stesso testo pare risulti chiaramente che la verve popolare si esercitò a proposilo di Sansone " (27). Nel 1935 L. Dennefeld riprende l'ultima frase, la corrobora con l'autorità di Lesètre, Zapletal, Desnoy-ers e Feldmann, ma esita a farla totalmente propria (28). Qualunque sia il senso generale della storia, le tradizioni riguardo alla capigliatura di Sansone (Hum-melauer diceva che questa è la cosa più stupefacente nella vita dell'eroe danita) sono bene spiegate dal commento del P. Lagrange: ali portare la capigliatura intatta indicava la consecrazione perpetua a Jahvé, probabilmente in vista di combattimenti. A questa consecrazione esteriore Jahvé rispondeva dando all'eroe una forza straordinaria " (p. 262).

(23) Si legga in J. Coppens, Le chanoine Albin Van Hoonacker, pp. ao-30 l'esposizione degli aigomenti del professore di Lovanio, la cui ipotesi è stata recentemente ripresa e ap poggiata in parte su nuove considerazioni dal R. P. Tournay, A propos des Murailles di Jérìcho, in Vivre et Penser (Restie Biblique 1940-1945), 3 serie, 1945, pp. 304-306.
(24)Si legga l'esposizione dell'ipotesi e delle prove di sostegno in J. Coppens, Li chanoine Albin Van Hoonacker pp. 30-32. - F. Ceotpens, O. P., (Lemirade de Josué, in Eluda religieuses, n. 448,1-24, Liegi, La Pensée Catholique, 1944) propose di modificare l'ipotesi di Van Hoonacker, basandosi sulla descrizione d'una pioggia di meteoriti caduta in Siberia nel 1908, e pubblicata nel 1930 e 1934, volendo sostituire i meteoriti alla grandine e spiegare il prolungarsi del giorno per analogia con la luminosità anormale osservata la sera e la notte successiva alla pioggia dei meteoriti. Da parte nostra non vediamo come si possa trarre molto profitto da questa congettura.
(25) M. Vernes, Précis d'hisloire juive Parigi, 1889, p. 233.
(26) A. Loisy, La religion d'Jsrael, 3 ed., Parigi 1933, p. 83.
(27) Le Lime des Juges, in Études bibliques, Parigi 1923, p. 258.
(28) Hisioire d'Israel et de l'Ancìen Orìent, Parigi 1935.

b) Il libro di Tobia. - Le linee generali della storia narrata dal libro di Tobia non suscitano difficoltà insormontabili. I fatti poterono accadere in Assiria nella cornice degli eventi successivi alla deportazione degli abitanti di Samaria (722 a. C. ); né obiezioni molto gravi si possono trarre dal fatto che dell'Assiria l'autore sembra ignorare la geografia (si dice che confonda la città di Ecbatana nella Media con quella di Ragès, costruita da Seleuco I, e che colloca Ninìve sulla sponda occidentale del Tigri), come pure la storia (ignora Sargon e quindi attribuisce la presa di Samaria a Salmanasar, cui attribuisce come figlio Sennacherib). In pratica, di fronte a una tradizione manoscritta molto incerta, è impossibile discutere tali particolari. Così, ad es., riguardo alla crux interpreium Tb 3,7 : " In Rages civitate Medorum " lo studio dei manoscritti della Volgata ha dimostrato che questo dato mancava in parecchi testimoni importanti: il Cod. Amiatinus e Toletanus, la Bibbia di Huesca, ecc Le difficoltà più serie riguardano la demonologia che l'autore sacro pare inculcare. Io credo che il miglior studio cattolico pubblicato sulla questione sia il commento del P. M. M. Schumpp, O. P., Dos Buch Tobias ubersetzet una erklàrt (Munster in West., 1933), secondo il quale l'agiografo non intende insegnare formalmente la sua demonologia, ma la prende dalle credenze popolari del suo tempo e la presuppone, e in ordine ad esse, per combattere il terrore popolare riguardo agli spiriti, insegna l'onnipotenza di Dio e la fiducia che i fedeli devono avere in lui.

Oltre la demonologia bisogna anche segnalare, in quanto offrono il fianco alla critica, i riti usati per guarire, che il libro di Tobia presenta come rivelati dall'arcangelo Raffaele (6,5): a Sventra questo pesce e conservane il cuore, il fegato e il fiele, perché sono usati come rimedi utili ". Infatti Tobia gettò il cuore e il fegato nel fuoco per cacciare i demoni (6,8-19) e il fiele servi per ungere e guarire gli occhi d'un cieco (6,9; 11,13). Queste pratiche sono certamente bizzarre e molti esegeti non cattolici non esitano a classificarle tra i riti magici.

Ammettiamo la difficoltà d'interpretare simili testi oscuri. Nel commento citato il P. Schumpp utilizza meglio che può le spiegazioni dei commentatori credenti e nota due fatti: da una parte le pratiche descritte esternamente s'avvicinano a certi riti della magia, degli esorcismi, della medicina popolare in uso nell'Oriente antico; dall'altra parte il sacro autore evita ogni nozione magica attribuendo la guarigione e quindi l'efficacia dei rimedi unicamente a Dio.

È possibile conciliare questi due dati? Il P. Schumpp crede di si. L'angelo s'appropriò d'un rimedio popolare, che comunemente era interpretato come un rito d'esorcismo, per far più facilmente comprendere che si trattava di combattere realmente un influsso demoniaco; d'altronde mettendolo al servizio dell'onnipotenza divina intendeva spogliarlo di qualsiasi riferimento all'errore. Tanto più legittimamente il Signore poteva servirsi dei riti della medicina o della superstizione popolare quanto più, usandoli, mostrava che solo la potenza divina poteva rendere efficaci pratiche le quali, nonostante le credenze popolari, generalmente si rivelavano del tutto inefficaci.

Se queste spiegazioni sembrano troppo artificiali, si ricorra all'ipotesi di un genere letterario popolare, infrastorico, soluzione che per i libri di Giuditta, Ester e Tobia venne adottata da J. Fischer nella Theologische Revue, 1929, p. 350, che è convinto esservi le gravi ragioni volute dalla Commissione biblica e crede che in questo caso siano realizzate. La maggioranza degli esegeti cattolici esita a far propria questa soluzione, di fronte alla quale solo gli esegeti tedeschi (cfr. J. Fischer, H. Junker e altri) si dimostrano più progressisti.

c) La storia di Giona. - Questa storia con le difficoltà che provoca non ci deve intrattenere a lungo. La spiegazione di Van Hoonacker, che propone di non trattare la profezia di Giona come un libro storico, sopprime tutte le difficoltà (29). Certamente non tutta l'esegesi cattolica segue quest'ipotesi ma, secondo autori seri e indiscutibilmente ortodossi, questa spiegazione è accordabile con i principi cattolici dell'ispirazione e i dati della tradizione, e basta questo perché l'apologetica possa continuare ad appellarsi al commento del professore di Lovanio.

13. Il libro di Daniele. - In un esame delle principali difficoltà storiche sollevate contro l'Antico Testamento, non possiamo omettere quelle desunte dal libro di Daniele riguardo alla follia di Nabuchodonosor, alla pretesa successione di Baltasar e all'identificazione di Dario il Medo.

a) La follia di Nabuchodonosor. - II quarto capitolo di Daniele (w. 25-34) racconta che il re Nabuchodonosor fu colpito dalla follia e che visse in questo stato per sette " tempi " o anni. Ora i documenti babilonesi non alludono affatto a questa malattia del re; anzi, riferiscono che, l'ultimo re di Babilonia, Nabonide, venne relegato nell'oasi di Tema, probabilmente l'anno settimo del suo regno, verso il 548. Secondo parecchie fonti la causa del soggiorno misterioso di Nabonide a Tema fu una malattia, e il quarto capitolo di Daniele si riferirebbe proprio a questo fatto (cfr. E. Dhorme, J. G6ttesberger). Cosi stando le cose, la Bibbia attribuirebbe a Nabuchodonosor un fatto che si deve riferire al suo successore.

Risposta. - Alcuni esegeti cattolici credono senz'altro che Dn. 4, 25-34 si riferisca realmente a Nabonide, uno dei successori di Nabuchodonosor, come per esempio J. Gottesberger, Das Buch Daniel (Bonn, 1928). Essi osservano tuttavia che non si tratta d'un errore biblico, ma d'un'alterazione del testo primitivo, essendo il testo del libro di Daniele incerto in molte parti e sembrando molto.rimaneggiato. È quindi possibile che in Dn. 4, 25-34 e anche altrovt (Dn. 5, 1-2) un copista abbia sostituito il nome di Nabuchodonosor a quello di Nabonide, ignorato quasi completamente (cfr. Hommel, Rieseler).

b) Baltasar, re dei Caldei. - II capitolo quinto di Daniele ricorda Baltasar come figlio di Nabuchodonosor e ultimo re di Babilonia, che avrebbe regnato almeno tre anni (Dn. 7, 1-2; 8,1) e col suo regno sarebbe finito l'impero babilonese. Ma il fatto è che fu dimostrata la seguente successione dei re babilone si: Nabuchodonosor (605-562), Amil-Marduk o Evilmerodach (561-559), Nir-galsarussur (559-556), Labasi-Marduk (556), Nabonide (555-539), che ebbe un figlio di nome Baltasar, ma nulla prova che sia salito al potere.

(29) A. Van Hoonacker, Les dotta petìts prophìts, in Études bibliques, Parigi 1908,

Risposta. - Bisogna ammettere che il racconto biblico suppone una situazione confusa, ma che molte difficoltà si chiariscono se, con Rieseler, s'ammette (e J. Gottesberger non rifiuta alla congettura una certa verosimiglianza) che anche in Dn. V a Nabuchodonosor bisogna sostituire il nome di Nabonide, e questa ci sembra la migliore soluzione, fintanto che la documentazione assiro-babilonese non abbia apportato maggior luce.