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IL CORPO PROTEGGE LA MIA INTIMITA' E MANIFESTA LA MIA IDENTITA'

Il corpo costituisce l'espressione dell'anima, la sua manifestazione, il suo linguaggio. Un sorriso o un ghigno, uno sguardo dolce o un cipiglio, tic involontari, frasi incontrollate, tono di voce: sono tutti segni del mio animo che si sottraggono al mio controllo e mi tradiscono!

Eppure non viene mai colmata una distanza che certamente esiste fra il mio corpo e la mia anima. Nel corpo non mi posso riconoscere pienamente. Fra corpo e anima intercorre un rapporto instabile e, conseguentemente, ambiguo. Se, da una parte, il corpo è il luogo in cui mi esprimo, dall'altra è il diaframma che m'impedisce di darmi completamente, che mi limita. Mentre mi proietta verso il mondo esterno, mi barrica anche in un universo interiore. Ci sono persone talmente a disagio nella loro pelle che considerano il loro corpo come una palla di piombo per i loro slanci, un muro innalzato fra loro e gli altri. Lo stesso volto, quando si trasforma in una maschera, può diventare momento d'inganno!

Insomma, il corpo mi può essere opacità e apertura, poiché mimetizza la mia intimità pur mostrando la mia identità; è me stesso, è qualcuno, pur rimanendo sempre qualcosa. Me ne accorgo nel dolore fisico che può rendermi prigioniero del corpo. Allora il corpo diventa una specie di camera di tortura in cui mi trovo rinchiuso; si sa che la sofferenza corporale può anche distruggere se lo spirito non riesce ad accettarla.

Il corpo, poi, è unico quanto l'anima. Cambiare corpo significherebbe diventare un altro essere. L'anima individualizza il corpo, mi correggo, lo personalizza, il che è tutt'altra cosa. Inoltre, il modo con cui uso il mio corpo mi può rendere un oggetto o personalizzare. In una parola, io faccio il mio corpo e il Mio Corpo Mi fa .

Non mi è stato dato un corpo prefabbricato. Io lo creo col passar del tempo. Se il corpo è il linguaggio dell'anima dobbiamo anche dire che l'anima plasma progressivamente il corpo a propria immagine. L'una e l'altro crescono assieme, portando ciascuno l'insostituibile contributo a questa crescita.

Un cuore tranquillo è la vita di tutto il corpo... "Un cuore lieto rende ilare il volto... " (Pr 15,13; cfr. Pr 14,30).

VOLTO E MANI, SPECCHIO DEL CUORE

Per quale ragione la carta d'identità porta la fotografia del viso (a volte anche le impronte digitali), e non, ad esempio, quella della spalla o del ginocchio?

Perché volto e mani sono le sole membra che rispecchiano veramente la persona, le sole in cui mi tradisco, con cui mi dono, le sole che fanno intravedere (certo, solamente intravedere: ma è già molto!) chi io sia e quale sia il mio cuore in profondità.

Le altre membra, invece, non dicono niente di tutto questo. Appartengono alla specie e, conseguentemente, sono avvolte in una sorta d'anonimato, hanno qualcosa d'impersonale. Ad eccezione di qualche piccolo particolare morfologico, sono le stesse per tutti gli esseri umani. Per questo esiste una vergogna naturale della nudità: ed è la paura d'essere visto in parti del corpo diverse da quelle in cui mi rivelo di più, di essere osservato non nel mio sguardo dove mi do e mi comunico; paura d'essere degradato a oggetto e, di conseguenza, alienato. La triste constatazione: "ed essi videro che erano nudi" (cfr .Gen 3,7), vuol significare: essi non riuscirono più a guardarsi.

Non ci si vergogna di quanto ci è estraneo. Ma allora, se ti vergogni della nudità del tuo corpo, vuol dire che questo corpo è te stesso, il mio corpo è quanto scopro sotto lo sguardo dell'altro. Il pudore, appunto, fa si che io sia guardato nel volto e non nel sesso, che sia, insomma, veramente guardato. Per questo, volto e mani sono le uniche membra del corpo che, normalmente, non sono nascoste dall'abbigliamento. Mani e volto sono privilegiati dal cristianesimo e trascurati dall'induismo.

I gesti liturgici cristiani sono incentrati sull'atteggiamento delle braccia e delle mani , mentre le posizioni dell' Hata-Yoga si basano sulle gambe, il bacino e la colonna vertebrale. Budda tiene le mani davanti al sesso, mentre la croce le fa spalancare al Cristo. Ma per cogliere meglio la radicale differenza tra la concezione cristiana dell'uomo e quella delle religioni orientali, ci basti mettere a confronto il volto etereo, impassibile di Budda e quello, offerto agli altri fino a risultarne sfigurato, della Sindone di Torino.

Una maschera perfetta da una parte, con ogni debolezza accuratamente nascosta; un volto adorabile dall'altra, con le sue ferite accettate e offerte. Impassibilità raggiunta, vulnerabilità accolta; un'asettica serenità, una martoriata bellezza; un silenzio ermetico, un'interiorità resa accessibile dalle stesse ferite. Assenza nell'uno, Presenza nell'altro: insomma, due mondi diversi. Se poi penso che in tutto il mondo, fra quattro miliardi d'uomini viventi, nessuno ha gli esatti lineamenti del mio volto, l'intonazione della mia voce, le sfumature del mio sguardo, ne rimango stupefatto. E lo stupore prende accenti di commozione se penso che, fra i miliardi e miliardi d'uomini esistiti o che esisteranno, nessuno ha mai avuto né avrà un volto identico al mio, perché nessuno mai ebbe o avrà il mio cuore.