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Il giudizio di Tillmann è troppo assoluto. Scrivendo il suo vangelo Matteo usava l'espressione Figlio di Dio in senso metafisico e forse opponeva le due espressioni: Figlio dell'uomo e Figlio di Dio. È questo un dato iniziale, da cui non ci si deve allontanare; ma egli attribuisce la chiara visione di questo a Pietro nel momento della confessione?
Il P. Lagrange dice molto esattamente che Pietro proclama la divinità " con la chiarezza che gli era possibile ", perché per lui Gesù non è un uomo come un altro, ha rapporti unici con Dio, di cui si dice " il Figlio " in un modo diverso da quello di tutti gli uomini; è dotato di una potenza miracolosa, di un potere spirituale straordinario; è il messia che col suo carattere speciale compensa la mancanza di regalità temporale sempre sperata.
Le folle non comprendono o fraintendono la natura d'una personalità tanto complessa; gli apostoli non arrivano fino in fondo al mistero che solo il Padre può rivelare e chi riceve tale comunicazione è beato; su di lui poggerà l'edificio contro il quale gli assalti dell'inferno non prevarranno mai.
C'è un termine solo per tradurre la trascendenza, la singolarità, l'appartenenza del Messia a Dio: egli è "Figlio di Dio". Più tardi lo Spirito scoprirà la profondità della rivelazione del Padre; intanto nei Dodici, assieme alla fede incrollabile nella messianità, scende il segreto dell'intima natura del Maestro. Il ricordo del grido spontaneo di Pietro e il ricordo dell'approvazione di Gesù rimarranno negli apostoli come un primo raggio proveniente da Dio, che poi irradierà il cristianesimo nascente.