CREDENTI

CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

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    00 03/01/2017 09:08

    San Luciano di Lentini Vescovo

    3 gennaio




    Martirologio Romano: A Lentini in Sicilia, san Luciano, vescovo.

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    00 04/01/2017 09:36

    Santi Ermete e Caio Martiri

    4 gennaio




    Martirologio Romano: Nella Mesia, nelle odierne terre comprese tra Romania e Bulgaria, santi Ermete e Caio, martiri, uno ad Arčer, l’altro a Vidin.

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    00 05/01/2017 09:27

    Sant' Edoardo III il Confessore Re d'Inghilterra

    5 gennaio


    Oxford, Inghilterra, 1004/1005 - Londra, Inghilterra, 5 gennaio 1066



    Normanno da parte di madre, nel primo periodo la sua vita, visse in esilio in Francia per sfuggire all'invasione danese. Incoronato re d'Inghilterra nel 1043, si trovò a far da mediatore, con grandi difficoltà ed insuccessi, fra i Normanni e i Sassoni. Per spirito di conciliazione, sposò Edith, la figlia colta e intelligente del suo principale avversario politico. Il matrimonio, nonostante inizialmente fosse stato dettato dalla ragion di Stato, fu caratterizzato da un profondo accordo. Mite e generoso, Edoardo lasciò una traccia indelebile nel popolo inglese che lo venerò non solo per alcuni saggi provvedimenti amministrativi ma, principalmente, per la sua bontà, per la carità verso coloro che avevano bisogno e per la santità della sua vita. A lui si deve la restaurazione del monastero di Westminster.

    Patronato: Inghilterra


    Etimologia: Edoardo = che si cura della proprietà, dal tedesco


    Emblema: Corona, Anello


    Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, sant’Edoardo, detto il Confessore: re degli Angli, amatissimo dal suo popolo per la sua grande carità, assicurò la pace al suo regno e promosse con tenacia la comunione con la sede di Roma.



    Ascolta da RadioMaria:





    In Inghilterra ci fu un re che lavorò costantemente per mantenere la pace nei suoi Stati e la comunione con la Chiesa cattolica. Sant’Edoardo, chiamato il Confessore, è stato il più popolare dei re inglesi dell’antichità.
    Tre qualità gli fecero meritare la sua fama di santo: era molto pio, estremamente gentile e amava molto la pace.
    Un autore vissuto all’epoca ci ha lasciato questi dati su di lui:
    * Era un vero uomo di Dio.
    * Viveva come un angelo tra tante occupazioni materiali, e si notava che Dio lo aiutava in tutto.
    * Era così buono che non ha mai umiliato con le sue parole neanche l’ultimo dei suoi servi.
    * Si mostrava particolarmente generoso con i poveri e con gli emigrati, e aiutava molto i monaci.
    * Anche quando era in vacanza o andava a caccia, non si perdeva neanche un giorno la Messa.
    * Era alto, maestoso, dal volto roseo e con i capelli bianchi.
    * La sua sola presenza ispirava affetto e apprezzamento.

    La vita

    Nacque verso il 1003, figlio del re anglosassone Etelredo “l’Indeciso”. Era figlio del terzo matrimonio di Etelredo con la principessa Emma di Normandia.
    Quando nel 1015 il re danese Canuto invase l’Inghilterra, la madre Emma partì subito con Edoardo e suo fratello Alfredo verso la Normandia, dove svilupparono grande familiarità con i normanni e i loro leader.
    Poco dopo la morte del marito Emma tornò in Inghilterra, sposando in seguito Canuto, durante il governo danese in Inghilterra.
    Dopo la morte di Canuto e dei suoi figli, il diritto anglosassone e la nobiltà ecclesiastica invitarono Edoardo, figlio di Emma, a tornare in Inghilterra. Era il 1041. Nel 1042, a circa 40 anni, divenne re.

    Un modello di re

    Per evitare che si ravvivasse il risentimento della nobiltà anglosassone, nel 1045 Sant’Edoardo si unì in matrimonio con Edith, la figlia del conte Godwin, scontento per l’elezione di Edoardo al trono e che con il suo atteggiamento costituiva una minaccia per il suo regno.
    La tradizione dice che Edoardo e la moglie erano persone così ascetiche e dedite a Dio che decisero di vivere insieme come fratello e sorella, per poter così raggiungere la santità. Sant’Edoardo conservò quindi la sua castità.
    Edoardo ebbe dei modi d’agire che lo resero estremamente popolare tra i sudditi e lo trasformarono in un modello per i futuri re.
    La prima cosa che fece assumendo il suo incarico fu sopprimere l’imposta di guerra, che rovinava molta gente.
    Durante il suo lungo regno cercò di vivere nell’armonia più completa con le Camere legislative (che divise in due: Camera di Lord e Camera dei Comuni).
    Si preoccupò sempre di far sì che gran parte delle imposte che venivano raccolte fosse ripartita tra i più bisognosi.

    L’esilio e una promessa

    Quando Edoardo era in esilio in Normandia, promise a Dio che se fosse riuscito a tornare in Inghilterra si sarebbe recato in pellegrinaggio a Roma per offrire una donazione al papa.
    Quando divenne re, raccontò ai suoi collaboratori il giuramento che aveva fatto, ma questi gli dissero: “Il regno è in pace perché tutti vi obbediscono volentieri, ma se compirete un viaggio così lungo scoppierà la guerra civile e il Paese andrà in rovina”.
    Sant’Edoardo decise allora di inviare alcuni ambasciatori a consultare papa San Leone IX, che gli mandò a dire che gli permetteva di cambiare la sua promessa con un’altra: dare ai poveri quello che avrebbe speso per il viaggio e costruire un convento per i religiosi.
    Il re lo fece subito: ripartì tra i poveri tutto quello che aveva risparmiato per compiere il viaggio, e vendendo varie delle sue proprietà costruì un convento per 70 monaci, la famosa Abbazia di Westminster (nome che significa monastero d’Occidente: West = Ovest o Occidente e Minster = monastero). È nella cattedrale che si trova in questo luogo che vengono sepolti i re d’Inghilterra.

    Morte e venerazione

    L’inaugurazione solenne del famoso coro del Monastero di Westminster ebbe luogo il 28 dicembre 1065, ma il re era già gravemente malato e non poté assistere alla cerimonia.
    Morì nel 1066 e venne seppellito nella chiesa dell’Abbazia, restaurata di recente. Non aveva figli, e la lotta per la successione diede origine all’invasione normanna dell’ottobre 1066 e alla battaglia di Hastings. Presto iniziarono i pellegrinaggi sulla sua tomba.
    Nel 1102 il suo corpo venne trovato incorrotto, e il 17 febbraio 1161 papa Alessandro III lo incluse nel catalogo dei santi.
    I resti del re santo vennero trasferiti nell’Abbazia di Westminster con una cerimonia solenne officiata dall’arcivescovo San Tommaso Becket nel 1163. La Chiesa lo ricorda con gioia ogni 13 ottobre.

    Patrono di re, matrimoni difficili e coniugi separati

    La Chiesa cattolica si riferisce a Edoardo il Confessore come al santo patrono dei re, dei matrimoni difficili e dei coniugi separati.
    Dopo il regno di Enrico II, Edoardo venne considerato il santo patrono dell’Inghilterra finché nel 1348 San Giorgio, il cui culto come santo per i soldati arrivò in Inghilterra durante le Crociate, lo sostituì in questo ruolo. Edoardo, tuttavia, continua ad essere il santo patrono della famiglia reale inglese.

    Autore: Roberta Scimplicotti

    Fonte: Aleteia

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    00 06/01/2017 10:45

    San Guido (Guy) di Auxerre Vescovo

    6 gennaio


    Auxerre, secolo X - † 6 gennaio 961

    Etimologia: Guido = istruito, dall'antico tedesco








    Non risulta che abbia avuto nel tempo una festa liturgica, ma alcuni antichissimi documenti gli danno il titolo di santo, inoltre la sua immagine posta nella cappella di S. Sebastiano della cattedrale di Auxerre, reca la dicitura “Beato Guido”.
    L’intero capitolo XLV dei “Gesta episcoparum” della diocesi francese di Auxerre, è dedicato a lui, come vescovo che esercitò l’episcopato dal 933 al 961. Guido o Guy in lingua francese, nacque nella regione di Sens, il padre si chiamava Bosone e la madre Abigail; ancora fanciullo, venne affidato alla chiesa cattedrale di S. Stefano di Auxerre, uniche forme di scuole di rilievo dell’epoca, dove apprese la letteratura e le Sacre Scritture.
    E rimanendo nell’ambiente ecclesiastico, ricevé la tonsura dal vescovo Erifrido (888-910). Da adulto scelse definitivamente la vita religiosa e fu cappellano e consigliere di corte del re Raoul (923-936) e della regina Emma; in seguito divenne arcidiacono, per quel tempo carica molto importante.
    Il 21 aprile 933, quando morì il vescovo in carica Gauderico, gli succedette con il consenso del re, della regina, del clero e del popolo.
    Dovette combattere, durante il suo episcopato, affinché i signori feudali non si appropriassero dei beni delle chiese; restaurò gli edifici sacri, soprattutto la cattedrale; fece costruire una cappella in onore dei santi più venerati nella diocesi di Auxerre; riportò la concordia su questioni pendenti con il suo metropolita, l’arcivescovo di Sens.
    Compose degli inni in onore di s. Giuliano martire e infine concesse una reliquia di s. Ciro alla cattedrale di Nevers. Si disse di lui che “era un pastore che cercava di rendersi utile, piuttosto che comandare”.
    Morì compianto da tutti il 6 gennaio 961.


    Autore: Antonio Borrelli

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    00 07/01/2017 10:39

    San Luciano di Antiochia Martire

    7 gennaio


    sec. III

    Prete dotto e discusso, morì martire a Nicomedia il 7 gennaio 312, durante la persecuzione di Massimino. Esplicò in tutto l'Oriente, con fulcro ad Antiochia, la sua opera esegetica rivelando in ciò una estrema e tormentata esigenza di precisione per i testi della tradizione. La sua «Recensione lucianica» dell'Antico e del Nuovo Testamento era diventata dalla fine del IV secolo in avanti il testo usuale di un gran numero di Chiese. Nel 330 l'imperatore Costantino, per ossequiare la madre Elena, fondò Elenopoli. Qui vi si onorava e continuò a onorarsi nel tempo il corpo del martire San Luciano. Fantasia vuole che per il trasferimento delle reliquie di Luciano da Nicomedia a Elenopoli, la provvidenza si sia servita, via mare, di un delfino miracoloso. Quello che è più certo è che Costantino, poco prima di morire, fu battezzato nel 337 dal vescovo Eusebio nei pressi della tomba di Luciano. Questo Santo, testimone sofferente nella ricerca di Dio, attestò con la presenza della memoria la «conversione» di un impero: soltanto a vicenda terrena pressoché conclusa, l'imperatore Costantino suggellò la nuova fede venerando la madre Elena e assumendo per testimone san Luciano. (Avvenire)

    Etimologia: Luciano = di Lucio, nato nella luce, dal latino


    Emblema: Palma


    Martirologio Romano: A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, passione di san Luciano, sacerdote della Chiesa di Antiochia e martire, che, rinomato per dottrina ed eloquenza, condotto davanti al tribunale, agli ostinati interrogatori accompagnati dalle torture rispondeva intrepido confessando di essere cristiano.



    Ascolta da RadioRai:




    San Luciano, prete dotto e discusso, morì martire a Nicomedia il 7 gennaio 312, durante la persecuzione di Massimino. Esplicò in tutto l'Oriente, con fulcro ad Antiochia, la sua opera esegetica rivelando in ciò una estrema e tormentata esigenza di precisione per i Testi della tradizione. La sua "Recensione lucianica" dell'Antico e del Nuovo Testamento era diventata dalla fine del IV secolo in avanti il testo usuale di un gran numero di Chiese.
    L'opera che rimane fondamentale a tutt'oggi per la conoscenza di Luciano e del suo influsso dottrinale è il saggio di G. Bardy: "Recherches sur Saint Lucien d'Antioche et son école", pubblicato a Parigi nel 1936.
    Nel 330 l'imperatore Costantino, per ossequiare la madre Elena, fondò Elenopoli. Qui vi si onorava e continuò a onorarsi nel tempo il corpo del martire San Luciano. Fantasia vuole che per il trasferimento delle reliquie di Luciano da Nicomedia a Elenopoli, la provvidenza si sia servita, via mare, di un delfino miracoloso.
    Quello che è più certo è che Costantino, poco prima di morire, fu battezzato nel 337 dal vescovo Eusebio nei pressi della tomba di Luciano.
    Tali scarne, frammentarie, tramandate notizie su Luciano sono importanti. Questo Santo, testimone sofferente nella ricerca di Dio, attestò con la presenza della memoria il passaggio, la Pasqua di un impero. Qualche imperatore nei secoli successivi ascoltò (e ancora oggi qualcun altro ascolta) messe per un prezzo politico. Soltanto a vicenda terrena pressoché conclusa, l'imperatore Costantino suggellò la nuova fede venerando la madre Elena e assumendo per testimone San Luciano.


    Autore: Mario Benatti

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    00 08/01/2017 07:23

    Santi Teofilo ed Elladio Martiri

    8 gennaio




    Martirologio Romano: In Libia, santi martiri Teofilo, diacono, e Elladio: si tramanda che, dopo essere stati dilaniati e punti con cocci affilatissimi, furono infine gettati nel fuoco.

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    00 09/01/2017 09:43

    Sant' Eustrazio Abate

    9 gennaio




    Martirologio Romano: Sul monte Olimpo in Bitinia, nell’odierna Turchia, sant’Eustrazio, detto il Taumaturgo, abate del monastero di Abgar.

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    00 10/01/2017 09:31

    San Guglielmo di Bourges Vescovo

    10 gennaio




    Etimologia: Guglielmo = la volontà lo protegge, dal tedesco


    Emblema: Bastone pastorale


    Martirologio Romano: A Bourges in Aquitania, in Francia, san Guglielmo, vescovo, che, ardendo dal desiderio di solitudine e di meditazione, divenne monaco cistercense a Pontigny e quindi abate a Chaâlis; posto, infine, a capo della Chiesa di Bourges, mai tralasciò l’austerità della vita monastica, distinguendosi per la carità verso il clero, i carcerati e i bisognosi.







    GUGLIELMO (lat. Guglielmus, Wilhelmus; fr. Guillaume), vescovo di BOURGES, santo.
    Nacque dai conti di Nevers e fu nipote di Pietro l'Eremita. Educato molto religiosamente, divenne canonico di Soissons poi di Parigi, lasciò quindi il mondo e si ritirò dapprima nel monastero di Grandmont, in seguito si fece cistercense. Fu successivamente abate di Pontigny, di Fontaine-Jean, nella diocesi di Soissons, e infine di Chaalis.
    In questo periodo (settembre 1200) morì l'arcivescovo di Bourges e poiché la designazione del successore dava luogo a contestazioni, fu chiamato, per troncare le divergenze, il vescovo di Parigi, Oddone, il quale, dopo aver pregato il Signore, si rimise alla sorte, che designò Guglielmo.
    Accettata contro voglia questa dignità, il novello pastore si occupò attivamente della sua diocesi dando prova di pietà, di fermezza, di bontà e di umiltà. La sua fama era tale che la nazione francese, all'università di Parigi, lo scelse come protettore.
    Combatté l'eresia degli Albigesi con la predicazione; poi, su istanza di Innocenzo III, esortò alla crociata e si preparò a parteciparvi; ma si ammalò e morí il 10 gennaio 1209.
    I miracoli che si verificarono per sua intercessione portarono alla canonizzazione, fatta da Onorio III, il 17 maggio 1218. Il suo corpo fu denosto in una cassa d'oro e trasferito dietro l'altare maggiore della cattedrale di Bourges, alcune reliquie, donate all'abbazia di Chaalis e alla chiesa di S. Leodegario in Alvernia, vennero dapprima disperse dai calvinisti, in seguito, raccolte dalla popolazione alverniate, e quindi, nel 1793, nuovamente disperse. Gli Ugonotti, a loro volta, avevano bruciato quelle rimaste nella cattedrale di Bourges e gettato le ceneri al vento. Guglielmo è festeggiato il 10 gennaio.


    Autore: Clémence Dupont

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    00 11/01/2017 08:48

    Santa Speciosa di Pavia Vergine

    11 gennaio






    Nella città di Pavia, l'11 gennaio si commemorano unitamente Onorata, Luminosa, Speciosa e Liberata, quattro sante vergini del V secolo che consacrate al Signore diedero in tempi turbolenti, grande prova di fede e carità. Delle sante Speciosa e Liberata, vissute a Pavia nel tempo dell’episcopato di Sant’Epifanio, non abbiamo ulteriori notizie se non la citazione nella storia religiosa di questa antica città dei lori nomi nella lista dei santi antichi e del loro essere esempi di verginale consacrazione e dedizione ai poveri. Le quattro sante vergine vengono ricordate insieme come comune scelta di vita, le loro reliquie si custodiscono parte in Cattedrale e parte nella splendida chiesa di San Francesco.


    Emblema: Giglio









    Si tratta di una vergine vissuta al tempo del santo vescovo Epifanio di Pavia (496) e appartiene ad un gruppo di pie vergini che furono tutte sepolte nella basilica di S. Vincenzo, esse sono s. Liberata, s. Luminosa e s. Onorata, sorella di s. Epifanio, questo fatto portò ad una leggenda che indica le quattro donne tutte sorelle del santo vescovo, in realtà lo era solo s. Onorata.
    Essa fu liberata, insieme alle altre, dalla prigionia dei barbari di Odoacre, per intercessione di s. Epifanio.
    Alcune reliquie si trovano ad Hildesheim dove è solennemente venerata il 18 giugno.

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    00 12/01/2017 10:13

    Sant' Antonio Maria Pucci Sacerdote servita

    12 gennaio


    Poggiole di Vernio, Firenze, 16 aprile 1819 - Viareggio, Lucca, 12 gennaio 1892



    Eustachio Pucci, questo il suo nome di Battesimo, nacque a Poggiole di Vernio in provincia di Firenze il 16 aprile 1819. All’età di 18 anni entrò tra i Servi di Maria della Santissima Annunziata di Firenze assumendo il nome religioso di Antonio Maria. Nel 1843 fece la professione religiosa e dopo qualche mese ricevette l’ordinazione sacerdotale. L’ano seguente fu nominato viceparroco della nuova parrocchia di Sant’Andrea in Viareggio, affidata proprio ai Servi di Maria, e tre anni dopo ne divenne parroco, incarico che contraddistinse il suo ministero per il resto della sua vita, per 48 lunghi anni. Si dedicò instancabilmente alla cura spirituale e materiale dei suoi fedeli, che con affetto presero a chiamarlo “il curatino”. Al tempo stesso fu per 24 anni priore del suo convento di Viareggio e per sette anni Superiore della Provincia Toscana dei Servi di Maria. Precursore delle forme organizzative dell’Azione Cattolica, istituì delle Associazioni per ogni categoria dei suoi parrocchiani: per i giovani la Compagnia di San Luigi e la Congregazione della Dottrina Cristiana, per gli uomini perfezionò la già esistente Alma Compagnia di Maria Santissima Addolorata e per le donne la Congregazione delle Madri Cristiane. Nel 1853 fondò inoltre le Suore Mantellate Serve di Maria per l’educazione delle fanciulle ed istituì il primo ospizio marino per i bambini malati poveri. Introdusse inoltre altre organizzazioni già esistenti, tutte dedite alle opere di carità. Dopo aver prestato soccorso ad un ammalato in una notte fredda e tempestosa, si ammalò egli stesso di una polmonite fulminante che lo condusse brevemente alla morte, avvenuta il 12 gennaio 1892. Sepolto nel cimitero comunale, il corpo del santo “curatino” fu traslato il 18 aprile 1920 nella stessa chiesa di Sant’Andrea dove aveva svolto il suo lunghissimo ministero parrocchiale. Papa Pio XII il 12 giugno 1952 lo proclamò Beato e Giovanni XXIII infine lo canonizzò il 9 dicembre 1962, proponendolo quale esempio fulgido di vita religiosa e di cura delle anime.

    Martirologio Romano: A Viareggio in Toscana, sant’Antonio Maria Pucci, sacerdote dell’Ordine dei Servi di Maria: parroco per circa cinquant’anni, si dedicò in modo particolare alle attività formative e catechetiche e alle opere di carità per i bisognosi.








    Eustachio Pucci, secondo di otto figli, nacque da poveri contadini il 16 aprile 1818 a Poggiolo di Vernio, piccolo villaggio dell'alta Valle del Bisenzio, nella diocesi di Pistola. Siccome suo padre era anche sacrestano, fin da piccino Eustachio imparò a seguirlo in chiesa e a frequentare la canonica, dove Don Luigi Diddi impartiva lezione ai bambini della frazione priva di scuola comunale. Di carattere docile e mite, proclive alla pietà, il Pucci era piuttosto alieno dal far brigata con i suoi coetanei. Dopo la scuola, anziché trastullarsi nei prati, preferiva sedersi accanto alle sorelle e maneggiare con loro la rocca e il fuso. Suo svago preferito era aiutare il babbo nel curare il decoro della chiesa, prendere parte alle funzioni, accostarsi alla Comunione e nutrire una tenera devozione alla SS. Vergine.
    La sua strada quindi non era quella comune. Un giorno, di ritorno dal Santuario di Boccadirio, a dodici chilometri circa da Poggiole, confidò a Don Luigi: "Io sono deciso di abbandonare il mondo e di entrare in convento...Lei non mi abbandoni; continui ad essere il mio sostegno e la mia guida. .. Però le confido di voler entrare in un Ordine che in un modo o in una altro sia consacrato alla Madonna. Voglio dare a lei la mia anima e tutto me stesso". Il cappellano conosceva l'Ordine dei Servi di Maria fondato nel 1233 da sette pii mercanti fiorentini sul Monte Senario. Quando lo volle accompagnare al convento della SS. Annunziata a Firenze (1837) il padre si oppose perché il suo diciottenne figliuolo era già in grado di condividere con lui le fatiche dei campi. Da buon cristiano, però, si arrese ai disegni che Iddio aveva sopra il suo Eustachio.
    Al termine del noviziato Fra’ Pellegrino Romaggi attestò del Pucci: "Non solamente è stato sempre irreprensibile, ma anzi molto edificante, poiché ha sempre dimostrato un carattere docile, schietto e sereno; ha dato molte prove della costante sua ubbidienza, umiltà e soda pietà; come pure ha dimostrato un grande impegno nello studio e nell'adempimento di tutti i suoi doveri, per cui non ho avuto mai occasione di dubitare della sua vocazione allo stato religioso". Il Pucci poté così per cinque anni, continuare gli studi nel convento di Monte Senario, dove nel 1843 fece la professione solenne col nome di Antonio. Lo stesso anno fu ordinato sacerdote a Firenze, nella chiesa di San Salvatore, annessa al palazzo arcivescovile. Oppresso da tanta dignità, inginocchiato ai piedi del Crocifisso esclamò: "Signore, non sono degno! Signore, non sono degno!".
    I superiori nel 1844 mandarono P. Antonio Pucci a Viareggio, in diocesi di Lucca, nel nuovo convento, a disimpegnare le mansioni di viceparroco. Fino all'ultimo giorno di vita egli fu nella parrocchia di Sant'Andrea un miracolo vivente di attività e di risorse apostoliche. Nel 1847, benché non avesse che ventotto anni e non ambisse cariche, le autorità diocesane lo nominarono esaminatore prosinodale, e i superiori dell'Ordine gli affidarono la cura della parrocchia; nel 1859 lo elessero Priore della sua comunità; nel 1883 lo nominarono Priore Provinciale per la Toscana, e quindi Definitore generale.
    Il P. Pucci restò quel che era sempre stato, umile con tutti e fratello dei suoi fratelli ai quali non fece mai sentire il peso della sua autorità, pur sapendoli richiamare alla scrupolosa osservanza delle regole e dei voti, allo spirito di rinuncia e di mortificazione proprio dell'Ordine.
    Il periodo del suo provincialato fu definito il regno della dolcezza, benché nelle visite che regolarmente faceva, riprendesse con santo coraggio quello che riteneva necessario riprendere. Nessuno poteva dolersene perché praticava quanto insegnava ed esigeva.
    L'esercizio della presenza di Dio costituiva per lui quasi un'idea fissa. "È mai possibile - esclamava - che la presenza di un Dio onnipotente, eterno, infinito, che tutto vede e sente, non serva di sprone all'uomo per operare rettamente e tenerlo nel suo dovere e non gli faccia concepire venerazione e rispetto?" Un fratello converso, che visse molti anni con lui, affermò: "Tutte le volte che ebbi occasione, per ragioni del mio ufficio, di entrare nella sua cella lo trovai sempre in preghiera". Certa Rosa Lunardini, entrando nell'Archivio parrocchiale, lo trovò davanti ad un crocifisso addirittura fuori dei sensi. I parrocchiani lo sorpresero in rapimento davanti a Gesù Sacramentato nelle ore in cui di solito il divino Prigioniero è lasciato solo; lo videro assorto in preghiera dinanzi all'altare della Deposizione per tutta la notte fra il Giovedì e il Venerdì Santo; lo ammirarono durante le processioni del Corpus Domini fissare con occhi velati dalle lacrime l'Ostia Santa che portava alta tra le mani; lo contemplarono stupiti sollevarsi un palmo da terra al momento della consacrazione nella Messa, o camminare senza posare i piedi sul suolo mentre si recava a far visita agli infermi. Dal suo volto traspariva inoltre tale candore che, al solo vederlo, i viareggini esclamavano: "Pare un angelo!".
    Per questo i parrocchiani s'entusiasmarono subito di colui che chiamavano "il Curatino" perché, piccolo di statura e di corporatura, anche se non possedeva quelle doti oratorie che fanno colpo sul popolo minuto; se camminava col capo un po’ inclinato a terra; se era scosso da brividi improvvisi e quasi convulsi e aveva una voce inarcatamente nasale motivo per cui la sua Messa si snodava in cantilena monotona. Quando i Servi di Maria giunsero a Viareggio (1841), v'instaurarono il culto alla Madonna Addolorata. Appena "il Curatino" ebbe preso possesso della parrocchia (1847), la pose sotto la protezione di lei e fece della "Compagnia di Maria SS. Addolorata" il suo centro d'azione. Fu tale l'ondata di fede e di devozione da lui suscitata che non si varava più nessuna imbarcazione senza una solenne funzione alla Vergine SS. e la benedizione del P. Pucci.
    A quei tempi la popolazione di Viareggio era costituita in gran parte da pescatori, e non erano pochi i ragazzi che dovevano seguire il babbo sul mare per aiutarlo e imparare il mestiere. Eppure al ritorno delle barche sul far della sera "il Curatino" trovava il modo di andare loro incontro per istruirli nelle verità della fede, radunarli attorno a sé la domenica per prepararli meticolosamente alla prima Comunione, con l'ausilio della "Congregazione della Dottrina Cristiana" da lui fondata nel 1849. Le fanciulle che frequentavano il catechismo, le ragazze da marito bisognose di comprensione e di consiglio, le iscritte al Terz'Ordine dell'Addolorata, furono da lui affidate a Caterina Lenci (+1895), respinta a causa della salute dal convento delle Mantellate di San Niccolò di Lucca. Il P. Pucci con il suo aiuto diede inizio all'Istituto delle Mantellate di Viareggio, che nel 1853 ricevettero la cura di un piccolo ospedale per gli ammalati poveri, e nel 1869 la direzione del grande Ospizio Marino costruito per i bambini affetti da scrofola. Nel 1910 le Mantellate di Viareggio si unirono con quelle di Pistola.
    La prima Comunione dei bambini non rappresentava una meta definitiva per lo zelante pastore, ma solo una tappa nel cammino della vita. Infatti, abile organizzatore qual era, fondò per i giovani la "Congregazione di San Luigi" per avere dei cooperatori che arrivassero dove non poteva arrivare lui. Per mantenere salda la fede nelle famiglie e nella società fondò la "Pia Unione dei Figli di San Giuseppe" con proprio Oratorio. Al patrocinio di San Giuseppe raccomandava gli ammalati della parrocchia, al capezzale dei quali si recava dopo aver pregato a lungo davanti a Gesù Sacramentato, senza aspettare che fossero gravi. Entrava nelle famiglie di tutti, ma preferiva le stamberghe dei poveri nelle quali portava pane e carne, brodo e latte, lenzuola e coperte e persino i materassi, se di questi c'era bisogno. Come religioso non possedeva nulla. Ed allora eccolo una volta dare ad un povero vecchio il suo mantello e ad un altro persino i suoi calzoni. Molti testimoni deposero che "se si potessero contare i denari che in quarantacinque anni passarono per le mani del P. Antonio, ci sarebbe da mettere insieme un vistoso patrimonio".
    "Il Curatino", arso dalla fiamma di carità, senti pure il bisogno di accendere attorno a sé un gran fuoco di amore per i bisognosi. Vero servo e padre dei poveri, volle che nella sua parrocchia sorgesse la "Conferenza di San Vincenzo de' Paoli" conforme alle norme stabilite dal fondatore Federico Ozanam, di cui condivideva perfettamente le idee. Non contento di spronare i congregati al sollievo dei poveri con la parola, li precedette con l'esempio andando di porta in porta a chiedere per gl'indigenti denari, viveri, biancheria, scarpe. I confratelli, vedendolo sovente arrivare ansante, pallido, gli dicevano: "Lei si strapazza troppo! Se va avanti di questo passo morirà presto!" Il Santo rispondeva loro con un filo di voce: "Non è necessario aver vita lunga, ma è necessario approfittare dell'ora che Dio ci dà per fare il proprio dovere".
    Durante il colera 1854-56 non si concesse un attimo di riposo. Passava infaticabilmente da una casa all'altra. Di notte dormiva vestito sopra una branda che aveva fatto mettere in archivio per essere pronto ad ogni chiamata. Quando i colpiti dal morbo cadevano per terra all'improvviso, sulle piazze e per le strade, mentre tutti se la davano a gambe inorriditi il "Curatino" si avvicinava premuroso, se li caricava sulle spalle, vivi o morti che fossero, e li portava al coperto per le cure del caso. "Lei vuoi morire per forza!" gli dicevano. "La morte! - sospirava lui. - Oh! sia la benvenuta se mi sorprenderà sulla breccia e se mi farà cadere nella fossa insieme con il mio fratello!" I viareggini esclamavano allora stupiti: "Se non va in Paradiso lui, non ci va nessuno!" Al suo passaggio anche i massoni, i garibaldini e gli anticlericali si onoravano di fargli tanto di cappello.
    Al tempo in cui il P. Pucci andava conquistandosi il cuore dei parrocchiani con l'esercizio eroico della carità, il Curato d'Ars attirava al suo confessionale moltitudini di penitenti da tutte le parti della Francia. La fama del "Curatino Santo" di Viareggio ebbe una risonanza molto più limitata. Ciò nonostante, specialmente in certe solennità, il suo confessionale era inverosimilmente affollato. La gente lo preferiva agli altri, benché fosse di manica stretta a motivo dell'orrore che provava per il peccato. Sono innumerevoli le anime che egli strappò all'inferno. Era logico che Satana lo odiasse a morte e invogliasse qualche libertino a percuoterlo mentre di notte si recava a confortare i moribondi. A chi lo consigliava di sporgere querela rispondeva: "No, no, io non faccio nomi! Ben altre furono le percosse che ricevette Gesù; e lui non le meritava davvero; mentre io, povero peccatore, merito questo e peggio".
    Il P. Pucci che aveva amore per i nemici, conforto per gli afflitti, pane per gli affamati, aveva sempre anche un dono di pace da offrire alle anime dilaniate dalla discordia o in preda alla disperazione. Quando veniva a sapere che in una famiglia regnava la discordia era lui a non avere più pace. E andava, ascoltava in silenzio, lasciava che le parti in contrasto dicessero ognuna le proprie ragioni e poi faceva risuonare lui la parola giusta che arrivava diritta al cuore.
    All'inizio del 1892 il santo contrasse una polmonite fulminante mentre cantava la messa solenne dell'Epifania. Nel delirio farneticò di infermi da assistere, di poveri da soccorrere, di peccatori da confessare, di fedeli da comunicare. Morì il 12 gennaio 1892. Pio XII lo beatificò il 22 giugno 1952 e Giovanni XXIII lo canonizzò il 9 dicembre 1962, II suo corpo riposa a Viareggio nella chiesa di Sant'Andrea.

    Autore: Guido Pettinati

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    00 13/01/2017 04:17

    San Chentingerno (Kentingern) Vescovo e abate

    13 gennaio


    circa 518 – 603/612

    Martirologio Romano: A Glasgow in Scozia, san Chentigerno, vescovo e abate, che in questa città pose la sua sede e si tramanda che abbia dato vita a una grande comunità monastica secondo il modello della Chiesa delle origini.








    Mentre le notizie storiche su di lui sono quasi inesistenti e si perdono nelle nebbie del tempo che avvolgono le terre gallesi e scozzesi, abbondano invece le narrazioni leggendarie sulla vita di San Kentingern, che veniva chiamato anche “Mungo”, cioè “diletto”. Proprio su questo nome è basata una delle tante leggende: sua madre, la principessa Thaney, venne ingravidata da un uomo sconosciuto ed una volta scoperta fu condannata ad essere gettata, a bordo di un carretto, dalla cima di una rupe.
    Miracolosamente si salvò e, dato alla luce il figlio, lo affidò a San Servano, che gli impose il nome di Mungo. Una volta cresciuto, Kentingern si mostrò desideroso di intraprendere una vita solitaria ed adottò allora lo stile monastico irlandese, stabilendosi infine nella zona dell’odierna Glasgow. Raccolse attorno a sé una nuova comunità e la fama delle sue virtù si diffuse a tal punto che la gente del luogo lo acclamò vescovo. La consacrazione episcopale avvenne per mano di un vescovo irlandese.
    Intraprese la sua attività pastorale nella regione di Strathclyde, ma la turbolenta situazione politica lo costrinse ben presto all’esilio e secondo la tradizione fondò in Galles un grande monastero e fu vescovo di Sant’Asaph. Ritornato poi al nord, trascorse un periodo nel Dumfriesshire, per ritornare infine a Glasgow.
    La leggenda dell’anello e del pesce, simboli raffigurati nel City Arms della città scozzese, narra che la moglie del re Rydderch diede quale pegno d’amore ad un cavaliere un anello regalatole dal consorte. Il sovrano sorprese allora il cavaliere nel sonno e senza svegliarlo gli sfilò l’anello e lo gettò in mare. Chiese poi alla regina di mostrargli l’anello che le aveva donato: essa, presa dal panico, chiamò Kentingern in suo soccorso e questi mandò un frate a pescare. Dentro ad un salmone pescato fu miracolosamente ritrovato l’anello.
    Il santo vescovo incontrò San Colomba ormai in fin di vita e con lui scambio il suo bastone pastorale. Pare che morì verso l’anno 603 o secondo altre versioni nel 612, forse all’età di 85 anni che pare più brobabile di quella di 185 indicata da un biografo. In Scozia ed in altre diocesi vicine San Kentingern è venerato quale protovescovo di Glasgow, forse poichè secondo la tradizione nella cattedrale di tale città sarebbero custodite le sue reliquie.


    Autore: Fabio Arduino

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    00 14/01/2017 08:12

    Santi Monaci del Monte Sinai e d’Egitto Martiri

    14 gennaio




    Molti santi monaci furono uccisi per la loro forte fede in Cristo presso il Monte Sinai ed in Egitto. Alcuni loro nomi sono stati tramandati dalla tradizione, ma non sono esplicitamente riportati dal martirologio, che li commemora oggi in gruppo.

    Martirologio Romano: Commemorazione dei santi monaci che a Raíthu e sul monte Sinai furono uccisi per la loro fede in Cristo.

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    00 15/01/2017 08:21

    San Giovanni Calibita

    15 gennaio


    Sec. V

    Martirologio Romano: A Costantinopoli, san Giovanni Calibíta: secondo la tradizione abitò per qualche tempo in un luogo appartato della casa paterna e poi in un tugurio, chiamato ‘kalýbe’, tutto dedito alla contemplazione e nascosto alla vista degli stessi genitori, dai quali dopo la sua morte fu riconosciuto soltanto grazie a un codice aureo dei Vangeli, che essi gli avevano donato.







    Pur prescindendo dalle numerose versioni nelle diverse lingue orientali, si conservano almeno tre recensioni greche della vita di Giovanni che concordano sufficientemente per riassumere come segue la biografia di questo personaggio assai misterioso che sarebbe vissuto a Costantinopoli nella prima metà del sec. V.
    I genitori, Eutropio, senatore e generale d'esercito, e Teodora, personaggi della più alta aristocrazia bizantina, avevano instradato i due primi figli verso cariche onorifiche. Non riuscirono però nello stesso intento con Giovanni, terzo e ultimo loro figlio, precocissimo d'ingegno e straordinariamente dedito alla pietà. Questi, infatti, dodicenne e alla fine degli studi di retorica, incontrato nella scuola un monaco acemeta diretto a Gerusalemme, al suo ritorno dai luoghi santi, fuggí con lui nel grande monastero degli Acemeti, che si trovava allora sulla riva asiatica del Bosforo, nella località chiamata Ireneo, e che era stato fondato, intorno al 420, dall'egumeno Alessandro a Gomon. Questa comunità aveva raggiunto la sua massima prosperità e celebrità sotto il secondo successore di Alessandro, Marcello, il quale accolse Giovanni La comunità aveva come regola e bandiera il Vangelo, di cui ogni monaco doveva portare sempre con sé una copia. Giovanni se ne era procurata una mentre era ancora a Costantinopoli in attesa che il monaco, col quale doveva fuggire da casa, ritornasse da Gerusalemme. I genitori, ignari dello scopo da cui il figlio era indotto a chiedere il testo evangelico, gliene avevano procurato uno crisografato, miniato e ricoperto d'oro e di pietre preziose che fu proprio quello che procurò al nostro santo l'appellativo di "Possessore dell'Evangelo d'oro".
    Dopo sei anni di perrnanenza nel monastero degli Acemeti, Giovanni lo abbandonò per ubbidire ad una seconda chiamata divina e, scambiati i suoi abiti con quelli di un accattone, ritornò a casa in incognito, vivendo da mendico dinanzi alla porta della casa paterna, sotto gli occhi dei suoi genitori. La madre, irritata alla vista di quello straccione, piú di una volta diede ordine ai servi di scacciarlo, ma il padre si mostrava piú umano e caritatevole. Il sovraintendente alla servitú del palazzo, approfittando dell'umanità del padrone e volendo insieme togliere quell'oggetto di fastidio dagli occhi della padrona, costruí accanto alla porta del palazzo una capanna nella quale il nostro santo visse per tre anni. Di qui gli altri due appellativi di "mendico" e di "calibita", dati a Giovanni nella tradizione. Soltanto tre giorni prima della morte, che presentí, si rivelò mostrando l'Evangelo d'oro.
    Questa scoperta e la santa morte di Giovanni provocarono un enorme mutamento nell'animo dei genitori, i quali trasformarono il loro grande e lussuoso palazzo in uno xenodochio, in cui essi stessi servirono i pellegrini, e al posto della capanna, nella quale il loro santo figlio aveva vissuto per tre anni, eressero una chiesa che esisteva già nel 468 al momento del famoso incendio che distrusse una parte della città imperiale.


    Autore: Giuseppe Caliò



    Fonte:

    Bibliotheca Sanctorum


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    00 16/01/2017 08:48

    San Leobazio Abate

    16 gennaio




    Martirologio Romano: Nei dintorni di Tours nella Gallia lugdunense, nell’odierna Francia, commemorazione di san Leobazio, abate, che, posto dal suo maestro sant’Orso a capo del monastero di Sénevière da poco fondato, perseverò in somma santità fino ad avanzata vecchiaia.

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    00 17/01/2017 09:44

    San Giuliano Saba Eremita

    17 gennaio


    † 377

    Martirologio Romano: Nell’Osroene, nelle terre oggi divise tra Siria e Turchia, commemorazione di san Giuliano, asceta, soprannominato Saba, cioè vecchio; benché avesse rigettato il clamore cittadino, lasciò tuttavia per qualche tempo l’amata solitudine, allo scopo di confondere ad Antiochia i seguaci dell’eresia ariana.







    La figura di San Giuliano Saba si colloca nel complesso periodo della disputa ariana sorta in Oriente. Eremita famoso per il suo grande ascetismo, gli ariani di Antiochia sostenettero che Giuliano aveva abbracciato la loro causa e nel 372 venne allora convocato dagli ortodossi per difendersi dall’accusa rivoltagli. La sua difesa si rivelò estremamente efficace, la sua presenza ed il suo prodigioso operato ebbero effetti assai incoraggianti per i fedeli antiocheni. Appena conclusasi la sua missione, non essendo amante del frastuono della città, tornò a ritirarsi nella sua grotta nei pressi dell’Eufrate, in Mesopotamia. Morì nel 377.


    Autore: Fabio Arduino

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    00 18/01/2017 09:51

    Santi Cosconio, Zenone e Melanippo Martiri

    18 gennaio




    Martirologio Romano: A Nicea in Bitinia, nell’odierna Turchia, santi Cosconio, Zenone e Melanippo, martiri.








    Santi COSCONIO, ZENONE e MELANIPPO, martiri

    Il Bolland (Acta SS. Ianuarii, I, Venezia 1734, p. 997) recensisce al 15 gennaio questi martiri come appartenenti alla Chiesa egiziana. In realtà si tratta di tre martiri di epoca assai antica o almeno anteriore a Diocleziano. Il Martirologio Siriaco del sec. IV ha, infatti, al 19 gennaio in Nicea (memoria) di Cosconio, Zenone, Melanippo (Meliufos) tra i martiri antichi; e al 23 febbraio: in Asia, tra i martiri antichi, Policarpo vescovo e Arato, e Cosconio, Melanippo (Melanuhfôs) e Zenone; e ancora al 2 settembre: in Nicomedia (= Nicea) Afitarqin e Cosconio, Zenone e Melanippo. La memoria è passata nel Martirologio Geronimiano che li recensisce giustamente al 19 gennaio e ne anticipa il ricordo al 18 e al 15 dello stesso mese: «Niceae Cosconi Zenonis Melanippi». Da quest'ultima nota, funestata dai soliti errori di trascrizione e dell'inserzione topografica «in Aegypto» (da riferirsi ad altri nomi), è nata la recensione bollandista.


    Autore: Giovanni Lucchesi

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    00 19/01/2017 08:21

    San Godone di Novalesa Abate

    19 gennaio


    VIII secolo

    San Godone visse nell’Ottavo secolo. E’ il primo abate della celebre abbazia della Nova-lesa, in Valle Susa, fondata dal nobile francese Abbone, governatore di Susa e Moriana.La costruzione centrale era stata progettata da Walcuno; mentre le celle dei monaci primitivi erano state disseminate sulla montagna circostante.San Godone introdusse nel monastero della Novalesa la Regola di san Benedetto al po-sto di quella di san Colombano, che aveva evangelizzato Irlanda, Svizzera e Italia del Nord.La sua festa era ricordata il 19 gennaio.

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    00 20/01/2017 11:04

    San Fechin di Fobhar Abate

    20 gennaio


    † 664

    Nato a Luighne, in Irlanda, ricevette la sua formazione da S. Nathi. I suoi biografi gli attribuiscono numerosi miracoli assai stravaganti. Fondo varie chiese e monasteri, fra cui uno situato a Fobhar, dove riunì oltre trecento monaci. E’ l’autore presunto di un poema in onore di S. Maeldub. Morì durante la peste del 664. Ancora ricordato in Irlanda, è assai poco conosciuto fuori dall’isola.
    L’Ordine Benedettino lo festeggia il 20 gennaio.







    Nato a Luighne (Irlanda, contea Sligo), ricevette la sua formazione da s. Nathi. I suoi biografi gli attribuiscono numerosi miracoli assai stravaganti, oltre alla fondazione di molte chiese e monasteri. Fu certamente, comunque, fon­datore di un monastero, situato a Fobhar (Fore; Favoriensis) nel Westmeath, dove riunì più di trecento monaci. È l'autore presunto di un poema in onore di s. Màeldub. Morì durante la peste del 664.
    Poco conosciuto fuori dell'Irlanda, questo santo non si trova nel Martirologio Romano. Ebbe tutta­via il suo ufficio al 23 genn. (s. Fekinus) in un Breviario del sec. XV dell'abbazia di St-Taurin d'Évreux. La Chiesa d'Irlanda lo ricorda il 20 gennaio.

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    00 21/01/2017 07:25

    San Zaccaria del Mercurion

    21 gennaio




    Martirologio Romano: Sul massiccio del Mercurio in Basilicata, san Zaccaria, detto l’Angelico, maestro di vita cenobitica

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    00 22/01/2017 09:03

    Santi Francesco Gil de Federich e Matteo Alfonso de Leciniana Sacerdoti domenicani, martiri

    22 gennaio


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    † Thang Long, Vietnam, 22 gennaio 1745

    Emblema: Palma


    Martirologio Romano: Nel Tonchino, ora Viet Nam, santi Francesco Gil de Federich e Matteo Alonso de Leziniana, sacerdoti dell’Ordine dei Predicatori e martiri: sotto il regno di Trịn Doanh, dopo una incessante predicazione del Vangelo, continuata anche in carcere, trafitti con la spada morirono gloriosamente per Cristo.







    Francisco Gil de Federich de Sans

    Francisco Gil de Federich de Sans nacque il 14 dicembre 1702 a Tortosa, nella regione della Catalogna in Spagna, da illustri genitori. All’età di quindici anni fu ammesso al noviziato domenicano di Villa de Exemplo con il nome di Francesco. Emise poi la professione solenne nel convento di Santa Caterina in Barcellona. Nel corso della sua formazione religiosa aveva maturato il desiderio di darsi all’evangelizzazione dei pagani e dunque nel 1724, ancora studente in teologia a Orihuela, chiese di unirsi ad alcuni missionari domenicani diretti alle Isole Filippine. Solo dopo l’ordinazione presbiterale, avvenuta nel 1727, e la nomina a maestro dei frati studenti, nel 1730 ottenne di porter partire missionario con ventiquattro altri compagni, tra i quali Padre Matteo Alfonso de Leciniana.
    Giunto a Manila, Francisco Gil fu assegnato alla provincia di Pangasinan, di cui fu eletto segretario, ma non cessò di chiedere ai superiori che lo lasciassero partire per il Tonchino, regione vietnamita sconvolta dalla persecuzione del re Vuéh-Hun. Studiò con tanto impegno la lingua annamita che dopo soli cinque mesi fu in grado di prendersi cura di una quarantina di cristiani, noncurante della pena di morte decretata per i missionari e dei pericoli cui sarebbe stato esposto. Due volte all’anno, dalla quaresima alla stagione delle messi e dalla festa di San Domenico all’Avvento, si recava ad amministrare i sacramenti ai suoi fedeli, noncurante del caldo o del freddo, delle febbri o dei rischi che correva di essere sequestrato per ricevere un riscatto. Era solito dedicarsi alle confessioni sino a mezzanotte. Padre Francesco conduceva una vita molto austera, praticava l’astinenza dalle carni tutto l’anno ed in quaresima non mangiava che una volta al giorno. Pur essendo di temperamento serio, si mostrava affabile con chiunque. Tutti infatti lo amavano come un padre, poiché si rivelava sempre pronto ad aiutare quanti si trovavano in diverse impellenti necessità. Alla carità il santo sacerdote sapeva però accoppiare un giusto rigore. Quando per esempio i suoi domestici cadevano in colpe gravi, egli mai esitava ad imporre loro di mangiare per terra soltanto un po’ di riso con sale. Inoltre non permetteva loro di abbigliarsi con troppa cura, d’intrattenersi con donne o di introdurle in casa, e più in generale di perdere tempo in vario modo. Egli stesso, quando non era occupato a predicare e a confessare, inpiegava il suo tempo pregando e studiando.
    Il 3 agosto 1737, dopo ben due anni di fecondo apostolato, Padre Francesco fu arrestato dai soldati a Luc-Thuy ed imprigionato a Ket-Cho, allora capitale del regno. Una anziana signora pagana, desiderosa di ricevere il battesimo, si prese cura di lui, ormai incapace di reggersi in piedi a causa della malattia. Corrompendo le guardie con delle mance, ella ottenne che il prigioniero potesse trascorrere prima alcune ore e poi intere giornate a casa sua, al fine di poter curare le sue piaghe. Padre Gil ne approfittò per poter studiare, ricevere i numerosi fedeli che giungevano a visitarlo e rispondere ai missionari che a lui si rivolgevano in cerca di consiglio. Ogni volta che veniva condotto dinnanzi ai giudici era rattristato dall’irriverenza nei confronti della corce, a cui tentava di porre rimedio. La signora Ba-Gao, impietosita dalle sue precarie condizioni di salute, riuscì ad ottenergli la libertà anche per le ore notturne ed egli ne approfittò allora per intensificare il suo ministero pastorale, confessare e celebrare l’Eucaristia nel cuore della notte in attesa di una fine che si prospettava sicuramente tragica.
    Quando apprese di essere stato condannato a morte per decapitazione, il 24 novembre 1738 scrisse al Vicario Apostolico, Fra’ Ilario di Gesù: “Il Signore mi conceda di giungere a tanta gloria”. A Padre Matteo Alfonso de Lecianiana, ancora libero, confidò un mese dopo di non vedere l’ora di “uscire dai peccati e dalle miserie di questo mondo” e si raccomandò alle sue preghiere per ottenere da Dio “umiltà, pazienza e costanza”. Poiché però la conferma della sentenza di morte tardava a venire, scrisse ancora al vicario provinciale: “Iddio è assai offeso da molti miei peccati e ingratitudini, motivo per cui non ottenni ancora quello che la mia superbia si era promesso”. La ribellione nel frattempo scoppiata contro la famiglia regnante ritardò la fine del processo contro il missionario, ma gli interrogatori continuarono lo stesso, anche se i giudici non riuscirono a sapere da lui dove era stato e chi lo aveva aiutato a propagare la fede nel Tonchino. Ostinandosi a tacere, gli fu ordinato di percuotere gli oggetti religiosi che gli avevano sequestrato, ma al suo ennesimo rifiuto l’empio Thay-Thinh ebbe l’ordine d’infrangere sotto gli occhi del prigioniero il crocifisso di metallo, la statuetta in avorio della Madona e di calpestare l’immagine della Madonna del Rosario. Fu tanto il dolore che il santo missionario provò che fu immediatamente assalito dal vomito e da una nuova emorragia.
    Siccome a causa dei problemi di politica interna il processo ancora non giungeva al termine, Padre Francesco ne approfittò nuovamente per intensificare il suo ministero dentro e fuori la capitale, ove circa seimila fedeli erano rimasti senza privi di assistenza spirituale. Riceveva annualemnte migliaia di confessioni ed amministrava centinaia di battesimi. Nel 1743 fu di nuovo chiamato dinnanzi al tribunale, ma non volendo fare dichiarazioni sulla sua cattura per non compromettere degli innocenti, gli fu imposto di calpestare la corona che portava al collo con due medaglie. Essendosi per l’ennesima volta rifiutato, il gesto sacrilego fu compiuto da Thay-Thinh, servo del magistrato, ma il santo li ammonì dicendo che il Tonchino era sconvolto dalle ribellioni, dalla fame e dalle pestilenze a causa delle ingiuste pestilenze perpetrate verso i cirstiani.
    Tra tante tribolazioni, Padre Francesco venne a sapere nel dicembre 1743 che il suo confratello Padre Matteo Alfonso de Leciniana, tradito da un uomo pagano, era stato arrestato nella Casa di Dio di Luc-Thuy: i soldati avevano fatto irruzione nella cappella mentre il sacerdote celebrava la Messa e questi tentò di fuggire verso la cucina portando l’ostia consacrata con sé. Avendo però dimenticato il calice sull’altare, un pagano se ne impadronì e subito rovesciò a terra il vino consacrato.


    Mateo Alonso de Leciniana

    Ripercorriamo in breve anche la vita di Mateo Alonso de Leciniana, nato anch’egli in Spagna il 26 novembre 1702 presso Nava del Rey. Entrato nel convento domenicano di Santa Croce a Segovia, emise i voti nel 1723 e compì gli studi letterari e teologici. Nella pace del chiostro sentì nascere in sé una vocazione missionaria e domandò perciò di essere inviato nelle Filippine, ove giunse insieme a Francisco Gil de Federich nel 1730. Due anni dopo con altri due confratelli salpò per il Tonchino orientale e per ben undici anni si dedicò all’evangelizzazioni in mezzo a difficoltà di ogni sorta, senza fissa dimora. Più volte sfuggì miracolosamente alla cattura ordinata dal sacerdote pagano Thay-Thinh ed i domestici talvolta cercavano di dissuaderlo dal recarsi in quei villaggi ove i cristiani erano minoranza, ma egli soleva rispondere loro: “Se dovessi tralasciare di recarmi ad amministrare i sacramenti per timore di essere preso, a che scopo sarei venuto in questo regno?” Non di rado si incamminò da solo perché tutti rifiutavano di seguirlo per timore di morire e, pur di essere utile ai fedeli, era disposto ad affrontare ogni fatica. Non era cosa rara che trascorresse notti intere in confessionale e teneva sempre presso con sé una borsa di denaro per le necessità dei bisognosi. In tempo di carestia i poveri accorrevanoa lui numerosi sapendo che avrebbero ricevuto per lo meno una scodella di riso.
    Dopo la cattura, Padre Matteo fu spogliato e percosso a sangue, poi fu condotto dal sottoprefetto che risiedeva a Vi-Hoang. Costui credeva che il prigioniero fosse uno dei ribelli al giovane re Can-Hung ed invece si accorse di avere dinnanzi “un maestro della fede portoghese”. Anziché imprigionarlo, lo lasciò esposto al pubblico affinchè i cristiani potessero avvicinarlo. Una suora terziaria, fingendosi un’accattona, poté così prendersi cura di lui, finchè dopo una quindicina di giorni il futuro martire fu chiamato a comparire davanti al tribunale della capitale. Mentre pazientemente attendeva di essere giudicato, subì ogni sorta di tortura e, come già l’altro suo confratello, dovette intervenire la profanazione della croce. Per fortuna non mancarono anche i curiosi, che gli rivolsero domande sulla sua persona e sulla sua religione.
    Il governatore della capitale, che aveva preso in consegna il missionario, gli domandò: “Giacché il re vieta la tua legge nel regno, per quale ragione sei venuto qui e ti sei esposto a tante fatiche e pericoli?”. Questi prontamente gli rispose: “Per poter predicare la Legge di Dio, Signore del cielo, ed esortare gli uomini ad essere veraci, a battere la strada della virtù e ad allontanarsi da quella dei vizi”. Padre Francesco, non appena apprese che il suo confratello si trovava nelle prigioni del governatore, si affrettò a scrivergli consigliandogli di non rivelare il luogo ove era stato catturato onde evitare di compromettere i cristiani di Luc-Thay. Padre Matteo da parte sua non desiderava altro che poter rivedere Padre Francesco per potersi confessare, in quanto si riteneva un grande peccatore e che in tutta la sua vita mai era riuscito a compiere progressi in materia di santità.


    Insieme verso il martirio

    Ai due martiri fu concesso di incontrarsi in un’abitazione privata fuori del carcere e consolarsi così reciprocamente. I cristiani, insieme con i superiori dei due missionari, sarebbero stati disposti a sborsare volentieri un’ingente somma di denaro pur di ottenere la loro liberazione. Negli interrogatori anche a Padre Matteo furono rivolte domande sulle immagini sacre, gli arredi ed i libri liturgici che gli erano stati sequestrati, ed egli seppe rispondere in maniera da illuminarli sulle principali verità di fede e di morale, sui sacramenti e sulle principali preghiere cristiane. Dopo la condanna alla decapitazione, gli fu concesso di trascorrere gli ultimi mesi di vita assieme a Padre Francesco e di beneficiare così anch’egli dell’assistenza della signora Ba-Gao, celebrare l’Eucaristia e confortare spiritualmente i fedeli che accorrevano nella loro casa.
    Poiché le calamità continuavano ad affliggere il regno, il sovrano, dubbioso che il cielo potesse essere adirato per le condanne di cotanti innocenti, ordinò che fossero riesaminate definitivamente tutte le cause ancora pendenti. Fu così che nel 1744 per Francisco Gil fu chiesta la pena di morte, mentre per Mateo Alonso il carcere perpetuo anziché la decapitazione. Appena la notizia si diffuse, molti cristiani fecero visita ai due missionari per ricevere da loro le ultime raccomandazioni, baciare piangendo le loro catene e supplicarli di chiedere la grazia al re. Padre Francesco, però, non ne volle sapere e dichiarò di non essere disposto a dare “la minima moneta per essere sottratto alla morte”. Padre Matteo, invece, per conto suo aveva preparato un’istanza a tal fine, ma il confratello lo dissuase dall’inoltrarla al sovrano dicendogli: “Mi trovo da otto anni in carcere. Dio si è mosso a compassione di me permettendomi di soffrire per lui, e voi vorreste impedirlo?”.
    A mezzogiorno del 22 gennaio 1745, in presenza del popolo, fu di nuovo letta la condanna a morte del Padre Francesco ed alcuni soldati si avvicinarono a Padre Matteo per suggerirgli di chiedere la grazia al re per il suo compagno. Egli però reagì bruscamente e gridò: “Siamo fratelli e chiediamo di vivere o di morire insieme. Se s’indulge con uno, s’indulga anche con l’altro; se uno è condotto a morte, si uccida anche l’altro; soltanto così saremo contenti”. I magistrati allora condannarono anch’egli alla decapitazione.
    Giunti al luogo del supplizio, un mandarino pose dinanzi agli occhi dei due condannati a morte, assorti in preghiera, una croce fatta di canne e li esortò: “Vi lasceremo liberi se calpesterete questa croce; diversamente sarete decapitati”. I due, intrepidi testimoni della divinità di Cristo Gesù, replicarono: “Fa’ come meglio ti pare; noi non calpesteremo la croce”. Consegnarono invece ad un cristiano seicento monete affinché le donasse ai loro carnefici, si diedero reciprocamente l’assoluzione ed infine si lasciarono legare ai pali. Le loro teste caddero contemporaneamente al segnale del comandante. I soldati furono impotenti a trattenere la folla, che si riversò con pannolini e bambagia a raccogliere il sangue delle vittime. I corpi dei due martiri furono traslati e seppelliti in pompa magna presso Luc-Thuy.
    Papa Giovanni Paolo II, che nel suo lungo pontificato si è rivelato grande cultore delle molteplici vicende di martirio nel corso dei secoli, ha canonizzato questi due missionari spagnoli il 19 giugno 1988, insieme con altri 115 testimoni della fede in terra vietnamita. La celebrazione comene di questo gruppo è fissata dal calendario liturgico latino al 24 novembre sotto la denominazione “Santi Andrea Dung-Lac e compagni”, mentre il Martyrologium Romanum commemora i soli Francesco Gil de Federich e Matteo Alfonso de Leciniana nell’anniversario della loro nascita al cielo.


    Autore: Fabio Arduino

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    00 23/01/2017 09:31

    Santi Clemente ed Agatangelo Martiri

    23 gennaio


    23 gennaio

    I santi Clemente, vescovo, ed Agatangelo subirono il martirio presso l’attuale capitale turca, Ankara, al tempo della persecuzione dei cristiani perpetrata dall’imperatore Diocleziano.

    Martirologio Romano: Ad Ankara in Galazia, nell’odierna Turchia, santi Clemente, vescovo, e Agatangelo, martiri.

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    00 24/01/2017 08:34

    Santa Xenia (Eusebia di Milasa) Vergine

    24 gennaio










    Di s. Eusebia di Milasa vi sono poche notizie e la sua ‘Vita’ è piena di elementi leggendari, provenienti anche da fonti mitologiche.
    Nacque a Roma, nel secolo V, cristiana convinta, volle dedicare la sua verginità a Dio, pertanto rifiutò le nozze che gli venivano proposte. Trascorse la sua vita a Milasa in Caria, antica regione sud-orientale dell’Asia Minore, abitata da popolazioni di stirpe asiatica, colonia greca, specie sulla costa dove fiorirono città come Mileto, Alicarnasso, Magnesia, Cnido.
    A Milasa visse con il nome di Xenia e un miracolo operato da lei confermò la sua santità fra la popolazione. Ulteriori notizie sia pure leggendarie sono riportate nella “Bibliotheca Hagiographica Graeca”, 3 voll. edita in 3a edizione a Bruxelles 1957, in lingua greca o francese.
    La sua festa si celebra il 24 gennaio. I due nomi Eusebia e Xenia sono di origine greca, Eusebia significa ‘pia, religiosa’ dal greco Eysèbios, comunque è un nome ormai poco usato al femminile, mentre Xenia nell’Oriente cristiano e nei Paesi ortodossi ha avuto più fortuna.


    Autore: Antonio Borrelli

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    00 25/01/2017 08:40

    San Poppone Abate

    25 gennaio


    m. 1048

    Rifiutò un vantaggioso matrimonio e si fece benedettino a Saint Tierry in Francia. Per le sue virtù, l'imperatore Sant'Enrico II gli affidò la direzione e la riforma dei monasteri reali.

    Martirologio Romano: A Marchiennes nelle Fiandre, nel territorio dell’odierna Francia, san Poppone, abate di Stavelot e Malmédy, che diffuse in molti monasteri della Lotaringia l’osservanza cluniacense.

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    00 26/01/2017 07:54

    Santa Paola Romana Vedova

    26 gennaio


    Roma, 5 maggio 347 - Betlemme, 26 gennaio 406



    Di ricchissima famiglia dell'alta aristocrazia romana, Paola nsce durante il regno di Costantino II. A quindici anni sposa Tossozio, un nobile del suo rango. Il suo è un matrimonio felice il cui frutto sono quattro figlie, Blesilla, Paolina, Eustochio e Ruffina, e un figlio, Tossozio. Ma a 32 anni Paola rimane vedova. Decide allora di aprire la casa accogliendo incontri, riunioni di preghiera e di approfondimento della dottrina cristiana, iniziative per i poveri. Nel 382 invita agli incontri il dalmata Girolamo, giunto a Roma insieme a due vescovi d'Oriente. Nel 384 e Girolamo riparte verso la Terrasanta per dedicarsi all'opera di traduzione in latino delle scritture. L'anno successivo parte verso l'Oriente anche Paola, accompagnata dalla figlia Eustochio, mentre Paolina, a Roma, si occuperà di Ruffina e Tossozio. Spende le sue ricchezze per creare una casa destinata ai pellegrini, e due monasteri, uno maschile e uno femminile. Paola prende dimora in quello femminile, nel quale si costituisce una comunità sotto la sua guida. Morirà qui a 59 anni. (Avvenire)

    Patronato: Vedove


    Etimologia: Paola = piccola di statura, dal latino


    Martirologio Romano: A Betlemme di Giudea, santa Paola, vedova: di nobilissima famiglia senatoria, rinunciò al mondo e, distribuite le sue sostanze ai poveri, insieme alla beata vergine Eustochio, sua figlia, si ritirò presso il presepe del Signore.



    Ascolta da RadioVaticana:





    Appartiene a una ricchissima famiglia “senatoria”, all’alta aristocrazia romana. Nata durante il lungo regno di Costantino II, a quindici anni le hanno fatto sposare Tossozio, un nobile del suo rango. Il suo è un matrimonio felice, perché arrivano via via quattro figlie (Blesilla, Paolina, Eustochio e Ruffina), e poi un maschio che viene chiamato Tossozio, come il padre. Ma è anche un matrimonio breve, troppo breve: a 32 anni Paola è, infatti, già vedova.
    Continua a dedicarsi alla famiglia, ma anche a impegni religiosi e caritativi. Il suo palazzo accoglie incontri, riunioni di preghiera e di approfondimento della dottrina cristiana, iniziative per i poveri. Però non è un club di dame benefiche: ha piuttosto qualche connotato monastico, e acquista vivacità quando Paola invita agli incontri il dalmata Girolamo, giunto nel 382 a Roma insieme a due vescovi d’Oriente. In gioventù egli ha studiato a Roma; è stato poi in Germania e ad Aquileia, e per alcuni anni infine è vissuto in Oriente, asceta e studioso insieme. A Roma diventa collaboratore del papa Damaso. È un divulgatore appassionato degli ideali ascetici, ha una preparazione culturale di raro spessore, e di certo non la nasconde. Così nel clero e nell’aristocrazia si procura amici e nemici ugualmente accesi. Il suo ascendente è forte specialmente nella cerchia di Paola, alla quale comunica la sua passione per le Sacre Scritture. E nel 384 la conforta per un nuovo dolore che l’ha colpita: è morta Blesilla, la sua figlia maggiore.
    Nel dicembre dello stesso anno muore il papa Damaso, e Girolamo riparte verso la Terra santa per dedicarsi all’opera che stava tanto a cuore a quel Pontefice, e che ora impegnerà lui fino alla morte: dare alla Chiesa le Sacre Scritture in una corretta e completa versione in lingua latina.
    L’anno successivo parte verso l’Oriente anche Paola, accompagnata dalla figlia Eustochio, mentre Paolina, a Roma, si occuperà di Ruffina e Tossozio. (E inRoma si riaccendono vecchie calunnie su un suo presunto rapporto amoroso con Girolamo). Paola percorre dapprima l’Egitto, nei luoghi dove i Padri del deserto hanno voluto ritirarsi, «soli al mondo con Dio». Poi ritorna con la figlia in Palestina, a Betlemme: e qui si ferma per sempre. Spende le sue ricchezze per creare una casa destinata ai pellegrini, e due monasteri, uno maschile e uno femminile. Nel primo lavorerà Girolamo fino alla morte (nel 419/420). Paola prende dimora in quello femminile, nel quale si costituisce una comunità sotto la sua guida. Fra queste mura, «Paola era in grado di volare più in alto di tutte per le sue eccezionali doti» (Palladio, Storia lausiaca).
    E qui Paola muore a 59 anni, affidando le cinquanta monache alla figlia Eustochio. Qui rimarrà per sempre sepolta: «In Betlemme di Giuda», come dice di lei il Martirologio romano, dove «con la beata vergine Eustochio sua figlia si rifugiò al presepe del Signore».


    Autore: Domenico Agasso

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    00 27/01/2017 07:42

    San Vitaliano Papa

    27 gennaio


    m. 27 gennaio 672

    (Papa dal 30/07/657 al 27/01/672)
    Nativo di Segni, dopo la sua elezione tentò di ristabilire il dialogo con l'Imperatore e il patriarca di Costantinopoli. Il progetto fallì. Durante il suo pontificato la chiesa di Ravenne manifestò l'intenzione di legarsi alla Chiesa di Costantinopoli.

    Etimologia: Vitaliano = figlio di Vitale


    Martirologio Romano: A Roma presso san Pietro, deposizione di san Vitaliano, papa, che si occupò con particolare impegno della salvezza degli Angli.







    Pochi anni prima della sua elezione, un duro conflitto aveva messo l’imperatore orientale Costante II (fiancheggiato da Paolo, patriarca di Costantinopoli) contro papa Martino I, che era stato poi mandato a morire esiliato in Crimea. Dopo il breve pontificato di Eugenio I (654-657), si elegge Vitaliano, che tenta di migliorare i rapporti con Costantinopoli, ma senza affrontare i dissensi dottrinali: annuncia, secondo tradizione, la propria nomina e riceve cortesi risposte. I patriarchi di Costantinopoli si considerano autorevoli almeno quanto i papi di Roma; e sono sostenuti dagli imperatori, padroni di buona parte del territorio italiano, inclusa Roma.
    Sicché tutto quello che va bene al sovrano e al patriarca deve andare bene anche al Pontefice romano. Ora, Vitaliano non è un personaggio battagliero. Inoltre deve guardare anche ai cristiani d’Europa, e in particolare a quelli d’Inghilterra, che sono in crisi perché un’epidemia di peste ha decimato il clero locale. Insomma, evita di battersi per affermare l’unicità della dottrina e il primato della Sede romana. E accoglie anzi con onori l’imperatore Costante II, che nel 663 visita Roma. (Anche perché in Oriente è detestato un po’ da tutti, specie dopo che ha fatto uccidere il fratello Teodosio).
    In Roma, l’imperatore Costante II “ricambia” gli onori togliendo al Papa l’autorità sulla diocesi di Ravenna (che è territorio imperiale), dopodiché organizza una sorta di saccheggio di Roma, portando via anche i bronzi artistici di palazzi e chiese. Si ferma poi in Sicilia, e qui – a Siracusa – viene ucciso da uno dei suoi soldati.
    Col successore Costantino Pogonato (barbuto) papa Vitaliano trova una migliore intesa; Ravenna torna sotto l’autorità pontificia, e decide pure di convocare il VI Concilio ecumenico per ristabilire la pace religiosa (ma papa Vitaliano morirà prima che esso si riunisca). Questo pontefice riesce infine a ridare slancio alla cristianità britannica, che adotta la liturgia romana, sotto la guida di nuovi vescovi insediati da lui. Uno di essi, Teodoro, diventato poi arcivescovo di Canterbury, era originario di Tarso, in Cilicia (attuale Turchia), e nel suo episcopio insegnava anche aritmetica, astronomia e medicina. Vitaliano muore senza vedere risolti i contrasti con la Chiesa d’Oriente, e viene sepolto presso l’antica basilica di San Pietro.


    Autore: Domenico Agasso

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    00 28/01/2017 10:12

    San Carlomagno Imperatore

    28 gennaio


    742 - 28 gennaio 814

    Patronato: Scuole francesi


    Emblema: Corona, Scettro, Globo, Spada, Modellino di Aquisgrana, Manto d' ermellino









    La canonizzazione di Carlomagno nel 1165 da parte dell'antipapa Pasquale III non è che un momento dello straordinario destino postumo dell'imperatore d'Occidente. Qui si ricorderà brevemente ciò che, nella sua vita e nella sua opera, ha fornito occasione a un culto in alcune regioni cristiane.
    Nato nel 742, primogenito di Pipino il Breve, gli succedette il 24 settembre 768 come sovrano d'una parte del regno dei Franchi, divenendo unico re alla morte (771) del fratello Carlomanno. Chiamato in aiuto dal papa Adriano I, scese in Italia, contro Desiderio, re dei Longobardi, nell'aprile 774. In cambio d'una promessa di donazione di territori italiani al sommo pontefice, riceve il titolo di re dei Longobardi quando lo sconfitto Desiderio fu rinchiuso nel monastero di Corbie. Nel 777 iniziò una serie di campagne per la sottomissione e l'evangelizzazione dei Sassoni, capeggiati da Vitichindo. Dopo una cerimonia di Battesimo collettivo a Paderborn, la rivalsa dei vinti fu soffocata, nelle campagne del 782-85, con tremendi massacri, fra i quali quello di molte migliaia di prigionieri a Werden. Spintosi oltre i Pirenei, nella futura Marca di Spagna, Carlomagno subì nel,778 un grave rovescio a Roncisvalle. Nelle successive discese in Italia (781 e 787) stabilì legami con l'Impero d'Oriente (fidanzamento di sua figlia Rotrude col giovane Costantino VI), e s'inserì sempre più a fondo, attraverso i missi carolingi, nella vita di Roma. Consacrato re d'Italia e spinto a occuparsi del patrimonio temporale della Chiesa, non trascurò il suo ruolo di riformatore, continuando l'opera iniziata dal padre col concorso di S. Bonifacio. Nel 779, benché occupatissimo per le rivolte dei Sassoni, promulgò un capitolare sui beni della Chiesa e i diritti vescovili, e accentuò la sua azione riformatrice sotto l'impulso dei chierici e dei proceres ecclesiastici e, soprattutto, di Alcuino e di Teodulfo d'Orleans.
    La celebre “Admonitio generalis” del 789 mostra a pieno la concezione di Carlomagno in materia di politica religiosa, richiamandosi all'esempio biblico del re Giosia per il quale il bisogno più urgente è ricondurre il popolo di Dio nelle vie del Signore, per far regnare ed esaltare la sua legge. Nascono da questa esigenza il rinascimento degli studi, la revisione del testo delle Scritture operata da Alcuino, la costituzione dell'omeliario di Paolo Diacono.
    Al concilio di Francoforte del 794, Carlomagno si erge di fronte a Bisanzio come il legittimo crede degli imperatori d'Occidente, promotori di concili e guardiani della fede. Non è un caso che i testi relativi alla disputa delle immagini (Libri Carolini), benché redatti da Alcuino o da Teodulfo, portino il nome di Carlomagno. Pertanto, l'incoronazione imperiale del giorno di Natale dell'anno 800 non fu che il coronamento d'una politica che il papato non poté fare a meno di riconoscere, sollecitando la protezione del sovrano e accettandolo, nella persona di Leone III, come giudice delle sue controversie. Ma Carlomagno (come mostrano le origini della disputa sul “Filioque”) estese la sua influenza fino alla Palestina. La sua sollecitudine per il restauro delle chiese di Gerusalemme e dei luoghi santi mediante questue (prescritte in un capitolare dell'810) gli valse più tardi il titolo di primo dei crociati. Del patronato esercitato sulla Chiesa dalla forte personalità di Carlomagno restano monumenti documentari ed encomiastici negli “Annales”, che ricordano i concili da lui presieduti, le chiese e i monasteri da lui fondati.
    La vita privata di Carlomagno fu obiettivamente deplorevole. E non si possono certo dimenticare due ripudi e molti concubinati, né i massacri giustificati dalla sola vendetta o la tolleranza per la libertà dei costumi di corte. Non mancano, tuttavia, indizi di una sensibilità di Carlomagno per la colpa, in tempi piuttosto grossolani e corrotti. Il suo biografo Eginardo informa che Carlomagno non apprezzava punto i giovani, sebbene li praticasse, e, per quanto la sua vita religiosa personale ci sfugga, sappiamo che egli teneva molto all'esatta osservanza dei riti liturgici che faceva celebrare, specialmente ad Aquisgrana (odierna Aachen), con sontuoso decoro. Cosi, quando mori ad Aquisgrana il 28 gennaio 814, Carlomagno lasciò dietro di sé il ricordo di molti meriti che la posterità si incaricò di glorificare. La valorizzazione del prestigio di Carlomagno assunse il carattere di un'operazione politica durante la lotta delle Investiture e il conflitto fra il Sacerdozio e l'Impero. La prima cura di Ottone I, nel farsi consacrare ad Aquisgrana (962), fu quella di ripristinare la tradizione carolingia per servirsene.
    Nell'anno 1000, Ottone III scopri ad Aquisgrana il corpo di Carlomagno in circostanze in cui l'immaginazione poteva facilmente sbrigliarsi. Nel sec. XI, mentre Gregorio VII scorgeva nell'incoronazione imperiale di Carlomagno la ricompensa dei servigi da lui resi alla cristianità, gli Enriciani esaltarono il patronato esercitato dall'imperatore sulla Chiesa. Quando l'impero divenne oggetto di competizione fra principi germanici, Federico I, invocando gli esempi della canonizzazione di Enrico II (1146), di Edoardo il Confessore (1161), di Canuto di Danimarca (1165), pretese e ottenne dall'antipapa Pasquale III la canonizzazione di Carlomagno col rito dell'elevazione agli altari (29 dic. 1165). Egli pensò di gettare in tal modo discredito su Alessandro III, che gli rifiutava l'impero, e, insieme, sui Capetingi che lo pretendevano. E se più tardi Filippo Augusto, vincitore di Federico II a Bouvines nel 1214, si richiamò alle analoghe vittorie di Carlomagno sui Sassoni, lo stesso Federico II si fece incoronare ad Aquisgrana il 25 luglio 1215 e dispose, due giorni dopo, una solenne traslazione delle reliquie di Carlomagno. Intanto Innocenzo III, risoluto sostenitore della teoria delle “due spade”, ricordava che è il papa che eleva all'impero e dipingeva Carlomagno come uno strumento passivo della traslazione dell'impero da Oriente a Occidente. La grande figura di Carlomagno venne piegata a interpretazioni opposte almeno fino all'elezione di Carlo V.
    Ma a parte le utilizzazioni politiche contrastanti, il culto di Carlomagno appare ben radicato nella tradizione letteraria e nell'iconografia. Il tono agiografico è già evidente nei racconti di Eginardo e del monaco di S. Gallo di poco posteriori alla morte dell'imperatore. Rabano Mauro, abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, iscrive Carlomagno nel suo Martirologio. La leggenda di Carlomagno è soprattutto abbellita dagli aspetti missionari della sua vita.
    A Gerusalemme, la chiesa di S. Maria Latina conservava il suo ricordo. Alla fine del sec. X si credeva che l'imperatore si fosse recato in Terrasanta in pellegrinaggio. Urbano II, nel 1095, esaltava la sua memoria davanti ai primi crociati. Nel 1100 l'avventura transpirenaica dei paladini si trasfigurò in crociata, attraverso l'interpretazione della Chanson de Roland. Ognuno ricorda la frequenza di interventi soprannaturali nelle “chansons de gestes”: Carlomagno è assistito dall'angelo Gabriele; Dio gli parla in sogno; simile a Giosué, egli arresta il sole; benché il suo esercito formicoli di chierici, benedice o assolve lui. stesso i combattenti, ecc.
    Dal sec. XII al XV si moltiplicano le testimonianze di un culto effettivo di C., connesse da un lato con la fedeltà delle fondazioni carolingie alla memoria del fondatore, dall'altro con l'atteggiamento dei vescovi verso gli Staufen, principali promotori del culto imperiale. A Strasburgo si trova un altare prima del 1175, a Osnabruck e ad Aquisgrana prima del 1200. Nel 1215, in seguito alla consacrazione di Federico II e alle cerimonie che l'accompagnarono, si stabilirono due festività: il 28 genn. (data della morte di C.), festa solenne con ottava, e il 29 dic., festa della traslazione. Roma rispose istituendo la festa antimperiale di S. Tommaso Becket, campione della Chiesa di fronte al potere politico; ma nel 1226 il cardinale Giovanni di Porto consacrò ufficialmente ad Aquisgrana un altare “in honorem sanctorum apostolorum et beati Karoli regis”. A Ratisbona, il monastero di S. Emmerano e quello di S. Pietro, occupato dagli Irlandesi, adottarono, nonostante l'estraneità dell'episcopato, il culto di Carlomagno che, secondo M. Folz, si andò estendendo in un’area esagonale con densità più forti nelle regioni di Treviri, di Fulda, di Norimberga e di Lorsch. Nel 1354, Carlo IV fondò presso Magonza, nell'Ingelheim, un oratorio in onore del S. Salvatore e dei beati Venceslao e Carlomagno. Toccato l'apogeo nel sec. XV, il culto di Carlomagno non fu abolito neppure dalla Riforma, tanto da sopravvivere fino al sec. XVIII in una prospettiva politica, presso i Febroniani.
    In Francia, nel sec. XIII, una confraternita di Roncisvalle si stabilì a S. Giacomo della Boucherie. Carlo V (1364-80) fece di Carlomagno un protettore della casa di Francia alla pari di S. Luigi, e ne portò sullo scettro l'effigie con l'iscrizione “Sanctus Karolus Magnus”. Nel 1471, Luigi XI estese a tutta la Francia la celebrazione della festa di Carlomagno il 28 genn. Nel 1478, Carlomagno fu scelto come patrono della confraternita dei messaggeri dell'università e, dal 1487, fu festeggiato come protettore degli scolari (nel collegio di Navarra si celebrò fino al 1765, il 28 genn., una Messa con panegirico). Per queste ragioni il cardinale Lambertini, futuro Benedetto XIV, indicò nel caso di Carlomagno un tipico esempio di equivalenza fra una venerazione tradizionale e una. regolare beatificazione (De servorum Dei beatificatione, I, cap. 9, n. 4).
    Oggi il culto di Carlomagno si celebra solo ad Aachen, con rito doppio di prima classe, il 28 genn. con ottava; la solennità è fissata alla prima domenica dopo la festa di S. Anna. A Metten ed a Múnster (nei Grigioni) il culto è “tollerato” per indulto della S. Congregazione dei Riti.


    Autore: Gerard Mathon

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    00 29/01/2017 09:20

    San Gildas di Rhuys Abate

    29 gennaio


    Gran Bretagna, V sec. – Houat (Bretagna, Francia), 29 gennaio 570 ca.

    Nacque verso la fine del V sec, sulle rive della Clyde, in Gran Bretagna, da una famiglia principesca. Fin dalla prima infanzia fu affidato al santo abate Iltud e fu condiscepolo dei santi Paolo di Lèon, Sansone di Dol e Lunario. Ordinato prete verso il 518, decise di ricondurre alla fede, attraverso la sua predicazione, le regioni settentrionali della Gran Bretagna in cui il Cristianesimo era quasi scomparso. Poco più tardi, chiamato da S. Brigida, passò in Irlanda, dove la Chiesa era in piena decadenza dopo la morte di san Patrizio. Gildas ristabilisce la disciplina nei monasteri, opera numerose conversioni. Terminata la sua missione torna in Inghilterra e si ritira in solitudine nell’isola di Houat, in pieno Oceano. Ma i pescatori dei dintorni non tardano a scoprirlo e così circondato da una numerosa schiera di discepoli egli deve ben presto stabilirsi nella vicina penisola di Rhuys dove fonda un monastero. In quello stesso luogo avrebbe risuscitato S. Trifida, madre di S. Tremoro, assassinata dal marito, il tiranno di Conomor. In seguito percorre la Cornovaglia predicando e fondando monasteri. Ritorna a Rhuys, ma muore ad Houat, dove amava isolarsi, il 29 gennaio del 570. Il corpo, per suo espresso desiderio, affidato al mare in una barca, fu ritrovato sulle coste di Rhuys l’11 maggio seguente e inumato nella chiesa del monastero.

    Emblema: Bastone abbaziale, campanella








    Era circa il 1060, quando Vitale, abate del monastero di Rhuys, situato sulla riva del mare nella regione di Vannes, scrisse la ‘Vita’ del fondatore del monastero, san Gildas.
    L’autore stesso, assicurò che si era ispirato ad antichi documenti e tradizioni, ma nello stesso tempo egli ampliò il suo racconto con episodi e dati edificanti o folcloristici, secondo la tendenza degli agiografi del tempo; fatto sta, che oggi è impossibile distinguere fra le parti storiche e quelle leggendarie.
    Gildas nacque verso la fine del V secolo in Gran Bretagna sulle rive della Clyde, fiume scozzese, da una famiglia principesca.
    Fin dalla prima infanzia, fu affidato al santo abate Iltuto († 540 ca.), fondatore del monastero di Llanilltud Fawr nel Galles, celebre centro culturale con molti discepoli; ebbe come condiscepoli i santi celtici Sansone vescovo di Dol, s. Paolo di Léon e s. Lunario.
    Verso i 20 anni, Gildas si trasferì nel Galles “per raccogliere le dottrine di altri studiosi sulla filosofia e le divine lettere”; fu ordinato sacerdote nel 518 e decise di fare opera missionaria, e attraverso la sua predicazione ricondurre al Cristianesimo quasi scomparso, le regioni settentrionali della Gran Bretagna.
    Poco più tardi, fu chiamato da santa Brigida di Kildare († 525 ca.) in Irlanda, per rivitalizzare la Chiesa locale, che dopo la morte del vescovo evangelizzatore san Patrizio († 461), era in piena decadenza.
    Gildas ristabilì la disciplina nei monasteri e fra l’altro fondò la celebre scuola di Armagh, operando numerose conversioni.
    Ritornato in Inghilterra, insieme a due studiosi bretoni David e Cadoc, compose una “Messa nuova” per le Chiese celtiche; poi si ritirò nel sud del territorio francese dell’Armorica (l’antico nome della Penisola della Bretagna, detta Britannia dai bretoni che vi si rifugiarono nel V secolo), vivendo in solitudine nell’isoletta di Houat in pieno Oceano.
    Ma la sua presenza orante, sebbene nascosta e isolata, fu ben presto notata dai pescatori dei dintorni e la notizia si diffuse, tanto che numerosi discepoli si aggregarono a lui.
    Per questo Gildas ritenne necessario fondare un monastero per accoglierli, edificio che fu costruito nel luogo di un’antica fortezza romana, nella vicina penisola di Rhuys, striscia di terra della Francia settentrionale, di fronte all’isola di Houat.
    Dopo qualche tempo però, riprese a condurre vita solitaria insieme a san Bieuzy, altro santo eremita bretone, sulle rive del Blavet ai piedi del picco di Castennec. In questo luogo avrebbe scritto il “De Excidio et conquestu Britanniae”, che gli procurò il soprannome di “Saggio”.
    E sempre in prossimità di questo luogo, avrebbe resuscitato santa Trifida, madre di san Tremoro, che era stata uccisa dal marito, il tiranno di Conomor.
    In seguito percorse la Cornovaglia armoricana, sempre predicando, facendo conversioni e fondando monasteri; poi chiamato da re Ainmir, ritornò in Irlanda.
    Infine si recò di nuovo a Rhuys, ma in uno dei suoi ritiri nell’isoletta di Houat, morì il 29 gennaio del 570 ca. Per suo espresso desiderio, il suo corpo deposto su una barca, fu affidato al mare, rituale spesso usato dalle popolazioni costiere nordiche.
    Ma la barca fu poi ritrovata arenata sulla costa di Rhuys, l’11 maggio seguente; il corpo fu così inumato nella chiesa del suo monastero.
    Verso il 919, per timore delle scorrerie dei Normanni, i monaci di Rhuys trasferirono il corpo del fondatore san Gildas, a Bourg-Dieu presso Châteauroux (Indre) nell’interno della Bretagna, dove fu edificata una chiesa in suo onore; l’abbazia di Rhuys all’inizio dell’XI secolo, fu rilevata da s. Felice e divenne il centro della spiritualità di tutta la regione; tomba di numerosi figli dei duchi di Bretagna e fu conservata intatta fino alla Rivoluzione Francese.
    Oggi il monastero è occupato dalle Suore della Carità di S. Luigi, dette del Padre Eterno, e nel coro romanico della chiesa abbaziale, oggi parrocchia, si venera ancora dietro l’altare maggiore, la tomba e qualche reliquia del santo abate Gildas.
    Finché durò l’abbazia, tutte le parrocchie della penisola di Rhuys, furono obbligate a compiervi pellegrinaggi in occasione delle principali feste: il 29 gennaio per la morte di Gildas, il 30 settembre per la dedicazione della chiesa abbaziale e soprattutto per le Rogazioni, in cui si ricordava la scoperta del corpo del santo.
    Attualmente esiste solo la festa del 29 gennaio, spostata al 30 con Ufficio e Messa propri.
    San Gildas gode in Bretagna di un culto molto sentito; nella sola diocesi di Vannes, è patrono di otto parrocchie, ben nove chiese e dieci cappelle gli sono dedicate; varie località portano il suo nome.
    È raffigurato in vesti di monaco, col bastone abbaziale e spesso con una campanella, che ricorda la leggendaria campana fusa dallo stesso s. Gildas, che non volle suonare quando fu donata al papa, perché era stata dapprima promessa all’amico san Bieuzy.


    Autore: Antonio Borrelli

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    Coordin.
    00 30/01/2017 09:10

    Santa Savina Matrona

    30 gennaio


    Milano, 260/267 - 311/317







    S. Savina nacque a Milano dalla nobile famiglia dei Valeri nel 260/267. Adulta, andò in sposa ad un patrizio lodigiano, forse della famiglia dei Trissino. Rimasta presto vedova, S. Savina si dedicò, essendo una fervente cristiana, ad opere di religione e di carità, soprattutto a favore dei perseguitati dell’ultima persecuzione di Diocleziano contro i cristiani. S.Savina fece seppellire nella propria casa, di nascosto, i corpi dei martiri Nabore e Felice, soldati della legione tebana, decapitati a Laus Pompeia (Lodi Vecchio) verso il 300-304. Cessata la persecuzione, Savina fece portare a Milano i corpi dei due martiri, trasportandoli su un carro alla presenza dei figli dell’imperatore. I corpi dei santi Nabore e Felice furono deposti nella cappella gentilizia dei Valerii. La traslazione dovette avvenire il 18 maggio del 310. Più tardi, dopo una vita spesa in veglie e preghiere, S. Savina morì (a. 311/317) e fu sepolta accanto ai “suoi” martiri.
    Nel 1798, le reliquie di s. Savina e dei santi martiri Nabore e Felice furono traslate nella basilica di S. Ambrogio, dove a santa Savina è dedicata una cappella.
    Secondo una tradizione, Savina traslò le reliquie dei martiri della legione tebana da Lodi a Milano, nascosti in una botte. Alle guardie delle porte di Milano, per poter passare senza problemi, santa Savina disse che la botte conteneva miele. Le guardie vollero controllare la botte e trovarono effettivamente del miele. Per questo, quel luogo fu poi chiamato Melegnano.
    La liturgia ambrosiana festeggia S. Savina il 30 gennaio.

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    00 31/01/2017 07:40

    Santi Vittorino, Vittore, Niceforo, Claudio, Diodoro, Serapione e Papia Martiri

    31 gennaio




    Martirologio Romano: A Corinto in Acaia, in Grecia, santi martiri Vittorino, Vittore, Niceforo, Claudio, Diodoro, Serapione e Pápia, che si tramanda abbiano subito il martirio con vari supplizi sotto l’imperatore Decio.

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    00 01/02/2017 07:38

    Beata Giovanna Francesca della Visitazione (Anna Michelotti) Vergine, Fondatrice

    1 febbraio


    Annecy, Savoia, 29 agosto 1843 - Torino, 1 febbraio 1888



    Anna Michelotti nacque ad Annecy, in Savoia, appartenente in quel tempo politicamente agli Stati Sardi. Rimasta precocemente orfana di padre, conobbe un’infanzia assai disagiata. Se pure nella povertà, la famiglia Michelotti vive una intensa attività caritativa, soprattutto l’attenzione per i malati poveri. Ben presto questo segnò la sua vocazione alla consacrazione religiosa. Studiò a Lione, nell’Istituto delle Suore di S. Carlo, e il desiderio alla vita religiosa la spinse a chiedere di entrare nel loro noviziato. Ma la sua strada era altrove. Nel 1863 rimase sola a causa della morte della madre e del fratello Antonio. Le sembra così di coronare la sua vita entrando nelle Piccole Serve a Lione, dove prese il nome di Suor Giovanna Francesca della Visitazione, in omaggio dei suoi concittadini santi. Ma l’associazione si sciolse nel 1871 a seguito di problemi contingenti. Ritornando inizialmente ad Annecy, poi andò dai parenti paterni ad Almese, in Italia, ed infine, spinta dalla suo desiderio di consacrazione religiosa, a Torino. Qui, nel 1874, sotto la guida di alcuni sacerdoti intraprende la sua opera vestendo l’abito religioso con due postulanti. Nel 1875 viene approvato il nuovo istituto religioso delle Piccole Suore del S. Cuore di Gesù per gli ammalati poveri. L’attività e l’opera delle Piccole Suore subisce tristi eventi e lutti, anche se le fondazioni di case si moltiplicano. La Beata fondatrice morì il 1 febbraio 1888.

    Martirologio Romano: A Torino, beata Giovanna Francesca della Visitazione (Anna) Michelotti, vergine, che fondò l’Istituto delle Piccole Suore del Sacro Cuore di Gesù per servire gratuitamente nel Signore gli ammalati poveri.








    "Ho pregato tanto e parmi sia questa la volontà di Dio: vi è in me un ardente desiderio di consacrarmi tutta a Gesù, nell’assistenza ai malati poveri". Questo pensiero, tra i pochi scritti che per umiltà ci ha trasmesso direttamente Anna Michelotti, indica una missione nata tra mille problemi, che proprio grazie ad una volontà straordinaria è ancora fiorente e feconda all’interno della Chiesa.
    Anna nacque nell’Alta Savoia (all’epoca territorio del Regno di Sardegna), ad Annecy, il 29 agosto 1843. Il padre, originario di Almese (Torino), morì giovane, lasciando la famiglia nella completa miseria. La piissima madre trasmise ai due figli una grande fede: il giorno della prima comunione visitò con Annetta, a domicilio, un povero malato. Quel giorno nacque un carisma.
    La famiglia si recò ad Almese per la prima volta quando la giovane aveva quattordici anni, ospite dello zio canonico Michelotti. Stabilitasi a Lione, qualche anno dopo, Anna entrò nell’Istituto delle Suore di S. Carlo prima come educanda, poi come novizia. Insegnare però non era la sua missione.
    Nel giro di pochi anni morirono la madre e il fratello Antonio, novizio dei Fratelli delle Scuole Cristiane: restava sola al mondo. Per mantenersi fece da istitutrice alle figlie di un architetto, ma era già “la signorina dei malati poveri”, perché appena poteva li cercava e si metteva al loro servizio. Ad Annecy incontrò una certa Suor Caterina, ex-novizia dell'Istituto di S. Giuseppe, che nutriva i medesimi sentimenti: insieme diedero inizio, a Lione, a un’opera privata di assistenza dei malati poveri a domicilio. Col permesso dell'arcivescovo vestirono l'abito religioso e fecero la professione temporanea dei voti. La nascente congregazione ebbe però vita breve a causa della guerra tra Francia e Prussia e nel 1870 la beata, vestita da suora, ritornò ad Annecy e poi ad Almese, da cui si portava spesso a Torino. Passata la bufera Suor Caterina le chiese di tornare a Lione, obbligandola a ricominciare come postulante. Anna accettò umilmente, ma poi lasciò l’istituto per motivi di salute. In quei giorni, pregando sulle tombe di S. Francesco di Sales e S. Giovanna Francesca di Chantal, sentì che la sua opera sarebbe nata al di là delle Alpi.
    Tornò ad Almese a dorso di un mulo, proseguendo poi per Torino (settembre 1871). Alloggiata a Moncalieri presso le signorine Lupis, per un anno, munita di scopa, si recò tutti i giorni a piedi in città alla ricerca di malati in difficoltà da servire. Affittò poi una cameretta, confezionando guanti per sostentarsi, mentre alcune ragazze cominciarono ad aiutarla nel suo apostolato. L’Arcivescovo Gastaldi, al principio del 1874, accordò che vestissero l’abito religioso nella chiesa di Santa Maria di Piazza: nasceva l'Istituto delle Piccole Serve del S. Cuore di Gesù che oltre ai tre voti ordinari prevedeva l’assistenza domiciliare gratuita agli ammalati poveri. La fondatrice prendeva il nome di Madre Giovanna Francesca in onore dei fondatori dell'Ordine della Visitazione.
    Gli inizi furono difficilissimi, contraddistinti da estrema povertà, abbandoni e decessi frequenti di suore. Il superiore ecclesiastico e il medico della comunità consigliavano di chiudere l’istituto ma a incoraggiare la Madre ci fu l’oratoriano P. Felice Carpignano, di venerata memoria. La Madre più di una volta fu udita esclamare, tra le lacrime, nell’appartamento affittato in Piazza Corpus Domini, a pochi passi dal luogo in cui nacque l’opera del Cottolengo: "Sono disposta, o mio caro Signore, a ricominciare l'opera tua anche cinquanta volte se fa bisogno, ma aiutami!". Il Signore l’ascoltò. Nel 1879 Antonia Sismonda, venuta a conoscenza delle misere condizioni in cui vivevano le Piccole Serve, le ospitò in una villa della collina torinese. In seguito, nel 1882, riuscirono ad acquistarne una propria a Valsalice.
    Madre Giovanna Francesca era la Regola vivente. Donna di intensa preghiera, mortificava il suo corpo dormendo a terra o sopra un sacco di paglia, mescolando cenere alla minestra. In congregazione voleva suore generose, diceva: "Se sbagliate, discendete di un gradino, se vi umiliate, ascendete di tre". Nel riprendere le religiose era a volte un po' forte ma queste l’amavano perché, anche in mezzo alle difficoltà, infondeva fiducia. Leggeva e meditava con loro la S. Scrittura, raccomandando di "essere prudenti, zelanti e piene di carità”, cercando nei poveri Gesù Cristo. Dovevano assisterli materialmente e spiritualmente, favorendo, se possibile, l’accostamento ai Sacramenti. Prima di prendere una decisione importante chiedeva consiglio ai confessori e tra questi vi era Don Bosco. La beata non si sottrasse alla questua, recandosi nei pubblici esercizi in cui, a volte, veniva insultata. Avrebbe voluto istituire un gruppo di suore adoratrici, ma poiché il superiore non lo permise, dispose che ogni suora facesse quotidiana e profonda adorazione al SS. Sacramento. Quando chiedeva una grazia particolare pregava con le braccia in croce, in ginocchio, allungando la mano verso il tabernacolo. Dalla Francia aveva portato una statuetta della Madonna che fece benedire da Mons. Gastaldi. Ogni tanto, tenendola tra le braccia, in processione per il giardino con le suore, pregava cantando le litanie. Esortava alla recita del rosario e dell'ufficio della Madonna. Trasmise una profonda devozione alla Passione del Signore: il Venerdì Santo pranzava in piedi o in ginocchio, baciava i piedi alle religiose, prima di sedersi a mensa con un tozzo di pane.
    Negli ultimi anni di vita l’asma bronchiale costrinse sovente la Madre a letto. Ritenuta inadatta a governare l'Istituto, in costante sviluppo soprattutto in Lombardia, ma ancor più perché i suoi modi risoluti non piacevano a un gruppo di suore anziane, il 26 dicembre 1887 fu esonerata dalla carica di superiora generale. Accettò l'umiliazione, sottomettendosi per prima alla nuova superiora che lei stessa aveva suggerito. Da quel giorno i dolori aumentarono, ma sorridendo diceva: "Per Gesù ogni sacrificio è piccola cosa", "Io sto per morire, ma voi non temete. Io continuerò ad aiutare e a dirigere le Piccole Serve del S. Cuore di Gesù e degli infermi poveri".
    Anna Michelotti morì il 1° febbraio 1888, il giorno dopo Don Bosco. Poche ore prima della morte permise, cedendo alle ripetute insistenze delle suore, di farsi fotografare. Colei che per tutta la vita, dimentica di se stessa, aveva servito i più indifesi, fu sepolta, con ai fianchi il cingolo francescano, in una poverissima bara, nella terra bagnata dalla pioggia di un piccolo cimitero. “Il chicco di grano” era morto ma una luce di amore avrebbe continuato a brillare attraverso le sue figlie, oggi attive anche in terra di missione.
    Le sue reliquie sono venerate a Torino nella casa madre di Valsalice. Paolo VI l’ha beatificata nella solennità di Tutti i Santi del 1975.


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