CREDENTI

CREDENTI DA IMITARE (Eb.13,7)

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    00 30/09/2016 09:31

    Sant' Eusebia

    30 settembre


    m. 497 circa

    Martirologio Romano: A Marsiglia nella Provenza in Francia, santa Eusebia, vergine, che servì Dio fedelmente dalla gioventù alla vecchiaia.

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    00 01/10/2016 08:21
    Una ragazza morta a ventiquattro anni diventa dopo neppure cinquant'anni modello di tutta la Chiesa. Pio XI era molto devoto di santa Teresa di Gesù Bambino e la nominò patrona delle Missioni, lei, la cui breve vita si svolse tutta fra Alenon e Lisieux e che dopo i suoi quindici anni non usci più dal convento.
    Quanto spesso Gesù dimostra che i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, né le sue vie le nostre vie I nostri pensieri vengono dall'orgoglio, quelli di Dio dall'umiltà; le nostre vie sono tutte uno sforzo per essere grandi, quelle di Dio si percorrono solo diventando piccoli. Come sulle strade per andare a Nord bisogna prendere la direzione opposta al Sud, così per camminare sulle vie di Dio dobbiamo prendere la direzione opposta a quella verso cui il nostro orgoglio ci spinge.
    Teresa aveva grandi ambizioni, grandi aspirazioni: voleva essere contemplativa e attiva, apostolo, dottore, missionario e martire, e scrive che una sola forma di martirio le sembrava poco e le desiderava tutte... il Signore le fece capire che c'è una sola strada per piacergli: farsi umili e piccoli, amarlo con la semplicità, la fiducia e l'abbandono di un bimbo verso il padre da cui si sa amato. "Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre". ~ bellissimo salmo 130 può essere applicato alla lettera alla vita di Teresa.
    Così questa giovanissima donna ravvivò nella Chiesa il più puro spirito evangelico ricordando una verità essenziale: prima di dare a Dio è necessario ricevere. Noi abbiamo la tendenza a guardare sempre a quello che diamo; Teresa ha capito che Dio è amore sempre pronto a dare e che tutto riceviamo da lui. Chi vuol mettere la propria generosità prima della misericordia, prima dell'amore misericordioso di Dio, è un superbo; chi riceve quello che Dio gli dà con la semplicità di un bambino arriva alla santità: è contento di non saper far nulla e riceve tutto da Dio. È un atteggiamento spirituale che è anch'esso dono di Dio ed è tutt'altro che passività. Teresa fece di sé un'offerta eroica e visse nella malattia e nella prova di spirito con l'energia e la forza di un gigante: la forza di Dio si manifestava nella sua debolezza, che ella abbandonava fiduciosamente nelle mani divine. Riuscì così in modo meraviglioso a trasformare la croce in amore, una croce pesante, se ella stessa dirà alla fine della sua vita che non credeva fosse possibile soffrire tanto.
    Impariamo questa grande lezione di fiducia, di piccolezza, di gioia e preghiamo Teresa che ci aiuti a camminare come lei nella povertà di spirito e nell'umiltà del cuore. Saremo come lei inondati da un fiume di pace
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    00 02/10/2016 09:22

    Santa Giovanna Emilia De Villeneuve Religiosa e fondatrice

    2 ottobre


    Toulouse, Francia, 9 marzo 1811 - Castres, Francia, 2 ottobre 1854



    Jeanne-Émilie de Villeneuve, originaria di Tolosa in Francia, trascorse un’infanzia agiata, ma aperta ai bisogni degli altri. Dopo la morte di una sua sorella maggiore, trovò la gioia vera nella frequenza ai Sacramenti e nel condividere la vita dei più poveri. Dietro l’impulso di un benefattore, fondò la congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione di Castres, più note come “suore azzurre” o “suore blu” per il colore dell’abito. Diresse a lungo le sue figlie spirituali, spingendole ad andare dovunque la carità di Cristo le conducesse. Beatificata il 5 luglio 2009 a Castres sotto il pontificato di papa Benedetto XVI, è stata canonizzata da papa Francesco a Roma il 17 maggio 2015. I suoi resti mortali riposano nel giardino della Casa madre della Congregazione, a Castres.








    Jeanne-Émilie de Villeneuve nacque il 9 marzo 1811 a Tolosa, in una delle più antiche famiglie nobili della Linguadoca. Era la terzogenita, dopo Léontine e Octavie, del marchese Jean-Baptiste Marie Louis de Villeneuve, un tempo ufficiale di marina e di Rosalie Gabrielle de Monteal-Avessens.
    Dopo la nascita del figlio maschio Ludovic, la famiglia si stabilì nel castello di Hauterive, vicino a Castres (a 90 chilometri da Tolosa), dove inizialmente trascorreva solo l’estate. Dato che il marchese si occupava di controllare i possedimenti agricoli e della sua azienda di lavorazione del cuoio, delegò l’educazione dei figli alla moglie, che se ne occupò pienamente finché ne fu in grado.
    Per Émilie il padre divenne un vero modello: organizzò dei corsi d’avviamento professionale e fu sempre molto vicino ai più poveri. Dalle sorelle, invece, si sentiva in un certo senso isolata a causa della differenza d’età, finendo col diventare quasi insensibile. Allo stesso tempo, sviluppò un grande amore per la precisione, tanto che venne incaricata dalla madre di fornire un’iniziale istruzione al fratellino.
    Nel 1825, la signora de Villeneuve si spense, dopo una dolorosa agonia. Nemmeno in quel caso Émilie lasciò trasparire i propri sentimenti, e neppure quando, nel gennaio 1826, ricevette la Prima Comunione. Non molto tempo dopo, venne affidata insieme alle sorelle (Ludovic fu mandato in collegio) alla nonna paterna, in quanto suo padre venne nominato sindaco di Castres. Le sorelle ne furono felici e colsero l’occasione per non mancare agli appuntamenti che si svolgevano nel salotto della signora.
    Poco meno di due anni dopo, improvvisamente, morì la sorella Octavie. Sul momento Émilie rimase impassibile come al solito, ma di lì a poco scoprì cosa poteva renderla davvero felice: la preghiera, la frequentazione dei sacramenti e la partecipazione alle conversazioni religiose con alcuni amici della nonna.
    Col matrimonio di Léontine, alla fine del novembre 1829, Émilie divenne di fatto padrona di casa, anzi, del castello di Hauterive, perché il padre, dopo essersi dimesso dall’incarico di sindaco, non perse di vista le proprie attività agricole. Ludovic disapprovava il contegno e le abitudini della sorella, che trovava poco ordinarie rispetto a quelle delle ragazze della sua età e della sua epoca: lei, infatti, condivideva coi poveri il denaro che le forniva il padre, andava a Messa ogni mattina e assisteva le giovani istruendole e assistendole se ammalate. Trovò inoltre una guida spirituale nel gesuita padre Leblanc, che risiedeva a Tolosa.
    Ma le elemosine e le visite, ben presto, non le bastarono più. Voleva condividere la vita dei più abbandonati, per ricondurli alla loro dignità umana e di figli di Dio. A ventitre anni, confidò all’amica Coralie de Gaix, che in seguito lasciò un memoriale su di lei, che sentiva «un’attrattiva irresistibile» non per il matrimonio, ma per la consacrazione religiosa, precisamente tra le Figlie della Carità di San Vincenzo De Paoli. Anche padre Leblanc approvò il suo progetto, ma non i familiari: il signor de Villeneuve le chiese di attendere altri quattro anni. Émilie, consigliata anche dal direttore spirituale, accettò, ma intensificò le sue attività in parrocchia. Si rese così disponibile che le amiche, con tono tra lo scherzoso e l’ammirato, presero a chiamarla «Signor Vicario», quasi fosse un viceparroco in gonnella.
    Un giorno le venne recapitata una lettera. Era da parte di un certo signor de Barre, benefattore e fervente cristiano, che asseriva di aver avuto un’ispirazione durante la Messa: la giovane avrebbe dovuto costituire a Castres una casa, diretta da religiose, per l’educazione dei bambini lasciati a se stessi dai genitori. Dopo aver lungamente pregato e riflettuto, padre Leblanc concluse che era volere di Dio che l’opera fosse compiuta. Anche il padre di Émilie si disse convinto, tanto più che la figlia non sarebbe stata tanto lontana da lui, e contribuì finanziariamente all’acquisto della casa. Nell’abbandonare il castello, gli disse: «È per Dio che vi lascio, voglio servire i poveri!».
    Il nome scelto per la nuova fondazione fu quello di «Congregazione dell’Immacolata Concezione». Rispecchiava la devozione che Émilie aveva sempre avuto per la Vergine Maria, che aveva scelto come speciale confidente quando era rimasta senza madre. Il fine era espresso nelle prime Regole: l’educazione dei bambini abbandonati, il servizio ai poveri e ai prigionieri, l’istruzione e la formazione professionale delle ragazze.
    Émilie e due compagne, dopo un mese di ritiro, quasi un noviziato, presso il convento della Visitazione di Tolosa, cambiarono i vestiti con un abito religioso azzurro e professarono i voti temporanei l’8 dicembre 1836, alla presenza dell’arcivescovo di Albi. La neo-fondatrice prese il nome di suor Maria, ma nell’uso comune è rimasta nota col nome di battesimo.
    Dopo un iniziale appoggio da parte dei cittadini, le tre suore subirono pesanti attacchi per aver inaugurato, il 29 marzo 1837, un laboratorio di cucito. Le sarte professioniste avvertivano il peso della concorrenza e arrivarono a calunniare la nuova comunità, che, consigliata da padre Leblanc, non cedette. Alla fine dell’anno, le critiche cessarono e vennero ammesse quattro postulanti. All’inizio dell’anno successivo, le “suore azzurre” o “suore blu”, come vennero soprannominate, ricevettero l’incarico di occuparsi dei carcerati, mentre il 1° maggio si stabilirono nell’ex seminario minore.
    Madre Émilie era ammirata e rispettata dalle consorelle e dalle allieve. Il suo motto, come era già accaduto per santa Giovanna Antida Thouret, era «Dio solo!». Intraprese la redazione delle Costituzioni, che vennero approvate dall’arcivescovo di Albi alla fine del 1841, anche per garantire alla comunità una formazione migliore. Dietro richiesta delle consorelle, venne nominata superiora a vita, ma non smise di sottoporsi alla regola comune.
    All’inizio di giugno 1843, mentre si trovava a Parigi per ottenere dal governo l’approvazione civile per aprire scuole comunali, s’incontrò con padre François-Marie-Paul Libermann, della Congregazione dello Spirito Santo (Venerabile dal 1910), col quale era in relazione epistolare da un anno. L’obiettivo era l’invio di alcune suore in missione oltreoceano, come lei aveva auspicato nelle Costituzioni.
    Il 30 aprile 1844, dopo quaranta giorni di penitenza per ottenere i fondi necessari, la comunità s’insediò nel nuovo convento. Quella quaresima particolare era servita a madre Émilie per orientare anzitutto le sue figlie e lei stessa verso la conversione del cuore. Le fondazioni proseguirono nel luglio 1846, con l’apertura di un rifugio per prostitute. A questo riguardo aveva raccomandato: «È molto importante che le Suore non mostrino mai, nei confronti delle penitenti, qualunque torto abbiano da rimproverare loro, né impazienza, né disgusto della loro compagnia, né disprezzo per le loro persone. Le tratteranno sempre, al contrario, con una dolcezza e un affetto tutti santi».
    La prima partenza per l’Africa di quattro religiose avvenne il 22 novembre 1847, seguita da quelle del 1849 e del 1850. Padre Libermann consigliò loro di avere tanta pazienza e di non far assumere agli indigeni le abitudini europee, ma di lasciare «gli usi e i costumi che sono loro naturali, perfezionarli animandoli con i principi della fede e delle virtù cristiane, e correggendo ciò che hanno di difettoso»; insomma, quello che oggi chiamiamo inculturazione.
    Il 30 dicembre 1852 le Suore dell’Immacolata Concezione divennero un istituto di diritto pontificio. Un anno dopo, senza che nessuno se l’aspettasse, madre Émilie si dimise dall’incarico di superiora generale: per sé non desiderava altro se non la «felicità di obbedire» e che le sue figlie prendessero una via autonoma senza la sua guida, che comunque sarebbe prima o poi venuta meno.
    Le sue supposizioni divennero realtà verso la metà del 1854, quando, nel sud della Francia, si diffuse il colera, accompagnato dalla febbre miliare, ossia da febbre contagiosa ed eruzioni cutanee. L’unica ad ammalarsi in Casa madre fu la Fondatrice, che si era offerta a Dio perché l’epidemia cessasse a Castres. Il 27 settembre fu costretta a mettersi a letto e, due giorni dopo, fu trasportata in infermeria. Morì il 2 ottobre 1854, mentre le sue figlie recitavano le preghiere per gli agonizzanti.
    Dopo la sua morte, la Congregazione si espanse in Brasile e Argentina, a seguito delle leggi francesi che segnavano la separazione tra Chiesa e Stato. Nel 1998, invece, si è aperta una comunità nelle Filippine. In Italia è stata presente dapprima a Rubiana, poi ad Acqui Terme, dove opera tuttora. La Casa generalizia ha sede a Roma, nella casa per ferie «Il Romitello». Ogni fondazione ha sempre lo scopo di accorrere dove i poveri hanno più bisogno, come la Fondatrice ripeteva spesso.
    Visto il perdurare della sua fama di santità, durante il mandato come superiora generale di madre Sylvie Azaïs si cominciò a copiare e classificare i documenti manoscritti, in modo da operare una prima analisi della sua spiritualità. Nel 1945, la nuova superiora madre Marie Agathe Vernadat iniziò lo studio degli scritti. Il 18 agosto 1947, durante il capitolo generale, madre Germaine Sapène riferì la decisione d’istituire il processo di beatificazione.
    La fase informativa durò dal 25 agosto 1948 al 6 febbraio 1950, presso la diocesi di Albi, nel cui territorio rientra Castres. Dal momento che la causa era stata avviata 94 anni dopo la morte della candidata agli altari, venne qualificata come causa storica. Il 20 novembre 1948 venne svolta la ricognizione canonica dei resti della Serva di Dio, che vennero nuovamente sepolti il 18 agosto 1949 nel giardino della Casa madre, dove si trovano tuttora, ai piedi di una statua della Madonna che lei invocava come “Notre Dame du Prompt Secours”.
    Trentaquattro anni dopo la trasmissione degli atti del processo a Roma, si svolse, il 10 ottobre 1984, la riunione dei periti storici, mentre la “positio super virtutibus” venne trasmessa alla Congregazione vaticana per le Cause dei Santi nel 1986. Quattro anni dopo, il 30 novembre 1990, il processo informativo venne convalidato con apposito decreto.
    A seguito della riunione dei periti teologi, il 18 dicembre 1990, e della riunione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, 4 giugno 1991, venne promulgato il decreto che attribuiva a madre Giovanna Emilia il titolo di Venerabile, letto di fronte al Papa il 6 luglio 1991 e reso noto il 9 ottobre del medesimo anno.
    Dal 16 maggio al 20 ottobre 2003 si svolse il processo diocesano su un probabile miracolo, ossia la guarigione di Binta Diaby, un’adolescente musulmana che viveva in Guinea e che nel 1994, per aver ingerito della soda caustica, stava rischiando di morire di peritonite. Fu trasportata in una casa delle suore a Barcellona, che iniziarono una novena alla Fondatrice e le diedero in mano una sua immagine con reliquia. Dopo ventitré giorni, la ragazzina si alzò guarita. La convalida dell’inchiesta sul miracolo avvenne il 4 febbraio 2005. L’approvazione definitiva, dopo le riunioni della commissione medica (16 febbraio 2006), dei periti teologi (26 gennaio 2007) e dei cardinali e vescovi membri della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi (6 novembre 2007), giunse col decreto del 17 dicembre 2007, che apriva la strada alla beatificazione. La celebrazione si è svolta a Castres il 5 luglio 2009, presieduta dal cardinal Angelo Amato, Prefetto delle Cause dei Santi, in qualità d’inviato del Santo Padre.
    Come secondo miracolo per ottenere la canonizzazione è stato preso in esame il caso di Emily Maria de Sousa, nativa di Patrolina, in Brasile. Il 5 maggio 2008, quando aveva appena 9 mesi, infilò un dito in una presa di corrente e ricevette una scossa elettrica. Condotta in ospedale, venne ricoverata in terapia intensiva. Poteva mangiare, ma aveva difficoltà a respirare e un’ipertonia muscolare. Il 14 maggio le venne posto un tubo gastrico e fu trasferita in pediatria. Uscì dall’ospedale il 20 maggio in stato molto grave: non poteva vedere, respirare, parlare, stare in piedi e il collo le ciondolava da una parte all’altra. I genitori della piccola, consigliati dalla loro amica suor Ana Celia de Oliveira, decisero di compiere una novena alla Beata Giovanna Emilia. Verso la sera del 30 maggio 2008 ci fu un cambiamento radicale: la bambina riprese a vedere e tornò alla normalità. Questo evento fu riconosciuto come guarigione inspiegabile con il decreto reso noto il 6 dicembre 2014.
    Il 17 maggio 2015, in piazza San Pietro a Roma, papa Francesco ha ufficialmente posto alla venerazione di tutta la Chiesa cattolica madre Giovanna Emilia De Villeneuve e altre tre Beate: suor Maria Alfonsina Danil Ghattas, madre Maria Cristina dell’Immacolata Concezione (Adelaide Brando) e suor Maria di Gesù Crocifisso (Mariam Baouardy).


    Autore: Emilia Flocchini

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    00 03/10/2016 08:03

    San Dionigi l'Areopagita Discepolo di S. Paolo

    3 ottobre


    m. 95 c.

    Dionigi viene citato da Luca come uno dei pochissimi ateniesi che seguirono Paolo dopo il discorso all’Areopago. Un altro Dionigi, vescovo di Corinto del II secolo, scrive che l’Areopagita fu il primo pastore di Atene. Fu, poi, confuso con l’omonimo protovescovo martire di Parigi, la cui festa cade il 9 ottobre. Sotto il nome di Pseudo-Dionigi va l’autore (forse un monaco siriaco del V-VI secolo) di celebri scritti largamente diffusi nel Medioevo: tra essi il «De coelesti Ierarchia» e il «De divinis nominibus». In essi si afferma che Dionigi avrebbe visto l’eclissi della Crocifissione e assistito alla Dormizione di Maria. Perciò furono attribuiti all’antico ateniese. (Avvenire)

    Martirologio Romano: Commemorazione di san Dionigi l’Areopagita, che si convertì a Cristo annunciato da san Paolo Apostolo davanti all’Areopágo e fu costituito primo vescovo di Atene.



    Ascolta da RadioMaria:




    E' una figura assai misteriosa: un teologo del sesto secolo, il cui nome è sconosciuto, che ha scritto sotto lo pseudonimo di Dionigi Areopagita. Con questo pseudonimo egli alludeva al passo della Scrittura che abbiamo adesso ascoltato, cioè alla vicenda raccontata da San Luca nel XVII capitolo degli Atti degli Apostoli, dove viene riferito che Paolo predicò in Atene sull'Areopago, per una élite del grande mondo intellettuale greco, ma alla fine la maggior parte degli ascoltatori si dimostrò disinteressata, e si allontanò deridendolo; tuttavia alcuni, pochi ci dice San Luca, si avvicinarono a Paolo aprendosi alla fede. L’evangelista ci dona due nomi: Dionigi, membro dell'Areopago, e una certa donna, Damaris.

    Se l'autore di questi libri ha scelto cinque secoli dopo lo pseudonimo di Dionigi Areopagita vuol dire che sua intenzione era di mettere la saggezza greca al servizio del Vangelo, aiutare l'incontro tra la cultura e l'intelligenza greca e l'annuncio di Cristo; voleva fare quanto intendeva questo Dionigi, che cioè il pensiero greco si incontrasse con l'annuncio di San Paolo; essendo greco, farsi discepolo di San Paolo e così discepolo di Cristo.

    Perché egli nascose il suo nome e scelse questo pseudonimo? Una parte di risposta è già stata data: voleva proprio esprimere questa intenzione fondamentale del suo pensiero. Ma ci sono due ipotesi circa questo anonimato coperto da uno pseudonimo. Una prima ipotesi dice: era una voluta falsificazione, con la quale, ridatando le sue opere al primo secolo, al tempo di San Paolo, egli voleva dare alla sua produzione letteraria un'autorità quasi apostolica. Ma migliore di questa ipotesi — che mi sembra poco credibile — è l'altra: che cioè egli volesse proprio fare un atto di umiltà. Non dare gloria al proprio nome, non creare un monumento per se stesso con le sue opere, ma realmente servire il Vangelo, creare una teologia ecclesiale, non individuale, basata su se stesso. In realtà riuscì a costruire una teologia che, certo, possiamo datare al sesto secolo, ma non attribuire a una delle figure di quel tempo: è una teologia un po' disindividualizzata, cioè una teologia che esprime un pensiero comune in un linguaggio comune. Era un tempo di acerrime polemiche dopo il Concilio di Calcedonia; lui invece, nella sua settima Epistola, dice: «Non vorrei fare delle polemiche; parlo semplicemente della verità, cerco la verità». E la luce della verità da se stessa fa cadere gli errori e fa splendere quanto è buono. Con questo principio egli purificò il pensiero greco e lo mise in sintonia con il Vangelo. Questo principio, che egli rivela nella sua settima Epistola, è anche espressione di un vero spirito di dialogo: cercare non le cose che separano, cercare la verità nella Verità stessa; essa poi riluce e fa cadere gli errori.

    Quindi, pur essendo la teologia di questo autore, per così dire “soprapersonale”, realmente ecclesiale, noi possiamo collocarla nel VI secolo. Perché? Lo spirito greco, che egli mise al servizio del Vangelo, lo incontrò nei libri di un certo Proclo, morto nel 485 ad Atene: questo autore apparteneva al tardo platonismo, una corrente di pensiero che aveva trasformato la filosofia di Platone in una sorte religione filosofica, il cui scopo alla fine era di creare una grande apologia del politeisimo greco e ritornare, dopo il successo del cristianesimo, all’antica religione greca. Voleva dimostrare che, in realtà, le divinità erano le forze operanti nel cosmo. La conseguenza era che doveva ritenersi più vero il politeismo che il monoteismo, con un unico Dio creatore. Era un grande sistema cosmico di divinità, di forze misteriose, quello che mostrava Proclo, per il quale in questo cosmo deificato l'uomo poteva trovare l'accesso alla divinità. Egli però distingueva le strade per i semplici, i quali non erano in grado di elevarsi ai vertici della verità — per loro certi riti anche superstiziosi potevano essere sufficienti — e le strade per i saggi, che invece dovevano purificarsi per arrivare alla pura luce.

    Questo pensiero, come si vede, è profondamente anticristiano. È una reazione tarda contro la vittoria del cristianesimo. Un uso anticristiano di Platone, mentre era già in corso un uso cristiano del grande filosofo. È interessante che questo Pseudo-Dionigi abbia osato servirsi proprio di questo pensiero per mostrare la verità di Cristo; trasformare questo universo politeistico in un cosmo creato da Dio – nell'armonia del cosmo di Dio dove tutte le forze sono lode di Dio – e mostrare questa grande armonia, questa sinfonia del cosmo che va dai serafini agli angeli e agli arcangeli, all'uomo e a tutte le creature che insieme riflettono la bellezza di Dio e rendono lode a Dio. Trasformava così l'immagine politeista in un elogio del Creatore e della sua creatura. Possiamo in questo modo scoprire le caratteristiche essenziali del suo pensiero: esso è innanzitutto una lode cosmica. Tutta la creazione parla di Dio ed è un elogio di Dio. Essendo la creatura una lode di Dio, la teologia dello Pseudo-Dionigi diventa una teologia liturgica: Dio si trova soprattutto lodandolo, non solo riflettendo; e la liturgia non è qualcosa di costruito da noi, qualcosa di inventato per fare un'esperienza religiosa durante un certo periodo di tempo; essa è il cantare con il coro delle creature e l'entrare nella realtà cosmica stessa. E proprio così la liturgia, apparentemente solo ecclesiastica, diventa larga e grande, diventa nostra unione con il linguaggio di tutte le creature. Egli dice: non si può parlare di Dio in modo astratto; parlare di Dio è sempre un hymnèin – un cantare per Dio con il grande canto delle creature, che si riflette e concretizza nella lode liturgica. Tuttavia, pur essendo la sua teologia cosmica, ecclesiale e liturgica, essa è anche profondamente personale. Egli creò la prima grande teologia mistica. Anzi la parola “mistica” acquisisce con lui un nuovo significato. Fino a quel tempo per i cristiani tale parola era equivalente alla parola “sacramentale”, cioè quanto appartiene al mystèrion, al sacramento. Con lui la parola “mistica” diventa più personale, più intima: esprime il cammino dell'anima verso Dio. E come trovare Dio? Qui osserviamo di nuovo un elemento importante nel suo dialogo tra filosofia greca e cristianesimo, tra pensiero pagano e fede biblica. Apparentemente quanto dice Platone e quanto dice la grande filosofia su Dio è molto più alto, è molto più “vero”; la Bibbia appare abbastanza “barbara”, semplice, precritica si direbbe oggi; ma lui osserva che proprio questo è necessario, perché così possiamo capire che i più alti concetti su Dio non arrivano mai fino alla sua vera grandezza; sono sempre impropri. Le immagini bibliche ci fanno, in realtà, capire che Dio è sopra tutti i concetti; nella loro semplicità noi troviamo, più che nei grandi concetti, il volto di Dio e ci rendiamo conto della nostra incapacità di esprimere realmente che cosa Egli è. Si parla così – è lo stesso Pseudo-Dionigi a farlo – di una “teologia negativa”. Possiamo più facilmente dire che cosa Dio non è, che non esprimere che cosa Egli è veramente. Solo tramite queste immagini possiamo indovinare il suo vero volto che, d'altra parte, è molto concreto: è Gesù Cristo. E benché Dionigi ci mostri, seguendo Proclo, l'armonia dei cori celesti, in cui sembra che tutti dipendano da tutti, il nostro cammino verso Dio, però, rimarrebbe molto lontano da Lui, egli sottolinea che, alla fine, la strada verso Dio è Dio stesso, il Quale si è fatto vicino a noi in Gesù Cristo.

    E così una teologia grande e misteriosa diventa anche molto concreta sia nell’interpretazione della liturgia sia nel discorso su Gesù Cristo: con tutto ciò, questo Dionigi Areopagita ebbe un grande influsso su tutta la teologia medievale, su tutta la teologia mistica sia dell'Oriente sia dell'Occidente, fu quasi riscoperto nel tredicesimo secolo soprattutto da San Bonaventura, il grande teologo francescano che in questa teologia mistica trovò lo strumento concettuale per interpretare l'eredità così semplice e così profonda di San Francesco: Bonaventura con Dionigi ci dice alla fine, che l'amore vede più che la ragione. Dov'è la luce dell’amore non hanno più accesso le tenebre della ragione; l'amore vede, l'amore è occhio e l'esperienza ci dà più che la riflessione. Che cosa sia questa esperienza, Bonaventura lo vide in San Francesco: è l’esperienza di un cammino molto umile, molto realistico, giorno per giorno, è questo andare con Cristo, accettando la sua croce. In questa povertà e in questa umiltà – nell’umiltà che si vive anche nella ecclesialità – c'è un’esperienza di Dio che è più alta di quella che si raggiunge mediante la riflessione: in essa tocchiamo realmente il cuore di Dio.

    Oggi esiste una nuova attualità di Dionigi Areopagita: egli appare come un grande mediatore nel dialogo moderno tra il cristianesimo e le teologie mistiche dell'Asia, la cui nota caratteristica sta nella convinzione che non si può dire chi sia Dio; di Lui si può parlare solo in forme negative; di Dio si può parlare solo col “non”, e solo entrando in questa esperienza del “non” Lo si raggiunge. E qui si vede una vicinanza tra il pensiero dell'Areopagita e quello delle religioni asiatiche: egli può essere oggi un mediatore come lo fu tra lo spirito greco e il Vangelo.

    Si vede così che il dialogo non accetta la superficialità. Proprio quando uno entra nella profondità dell'incontro con Cristo si apre anche lo spazio vasto per il dialogo. Quando uno incontra la luce della verità, si accorge che è una luce per tutti; scompaiono le polemiche e diventa possibile capirsi l'un l'altro o almeno parlare l'uno con l'altro, avvicinarsi. Il cammino del dialogo è proprio l'essere vicini in Cristo a Dio nella profondità dell'incontro con Lui, nell'esperienza della verità che ci apre alla luce e ci aiuta ad andare incontro agli altri: la luce della verità, la luce dell'amore. E in fin dei conti ci dice: prendete la strada dell'esperienza, dell'esperienza umile della fede, ogni giorno. Il cuore diventa allora grande e può vedere e illuminare anche la ragione perché veda la bellezza di Dio. Preghiamo il Signore perché ci aiuti anche oggi a mettere al servizio del Vangelo la saggezza dei nostri tempi, scoprendo di nuovo la bellezza della fede, l'incontro con Dio in Cristo

    Autore: Papa Benedetto XVI (Udienza Generale 14.05.2008)





    Tra i pochissimi che, udito il forbito discorso tenuto da Paolo all'Aeropago di Atene, aderirono a lui, Luca nomina "Dionigi l'Aeropagita", membro cioè di quel tribunale, e pertanto appartenente all'aristocrazia ateniese, "e una donna di nome Damaris", forse Damalis; secondo una tradizione riferita da s. Giovanni Crisostomo essa sarebbe la sposa di Dionigi, ma si tratta soltanto di una supposizione senza prova alcuna.
    In una lettera di Dionigi, vescovo di Corinto, contemporaneo di papa Sotero, scritta agli ateniesi prima del 175, è detto, come ci ha conservato Eusebio, che Dionigi L'Areopagita morì primo vescovo di Atene; solo una leggenda tardiva lo ha identificato con il primo vescovo di Parigi, martirizzato verso il 270. Tale identificazione troviamo nel Martirologio e nel Breviario Romano, al 9 ottobre Tuttavia nel Vetus Romanum Martyrologium, i due Dionigi sono chiaramente distinti l'uno dall'altro; al 3 ottobre, infatti, si legge: "Athenis, Dionysii Areopagitae, sub Adriano diversis tormentis passi, ut Aristides testis est in opere quod de Christiana religione composuit; e al 9 ottobre: " Parisiis Dionysii episcopi cum sociis suis a Fescennino cum gladio animadversi " (PL, CXXIII, col. 171).
    La Cronaca che porta il nome di Lucius Dexter identifica s. Dionigi di Parigi con Dionigi l'Areopagita, ma comunemente si nega l'autenticità di questo scritto. Il primo che identificò i due Dionigi fu Hilduinus, abate di S. Dionigi (m. 840), nella Vita s. Dionysii,. Sotto il nome di Dionigi l'Areopagita, vengono citati gli scritti, che probabilmente un monaco siriaco, promosso all'episcopato, compose tra il 480 e il 530 e che conobbero il più grande successo ed esercitarono un grande influsso durante tutto il Medio Evo: De coelesti hierarchia; De mystica theologia; De ecclesiastica hierarchia; De divinis nominibus, e dieci epistulae . Secondo la VII ep., Dionigi e il sofista Apollophanes avrebbero visto l'eclissi del sole nel giorno della crocifissione e secondo De divinis nominibus (III, 2) D. avrebbe assistito alla Dormitio della S.ma Vergine.
    Da queste notizie leggendarie si è creduto che l'autore di questi scritti fosse Dionigi l'Areopagita, il discepolo di Paolo: il primo ad affermarlo fu il patriarca monofisita Severo di Antiochia (512-18), in una disputa con gli ortodossi a Costantinopoli, sotto Giustiniano I (533). Ma il portavoce dei cattolici, Hypatios, vescovo di Efeso, osservò che se tali scritti fossero stati di Dionigi, non sarebbero stati ignorati né da s. Cirillo, né da s. Atanasio: argomentazione, questa, che vale ancor oggi.

    Autore: Francesco Spadafora

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    00 04/10/2016 09:03
    San Francesco ha veramente realizzato il Vangelo che la liturgia ci fa proclamare nella sua festa: ha ricevuto la rivelazione di Gesù con il cuore semplice di un bambino, prendendo alla lettera tutte le parole di Gesù. Ascoltando il passo evangelico nel quale Gesù invia i suoi discepoli ad annunciare il regno, ha sentite rivolte a sé quelle parole, che diventarono la regola della sua vita. Ed anche a quelli che lo seguirono egli non voleva dare altra regola se non le parole del Vangelo, perché per lui tutto era contenuto nel rapporto con Gesù, nel suo amore. Le stimmate che ricevette verso la fine della sua vita sono proprio il segno di questo intensissimo rapporto che lo identificava con Cristo. Francesco fu sempre piccolo, volle rimanere piccolo davanti a Dio e non accettò neppure il sacerdozio per rimanere un semplice fratello, il più piccolo di tutti, per amore del Signore.
    Per lui si sono realizzate in pieno le parole di Gesù: "il mio giogo è dolce e il mio carico leggero". Quanta gioia nell'anima di Francesco, povero di tutto e ricco di tutto, che accoglieva tutte le creature con cuore di fratello, che nell'amore del Signore sentiva dolci anche le pene!
    Anche per noi il giogo del Signore sarà dolce, se lo riceviamo dalle sue mani.
    Nella lettera ai Galati san Paolo ci dà la possibilità di capire meglio alcuni aspetti di questo giogo con due espressioni che sembrano contradditorie ma sono complementari. La prima è: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo". I pesi degli altri: questo è il giogo del Signore. San Francesco l'aveva capito agli inizi della sua conversione. Raccontò alla fine della vita: "Essendo io in peccato, troppo amaro mi sembrava vedere i lebbrosi, ma lo stesso Signore mi condusse fra loro ed io esercitai misericordia con loro". Ecco il giogo, che consiste nel caricarsi del peso degli altri, anche se farlo ci sembra duro. E continua: "E partendomene, ciò che mi era apparso amaro mi fu convertito in dolcezza nell'anima e nel corpo". Per chi se ne è veramente caricato, il giogo diventa dolce.
    Poche righe più avanti troviamo la seconda frase di san Paolo: "Ciascuno porterà il proprio fardello". Si direbbe in contrasto con la prima, ma nel contesto il significato è chiarissimo: si tratta di non giudicare gli altri, di essere pieni di comprensione per tutti, di non imporre agli altri i nostri modi di vedere e di fare, di guardare ai propri difetti e di non prendere occasione dai difetti altrui per imporre alle persone pesi che non sono secondo il pensiero del Signore. San Francesco si preoccupava di questo e nella sua regola scrive: "Non ritenersi primo fra i fratelli": essere umili; "Non si considerino mai come padroni": non imporre pesi agli altri; e aggiunge: "Chi digiuna non giudichi chi mangia". E la delicatezza della carità, che se vede il fardello degli altri non li critica, non li giudica, ma piuttosto li aiuta.
    Prendiamo così su di noi il giogo di Cristo. Carichiamoci dei pesi degli altri e non pesiamo su di loro con critiche e giudizi privi di misericordia, perché possiamo conoscere meglio il Figlio di Dio che è morto per noi, e in lui conoscere il Padre che è nei cieli, con la stessa gioia di san Francesco
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    00 05/10/2016 07:53

    Santa Flora di Beaulieu Vergine

    5 ottobre


    † 1347

    Ancora giovane, entrò come religiosa nell'Ospedale di Beaulieu in Francia. Si distinse nella carità verso i poveri e gli infermi.

    Martirologio Romano: A Beaulieu nel territorio di Cahors in Francia, commemorazione di santa Flora, vergine dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, che curò nell’ospedale gli ammalati poveri e condivise nel corpo e nell’anima la passione di Cristo.







    Nacque a Maurs (Cantal) verso il 1300; i suoi genitori, Pons e Melhor, ebbero tre figli e sette figlie, di cui quattro si dovevano fare religiose a Beaulieu. Flora non contava che quattordici anni quando entrò presso le religiose dell’ospedale di Beaulieu, fondato per i pellegrini verso il 1240 da Guiberto de Thémines e da sua moglie Aigline sulla strada da Figeac a Rocamadour, presso St-Julien d’Issendolus (Lot), dove dal 1298 si seguiva la regola degli Ospitalieri di s. Giovanni di Gerusalemme.
    Nel suo convento Flora fu sottoposta a grandi prove interiori. Ella, che aveva lasciato il mondo per fare penitenza, temeva di dannarsi restando in questa casa dove non le mancava niente. Ma un religioso la rassicurò dicendole che questa abbondanza sarebbe stata per lei un’occasione di grandi meriti se per amor di Dio si fosse astenuta dal superfluo. Subì anche molte tentazioni contro la castità – il demonio le ricordava le parole di Dio: “Crescete e moltiplicatevi” – e ne fu così turbata da essere considerata folle dalle sue consorelle.
    Tante difficoltà furono ricompensate da favori mistici; per tre mesi il Signore le apparve sotto la fugura di un angelo che era dipinto sotto il chiostro del convento e le fece comprendere che le sofferenze che sopportava l’associavano alla sua passione. In una festa d’Ognissanti, mentre si cantava “Vidi turbam magnam” ebbe la visione dei santi in Paradiso.
    Si confessava e assisteva alla Messa ogni giorno, ma, secondo l’uso del tempo, non si comunicava che la domenica e nei giorni di festa. Meditava diligentemente la pasione di Cristo, aiutandosi con l’Ordine della Croce di s. Bonaventura, cioè, probabilmente, l’Officium de Passione Domini composto da questo santo. Mostrava una devozione particolare per la Vergine Maria nel mistero dell’Annunciazione, per s. Giovanni Battista patrono del suo Ordine, per s. Pietro e s. Francesco.
    Flora morì nel 1347. Numerosi miracoli ebbero luogo sulla tomba, ciò che indusse l’abate di Figeac a procedere all’elevazione del corpo l’11 giugno 1360. Un secolo più tardi un autore anonimo compose una raccolta di centonove racconti di prodigi o miracoli attribuiti alla sua intercessione; questi miracoli, che avvennero nell’Alvernia, nel Limosino, nel Rouergue, nel Périgord, nella Guascogna e a Montpellier, attestano l’estensione del suo culto. Tuttavia solo nel sec. XVIII la festa di Flora, fissata al 5 ottobre, entrò nel Proprio della diocesi di Cahors. Nell’Ovest della Francia è invocata durante i temporali insieme con s. Barbara e s. Chiara.
    La Vita di s. Flora fu scritta il latino dal suo confessore; il testo si è perduto, ma se ne è conservata una traduzione nel dialetto di Quercy fatta alla fine del sec. XV dall’autore anonimo che redasse la raccolta dei suoi miracoli.


    Autore: Philippe Rouillard

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    00 06/10/2016 07:04

    Sant' Ywi Monaco in Britannia

    6 ottobre


    Inghilterra sec. VII - Britannia 704 ca.

    Martirologio Romano: In Bretagna, sant’Ivio, diacono e monaco, che, discepolo di san Cutberto vescovo di Lindisfarne, attraversò il mare e dimorò in questa regione, assiduo nelle veglie e nei digiuni.







    Secondo una leggenda locale, Ywi fu un diacono e monaco, discepolo del grande san Cutberto, vescovo di Lindsfarne o Holy Island nel Mare del Nord, dove nel VII secolo si erano stabiliti dei missionari provenienti da Iona; Ywi emigrò nel 625 in Britannia (Bretagna).
    Il suo nome compare l’8 ottobre negli antichi calendari inglesi e soprattutto nel ‘Salterio di Bosworth’, dove è normalmente associato all’abbazia di Wilton presso Salisbury (Inghilterra) che infatti intorno all’anno 1000 affermava di possedere le reliquie del “vescovo Ywig”.
    Della sua vita non si sa altro che fu monaco di grande spiritualità, apostolo della regione, vigile nelle verità della fede.
    Il ‘Martyrologium Romanum’ riporta che morì nel 704 ca. e che la celebrazione attualmente è al 6 ottobre. Il suo culto era ed è professato in Inghilterra ed in Francia, dando il suo nome a quattro parrocchie francesi; sempre in Bretagna si usa bagnare la camicia dei bimbi in una sorgente che sgorga sotto l’altare di s. Ywi per ottenere la guarigione dalle coliche.


    Autore: Antonio Borrelli

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    00 07/10/2016 07:25

    San Marco I Papa

    7 ottobre


    m. 336

    (Papa dal 18/01/336 al 07/10/336)
    Romano. Durante il suo pontificato venne redatto il più antico calendario "civile" della chiesa romana, e per la prima volta appare la nascita di Cristo al 25 dicembre.

    Martirologio Romano: A Roma, san Marco, papa, che costruì la chiesa del titolo in Pallacinis e una basilica nel cimitero di Balbina sulla via Ardeatina, dove egli stesso fu inumato.







    San Marco Papa era di Roma e fu pontefice per un periodo molto breve, dal 18 gennaio al 7 ottobre del 336. Prima di diventare Papa, fu vescovo di Roma. Il liber pontificalis attribuisce a Marco un pontificato più lungo e l’emissione del decreto con cui era riservato al vescovo di Ostia il diritto di consacrare il vescovo di Roma.
    San Marco Papa edificò in nome di Marco evangelista la basilica Juxta Pallacinis, identificata con l’attuale chiesa di San Marco. Anni fa infatti sono stati scoperti i resti sotterranei della primitiva basilica, nonché la cripta del IX secolo che ospitò la salma di San Marco Papa.
    Secondo alcune fonti fu sotterrato in un primo tempo nel cimitero di Santa Balbina sull’Ardeatina, per poi essere trasportato nella chiesa di San Marco da Papa Gregorio IV (pontefice dall’827 all’844, presbitero proprio della chiesa di San Marco). Così riferisce di Lui il M.R: a Roma, sulla via Ardeatina, la deposizione di San Marco, Papa e Confessore. Secondo altre fonti invece nel 1048 le sue reliquie furono portate dal Cimitero di Balbina a Velletri e nel 1145, dopo varie traversie, traslate dal Castello di Giuliano a S. Marco Evangelista in Campidoglio.
    Il Santo pontefice riposa nell’arca granitica posta sotto l’altare maggiore, che fu consacrato il 22 aprile 1737 dal cardinale Guadagni il quale per la cerimonia adoperò reliquie non insigni dei martiri Urbano e Valentino. Nel 1948 è stata ritrovata la pergamena della ricognizione delle reliquie effettuata dal cardinale Marco Bembo.
    La basilica conserva un vero tesoro di reliquiari, ne ricordiamo tre, anche se custodiscono resti non insigni. Il primo contiene una parte del braccio di S. Patrizio e fu offerto dal cardinale titolare Domenico Bartolini (1876-1887). Il secondo, con un dito del Beato Gregoriano Barbarigo, venne donato alla basilica da Clemente XIII nel giugno del 1767; del beato sono conservati altri resti non insigni nel Tesoro del Laterano. Il terzo, contenente una reliquia di S. Marco Evangelista, fu donato nel 1862 dal cardinale titolare Pietro De Silvestri.

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    00 08/10/2016 09:44

    Santa Taisia (Taide) Penitente

    8 ottobre


    Sec. III







    Nella letteratura pagana era nota la figura di una meretrice di nome Taide, che compare in una commedia di Terenzio. Anche Dante la cita, non certo per elogio, nel suo Inferno, ma tra gli adulatori, immersa nello sterco di Malebolge.
    Quasi per bilanciare la figura della peccatrice pagana è sorta, nel vivace verziere dell'agiografia medievale, la leggenda della Santa Taide cristiana, peccatrice anch'ella, ma penitente e redenta.
    Sembra quasi che la pietà cristiana abbia dato un seguito alla storia dell'antica Taide, completandola e coronandola in senso spirituale e in maniera edificante. Il risultato appare così come una suggestiva " moralità ", come si chiamavano le rappresentazioni allegoriche e didascaliche del Medioevo, che ha per oggetto la rinunzia al peccato e soprattutto l'esaltazione della penitenza.
    La leggenda di Santa Taide segue lo stesso schema di quelle, ancora più celebri ' di Santa Maria Egiziaca e di Santa Pelagia, e di altre donne passate dal vizio più sfrenato alla penitenza più dura. I particolari del racconto sono però sempre diversi e sempre pittoreschi, con sfumature impreviste e significative. Vere e proprie " leggende ", cioè composizioni " da leggere ", con piacere sempre nuovo e curiosità mai delusa, anche quando sia noto il tema e palese l'intenzione edificante.
    Della leggenda di Taide esistono testi, abbastanza antichi, greci, siriaci e latini. Roswita, Abbadessa di Gandersheim, e Marbordio, Vescovo di Rennes, la ridussero a dramma, per le scene medievali. E più che dagli storici, è stata prediletta dagli scrittori, sian essi devoti agiografi come il Beato Jacopo da Varagine, o moderni letterati estetizzanti, come Anatole France.
    Un Santo anacoreta, che vien detto Bessarione, oppure Serapione, oppure Giovanni il Nano, ma, più spesso, ha il nome di San Paffluzio, saputo dello scandalo di Taide, giunse alla casa della cortigiana e chiese d'esser ricevuto nella più segreta delle sue segrete stanze. Riconosciutolo per un monaco, la donna lo schernì: " Se è di Dio che hai paura, in nessun luogo potrai nasconderti ai suoi occhi! ".
    Allora Pafnuzio abbandonò la finzione e parlò con santa fermezza: " Tu sai dunque che esiste un Dio? Perché allora sei la causa della perdita di tante anime? ". Taide cadde in ginocchio, chiedendo tre ore di tempo per liberarsi dalla donna che era stata fino ad allora. In quelle tre ore, fece un gran fuoco, sulla piazza, dei preziosi doni dei suoi visitatori, delle vesti procaci e dei monili vistosi.
    Tre anni di penitenza, di preghiera e di contrizione in un monastero, resero l'anima di Taide peccatrice più candida di una colomba. Infatti, nel deserto, San Paolo, discepolo di Sant'Antonio Abate, vide nel cielo un magnifico letto custodito da tre vergini biancovestite: la Paura dell'inferno, la Vergogna per il peccato e la Passione di giustizia. Paolo credette che si trattasse del premio sperato per il vecchissimo Patriarca Sant'Antonio, ma una voce dal cielo lo dissuase. Si trattava dei premio di Taide, ormai perdonata.
    Pafnuzio, informato di ciò, corse al monastero e disse alla donna di uscire pure dalla cella oscura e maleodorante dove la sua penitenza era fiorita con tanto rigoglio da cancellare il ricordo del male passato. Taide però non si mosse. Seguitò a pregare per i suoi peccati, anche se ormai scontati. Quindici giorni dopo era morta. La meretrice egiziana veniva accolta così nel letto dell'eterna gloria, custodito dalle tre Vergini biancovestite.

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    00 09/10/2016 07:27

    San Diodoro, Diomede e Didimo Martiri

    9 ottobre




    Emblema: Palma


    Martirologio Romano: A Laodicea in Siria, passione dei santi Diodoro, Diomede e Didimo.



    Ascolta da RadioRai:




    Il Martirologio Romano fa menzione all'11 settembre dei santi Diodoro, Diomede e Didimo, il cui martirio sarebbe awenuto a Laodicea di Siria. Il Baronio ha introdotto questa commemorazione da fonti bizantine: infatti, diversi sinassari o menologi bizantini commemorano Diodoro e Didimo sia l'11 (o 10) settembre, sia il 9 ottobre.
    Secondo il Menologio di Basilio ed un cod. della Biblioteca Ambrosiana (B 104 sup.) Diodoro e Didimo erano due cristiani di Laodicea molto zelanti e operavano numerose conversioni. Denunziati da certi greci pagani furono trasferiti al tribunale del governatore di Laodicea. Con fermezza e coraggio confessarono Cristo e rifiutarono di rendere culto agli idoli. Furono condannati a morte e, pur in mezzo ai tormenti, non smisero di ringraziare il Signore, e così compirono il loro martirio.
    Quanto a Diomede non viene menzionato che in un solo cod. e non si può dir nulla di lui.
    Il Martirologio Siriaco del IV sec. ricorda al 9 ottobre (uno dei giorni dei sinassari bizantini) a Laodicea, Heraclion e Diodoro sacerdote e martire. Non risulta dalle fonti greche che Diodoro sia stato sacerdote, ma non è da escludersi, dato il suo ministero che si svolgeva tra la predicazione e l'amministrazione del Battesimo. Si può dunque pensare che si tratti dello stesso personaggio.
    A sua volta il Martirologio Geronimiano menziona Diodoro sempre il 9 ottobre ma lo colloca a Laodicea di Frigia, mentre ricorda un Heracleion il giorno precedente. Che Laodicea di Siria sia un'invenzione del Baronio non è possibile, perché la fonte greca, riassunta precedentemente, offre già questa precisazione. Non è però possibile dire quale delle tradizioni, quella dei sinassari o quella del Geronimiano, meriti di essere considerata migliore.


    Autore: Joseph-Marie Sauget

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    00 10/10/2016 08:53

    Santi Eulampio ed Eulampia Martiri

    10 ottobre




    Sant’Eulampio ed Eulampia, sua sorella, subirono il martirio cristiano presso Nicomedia in Bitinia durante la persecuzione promossa dall’imperatore Diocleziano.

    Martirologio Romano: A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, santi Eulampio e sua sorella Eulampia, martiri durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.







    Secondo gli Acta leggendari, per aver beffato le misure anticristiane dell'imperatore Massimiano e rifiutato di sacrificare agli idoli, Eulampio fu sottoposto alle torture. A un certo momento, egli espresse il desiderio di andare al tempio, dove rovesciò e ridusse in pezzi uno degli idoli principali. Ricondotto al luogo delle torture, fu raggiunto da sua sorella, Eulampia, impaziente di offrire la sua vita a Cristo. Gettati tutti e due nell'olio bollente, ma rimasti illesi, ebbero la testa tagliata. La loro sorte fu divisa da cento altre persone che si erano convertite alla vista del miracolo. Sia nei sinassari bizantini che nel Martirologio Romano la memoria dei due martiri è ricordata il 10 ott; il loro culto veniva specialmente celebrato nella chiesa a Costantinopoli.


    Autore: Hyacinthe Celinski

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    00 11/10/2016 08:19

    San Sarmatas Martire in Egitto

    11 ottobre




    Martirologio Romano: Commemorazione di san Sármata, abate nella Tebaide, in Egitto, che, discepolo di sant’Antonio, fu ucciso dai Saraceni.

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    00 12/10/2016 08:14

    Santi Felice, Cipriano e 4964 compagni Martiri d'Africa

    12 ottobre


    † 483

    Assassinati con quasi cinquemila cristiani dal re vandalo ariano Unerico.

    Martirologio Romano: Commemorazione dei santi quattromilanovecentosessantasei martiri e confessori della fede: vescovi, sacerdoti e diaconi della Chiesa di Dio insieme a una folla immensa di fedeli, durante la persecuzione vandalica in Africa, per ordine del re ariano Unnerico, furono esiliati in odio alla verità cattolica in un orrendo deserto e celebrarono, infine, il martirio dopo varie torture. Erano tra loro Cipriano e Felice, vescovi, insigni sacerdoti del Signore.

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    00 13/10/2016 08:52

    San Comgano Abate

    13 ottobre


    VII secolo

    La tradizione vuole Comgan principe irlandese, uno dei numerosi fiori di santità sbocciati nell’isola, ma il cui ricordo affiora appena dalla nebbia della storia. Succedette a suo padre Kelly nel governo della provincia di Leinster, finché non venne attaccato dai principi limitrofi. Sconfitto e ferito in battaglia, non gli restò che fuggire in Scozia, portando in esilio anche sua sorella e suo nipote, il futuro abate san Fillian. Giunti a Lochalsh, dinnanzi all’isola di Skye, Comgan fece edificare un monastero di cui divenne abate, conducendovi per parecchi anni una vita esemplare per l’austerità e lo spirito di penitenza. I sette uomini che lo avevano seguito divennero i primi monaci. Alla sua morte il nipote seppellì il corpo nell’isola di Iona, dove dedicò una chiesa alla sua memoria. Questo non fu che il primo di numerosi edifici sacri a lui intitolati in tutta la Scozia, presentando il suo nome sotto diverse forme: Cowan, Coan e Congan. Anche i nomi delle località di Kilchoan e Kilcongen potrebbero ricollegarsi al culto del santo ancora oggi venerato. (Avvenire)

    Martirologio Romano: Nell’isola di Iona in Scozia, desposizione di san Comgano, abate, che, venne dall’Irlanda in questa regione insieme alla sorella santa Chentigerna, ai figli di lei e ad alcuni missionari.







    La tradizione vuole Comgan principe irlandese, uno dei numerosi fiori di santità sbocciati in tale isola ma il cui ricordo affiora appena dalla nebbia della storia. Succedette a suo padre Kelly nel governo della provincia di Leinster, finché non venne attaccato dai principi limitrofi. Sconfitto e ferito in battaglia, non gli restò che fuggire in Scozia, portando in esilio anche sua sorella e suo nipote, il futuro abate San Fillian.
    Giunti a Lochalsh, dinnanzi all’isola di Skye, Comgan fece edificare un monastero di cui divenne abate, conducendovi per parecchi anni una vita esemplare per l’austerità e lo spirito di penitenza che la contraddistinse. I sette uomini che lo avevano seguito divennero dunque i primi monaci.
    Alla sua porte il nipote seppellì il suo corpo nell’isola di Iona, ove dedicò una chiesa alla sua memoria. Questo non fu che il primo di numerosi altri edifici sacri a lui intitolati in tutta la Scozia, talvolta presentando il suo nome sotto diverse forme: Cowan, Coan e Congan. Anche i nomi delle località di Kilchoan e Kilcongen potrebbero ricollegarsi al culto del santo abate ancora oggi venerato.


    Autore: Fabio Arduino

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    Coordin.
    00 14/10/2016 05:38

    San Domenico Loricato Monaco

    14 ottobre


    Sec. X

    Domenico, camaldolese del X-XI secolo, è detto Loricato perché a scopo di penitenza indossava sempre una specie di camicia di ferro a maglie fitte, detta "lorica". Nato nel territorio di Cagli, nelle Marche, era monaco a Fonte Avellana, quando il suo amico e maestro Pier Damiani lo chiamò a reggere la nuova comunità eremitica della Santissima Trinità alle falde del monte San Vicino. Alla morte, avvenuta nel 1060, il culto si diffuse rapidamente. Il corpo - posto nella chiesa a lui dedicata-, quando nel 1400 il monastero si svuotò fu traslato nella chiesa parrocchiale di Sant'Anna a Frontale (Macerata), dove è venerato. (Avvenire)

    Martirologio Romano: A San Severino nelle Marche, san Domenico, detto Loricato per la cintura di ferro di cui si era cinto i fianchi, sacerdote dell’Ordine dei Camaldolesi, che, ordinato per simonia, si fece poi monaco eremita e, discepolo di san Damiano, condusse un’aspra vita di austerità e penitenza.







    San Domenico Loricato (X sec.), originario del Cagliese, è venerato nella chiesa parrocchiale di Frontale (MC), dove riposano le sue spoglie.
    Monaco camaldolese a Fonte Avellana, fu chiamato dal suo amico e maestro S. Pier Damiani a reggere la nuova comunità eremitica del monastero della Santissima Trinità, da lui fondato alle falde del San Vicino. Fu l'eroe della penitenza, una penitenza inaudita, tutta tesa a mortificare il proprio corpo, al punto da indossare, senza mai toglierla, una specie di camicia di ferro a maglie concatenate, la "lorica", da cui prese il nome.
    Morì il 14 ottobre 1060 e il suo culto si diffuse rapidamente dovunque fosse presente una comunità camaldolese.
    Il suo corpo fu posto in venerazione nella Chiesa della Santissima Trinità, che tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300 i monaci ricostruirono, dedicandola a lui.
    Quando nel 1400 il monastero rimase vuoto, la cura spirituale di Frontale ed il culto di San Domenico furono affidati al clero secolare. Nel 1776 il santo corpo fu traslato a Frontale nella chiesa di S. Anna.
    La sua festa si celebra il 14 ottobre.





    Fonte:

    Da "San Severino terra di santi", a cura dell'Archeoclub di San Severino e della Biblioteca Comunale "F. Antolisei".


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    Coordin.
    00 15/10/2016 07:55

    Sant' Aurelia di Strasburgo

    15 ottobre










    Documenti autentici del sec. X attestano l’esistenza, fuori le mura di Strasburgo, di una chiesa dedicata a s. Aurelia, risalente ad un’epoca notevolmente anteriore. Una cripta, nella chiesa, custodiva le reliquie della santa, assai venerata dalla popolazione, che durante il Medioevo soleva invocarla contro la febbre. In seguito, al tempo dei moti religiosi suscitati dalla riforma protestante, la chiesa, che era stata eretta a parrocchia della città fin dal sec. XI, passò ai luterani, che nel 1524 profanarono la tomba della santa e ne dispersero le reliquie, non riuscendo però a spegnerne il culto, che è vivo ancora oggi.
    A queste notizie può aggiungersi il racconto di Walafrido Strabone, secondo cui s. Colombano, partito da Zuscenil in compagnia di s. Gallo, suo discepolo, giunse a Bregenz sul lago di Costanza (610-11) e vi trovò un’oratorio in cattivo stato dedicato a s. Aurelia . In seguito (postmodum) Colombano, con una solenne funzione, riportò al primitivo onore il tempio, che era stato in precedenza profanato da riti pagani superstiziosi. Mentre il popolo girava processionalmente intorno alla chiesa restaurata, egli la asperse di acqua benedetta, ne rinnovò la dedicazione, “unxit altare et beatae Aureliae reliquias in eo collocavit”. Il fatto riporterebbe l’esistenza della santa e del suo culto ad una data assai antica. E se, d’accordo con autorevoli studiosi, si ammette che la santa di Strasburgo e quella di Bregenz sono una medesima persona, si può pensare che s. Colombano fosse in possesso di reliquie di Aurelia. E’ possibile, infatti, che il santo, passando per Strasburgo nel suo viaggio verso la Germania, abbia avuto in dono delle reliquie di Aurelia, da lui poi collocate a Bergenz, nell’altare restaurato.
    Ma tutte queste notizie, pur essendo utili testimonianze del culto reso ad Aurelia, non valgono cerrto ad illuminarci sulla sua persona e sulle vicende della sua vita. D’altra parte, il racconto fornito dalla Vita di Aurelia, secondo cui la santa era una delle undicimila compagne di s. Orsola, è inaccettabile. Secondo questo testo, inserito nella più antica redazione che di esso si conosca (1399), nel Proprio del breviario della diocesi di Strasburgo (stampato nel 1489), Aurelia, durante il viaggio della comitiva di s. Orsola sul Reno, da Basilea a Colonia, colta da forte febbre sarebbe stata costretta a sbarcare a Strasburgo con tre compagne assegnattele da s. Orsolacome infermiere: Einteth, Worbeth e Vilbeth. Aurelia non si riprese dal suo male e morì in questa città. L’Aurelia venerata a Strasburgo non deve essere confusa con la sua omonima di Ratisbona.
    La festa di Aurelia, che è ricordata nel Martirologio Romano, è celebrata il 15 ottobre.


    Autore: Celestino Testore

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    00 16/10/2016 07:33

    Beato Gerardo da Chiaravalle Abate

    16 ottobre




    Martirologio Romano: Nel monastero di Igny nel territorio di Reims in Francia, transito del beato Gerardo da Chiaravalle, abate, ucciso da un monaco malvagio mentre era in visita in questo cenobio.

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    00 17/10/2016 11:34

    Santi Martiri Bolitani (Volitani)

    17 ottobre


    sec. III

    Martirologio Romano: In Africa proconsolare, nell’odierna Tunisia, santi martiri Volitani, che sant’Agostino celebrò in un suo sermone.

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    00 18/10/2016 08:12

    Sant' Isacco Jogues Sacerdote e martire

    18 ottobre


    >>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

    Orléans, Francia, 10 gennaio 1607 – Ossernenon, U.S.A., 18 octobre 1646

    Nacque il 10 gennaio 1607 presso Orléans in Francia. Entrò nella Società di Gesù nel 1624 e nel 1636, dopo aver ricevuto l'ordinazione presbiterale, fu inviato nel Nord America per evangelizzare le popolazioni indigene. Si diresse verso i grandi laghi, dove visse per sei anni sempre esposto a vari pericoli. Nel 1642, Isaac Jogues, insieme al coadiutore Réne Goupil e una quarantina di Uroni, cadde in una imboscata tesa dagli Irochesi. Furono tutti ferocemente torturati e mutilati. Nella notte li misero a terra, nudi e incatenati, e versarono loro addosso carboni ardenti e ceneri. Jogues fu trasferito ad Albany, dove dei mercanti calvinisti olandesi lo aiutarono a fuggire. Rientrò in Francia. Ma nel 1644 ripartì missionario per il Canada. Due anni dopo venne ucciso con un colpo alla nuca e decapitato. Furono otto i martiri gesuiti in Nord America; tutti beatificati nel 1925 e canonizzati nel 1930 da Papa Pio XI. (Avvenire)

    Martirologio Romano: Nel villaggio di Ossernenon in territorio canadese, passione di sant’Isacco Jogues, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che, ridotto in schiavitù da alcuni pagani e mutilato delle dita, morì poi con il capo fracassato da un colpo di scure. La sua memoria si celebra domani insieme a quella dei suoi compagni.







    Isaac Jogues nacuqe il 10 gennaio 1607 presso Orléans in Francia. Entrò nella Società di Gesù nel 1624 e nel 1636, dopo aver ricevuto l’ordinazione presbiterale, fu inviato nella cosiddetta “Nouvelle-France”, nel Nord-America, per evangelizzare le popolazioni indigene. Arrivò insieme con il governatore Montmagny. Con Padre Jean de Brébeuf si diresse verso i grandi laghi, ove visse per sei anni costantemente esposto a vari pericoli. Con i confratelli Garnier, Petuns et Raymbault, si spinse in esplorazione sino a Sault Sainte-Marie.
    Nel 1642, Padre Isaac Jogues intraprese un viaggio in canoa con il coadiutore Réne Goupil ed una quarantina di Uroni verso le missioni nelle terre di questo popolo, ma caddero in un imboscata tesa sul lago Saint-Pierre dagli Irochesi, acerrimi nemici degli Uroni. Furono torturati ferocemente e mutilati, vedendosi strappare prima le loro unghie e poi anche le dita. Nella notte li posero sdraiati a terra, nudi ed incatenati, e versarono loro addosso carboni ardenti e ceneri. Durante la prigionia il Goupil fu visto insegnare il segno della croce ad alcuni bambini ed allora venne ucciso con il tomahawk presso Ossenon il 29 Settembre 1642.
    Padre Jogues fu invece trasferito ad Albany, ove dei mercanti calvinisti olandesi lo aiutarono a fuggire. Rientrato nel suo paese natale, fu accolto dalla madre del re Luigi XIV ed il pontefice Urbano VIII lo autorizzo eccezionalmente a celebrare l’Eucaristia, nonostante gli fossero state amputate tutte le dita. Richiese poi ed ottenne di poter ripartire missionario per il Canada: così avvenne nel 1644.
    Due anni dopo, il 24 Settembre 1646 lasciò Trois-Rivieres con il cooperatore Jean de la Lande ed alcuni indiani diretti in Uronia in missione di pace. Ad Ossenon, odierna Auriesville nello stato di New York,vennero però ricevuti con diffidenza dagli Irochesi, che reputavano la religione dei “Manti Neri” quale responsabile delle malattie che avevano decimato il loro villaggio. Padre Isaac Jogues venne ucciso con un colpo alla nuca e decapitato il 18 Ottobre 1646 e Giovanni de la Lande subì la stessa sorte il giorno seguente. La sua testa fu conficcata su una palizzata ed il suo corpo gettato nel fiume Mohawk.
    Lo zelo e la forza d’animo dimostrati valsero ad Isacco Jogues il soprannome di “uccello da preda”. Nella sua preghiera egli era solito supplicare Dio di accordargli il favore di soffrire per la sua gloria. Fatto prigioniero, rifiuta di scappare: torturato, evade per poter tornare alla missione, “la sua sposa di sangue”.
    Furoni in tutto otto i martiri gesuiti che effusero con il loro sangue la terra nordamericana, beatificati nel 1925 e canonizzati nel 1930 da Papa Pio XI. Mentre la commemorazione del singolo Sant’Isacco Jogues ricorre in data odierna nell’anniversario del suo martirio, la festa collettiva di questo gruppo di martiri è fissata dal calendario liturgico al 19 ottobre. Numerose parrocchie negli Stani Uniti ed in Canada sono intitolate a questo santo, nonché le parrocchie di Asbestos e di Saint-Hubert in Québec.


    Autore: Fabio Arduino

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    00 19/10/2016 08:26

    San Varo e compagni Martiri in Egitto

    19 ottobre


    Egitto, † 307

    In data odierna il Martyrologium Romanum commemora il soldato San Varo che, sotto l’imperatore Massimiano, visitando e confortando i sei santi eremiti tenuti in carcere in Egitto ed essendo morto il settimo, ne volle prendere il posto in prigione. Orribilmente torturato, meritò con i suoi sei compagni monaci di conseguire la palma del martirio.

    Martirologio Romano: In Egitto, san Varo, soldato, che, sotto l’imperatore Massimiano, mentre visitava e confortava sei santi eremiti tenuti in carcere, volle prendere il posto di un settimo che era morto nell’eremo e, così, patiti insieme a loro crudeli supplizi, conseguì la palma del martirio.







    Ci sono più notizie riguardanti le fonti (Passio, menologi, menei, sinassari bizantini, ecc.) che riportano alternativamente e spesso in contraddizione fra loro, informazioni sui martiri egiziani di cui parliamo, che le notizie stesse.
    Al tempo di Massimiano Valerio (250-310) imperatore, il soldato Varo s’interessò della sorte di sei eremiti in Egitto, che erano stati imprigionati a causa della persecuzione in atto contro i cristiani.
    Sembra che in un primo tempo, gli eremiti fossero sette, ma uno di loro morì al momento dell’arresto nel deserto egiziano, oppure secondo altre fonti, morì durante la dura prigionia.
    Si sa comunque che Varo, che andava a confortarli, dichiaratosi cristiano, espresse il desiderio di sostituirsi al settimo eremita defunto; per questo venne immediatamente condannato ad essere flagellato e poi dilaniato con gli uncini, era il 307 ca.
    L’indomani fu il turno dei sei eremiti, dei quali s’ignorano i nomi; essi dopo aver rifiutato di fare sacrifici agli dei, furono sottoposti a svariati tormenti, in particolare ad una lunga e cruenta flagellazione, che procurò loro la morte. Altra fonte dice che essi dopo la flagellazione, furono condotti fuori la città per essere decapitati.
    Il culto di san Varo e dei sei eremiti è rimasto sconosciuto in Occidente, e i loro nomi assenti nei vari Martirologi medioevali; solo Cesare Baronio, li inserì al 19 ottobre nel Martirologio Romano, compilato nel XVI secolo, riferendosi ad un Menologio bizantino; bisogna aggiungere che alcune fonti greche, riportano che gli eremiti furono sette fino alla fine.
    Il corpo del soldato Varo fu raccolto da una pia donna di nome Cleopatra, che lo seppellì in luogo sicuro nella propria casa.
    Passata la persecuzione, ella ripartì verso la Palestina da dove era originaria, portando con sé segretamente le reliquie del martire, per le quali fece costruire una chiesa presso il Monte Thabor.
    In quello stesso luogo, Cleopatra fece seppellire suo figlio, morto poco tempo dopo, disponendo di essere sepolta lei stessa dopo la sua morte.
    I Menei ed i Sinassari bizantini, celebrano la loro memoria sia il 19 ottobre, sia il 25 ottobre.


    Autore: Antonio Borrelli

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    00 20/10/2016 08:36

    San Caprasio di Agen Martire

    20 ottobre




    Martirologio Romano: Ad Agen in Aquitania, ora in Francia, san Caprasio, martire.








    Il 20 ottobre, nelle aggiunte al Martirologio Geronimiano, è commemorato Caprasio (fr. Caprais), al quale, come ricorda san Gregorio di Tours, fu dedicata una chiesa, divenuta in prosieguo di tempo, dopo varie vicende e in seguito al Concordato del 1801, la cattedrale di Agen.
    Purtroppo, le notizie su Caprasio sono state trasmesse da leggende agiografiche non anteriori al sec. IX, nelle quali è arduo distinguere il vero dal falso. In un cod. del sec. X si trova una passio di Caprasio che, tuttavia, è pura e semplice riproduzione di quella di san Sinforiano di Autun; in genere, però, tutti gli altri codd. narrano le vicende di Caprasio unitamente a quelle di santa Fede, martire anch'ella ad Agen.
    Secondo questi testi, dunque, Caprasio, per sfuggire alla persecuzione di Diocleziano, si era ritirato in una spelonca. Venuto a conoscenza del martirio di Fede, desiderò esserne partecipe e, confortato da un prodigio, si presentò al giudice Daciano che, lusingandolo, cercò dapprima di indurlo ad apostatare, ma poi, vedendolo irremovibile, lo consegnò ai carnefici. Mentre il martire era torturato, si convertirono due fratelli, Primo e Feliciano, che, insieme con Fede e Caprasio, furono decapitati il 6 ottobre. I corpi dei quattro, esposti in una piazza, furono trafugati dai cristiani e sepolti onoratamente; in seguito furono traslati dal vescovo Dulcizio nella chiesa dedicata alla Vergine.
    Dopo l'invenzione del corpo (sec. V), il culto di Caprasio ebbe un grande sviluppo, tanto che, nel sec. XIV, egli era ritenuto il protovescovo di Agen.


    Autore: Agostino Amore

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    00 21/10/2016 07:07

    San Malco Eremita

    21 ottobre




    Martirologio Romano: Commemorazione di san Malco, monaco, il cui spirito ascetico e la cui insigne vita a Maronia vicino ad Antiochia in Siria furono celebrate da san Girolamo.

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    00 22/10/2016 15:25

    San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla) Papa

    22 ottobre - Memoria Facoltativa


    Wadowice, Cracovia, 18 maggio 1920 - Vaticano, 2 aprile 2005



    (Papa dal 22/10/1978 al 02/04/2005 ).
    Nato a Wadovice, in Polonia, è il primo papa slavo e il primo Papa non italiano dai tempi di Adriano VI. Nel suo discorso di apertura del pontificato ha ribadito di voler portare avanti l'eredità del Concilio Vaticano II. Il 13 maggio 1981, in Piazza San Pietro, anniversario della prima apparizione della Madonna di Fatima, fu ferito gravemente con un colpo di pistola dal turco Alì Agca. Al centro del suo annuncio il Vangelo, senza sconti. Molto importanti sono le sue encicliche, tra le quali sono da ricordare la "Redemptor hominis", la "Dives in misericordia", la "Laborem exercens", la "Veritatis splendor" e l'"Evangelium vitae". Dialogo interreligioso ed ecumenico, difesa della pace, e della dignità dell'uomo sono impegni quotidiani del suo ministero apostolico e pastorale. Dai suoi numerosi viaggi nei cinque continenti emerge la sua passione per il Vangelo e per la libertà dei popoli. Ovunque messaggi, liturgie imponenti, gesti indimenticabili: dall'incontro di Assisi con i leader religiosi di tutto il mondo alla preghiere al Muro del pianto di Gerusalemme. Così Karol Wojtyla traghetta l'umanità nel terzo millennio. La sua beatificazione ha luogo a Roma il 1° maggio 2011.








    Karol Józef Wojtyła, eletto Papa il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920.

    Era il secondo dei due figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941.

    A nove anni ricevette la Prima Comunione e a diciotto anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.

    Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.

    A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.

    Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale a Cracovia il 1 novembre 1946. Successivamente, fu inviato dal Cardinale Sapieha a Roma, dove conseguì il dottorato in teologia (1948), con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce. In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.

    Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino una tesi sulla possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler. Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.

    Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.

    Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che lo creò Cardinale il 26 giugno 1967.

    Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-65) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.

    Viene eletto Papa il 16 ottobre 1978 e il 22 ottobre segue l'inizio solenne del Suo ministero di Pastore Universaledella Chiesa.

    Dall’inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha compiuto 146 visite pastorali in Italia e, come Vescovo di Roma, ha visitato 317 delle attuali 332 parrocchie romane. I viaggi apostolici nel mondo - espressione della costante sollecitudine pastorale del Successore di Pietro per tutte le Chiese - sono stati 104.

    Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Encicliche, 15 Esorta-zioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche. A Papa Giovanni Paolo II si ascrivono anche 5 libri: "Varcare la soglia della speranza" (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e Identità" (febbraio 2005).

    Papa Giovanni Paolo II ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha tenuto 9 concistori, in cui ha creato 231 (+ 1 in pectore) Cardinali. Ha presieduto anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.

    Dal 1978 ha convocato 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).

    Nessun Papa ha incontrato tante persone come Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali del mercoledì (oltre 1160) hanno partecipato più di 17 milioni e 600mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo; numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.

    Muore a Roma, nel suo alloggio nella Città del Vaticano, alle ore 21.37 di sabato 2 aprile 2005. I solenni funerali in Piazza San Pietro e la sepoltura nelle Grotte Vaticane seguono l'8 aprile.

    La festa liturgica è iscritta nel Calendario Romano generale al 22 ottobre, con il grado di memoria facoltativa.





    Fonte:

    www.karol-wojtyla.org



    Note: Per approfondire: Cristina Siccardi - Giovanni Paolo II. L’uomo e il Papa - Paoline Editoriale Libri, 2011

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    00 23/10/2016 08:47

    San Teodoreto di Antiochia Martire

    23 ottobre




    Martirologio Romano: Ad Antiochia in Siria, san Teodoreto, sacerdote e martire, che, come si tramanda, fu arrestato dall’empio Giuliano, imperatore d’Oriente, per aver perseverato nel professare la propria fede in Cristo e condotto, infine, al martirio.

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    00 24/10/2016 07:49

    Santi Areta e Ruma, sposi, e 340 compagni Martiri di Nagran

    24 ottobre


    † Nagran, Arabia, VI secolo

    Martirologio Romano: A Nagran in Arabia, passione dei santi Áreta, principe della città, e trecentoquaranta compagni, martiri al tempo dell’imperatore Giustino, sotto Du Nuwas o Dun‘an re d’Arabia.







    Nei primi anni del VI secolo gli etiopi, partendo da Axum, capitale religiosa e politica dell’Etiopia, attraversarono il Mar Rosso per imporre il loro dominio sugli ebrei e sugli arabi che abitavano il territorio pressoché corrispondente all’attuale Yemen.
    Un giorno Dunaan, membro della despota famiglia dominante, precedentemente convertito al giudaismo, si pose a guida della rivolta contro gli invasori etiopi che avevano voluto diffondere nelle terre conquistate anche la religione cristiana: preso possesso della città di Zafar, ne massacrò la guarnigione ed il clero.
    Trasformata una chiesa in una sinagoga, cinse allora d’assedio la città di Nagran, una tra le principali roccheforti cristiane di quel paese. Gli fu opposta una fiera resistenza e Dunaan ebbe la meglio soltanto quando promise un’amnistia agli abitanti qualora si fossero arresi. Lasciò che i suoi soldati saccheggiassero tutta la città e condanno a morte tutti quei cristiani che avessero preferito non abbandonare la loro fede.
    Il capo della resistenza fu un certo Banu Harith, citato quale Areta dai testi greco-latini, che il Martyrologium Romanum vuole principe della città di Nagran: egli fu decapitato insieme ai membri delle tribù che lo avevano sostenuto, mentre molti sacerdoti, diaconi e vergini consacrate furono arsi vivi. Dunaan tentò di adescare la moglie di Areta come sua concubina, ma incapando in un suo netto rifiuto, si vendicò giustiziando dinnanzi i suoi occhi le quattro figlie e poi decapitando anche lei stessa. Il martirologio cattolico fissa nel numero 340 la quantità di cristiani che patirono il martirio in tali circostanze con Areta, ma altre fonti asseriscono che possano essere stati anche più di quattromila. Tutto ciò avvenne al tempo dell’imperatore Giustino e sotto Dhu Nuwas (o Dun’an), re degli Omeritani.
    Dunaan stesso stilò un dettagliato resoconto dell’accaduto in una lettera ad un altro re arabo. Alla lettura erano presenti anche due vescovi cristiani, le cui testimonianze unite a quelle di alcuni profughi di Nagran contribuirono a diffondere in tutto il Medio Oriente la notizia del tragico massacro e la venerazione per i santi martiri. Per molto tempo risuonò ancora l’eco di questa vicenda ed addirittura Maometto fece menzione del massacro nella Sura 85 del Corano, condannando i colpevoli all’inferno. Il patriarca di Alessandria d’Egitto scrisse ai vescovi orientali raccomandandosi che le vittime fossero da tutte le Chiese commemorate come martiri cristiani.
    La singolare vicenda di questa famiglia di martiri, Areta ed i suoi congiunti, nonché di tutti gli altri compagni di martirio, nel XVI secolo a giudizio del cardinale Baronio meritò di essere citata anche nel Martirologio Romano al 24 ottobre, soprassedendo al fatto che tutti costoro fossero assai probabilmente seguaci dell’eresia monofisita. Dunque il Baronio riconobbe indirettamente come la palma del martirio superasse la macchia dell’eresia, a meno che la sua conoscenza alquanto sommaria delle Chiese d’Oriente non gli abbia fatto neppure sfiorare il dubbio dell’ortodossia dottrinale della Chiesa etiope.


    Autore: Fabio Arduino

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    00 25/10/2016 08:01

    Santa Daria Martire

    25 ottobre


    Roma, † 283 ca.

    I due santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono martiri nel III secolo, probabilmente nel 283. Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell'imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l'occasione di conoscere il presbitero Carpoforo e si fece battezzare. Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della bella vestale Daria. Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo. La cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che però si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e i settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati. Scoperti, vennero tutti condannati a morte dallo stesso imperatore Numeriano. Crisanto e Daria furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi. (Avvenire)

    Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Trasóne sulla via Salaria nuova, santi Crisanto e Daria, martiri, lodati dal papa san Damaso.







    SANTI CRISANTO E DARIA

    I due santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono nel III secolo, l’anno del martirio si suppone fosse il 283; sono ricordati singolarmente o in coppia in svariati giorni dell’anno secondo i vari Martirologi e Sinassari, mentre il famoso Calendario Marmoreo di Napoli e per ultimo il Martirologio Romano, li ricordano il 25 ottobre.
    I due martiri sono raffigurati in varie opere d’arte, reliquiari, pannelli, affreschi, mosaici, per lo più di origine italiana, situati in alcune città d’Italia, di Germania, Austria e Francia; questo testimonia la diffusione del loro antichissimo culto in tutta la Chiesa.
    La loro vicenda, narrata in modo epico e fantasioso dalla ‘passio’, risente senz’altro della lontananza del tempo e della necessità di ricostruire la ‘Vita’ con pochissime notizie certe.
    Questa ‘passio’ di cui si hanno versioni in latino e in greco, era già esistente nel secolo VI poiché era nota a s. Gregorio di Tours (538-594), vescovo francese e grande storico dell’epoca.
    Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo, quindi si istruì nella religione cristiana e poi battezzare.
    Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della vestale Daria, dotta e bella donna.
    Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
    Ma la cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che in seguito ad alcuni prodigi operati da Crisanto, si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e gli stessi settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
    A questo punto intervenne direttamente l’imperatore Numeriano che condannò Claudio ad essere gettato in mare con una grossa pietra al collo, mentre i due figli e i settanta soldati vennero decapitati e poi sepolti sulla Via Salaria; dopo qualche giorno anche Ilaria mentre pregava sulla loro tomba morì.
    Anche Crisanto e Daria dopo essere stati sottoposti ad estenuanti interrogatori, furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi sotto una gran quantità di terra e sassi
    Dagli ‘Itinerari’ del secolo VII, si sa che i due martiri erano sepolti in una chiesetta del cimitero di Trasone sulla medesima Via Salaria nuova. Una notizia certa riferisce che per la festa dei santi martiri, affluivano molti fedeli ai loro sepolcri e che il papa Pelagio II nel 590, dette alcune reliquie ad un diacono della Gallia.
    Ma la storia delle reliquie è intessuta di notizie contraddittorie e leggendarie, la tradizione vuole infatti che furono operate tre traslazioni, una da papa Paolo I (757-767) che dalla Via Salaria le avrebbe portate nella chiesa di S. Silvestro a Roma; la seconda da papa Pasquale I (817-824) che invece le avrebbe trasferite dalla Via Salaria alla Chiesa di Santa Prassede e l’ultima da papa Stefano V (885-891), che le avrebbe portate al Laterano.
    Da questa ultima chiesa poi nell’884 sarebbero state portate nel monastero di Münstereiffel in Germania, ancora nel 947 le reliquie sarebbero state trasferite a Reggio Emilia, di cui s. Crisanto e s. Daria sono i patroni, ad opera del vescovo Adelardo, il quale le avrebbe avute da Berengario che a sua volta le aveva ricevute nel 915 da papa Giovanni X, come si vede un bel ginepraio.
    Altre città rivendicano il possesso di reliquie come Oria (Brindisi), Salisburgo, Vienna, Napoli.
    Il duomo di Reggio Emilia possiede i due busti reliquiari in argento dei martiri, opera di Bartolomeo Spani.


    Autore: Antonio Borrelli

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    00 26/10/2016 07:18

    Santi Rogaziano e Felicissimo Martiri

    26 ottobre




    Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, commemorazione di san Rogaziano, sacerdote, al quale san Cipriano affidò l’amministrazione della Chiesa di Cartagine durante la persecuzione dell’imperatore Decio e che insieme a san Felicissimo patì tribolazioni e carcere per il nome di Cristo.

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    00 27/10/2016 08:03

    San Gaudioso di Abitine Vescovo

    27 ottobre




    Emblema: Bastone pastorale


    Martirologio Romano: A Napoli, deposizione di san Gaudioso, vescovo, che si dice sia partito da Abitine in Tunisia a causa della persecuzione dei Vandali e per rifugiarsi in Campania e sia morto santamente in monastero.







    Settimio Celio Gaudioso, vescovo di Abitinia (Africa settentrionale).
    Durante l'episcopato di Nostriano, perseguitato da Genserico, re ariano capo dei vandali, Gaudioso (con un diacono di Cartagine, Quodvultdeus) arrivò esule a Napoli su una barca malridotta, privo di tutto. Ma ebbe prospera navigazione, raggiunse le coste napoletane nel 439.
    Egli si stabilì sull'acropoli dell'antica Neapolis (Sant'Aniello a Caponapoli), dove nell'VIII sec. il vescovo Stefano II instituì un monastero di vergini, intitolandolo al santo vescovo.
    Le sue spoglie mortali furono accolte nel 452 (morì all'età di settantanni) nella catocomba del VI sec. della valle della Sanità, che prese nome da lui.Probabilmente importò a Napoli la regola agostiniana, gli usi liturgici africani (rimane qualche traccia nella liturgia battesimale) e alcune reliquie. La più importante quella di S. Restituta.


    Autore: Laura Nasti

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    00 28/10/2016 09:06

    San Rodrigo Aguilar Aleman Martire Messicano

    28 ottobre


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    Emblema: Palma


    Martirologio Romano: Nel villaggio di Ejutla in Messico, san Roderico Aguilar, sacerdote e martire, che, impiccato dai soldati a un albero nel corso della persecuzione, portò gloriosamente a compimento il martirio che tanto aveva desiderato.







    Nacque a Sayula, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzman) il 13 marzo 1875. Parroco di Unión de Tula, Jalisco (Diocesi di Autlán). Sacerdote poeta molto sensibile sia di cuore che di fede. All`alba del 28 ottobre 1927 lo condussero sulla piazza di Ejutla. Agganciarono un cappio ad un grosso ramo di albero di mango e lo posero al collo del sacerdote. Poi vollero provare la sua forza e con arroganza gli chiesero: "Chi vive?". La valorosa risposta fu: "Cristo Re e la Santa Maria di Guadalupe!". Allora la corda venne tirata con forza ed il signor parroco Aguilar restò appeso. Si fece nuovamente scendere e di nuovo gli chiesero: "Chi vive?". E per la seconda volta, con voce sicura rispose: "Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!". Un nuovo identico supplizio e quindi, per la terza volta la stessa domanda: "Chi vive?". Il martire agonizzante, sussurrandole rispose: "Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!".


    Autore: Mons. Oscar Sánchez Barba, Postulatore

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    Coordin.
    00 29/10/2016 07:23

    San Narciso di Gerusalemme Vescovo

    29 ottobre


    Sec. III

    Narciso aveva quasi cent'anni quando venne eletto 30° vescovo di Gerusalemme. Era nato nel 96 da famiglia non israelita. Nonostante l'età, governò a lungo e con fermezza. Presiedette il Concilio in cui si decise che la Pasqua dovesse cadere di domenica. E a lui si attribuisce, proprio nel giorno di Pasqua, il miracolo di aver mutato l'acqua in olio per le lampade della sua chiesa, rimaste a secco. Per il suo rigore furono sparse calunnie sul suo conto. Si allontanò da Gerusalemme e, creduto morto, vennero eletti uno dopo l'altro due successori. Ma lui, alla morte del secondo, ricomparve. L'ultima notizia su di lui è in una lettera del coadiutore sant'Alessandro: si dice che aveva compiuto 116 anni. (Avvenire)

    Emblema: Bastone pastorale


    Martirologio Romano: Commemorazione di san Narciso, vescovo di Gerusalemme, esemplare per santità, pazienza e fede, che, in pieno accordo con il papa san Vittore sulla data della celebrazione della Pasqua cristiana, affermò che il mistero della Risurrezione del Signore non poteva che celebrarsi di domenica e alla veneranda età di centosedici anni passò felicemente al Signore.







    Nella mitologia, Narciso era stato l'infelice giovinetto che, per la sua bellezza, si era innamorato di se stesso, morendo miseramente in una polla d'acqua che, come uno specchio, rifletteva la sua immagine.
    Il mitologico Narciso è dunque simbolo di amore sterile ed egoista, e di bellezza inutile e senz'anima. Ben diversa, anzi opposta, è -per fortuna - la figura del Santo di oggi, che con il triste giovane della mitologia non ebbe in comune altro che il nome.
    Il Santo di oggi visse lungamente, e proprio nell'estrema vecchiaia seppe conquistarsi fama e affetto. Se l'antico Narciso può essere preso come simbolo di una gioventù psicologicamente malata, il nuovo Narciso è immagine della vecchiaia spiritualmente vigorosa, nella salute del corpo e della mente.
    Egli fu il trentesimo Vescovo di Gerusalemme, ma non fu di origine israelita. ra sicuramente gentile, nato verso il 96, quando a Gerusalemme erano ancor fresche le rovine della distruzione di Tito.
    Per quasi un secolo, egli vide la città di David faticosamente risorgere e ripopolarsi, ospitando, accanto agli Ebrei, una vasta comunità cristiana. Aveva quasi cent'anni quando fu eletto Vescovo di Gerusalemme, per i suoi meriti non tanto di età quanto di virtù.
    Nonostante gli anni, fu Vescovo attivo, e presiedé un concilio nel quale fu deciso che la festività della Pasqua dovesse cadere sempre di domenica. Proprio in un giorno di Pasqua, San Narciso compì il miracolo di tramutare l'acqua in olio per le lampade della chiesa, i cui lucignoli erano rimasti secchi.
    E fu anche Vescovo energico, tanto da attirarsi l'odio dei corrotti e dei disonesti, i quali si sentirono minacciati dalla sua severità. Per difendersi, pensarono di attaccare, spargendo una terribile calunnia sul conto del vecchissimo Vescovo.
    La storia non ci dice quale fosse questa calunnia, ma ricorda che fu confermata da solenni giuramenti da parte degli accusatori. Non tutti i fedeli prestarono fede alle insinuazioni, ma per evitare ogni scandalo il vecchio Vescovo, benché innocente, preferì lasciare la città.
    Gli spergiuri, uno ad uno, furono colpiti da terribili castighi, finché qualcuno rivelò la menzogna. Tutti pensavano però che il Vescovo, ormai riabilitato, fosse morto nel frattempo, perciò un altro fu eletto a succedergli, e dopo di questo, un altro ancora. Alla morte del secondo, San Narciso ricomparve a Gerusalemme, e i fedeli lo riportarono con grande onore sulla Cattedra vescovile. Vi restò ancora molti anni, prendendosi però un coadiutore, il primo nella storia dell'episcopato, secondo un'usanza che ancora continua.
    Da una lettera di questo coadiutore, che fu Sant'Alessandro, conosciamo le ultime notizie sul conto del longevo Vescovo di Gerusalemme: " Narciso vi saluta, - si legge. - Ha compiuto centosedici anni, e vi esorta, come me, a mantenere la concordia ".





    Fonte:

    Archivio Parrocchia


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