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Girolamo: l'apostolo del patriziato romano


L'opera esegetica di Ambrogio, cosí rilevante da parecchi punti di vista, non incontrò il favore di Girolamo (347-420), che lo accusò di essere soltanto un cattivo imitatore dei Padri greci. Non sorprende che anche Ambrogio sia finito sotto gli strali appuntiti della polemica di Girolamo, un uomo dal carattere aggressivo e facilmente irascibile, che spese gran parte della sua tormentata esistenza e delle sue eccellenti doti intellettuali in innumerevoli polemiche anche violente, spinte fino al sarcasmo e alla demolizione morale dell'avversario, e gli avversari furono parecchi!


La vita di Girolamo fu tutta costellata di controversie, contro i detrattori della verginità e degli ideali monastici, contro i pelagiani, contro gli origenisti... Egli stesso, da giovane fervente ammiratore di Origene insieme con l'amico Rufino di Aquileia, ad un certo punto, coinvolto nell'aspra contesa scatenatasi intomo alla memoria del maestro alessandrino, passò dalla parte dei denigratori e ruppe clamorosamente con il vecchio compagno Rufino, aggredendolo in una maniera talmente spietata che la cristianità ne fu scandalizzata e addolorò perfino Agostino!


Rufino non trovò di meglio che chiudersi in un rassegnato e sdegnoso silenzio.


Girolamo proveniva da Stridone in Dalmazia, aveva studiato a Roma, dove si era impadronito dei tesori della letteratura latina e aveva riportato quella passione per i classici che non lo abbandonò mai, malgrado che, come racconta egli stesso, il Signore in persona lo rimproverasse aspramente durante un sogno, che fu un incubo, di essere «ciceroniano, ma non cristiano». Le dure prove del deserto siriano, dove trascorse un periodo di tirocinio monastico, non lo allontanano dallo studio delle Scritture. Impadronitosi anche dell'uso del greco e dell'ebraico, oltre che del latino, al punto di considerarsi giustamente l'unico individuo trilingue in tutto l'Impero, ebbe contatti con importanti personalità del suo tempo, ad Antiochia e a Costantinopoli, dove restò ammaliato dall'eloquenza di Gregorio Nazianzeno.


A Roma, diventa la guida spirituale dell'aristocrazia femminile ed entra come segretario nelle grazie di papa Damaso (a.382) raccogliendone l'invito a iniziare la revisione della traduzione della Bibbia che lo impegnerà per tutto il resto dei suoi giorni.


Ma il carattere difficile gli impedì un rapido successo nella vecchia capitale. La parte del clero romano, che era stato pesantemente accusato di mondanità e insultato come «asini bipedi», lo costrinse ad andarsene da Roma dopo la morte del suo protettore Damaso.


L'erudito e il polemista


Stabilitosi a Betlemme (a.386), dove per trent'anni condusse una vita rigidamente monastica, Girolamo diventa l'autorità incontestata nel campo degli studi biblici, pur tra polemiche teologiche e personali: "Non mihi conceditur unus angulus heremi. Cotidie exposcor fidem, quasi sine renatus sim. Confiteor ut volunt: non placet. Subscribo: non credunt. Unum tantum placet ut hinc recedam. Iam iam cedo. Abruperunt a me partem animae meae, carissimos fratres. Ecce discedere cupiunt, immo discedunt melius esse dicentes inter feras habitare quam cum talibus Christianis; et ego ipse, nisi me et corporis inbecillitas et hiemis retineret asperitas, modo fugerem" (Ep.17, ad Marcum).


La sua attività infaticabile si esercita non solo in numerosi commenti esegetici, ma soprattutto nella revisione e traduzione della Bibbia, che diverrà la Volgata, e sostituirà le precedenti versioni al punto di imporsi come l'unica traduzione autorizzata nella Chiesa latina. I suoi interessi prevalentemente eruditi e filologici lo inducono a tradurre anche la Cronaca di Eusebio che resterà la base per tutte le speculazioni cronografiche e storiche del Medioevo latino, e a comporre un'opera Sugli uomini illustri, una galleria di medaglioni contenenti ritratti e notizie sugli antichi scrittori cristiani, da Pietro, fino a se stesso! Si tratta del primo tentativo di scrivere una «patrologia», una storia letteraria del cristianesimo antico, prendendo a modello analoghe opere pagane note alla cultura umanistica di Girolamo.


La lotta in difesa dell'ortodossia, la lezione di spiritualità, la cultura biblica riscattano ampiamente gli aspetti meno attraenti della personalità di Girolamo. A lui, come al maestro riconosciuto della scienza biblica, della quale, dopo Origene, è stato il vero fondatore, si rivolse anche Agostino, il piú grande rappresentante della patristica latina e uno dei geni piú elevati, in assoluto, nella storia dell'umanità.


Ambrogio di Milano, maestro di spiritualità e di vita liturgica


Ambrogio, rampollo di una delle famiglie piú ricche e potenti dell'Impero, nacque a Treviri in Gallia verso il 339-340. Avviato alla carriera amministrativa, dopo gli studi richiesti dal suo alto rango sociale, nel 370 è già governatore dell'Alta Italia, con sede a Milano. In questa città, a seguito della morte del locale vescovo ariano Aussenzio, Ambrogio viene eletto vescovo a furor di popolo il 7 dicembre 374, senza neppure essere ancora battezzato (in quel tempo era cosa bbastanza normale rimandare il battesimo all'età adulta). Messosi immediatamente a studiare la Sacra Scrittura e i Padri alla scuola del prete Simpliciano, per darsi una cultura religiosa di cui era stato fino ad allora digiuno, attese tre anni prima di pubblicare la sua prima opera intitolata Le vergini. La verginità fu uno dei temi preferiti da Ambrogio. Già in quest'opera (377) rivela i tratti dominanti del suo carattere e della sua personalità, la sua sensibilità e la sua cultura teologica e spirituale.


Non meno impegnativa fu la fatica spesa per organizzare la liturgia e la disciplina della chiesa milanese. Ricordiamo le opere sui doveri del clero, sulla spiegazione dei sacramenti ai neofiti [cristiani appena battezzati, e quindi appena nati alla nuova vita dello Spirito], sul sacramento della penitenza. Queste catechesi venivano pronunciate in genere nella settimana dopo pasqua, e servivano ad illustrare il significato dei riti dell'iniziazione (battesimo - unzione - eucarestia) che si erano svolti nella notte di pasqua. Per tale ragione, vengono anche chiamate «mistagogiche», cioè di «introduzione ai misteri». Oltre ad Ambrogio, hanno lasciato catechesi mistagogiche, molto importanti per conoscere le antiche liturgie cristiane, Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo, Teodoro di Mopsuestia.


Ambrogio è all'origine di quella che ancora oggi, dopo tante modificazioni, è nota come la «liturgia ambrosiana». Per far partecipare piú intensamente il popolo alla liturgia e alla lotta teologica antiariana compose inni suggestivi, facilmente orecchiabili.


La sua attività di predicatore fu però rivolta prevalentemente al commento e alla spiegazione dell'Antico Testamento ai catecumeni che durante la quaresima si preparavano a ricevere il battesimo nella notte di pasqua. Ne è nata una lunga serie di commenti esegetici, dalla Genesi ai Salmi, nei quali Ambrogio dimostra una spiccata preferenza per l'interpretazione allegorica e mistica del testo sacro appresa alla scuola di Ippolito, Origene, Basilio. Questo tipo di lettura dell'Antico Testamento doveva introdurre gli ascoltatori a comprendere il mistero di Cristo e della Chiesa e alle gioie mistiche dell'unione nuziale dell'anima con il Verbo. La predicazione audace di Ambrogio convinse Agostino della possibilità di recuperare il valore dell'Antico Testamento in senso autenticamente cristiano; egli infatti, per l'adesione al manicheismo, l'aveva rigettato come contrario al messaggio evangelico. Ambrogio commentò anche per esteso il vangelo di Luca, forse perché vi riscontrava, in particolare, i temi della misericordia e del perdono cosí congeniali alla sua indole forte ma delicata.


1. Le conversioni di Agostino


L'opera e la personalità di Agostino non possono essere spiegate in breve, neanche a coglierne gli aspetti salienti. Nato nel 354 a Tagaste in Numidia (Algeria), da madre fervente cattolica, santa Monica, a 19 anni aderí al manicheismo, nella ricerca di una verità religiosa che lo soddisfacesse completamente. Il fondatore è Mani, profeta persiano vissuto nel sec. III: divenuta una delle grandi religioni universalistiche, arrivò ad estendersi dall'Africa settentrionale fino alla Cina!


Per nove anni fu uditore della setta, finché, entrato in crisi, cadde in un acuto scetticismo, nel quale non avevano piú niente da dirgli né gli amori disordinati della giovinezza (aveva avuto un figlio, Adeodato, da una relazione con una donna che sua madre fece di tutto per impedire che diventasse sua moglie!), né i primi entusiasmi per la filosofia suscitati dalla lettura di Cicerone.


Non restava che l'ambizione per la carriera e per i pubblici onori a dare un senso alla sua vita di provinciale africano cui l'intelligenza sveglia e la vasta cultura umanistica promettevano facili successi mondani. Da Cartagine, a Roma, a Milano, insegue i meritati riconoscimenti. Nella capitale dell'Impero, sede della corte, incontra il vescovo aristocratico Ambrogio che con la sua predicazione riuscì ad ammaliare il professore di retorica e ad illuminargli la via verso la definitiva conversione al cattolicesimo.


Proprio la predicazione di Ambrogio fece comprendere ad Agostino come l'Antico Testamento, la cui lingua, poco curata in confronto al latino classico di Cicerone, aveva suscitato in lui un invincibile senso di ripugnanza, fosse in realtà una miniera di insegnamenti spirituali, ascetici e mistici, se interpretato allegoricamente, e che pertanto non era da rifiutare come voleva la dottrina manichea.


Un'altra difficoltà, tipica del manicheismo, riuscí a superare a Milano grazie soprattutto all'apporto della filosofia neoplatonica (Plotino, Porfirio) che gli chiarí come il male, diversamente da quanto sostenevano i manichei, non è da concepire come una sostanza autonoma, un principio contrario al principio del Bene che è Dio, ma è soltanto una mancanza, una deficienza del Bene che è l'unica realtà esistente.


Superate le ultime resistenze psicologiche, in seguito al racconto della Vita di Antonio che lo attirò verso gli ideali di vita monastica, e alla lettura della lettera ai Romani che gli svelò i segreti della grazia divina, Agostino, dopo un periodo di meditazione e di ritiro, ricevette il battesimo dalle mani di Ambrogio nella notte di Pasqua del 387.


Ritornato in Africa (la madre Monica era morta a Ostia sulla via del ritorno) Agostino abbraccia la vita comune insieme ad alcuni amici con i quali crea un cenacolo religioso e intellettuale. La fama è tale che il vescovo di Ippona, Valerio, lo consacra prete e gli affida il ministero di predicare. Dopo cinque anni, nel 396, Agostino gli succede sulla cattedra episcopale, dove resterà fino alla morte avvenuta nel 430, mentre i Vandali assediavano la città.


4. Il mistero della TrinitàDe trinitate L. XV (a.399-419)


Dell'enorme produzione letteraria di Agostino, costituita da dialoghi filosofici, trattati teologici, sermoni sulla Bibbia, opere ascetiche e morali, controversie con gli eretici manichei, donatisti, pelagiani, eccellono due opere, importanti come le Confessioni, ma di genere completamente diverso.


La prima è l'opera Sulla Trinità: essa rappresenta il frutto piú maturo del pensiero cristiano dell'antichità sul problema che aveva lacerato tutto il sec. IV. Dopo Ilario, che aveva tracciato la strada per la teologia occidentale, Agostino esprime nella forma praticamente definitiva il pensiero ortodosso sull'argomento, tentando di far luce sul mistero abissale della Trinità. Ricorre al paragone delle funzioni dell'anima umana, afferma che come nell'anima esistono le tre facoltà distime, eppure integrantisi, della memoria, dell'intelletto e della volontà, cosí in Dio esistono le tre persone distinte, ma della stessa natura, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ciascuno omologabile analogicamente alle funzioni dell'anima che in tal modo rispecchierebbe la struttura intima della Trinità.


Gli interventi autorevoli di Agostino in tutte le questioni di teologia e di disciplina lo avevano reso la guida incontestata dell'intero episcopato africano che nelle sue formulazioni finirà sempre per riconoscere l'autentica tradizione della Chiesa; ma il raggio d'influenza di Agostino si estese ben presto oltre il mare per raggiungere i grandi centri della cristianità occidentale, Roma, in primo luogo, e poi la nuova corte imperiale di Ravenna. Agostino assume la statura del consigliere dell'Occidente cristiano, di coscienza teologica della Chiesa, al di là delle polemiche e delle controversie che pure contraddistinsero specialmente i suoi ultimi anni.


Confessioni 9, 9: Mia madre


... A cosí devota tua serva, nel cui seno mi creasti, Dio mio, misericordia mia, avevi fatto un altro grande dono. Tra due anime di ogni condizione, che fossero in urto e discordia, ella, se appena poteva, cercava di mettere pace. Delle molte invettive che udiva dall'una contro l'altra, quali di solito vomita l'inimicizia turgida e indigesta, allorché l'odio mal digerito si diffondenegli acidi colloqui con un'amica presente sul conto di un'amica assente, non riferiva all'interessata, se non quanto poteva servire a riconciliarle. Giudicherei questa una bontà da poco, se una triste esperienza non mi avesse mostrato turbe innumerevoli di persone, che per l'inesplicabile, orrendo contagio di un peccato molto diffuso riferiscono ai nemici adirati le parole dei nemici adirati, non solo, ma aggiungono anche parole che non furono pronunciate. Invece per un uomo davvero umano dovrebbe essere poca cosa, se si astiene dal suscitare e rinfocolare con discorsi maliziosi le inimicizie fra gli altri uomini, senza studiarsi, anche, di estinguerle con discorsi buoni. Mia madre faceva proprio questo, istruita da te, il maestro interiore nella scuola del cuore.


Finalmente ti guadagnò anche il marito, negli ultimi giorni ormai della sua vita temporale, e dopo la conversione non ebbe a lamentare da parte sua gli oltraggi, che prima della conversione ebbe a tollerare. Era, poi, la serva dei tuoi servi. Chiunque di loro la conosceva, trovava in lei motivo per lodarti, onorarti e amarti grandemente, avvertendo la tua presenza nel suo cuore dalla testimonianza dei frutti di una condotta santa. Era stata «sposa di un solo uomo», aveva ripagato «il suo debito ai genitori», aveva governato «santamente la sua casa», aveva «la testimonianza delle buone opere» [ 1Tim 5, 4.9.10]; aveva allevato i suoi figli partorendoli tante volte, quante li vedeva allontanarsi da te. Infine, poiché la tua munificienza, o Signore, permette ai tuoi servi di parlare di tutti noi, che, ricevuta la grazia del tuo battesimo, vivevamo già uniti in te prima del suo sonno, ebbe cura come se di tutti fosse stata la madre e ci serví come se di tutti fosse stata la figlia.


Giovanni Crisostomo: un monaco vescovo di Costantinopoli


Dopo i tre grandi Cappàdoci, l'Oriente ebbe due personalità molto forti, anche se diversissime tra loro: Giovanni Crisostomo e di Cirillo di Alessandria, ambedue coinvolte negli eventi decisivi della storia cristiana dei decenni tra i secoli IV e V.


Giovanni (345-407), soprannominato «Crisostomo», cioè bocca d'oro, a motivo della sua eccelsa arte oratoria che ha fatto delle sue opere e dei suoi discorsi gli ultimi capolavori della letteratura greca antica, nacque da famiglia cristiana e benestante di Antiochia, terza metropoli dell'Impero dopo Roma e Alessandria. Fu breve ma intensa l'esperienza monastica prima di essere ordinato prete ad Antiochia (386-397), dove il vescovo Flaviano gli conferí l'incarico di predicatore, cosa allora del tutto eccezionale, se si pensa che il ministero della predicazione era normalmente di competenza del vescovo (un privilegio simile toccò solo ad Origene e Agostino!).


La sua predicazione, ricca di profonde meditazioni bibliche e quanto mai lontana dai richiami della cultura classica, che pure Giovanni aveva da giovane assorbito alla scuola del maestro Libanio, lo mise in contatto diretto con il popolo, al quale rivolge appassioante esortazioni alla vita cristiana, per distoglierlo dalle tentazioni molteplici della vita quotidiana, del circo e degli spettacoli pagani, del lusso e dell'eresia. In un momento drammatico per le sorti degli abitanti di Antiochia, che temono la rappresaglia dell'imperatore, perché colpevoli di aver abbattuto le statue della famiglia imperiale durante una sommossa, Giovanni intrattiene e incoraggia la popolazione con le Omelie sulle statue.


La sua fama di predicatore si era frattanto talmente estesa che, con un sotterfugio, si riuscí a farlo venire a Costantinopoli, dove fu intronizzato sulla cattedra episcopale che era stata di Gregorio Nazianzeno. Però ben presto il suo rigore ascetico e alieno dai compromessi, assieme all'alta concezione della missione sacerdotale, che gli aveva dettato le pagine memorabili del dialogo Sul sacerdozio, lo misero in aperta opposizione tanto con parte del clero (vescovi e preti), quanto con la corte, specialmente il gran ciambellano, l'eunuco Eutropio e l'imperatrice Eudossia. Le iniziative di riforma ecclesiastica e le infuocate invettive ascetiche contro il lusso e la sete insaziabile di potere, in una capitale solo superficialmente cristiana, suonavano come sfida aperta al malcostume consolidato.


Crisostomo, Omelie sulla 1Corinzi 4, 3.4: Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso


La parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza diDio (I Cor 1, 18).


La croce ha esercitato la sua forza di attrazione su tutta la terra e lo ha fatto non servendosi di mezzi umanamente imponenti, ma dell'apporto di uomini poco dotati. Il discorso della croce non è fatto di parole vuote, ma di Dio, della vera religione, dell'ideale evangelico nella sua genuinità, del giudizio futuro. Fu questa dottrina che cambiò gli illetterati in dotti.


Dai mezzi usati da Dio si vede come la stoltezza di Dio sia piú saggia della sapienza degli uomini, e come la sua debolezza sia piú forte della fortezza umana. In che senso piú forte? Nel senso che la croce, nonostante gli uomini, si è affermata su tutto l'universo e ha attirato a sé tutti gli uomini. Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso, ma hanno ottenuto l'effetto contrario. Questo nome rifiorí sempre di piú e si sviluppò con progresso crescente. I nemici invece sono periti e caduti in rovina. Erano vivi che facevano guerra a un morto, e ciononostante non l'hanno potuto vincere. Perciò quando un pagano dioe a un cristiano che è fuori della vita, dice una stoltezza. Quando mi dice che sono stolto per la mia fede, mi rende persuaso che sono mille volte piú saggio di lui che si ritiene sapiente. E quando mi pensa debole non si accorge che il debole è lui. I filosofi, i re e, per cosí dire, tutto il mondo, che si perde in mille faccende, non possono nemmeno immaginare ciò che dei pubblicani e dei pescatori 3 poterono fare con la grazia di Dio. Pensando a questo fatto, Paolo esdamava: «Ciò che è debolezza di Dio è piú forte degli uomini» (1 Cor 1, 25). Questa frase è chiaramente divina. Infatti come poteva venire in mente a dodici poveri uomini, e per di piú ignoranti, che avevano passato la loro vita sui laghi e sui fiumi, di intraprendere una simile opera? Essi forse mai erano entrati in una città o in una piazza. E allora come potevano pensare di affrontare tutta la terra? Che fossero paurosi e pusillanimi l'afferma chiaramente chi scrisse la loro vita senza dissimulare nulla e senza nascondere i loro difetti, ciò che costituisoe la miglior garanzia di veridicità di quanto asserisce.


Costui, dunque, racconta che quando Cristo fu arrestato dopo tanti miracoli compiuti, tutti gli apostoli fuggirono e il loro capo lo rinnegò. Come si spiega allora che tutti costoro, quando il Cristo era ancora in vita, non avevano saputo resistere a pochi Giudei, mentre poi, giacendo lui morto e sepolto e, secondo gli increduli, non risorto, e quindi non in grado di parlare, avrebbero ricevuto da lui tanto coraggio da schierarsi vittoriosamente contro il mondo intero? Non avrebbero piuttosto dovuto dire: E adesso? Non ha potuto salvare se stesso, come potrà difendere noi? Non è stato capace di proteggere se stesso, come potrà tenderci la mano da morto? In vita non è riuscito a conquistare una sola nazione, e noi, col solo suo nome, dovremmo conquistare il mondo? Non sarebbe da folli non solo mettersi in simile impresa, ma perfino solo pensarla?


E evidente perciò che se non lo avessero visto risuscitato e non avessero avuto una prova inconfutabile delia sua potenza, non si sarebbero esposti a tanto rischio.