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CONSIDERAZIONI SUI PAPI

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    00 01/10/2013 08:28

    I LATI SCONOSCIUTI DI PAPA GIOVANNI E WOJTYLA

    Posted: 29 Sep 2013 01:53 AM PDT

    Il miracolo che lunedì 30 settembre farà proclamare santo Giovanni Paolo II colpisce per l’enormità di quella guarigione improvvisa (a quella signora non era stata data alcuna speranza).

    Insieme con Wojtyla papa Francesco canonizzerà Giovanni XXIII. E’ una decisione che dà un segnale di unità portando finalmente la Chiesa fuori dalle vecchie polemiche attorno al Concilio che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo.

    Con buona pace sia di quegli ambienti conservatori che oggi storcono il naso perché papa Giovanni viene canonizzato senza il miracolo prescritto dalle norme.

    Sia degli sfegatati tifosi di Giovanni XXIII che – da decenni – cercano di farne un rivoluzionario e  contrapporlo a tutti gli altri papi della Chiesa.

     

    IL VERO RONCALLI

     

    Montini – che fu il prezioso riferimento ecclesiale di Giovanni XXIII e poi, da papa, sarà colui che compirà il Concilio – capì l’operazione strumentale che si stava allestendo attorno alla fresca memoria di Roncalli.

    Per questo si oppose a tutti i tifosi che, con enfatizzazioni esagerate, pretendevano di far canonizzare il “papa buono” per acclamazione alla fine del Concilio.

    Paolo VI decise invece di percorrere le vie canoniche e aspettando il 1967 introdusse contemporaneamente le cause di beatificazione di Roncalli e di Pio XII, sempre per far capire che non si poteva contrapporre papa Giovanni ai predecessori.

    Del resto che questo fosse esattamente l’animo di papa Giovanni è certissimo.

    Basti ricordare che egli aveva per il suo predecessore, Pacelli, una devozione e una stima tanto alta che nel suo primo radiomessaggio, il 23 dicembre 1958, rivolto al mondo, esaltò il suo “grande Pontificato” e fece una sorta di canonizzazione informale di questo “Padre e Pontefice nostro, che amiamo già contemplare come associato nelle regioni celesti ai Santi di Dio”.

    Poi ne ripercorse lungamente la missione di Vicario di Cristo lungo tutto il suo radiomessaggio.

    Non solo. Prendiamo l’altra “bestia nera” della vulgata progressista: Pio IX.

    Roncalli era così devoto del “famigerato” papa del “Sillabo” (quello che si oppose all’unità italiana fatta per mano militare dai Savoia), che voleva in tutti i modi canonizzarlo alla fine del Concilio. Il suo stesso pellegrinaggio a Loreto voleva essere un omaggio a Pio IX e un segno di riconciliazione dell’Italia: “io penso sempre a Pio IX di santa e gloriosa memoria” scriveva nel “Giornale dell’anima”. “Imitandolo nei suoi sacrifici, vorrei essere degno di celebrarne la canonizzazione”.

    Nel famoso discorso dell’8 dicembre 1960 papa Giovanni disse: “Dalla contemplazione della figura mite e forte di Pio IX, prendiamo ispirazione per inoltrarci di buon passo nella grande impresa del concilio Vaticano II, che ci sta innanzi”.

     

    RONCALLI ANTIMODERNISTA

     

    Del resto è il Roncalli che nel “Giornale dell’anima” aveva scritto: “Gesù benedetto si è compiaciuto darmi, in questi Eserci­zi, lume speciale per comprendere anche più vivamente la necessi­tà di mantener integro e purissimo il mio ‘sensus fidei’ e il mio ‘sentire cum Ecclesia’ (ES 352-370), facendomi anche apparire, sotto una luce più splendida, la sapienza, l’opportunità e la bellez­za dei provvedimenti pontifici intesi a salvaguardare specialmente il clero dall’infezione degli errori moderni (cosiddetti modernisti­ci), che in un modo subdolo e affascinante tentano di demolire i fondamenti della dottrina cattolica”.

    E’ dunque del tutto fuori strada chi pretende di contrapporre Giovanni XXIII ai predecessori o chi ritiene che volesse mutare il credo cattolico sempre proclamato dalla Chiesa. Così come sono fuori strada quanti vedono queste stesse caratteristiche in papa Francesco. Per Roncalli, come oggi per Bergoglio, la fede della Chiesa era la verità, punto e basta.

    Papa Giovanni, infatti, nel radiomessaggio natalizio del 1960  tuonava contro chi – per apparire “moderno” – sfigura o tace la verità: “La verità ci rende liberi; essa nobilita chi la professa apertamente e senza rispetti umani. Perché dunque aver timore di onorarla e farla rispettare? Perché scendere ad accomodamenti con la propria coscienza, accettando compromessi stridenti con la vita e la pratica cristiana, quando invece solo chi ha la verità dovrebbe essere convinto di avere con sé la luce, che dissipa ogni tenebra, e la forza trascinatrice che può trasformare il mondo? Non è colpevole soltanto chi deliberatamente sfigura la verità, ma lo è altrettanto chi, per timore di non apparire completo e moderno, la tradisce con l’ambiguità del suo atteggiamento”.

    Sono parole che potevano essere sottoscritte da Pio XII e da qualunque altro pontefice precedente. A proposito di Pacelli anche la sua causa è giunta a destinazione con la proclamazione delle “virtù eroiche”. Pare che, per la proclamazione degli altari, vi sia solo un problema di opportunità.

     

    PIO XII, RONCALLI E ISRAELE

     

    Non si vogliono cioè rinfocolare le polemiche sui presunti suoi “silenzi” relativi alla shoah. In sede storica però è ormai appurato l’eroismo del Papa che arrivò a patrocinare tentativi di colpo di stato contro Hitler.

    Quello che Pio XII – con la sua Chiesa – fece per salvare la vita a tanti ebrei braccati e minacciati di sterminio non ha eguali.

    Pacelli – che considerava Hitler posseduto da Satana e che fece  ripetuti esorcismi a distanza dal Vaticano – aveva già firmato una lettera da dimissioni nel caso in cui fosse stato sequestrato dai nazisti (che in effetti progettavano di deportarlo).

    Tutta la Chiesa di Pio XII era stata mobilitata, da Roma al mondo, per salvare gli ebrei braccati dallo sterminio. E la dimostra proprio la vita di Roncalli che, da Nunzio del papa a Istanbul (e poi a Parigi), si prodigò in modo straordinario per la salvezza di tanti ebrei. Il Gran Rabbino Herzog – che più volte fece pervenire i suoi ringraziamenti a Pio XII – scrisse anche a Roncalli per questo.

    C’è una lettera dello stesso Roncalli – scritta dalla nunziatura di Istanbul alla Santa Sede – in cui si coglie la perfetta intesa fra il Papa e le nunziature per la protezione degli ebrei e addirittura si scopre che sull’eventuale fondazione dello stato d’Israele, Pio XII era più avanti di Roncalli, il quale nutriva qualche perplessità.

    Scriveva infatti Roncalli quel 4 settembre 1943 alla Segreteria di Stato vaticana: “Faccio seguito al mio devoto rapporto n. 4332 in data 20 agosto u.s. trasmettendo altre domande che mi vengono sottoposte a favore di israeliti. La seconda di queste intende ad ottenere l’intervento della Santa Sede perché sia facilitata l’uscita di numerosi ebrei dal territorio italiano (…). Confesso” aggiungeva Roncalli “che questo convogliare, proprio la Santa Sede, gli ebrei verso la Palestina, quasi alla ricostruzione del regno ebraico, incominciando dal farli uscire d’Italia, mi suscita qualche incertezza nello spirito. Che ciò facciano i loro connazionali ed i loro amici politici lo si comprende. Ma non mi pare di buon gusto che proprio l’esercizio semplice ed elevato della carità della Santa Sede possa offrire l’occasione o la parvenza a che si riconosca in esso una tal quale cooperazione, almeno iniziale e indiretta, alla realizzazione del sogno messianico. Tutto questo però non è forse che uno scrupolo mio personale che basta aver confessato perché sia disperso. Tanto e tanto è ben certo che la ricostruzione del regno di Giuda e di Israele non è che un’utopia”.

    Invece Israele nacque di lì a poco. Roncalli in questo non ebbe capacità di previsione politica. Ma ebbe quella carità eroica per cui oggi è ricordato anche dal mondo ebraico con riconoscenza. Sia lui che Wojtyla del resto hanno creduto fortemente nel dialogo ebraico-cristiano.

    A questo proposito negli ultimi tempi si è tornati a parlare delle origini ebraiche della madre di Karol Wojtyla. Secondo un blog tenuto da un certo Aron ben Gilad, mamma Emilia, che di cognome faceva Kaczorowska, proveniva da una famiglia di origini ebraiche di Litvak. Come che stiano le genealogie sono due santi che anche il mondo ammira.

     Antonio Socci

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    00 21/10/2014 22:17

    Sinodo: la Chiesa non si conforma al mondo!


    sinodo-Marco Margrita- Nell'ultimo incontro da Pontefice con il clero della Diocesi di Roma, Benedetto XVI notò, riferendosi al Vaticano II, che "ci furono due Concili: quello reale e quello dei media". Analoga sorte è sicuramente toccata anche al recente Sinodostraordinario con a tema la famiglia: una cosa è stato il dibattito tra i padri sinodali, altra faccenda il racconto che ne è stato fatto (muovendo da precomprensioni ideologici e disegni specifici) sugli organi d'informazione. Non sarebbe giusto dire "molto rumore per nulla", ché il dibattito è stato certo intenso e duro, di certo non abbiamo però assistito a quella discontinuità (ovvero smobilitazione) che molti ci hanno propinato da giornali e tv. La divaricazione tra il dato e l'interpretazione, complice una profonda ignoranza in fatto di modalità e linguaggio ecclesiali da parte dell'operatore dell'informazione medio, è una notizia in sé. In sintesi: le potenti lobbies che agiscono contro la famiglia, con il più o meno consapevole concorso di una diffusa ignoranza giornalistica, hanno cercato di farci credere che la Chiesa stesse abbandonando le posizioni di sempre (e tra le posizioni di sempre, lo diciamo per i troppi intruppati nel "pensiero unico", c'è anche l'accoglienza e l'ascolto delle persone omosessuali). Non c'è, in sintesi, se lo segni anche chi si è prodotto in un tradizionalismo esasperato, alcun "abbraccio al mondo". La Chiesa – usiamo intenzionalmente la formula del neobeato Paolo VI – continua a sapersi"esperta di umanità". Non senza le comprensibili difficoltà, dovute anche a chi vuole farsi "più papista del Papa", riafferma il proprio sapere profondo. Un sapere che ha un fondamento razionale (lo si chiami "legge naturale" o, come si è preferito al Sinodo, "ordine della creazione").


    Come ha detto Papa Francesco nel suo intervento (non previsto, ma chiarificatore): la Chiesa "non vuole mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita (…) certo non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini (cf. Lc 10, 25-37) e non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone. Questa è la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e composta da peccatori, bisognosi della Sua misericordia". Sulla stessa linea rispetto alla vicenda delle persone omosessuali. In sintesi: la Chiesa "spalanca le porte" a tutti, "non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo", ma non fa finta neppure di non vedere la caduta, lo abbraccia ma si sente "obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino".


    Un cammino per trovare parole chiare per dire la verità di sempre, senza cedere a tradizionalismi, progressismi e buonismi. Questo la Chiesa, certo scossa da chi troppo sbrigativamente vorrebbe conformarsi al mondo, anche con il Sinodo e con il luminoso Pontificato di Papa Francesco, sta cercando di fare. Il resto sono chiacchiere, quasi mai disinteressate.


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    00 14/06/2016 18:05
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    Il cardinale Muller:
    "Francesco valorizza tutte le novità per ringiovanire la Chiesa"

    Presentata oggi "Iuvenescit Ecclesia", la Lettera per la dottrina della Fede sulla relazione tra gerarchie e nuove realtà. Il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede smentisce la difficoltà nei rapporti tra Bergoglio e i movimenti: "Magari sono come figli venuti al mondo senza essere programmati. Chi è padre e madre li ama più degli altri"

    di PAOLO RODARI</header>
     
    CITTÀ DEL VATICANO. Nel giorno in cui viene presentata "Iuvenescit Ecclesia", la Lettera redatta dalla Congregazione per la dottrina della Fede, sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa, parliamo con il prefetto della Congregazione, il cardinale Gerhard Ludwig Mueller dei motivi che hanno spinto il Vaticano a redigere il documento. Come anticipato giorni scorsi dall'Osservatore Romano, infatti, il rapporto fra gerarchia e nuove realtà non è fine a se stesso, ma ha lo scopo di far ringiovanire la Chiesa, per rinnovare la vita del popolo di Dio.

    Eminenza, quindi non è vero che Francesco non ami particolarmente i movimenti?
    "Un Papa non può non amare ciò che lo Spirito suscita a vantaggio di tanti uomini, il cui cuore attende Dio spesso senza saperlo, e in favore di tutto il popolo di Dio, che è il primo destinatario di questi doni. Certo, questi doni sono stati spesso una novità dirompente e anche bisognosa di purificazione. Magari sono stati un po' come figli venuti al mondo senza essere stati programmati... Ma chi è davvero padre e madre, una volta che sono arrivati, ama questi figli e provvede a loro come e più degli altri".

    Come si concilia la presenza dei movimenti, spesso fortemente identitari, in un pontificato che chiede l'abbandono dell'autoreferenzialità?
    "Si può spostare fuori di sé il proprio baricentro ed amare, se non si ha una identità forte e ben delineata? Certo, questo deve avvenire non con supponenza e con rispetto degli interlocutori. Mentre una certa incapacità al dialogo sincero nasce proprio da una debolezza identitaria e culturale... Aver chiara la propria identità dona il gusto del dialogo autentico. Anche perché il dialogo vero comincia sempre con uno scambio di doni fra due identità. Altrimenti è solo una serie di monologhi, condita magari da tanta cortesia... Autoreferenzialità è invece l'incapacità di uscire da sé stessi e di scoprire che la propria riuscita si avvantaggia dall'incontrare altro rispetto a noi. Ma è necessario uscire da noi stessi, perché la realtà è più grande del nostro pensiero, come dice spesso Francesco. Attenzione, però, perché il contrario dell'autoreferenzialità non è il servilismo di chi esegue e basta".

    Alcune realtà nella Chiesa sembrano sempre in rincorsa rispetto al magistero "in uscita" di Francesco. Perché?
    "È difficile tenere il passo della profezia. D'altronde non è la velocità del passo che conta. Ciò che è importante è che tutto il popolo di Dio e tutte le realtà della Chiesa, poco alla volta, ciascuno con il suo passo e i suoi doni, perfino con le sue debolezze, si instradino nella direzione giusta. E questo non avviene in modo efficace se non con una certa laboriosità e fatica, se non con un'obbedienza dialogica, e tante volte anche in modo dialettico... Inoltre, la stessa profezia, solo nel tempo matura la sua verità e si rivela nella sua portata. Anche per questo, non è facile comprenderla subito e spesso implica un aspetto di "croce", sia per chi la porta che per chi la riceve. "Uscire" davvero da se stessi, poi, implica sempre lo sforzo di uscire dai propri piani e ambiti rassicuranti".

    L'approccio che avevano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI alle nuove realtà della Chiesa è diverso da quello di Francesco?
    "Ogni Papa ha i suoi doni e le sue preferenze. Credo che Francesco sia profondamente unito a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI nel desiderio di valorizzare tutte le novità che lo Spirito suscita nella Chiesa. L'occhio del Papa è l'occhio vigile e affettuoso di un padre che non solo sorregge ma anche, quando occorre, corregge. E lo fa per il bene dei suoi figli e a loro vantaggio, anzitutto".

    Come devono vivere i movimenti per non cadere nella tentazione di ingabbiare lo Spirito entro propri schemi?
    "Sono i santi che ci insegnano questo. I santi, nella storia della Chiesa, sono stati coloro che hanno saputo coniugare, in modo sempre fecondo, continuità e novità. Fedeltà alla tradizione e apertura a ciò che Dio chiedeva di nuovo. E questo hanno fatto mettendosi a servizio della Chiesa e del bene autentico di tanti fratelli e sorelle del loro tempo. Amandoli e accompagnandoli davvero, cioè coltivando nel proprio cuore un amore sempre più grande al destino buono dei loro compagni di strada. E anche riconoscendo sinceramente i propri sbagli e lasciandosi correggere dalla verità e dal bene. In ogni caso, penso che mettersi al servizio di un disegno e di bisogni più grandi dei propri sia il modo migliore per uscire dalla tentazione dell'autoreferenzialità. E questo vale tanto per chi nella Chiesa è chiamato a servire nella gerarchia, quanto per i semplici fedeli, nessuno escluso".