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Capitolo V
Contemplazione dell’unità di Dio
per mezzo del suo primo nome che è l’essere


1. La luce della Verità nell’anima.

Ci è dato di contemplare Dio non solo fuori e dentro di noi, ma anche sopra di noi: fuori per mezzo del vestigio; dentro per mezzo dell’immagine; sopra per mezzo di una luce che è stata sovraimpressa nella nostra anima, luce dell’eterna Verità, giacché la nostra anima «viene creata immediatamente dalla stessa Verità».
Coloro pertanto che si sono esercitati nel primo grado sono già entrati nell’atrio che precede il tabernacolo; quelli del secondo sono entrati nel Santo; quelli del terzo possono entrare col Sommo Sacerdote nel Santo dei Santi dove al di sopra dell’arco sono collocati i Cherubini che stendono le ali sul propiziatorio della gloria (Es. 3, 14).
Essi fanno intendere i due modi o gradi di contemplazione dei misteri invisibili ed eterni di Dio: uno di essi riguarda gli attributi essenziali; l’altro le proprietà delle persone.

2. I due nomi di Dio: Essere e Bene.

Il primo modo, anzitutto e soprattutto, fissa lo sguardo sull’essere stesso dicendo che il primo nome di Dio è «Colui che è».
Il secondo modo fissa lo sguardo sullo stesso Bene, dicendo che questo è il primo nome di Dio.
Il primo modo spetta all’Antico Testamento che insegna particolarmente l’Unità della divina natura. Per questo fu detto a Mosè: Io sono Colui che sono (Es. 3, 14).
Il secondo spetta al Nuovo, il quale indica la pluralità delle persone col battesimo dato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt. 28, 19).
Per cui il Maestro nostro Cristo, quando volle innalzare alla perfezione evangelica il giovane che aveva osservato la Legge, attribuisce il termine della bontà principalmente ed esclusivamente a Dio: Nessuno è buono se non Dio solo (Lc. 18, 19).
Il Damasceno, seguendo Mosè, dice che il primo nome di Dio è «Colui che è».
Dionigi, seguendo Cristo, dice che il primo nome di Dio è il Bene.