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3. Devozione, ammirazione, esultanza.

L’immagine della nostra mente deve perciò rivestirsi anche delle tre virtù teologali che la purifichino, illuminino, perfezionino. L’immagine così si rinnova e si conforma alla celeste Gerusalemme, divenendo parte di quella Chiesa militante che ne è figlia, come dice l’Apostolo: Quella Gerusalemme che è lassù è libera ed è madre nostra (Gal. 4, 26).
L’anima che crede, spera, ama Gesù Cristo Verbo Incarnato, increato, ispirato, cioè via, verità e vita, con la fede crede in Cristo Verbo increato, Parola e splendore del Padre, e così riprende l’udito spirituale e la vista: l’udito per ascoltare i discorsi di Cristo, la vista per contemplare gli splendori della sua luce.
Con la speranza anela a ricevere il Verbo Ispirato per mezzo del desiderio e dell’affetto e ricupera il senso spirituale dell’olfatto.
Con la carità infine abbraccia il Verbo Incarnato, e abbandonandoglisi si compiace di lui con l’amore estatico e riceve di nuovo il gusto e il tatto. Recuperati questi sensi, quando vede lo sposo e lo ode o ne avverte il profumo, lo assapora e lo abbraccia e può cantare come la Sposa il Cantico dei Cantici. Esso fu composto come esercizio di contemplazione proprio di questo quarto grado, che non si può capire se non da chi lo riceve (Ap. 2, 17), perché consiste di più nell’esperienza affettiva che nella
riflessione razionale. Infatti in questo grado, rinnovati i sensi interiori per sentire ciò che è sommamente bello, per udire ciò che è sommamente armonioso, per odorare ciò che è sommamente profumato, gustare ciò che è sommamente soave, cogliere ciò che è sommamente piacevole, l’anima è pronta all’estasi spirituale, cioè di devozione, ammirazione, esultanza, com’è detto nelle tre esclamazioni del Cantico dei Cantici. La prima sgorga dalla devozione traboccante, per cui l’anima, è come una nuvoletta fumante del profumo di mirra e d’incenso (Ct. 3, 6). La seconda che proviene dall’altissima ammirazione trasforma l’anima in un’aurora e in luna e sole, per un succedersi di luminosità che sollevano l’anima all’ammirazione dello sposo. La terza deriva dalla sovrabbondante esultanza: perché l’anima inondata di piacere e di delizie soavissime, si abbandona completamente al Suo diletto (Ct. 6, 9).