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3. Termini, proposizioni, illazioni.

L’operazione della facoltà intellettiva consiste nella percezione intellettuale dei termini, delle proposizioni, delle illazioni.
L’intelletto coglie il significato dei termini quando comprende ciò che una cosa è col darne una definizione. La definizione però è possibile solo per mezzo di ciò che sta sopra che a sua volta si definisce con qualcosa che è ancora più sopra, finché si giunge a quelle nozioni supreme e generalissime, senza delle quali le inferiori non possono comprendersi compiutamente.
Se non si conosce infatti che cosa è l’ente-per-sé, non si può sapere pienamente la definizione di alcuna sostanza particolare. Neppure l’ente-per-sé si può conoscere se non si conoscono le sue modalità (trascendentali): uno, vero, buono.
Ora, poiché l’ente si può pensare incompleto e completo, imperfetto e perfetto, ente in potenza ed ente in atto, ente sotto un aspetto ed ente semplicemente, ente parziale ed ente totale, ente transeunte ed ente permanente, ente che esiste in virtù di altri ed ente per sé, ente misto al non-ente ed ente puro, ente dipendente ed ente assoluto, ente ultimo ed ente primo, ente mutevole ed ente immutabile, ente semplice ed ente composto, tenuto conto che privazioni e difetti in un ente non si comprendono che in rapporto all’affermazione positiva, il nostro intelletto non giunge a comprendere con completezza alcun ente creato senza ricorrere alla comprensione dell’ente purissimo, attualissimo, completissimo, assoluto, il quale semplicemente è ed è eterno, e contiene le ragioni di tutte le cose nella loro pura essenza.
Come potrebbe infatti il nostro intelletto conoscere l’ente manchevole e incompleto se non avesse qualche conoscenza dell’ente al quale non manca nulla?
Lo stesso si dica delle altre modalità accennate.
Quanto all’intelligenza delle proposizioni, si può dire che l’intelletto sa veramente quando sa con certezza che esse sono vere. Sapere questo è sapere che in questa comprensione non s’inganna. Esso sa che quella verità non può essere diversa; sa dunque che è verità immutabile.
Essendo però la nostra mente mutevole, non è in grado di cogliere tale verità immutabile se non per mezzo di una luce che immutabilmente diffonde i suoi raggi e che non può essere una mutevole creatura. Esso conosce dunque in quella luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, che è la vera luce, e il Verbo presso Dio fin da principio (Gv. 1, 1-9).
Quanto alla illazione il nostro intelletto la percepisce con verità quando vede che la conclusione deriva dalle premesse in modo necessario, il che avviene non solo nei termini necessari ma anche nei contingenti. Ad es. se l’uomo corre, l’uomo si muove. Tale relazione necessaria è percepita non solo nelle cose essenti ma anche nelle non-essenti. Infatti come a «se l’uomo esiste» segue: «se corre, si muove», ma così è anche se l’uomo non esiste. Pertanto il carattere di necessità dell’illazione non proviene dall’esistenza reale nella materia che è contingente, e neppure da una sua esistenza nell’anima, il che sarebbe finzione se non esistesse realmente. Esso proviene dalla causa esemplare che è nell’arte eterna alla quale si deve far risalire la capacità e la relazione reciproca delle cose conformemente alla rappresentazione che è nell’arte eterna. «Ogni lume di chi veramente ragiona — attesta Agostino (nel De vera religione) — viene acceso da quella verità e ad essa si sforza di pervenire».
Da questo appare con evidenza che il nostro intelletto è congiunto con l’eterna verità, perché non può conoscere niente di vero con certezza se non perché essa ammaestra. Perciò da te stesso puoi capire la verità che ti istruisce, a meno che non ne sia impedito da concupiscenze e immaginazioni sensibili che si frappongono come nubi fra te e il raggio della verità.