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7. L’immagine del Dio Invisibile.

Tutte queste cose sono vestigi nei quali ci è dato di vedere come in uno specchio il nostro Dio.
Infatti: la specie appresa è similitudine dell’oggetto generata nell’elemento di mezzo, poi impressa nello stesso organo e con questa impressione ci riporta al suo principio, cioè a conoscere l’oggetto. Ma è evidente che essa fa pensare a quella luce eterna che genera di sé una sua similitudine o splendore coeguale, consostanziale e coeterno; e che Colui che è immagine del Dio Invisibile e splendore della gloria e immagine della sua essenza (Col. 11, 15; Eb. 1, 3), che è dovunque con la prima generazione di se stesso, a somiglianza dell’oggetto che genera nel mezzo una sua propria similitudine, con la grazia unificante si unisce, come la specie con l’organo corporale, all’individuo razionale, per ricondurci con tale unione al Padre come Principio e Oggetto originario.
Se dunque tutti gli oggetti conoscibili possono generare un’immagine di se stessi, è evidente che in essi come in altrettanti specchi, si può vedere l’eterna generazione del Verbo, Immagine e Figlio emanante ab aeterno dal Padre.

8. Dio è fonte d’ogni piacere.

Allo stesso modo la specie che produce piacere perché bella, soave, sana, lascia intendere che in quella prima specie si trova la bellezza, la soavità, la sanità in modo primario perché in essa c’è la proporzionalità ed eguaglianza rispetto al generante; e la virtù che proviene per apprensione immediata della verità, e non col ricorso alla rappresentazione sensibile (o fantasma). In essa c’è pure l’impressione che risana ed è sufficiente a cacciar via ogni indigenza in colui che apprende.
Ora se il piacere risulta dall’unione di due cose tra loro convenienti e soltanto la similitudine di Dio contiene l’idea di ciò che è in modo sommo, bello, soave, salutare, ed essa si unisce con verità, intimità, pienezza che colma ogni vuoto, diventa ovvio che soltanto in Dio è la sorgente di ogni piacere vero e che tutti i piaceri ci portano alla sua ricerca.

9. Giudizio intellettuale e verità eterna.

In un modo ancora più eccellente e immediato il giudizio ci porta all’osservazione dell’eterna verità.
Se il giudizio infatti è possibile per mezzo della ragione che astrae da luogo, tempo e mutazione, e quindi da misura, successione e cambiamento, per mezzo dell’idea immutabile e incircoscrivibile e interminabile; e niente è assolutamente immutabile, incircoscrivibile e interminabile se non ciò che è eterno; e tutto ciò che è eterno è Dio e in Dio; e se tutto ciò che giudichiamo con certezza, lo giudichiamo grazie a questa ragione, è evidente che è Lui la ragione di ogni cosa e regola infallibile e luce di verità in cui ogni cosa riluce in modo infallibile, indelebile, indubitabile, irrefragabile, indiscutibile, immutabile, indilatabile, illimitabile, indivisibile, intellettuale. Perciò, se quelle leggi per cui giudichiamo con certezza di ogni cosa sensibile che venga sottoposta alla nostra attenzione, sono infallibili e indubitabili per l’intelletto di chi apprende, sono indelebili per la memoria di chi ricorda come se fossero sempre presenti, sono irrefragabili e indiscutibili per l’intelletto giudicante (come dice Agostino: u Nessuno giudica di esse, ma per mezzo di esse», è necessario che esse siano immutabili e incorruttibili perché necessarie, indilatabili perché incircoscritte, illimitabili perché eterne e quindi indivisibili perché intellettuali e incorporee, non fatte, anzi increate, esistenti eternamente nell’arte eterna.
Da questa, per mezzo suo e a sua somiglianza sono formate tutte le cose belle. Quindi esse non possono venir giudicate con certezza se non per mezzo di quella che non soltanto fu forma che produsse tutte le cose, ma tuttora le conserva e distingue, come Ente che regge la forma di ogni cosa ed è loro regola direttiva. Per questo la nostra mente è in grado di giudicare tutto ciò che entra in essa per mezzo dei sensi.