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CAPITOLO 44
Quale deve essere l’atteggiamento dell’anima
nel distruggere ogni conoscenza e coscienza del proprio essere

Ma ora vuoi sapere come distruggere questa coscienza pura e semplice del tuo essere. E forse vai pensando che se tu riuscissi a distruggerla, cadrebbero anche tutti gli altri ostacoli: se questo è il tuo ragionamento non ti sbagli di certo.
Voglio comunque dirti che senza una grazia tutta particolare, liberamente elargita da Dio, e senza una totale disponibilità e capacità da parte tua a ricevere questa grazia, tale coscienza pura e semplice del tuo essere non la puoi distruggere in alcun modo. E questa disposizione d’animo non è altro che un sincero e profondo dolore spirituale. Ma in questo dolore è bene che tu abbia molta discrezione. Devi star attento, quando lo avverti, a non tendere troppo violentemente il tuo corpo o il tuo spirito. Piuttosto, mettiti a sedere completamente tranquillo, quasi tu volessi dormire, tutto preso e immerso nel tuo dolore. Questo, infatti, è il vero dolore; questo il dolore perfetto. E beato colui che riesce a provare un simile dolore.
Tutti gli uomini hanno di che affliggersi, ma nessuno più di chi ha conoscenza e coscienza del fatto di esistere. Ogni altro dolore, rispetto a questo, è come uno scherzo in rapporto a una cosa seria. Infatti prova un vero dolore chi ha conoscenza e coscienza non tanto della propria fragilità, quanto piuttosto della propria esistenza. Chi non ha mai provato un simile dolore, può ben rammaricarsi: non sa ancora cosa sia il dolore perfetto.
Questo dolore, quando lo si ha, purifica l’anima non solo dal peccato, ma anche dalla pena che essa ha meritato con il peccato. Inoltre, rende l’anima capace di ricevere quella gioia che libera l’uomo da ogni conoscenza e coscienza del proprio essere.
Questo dolore, quando è genuino, è ripieno di un desiderio ardente e santo: altrimenti nessuno su questa terra riuscirebbe a resistere o a sopportarlo. Intatti, se non fosse perché riceve un certo qual conforto dal bene che opera, l’anima non sarebbe capace di sopportare la pena derivante dalla coscienza della propria esistenza.
Tante volte l’uomo, nella purezza del suo spirito, vuol avere una vera conoscenza e coscienza di Dio, per quel che è possibile quaggiù, e poi sente di non potercela fare, perché si accorge sempre più che la sua conoscenza e la sua coscienza sono come occupate e riempite dalla massa orribile e puzzolente del proprio io, che egli deve sempre odiare, disprezzare e rinnegare, se vuol essere un perfetto discepolo di Dio, secondo l’insegnamento del Signore stesso sul monte della perfezione. Ne segue che l’uomo diventa quasi pazzo dal dolore, al punto che si mette a piangere e a gemere, lotta accanitamente con se stesso, maledice e stramaledice. Insomma, gli sembra di portare un fardello tanto pesante che non si dà più pensiero per quel che gli può succedere, almeno finché Dio vuole così. E pur in mezzo a tanto dolore, non desidera por fine alla sua esistenza: sarebbe soltanto pazzia diabolica e disprezzo per Dio. Al contrario, è ben contento di vivere, e ringrazia Dio di tutto cuore per il prezioso dono dell’esistenza, anche se continua a sospirare di essere liberato dalla coscienza della propria esistenza.
In un modo o in un altro, ogni anima deve provare questo dolore e sentire dentro di sé quest’ardente desiderio. Dio stesso si degna di insegnarlo ai suoi discepoli spirituali, secondo la sua volontà d’amore; deve trovare però corrispondenza nella loro disposizione d’animo e di corpo, tenendo conto del grado a cui son giunti e anche del loro carattere. Solo a questo punto, e se Dio lo permette, essi potranno essere uniti a lui in carità perfetta, per quel che è possibile in questa vita.