CREDENTI

LA NUBE DELLA "NON-CONOSCENZA"

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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:24
    CAPITOLO 33
    In questo lavoro il peccatore viene purificato
    dai suoi peccati particolari e anche dalla pena che ne consegue:
    tuttavia non c’è mai un perfetto riposo per lui in questa vita

    Per il momento non ti voglio indicare altri stratagemmi, anche perché se ti sarà data la grazia di metterli in pratica, sono convinto che sarai tu a dovere insegnare a me, e non il contrario. E se ora sono io a insegnare a te, devo comunque confessare con tutta sincerità che ho ancora molta strada da percorrere per esserne degno. Perciò ti prego di aiutarmi e di agire per il tuo bene, ma anche per il mio.
    Forza, allora, e non perdere un attimo, te ne prego. Se anche non ottieni immediato successo con questi espedienti, non prendertela, ma sopporta in tutta umiltà questa pena: in verità, è il tuo purgatorio. Quando avrai penato abbastanza e avrai ormai acquisito, per grazia di Dio, quei mezzi che lui stesso ti avrà suggerito, allora, non ho alcun dubbio, sarai senz’altro purificato non solo dal peccato, ma anche dalla pena conseguente. Mi riferisco naturalmente alla pena particolare che deriva dai tuoi peccati personali commessi in passato, e non alla pena del peccato originale. Quest’ultima, infatti, peserà su di te fino al giorno della tua morte, per quanto tu possa darti da fare. Tuttavia non ti darà gran fastidio, in confronto alla pena particolare dei tuoi peccati personali. Non per questo dovrai ritenerti dispensato da un faticoso lavoro. Infatti, ogni giorno il peccato originale produce impulsi peccaminosi sempre nuovi e allettanti, e ogni giorno tu devi impegnarti ad abbatterli e a reciderli a colpi terribili con la spada del discernimento, un’arma affilata e a doppio taglio. Al che puoi ben vedere e comprendere come non vi è né definitiva vittoria, né vero riposo in questa vita.
    Nondimeno, non devi tirarti indietro per questo motivo, né lasciarti spaventare dalla paura dell’insuccesso. Poiché se ti sarà data la grazia di distruggere la pena dei tuoi peccati commessi in passato, nel modo che ho appena descritto, o meglio ancora a modo tuo, se sai far meglio, sta’ pur sicuro che la pena del peccato originale, o gli impulsi peccaminosi che esso man mano produce, non ti daranno granché fastidio.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:24
    CAPITOLO 34
    Dio dona liberamente e senza vie intermedie la grazia
    della contemplazione, che non si può in alcun modo meritare

    E se mi domandi in qual modo tu possa giungere al lavoro contemplativo, prego Dio onnipotente perché nella sua grande grazia e benevolenza te lo insegni lui stesso. E io faccio veramente una cosa buona a farti capire che non sono in grado di dirtelo. Non c’è da meravigliarsi: la contemplazione è lavoro di Dio solo, che egli compie di sua volontà nell’anima di quanti gli sono graditi, senza tener conto dei loro meriti.
    Se manca l’aiuto di Dio, non c’è angelo o santo che possa, anche lontanamente, sentire il bisogno di un simile lavoro. E credo che nostro Signore è disposto a compiere questo lavoro con ugual premura e frequenza, anzi, forse con premura e frequenza maggiori, nei peccatori incalliti, piuttosto che in quanti, rispetto a essi, non l’hanno mai offeso gravemente. E Dio agisce a questo modo perché noi possiamo riconoscere la sua infinita misericordia e onnipotenza: egli lavora come vuole, dove vuole, quando vuole.
    Tuttavia, non dà questa grazia, né compie questo lavoro in un’anima incapace di riceverli, anche se non c’è nessun’anima, peccatrice o innocente, in grado di accogliere questa grazia senza l’aiuto della grazia stessa. Né Dio l’accorda in base all’innocenza, né la rifiuta per via del peccato. Fa’ bene attenzione a quel che ho detto: la rifiuta, e non la ritira. Ti prego, sta’ attento a non sbagliarti su questo punto, perché quanto più ci si avvicina alla verità, tanto più si deve stare in guardia dall’errore. Quel che intendo dire è ben chiaro e preciso, ma se non riesci a capirlo, lascialo da parte finché Dio non venga a fartelo comprendere. Fa’ dunque così e non ti angustiare.
    Attenzione all’orgoglio, che bestemmia Dio nei suoi doni e incoraggia i peccatori. Se tu fossi veramente umile, la penseresti come me riguardo alla contemplazione: Dio la accorda liberamente, senza tener conto dei meriti. Questo dono divino è tale che, quando è presente, mette l’anima in grado di possederlo e di gustarlo. È impossibile ottenerlo in altro modo. La capacità di contemplare costituisce una cosa sola con la contemplazione, senza alcuna differenza, cosicché chi è attratto verso il lavoro contemplativo, costui e non altri è in grado di farlo effettivamente. Se Dio non opera in essa, l’anima è come morta, e non sente né la voglia né il desiderio della contemplazione. Quanto più la vuoi e la desideri, tanto più la possiedi: né più né meno. Tuttavia, non è né la tua volontà né il tuo desiderio, ma un qualcosa di insondabile che ti spinge a volere e desiderare ciò che non conosci. Non preoccuparti, te ne prego, se il tuo intelletto non riesce ad andar oltre: al contrario, continua imperterrito nel tuo lavoro cosa da avanzare sempre più.
    Per farla breve, lascia che quel qualcosa di insondabile agisca in te a suo piacimento e ti conduca dove vuole lui. Lascia che sia lui a operare e tu a subire la sua azione. Guarda pure, se ti pare, ma lascialo lavorare da solo. Non immischiarti, come se tu volessi aiutarlo: finiresti per rovinare tutto. Tu devi essere il legno, e lui il falegname; tu la casa, e lui il padrone che vi abita. Per il momento fatti cieco e rigetta il desiderio di sapere il perché e il percome: una simile conoscenza ti sarebbe più di ostacolo che di aiuto. Infatti è già abbastanza se senti dentro di te l’autorevole spinta di quel non so che, e se in questo movimento interiore non hai alcun pensiero particolare nei riguardi di qualsiasi cosa inferiore a Dio: il tuo puro anelito deve andare direttamente a Dio.
    Se le cose stanno in questo modo, allora puoi essere ben certo che è Dio in persona, e non altri, a muovere la tua volontà e il tuo desiderio, e senza vie intermedie né da parte tua né da parte sua. Ora, non aver paura del diavolo, poiché non può avvicinarsi a te più di quel tanto. Infatti, per quanto possa essere scaltro, il diavolo può muovere la volontà di un uomo solo saltuariamente, e per vie traverse. Nemmeno un angelo buono può muovere direttamente e in maniera adeguata la tua volontà. Insomma, non c’è nessun altro che possa farlo, se non Dio solo.
    Puoi ben capire da queste mie parole, ma ancor più chiaramente per esperienza, che in quest’opera gli uomini non devono assolutamente far uso di mezzi e di vie, né possono sperare di giungere alla contemplazione grazie a chissà quali aiuti. Tutti i mezzi efficaci dipendono da Dio, mentre lui non dipende da niente, e nessun mezzo può portare alla contemplazione.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:25
    CAPITOLO 35
    I tre mezzi che dovrebbe impiegare il principiante nella
    contemplazione: la «lectio», la «meditatio» e l’«oratio».

    Tuttavia, ci sono dei mezzi che dovrebbe impiegare chi vuoi diventare vero contemplativo, e precisamente: la «lectio», la «meditatio» e l’«oratio», ovvero, secondo una terminologia più comune e comprensibile: la lettura, la riflessione e la preghiera.
    Di questo ha già trattato in un suo libro un altro autore e molto meglio di quanto non sappia fare io: perciò è inutile che mi dilunghi su questo argomento. Ma c’è una cosa che voglio sottolineare: quei tre mezzi sono così correlati tra loro, che è impossibile per uno ai primi passi — non certo per chi è perfetto, per quanto è possibile quaggiù — fare una buona meditazione, se prima non vi è stata una lettura o un ascolto adeguati. Lettura o ascolto, è sempre la stessa cosa: infatti, i chierici leggono i libri e il volgo «legge» i chierici quando li ascolta predicare la parola di. Dio. D’altra parte, i contemplativi incipienti e proficienti non possono nemmeno pregare bene senza l’esercizio preliminare della meditazione.
    Una prova di quest’ordine progressivo è data da quanto segue. La parola di Dio, orale o scritta, può essere paragonata a uno specchio. Spiritualmente, l’«occhio» della tua anima è la ragione, mentre la coscienza è il tuo «volto» spirituale. Ora, come gli occhi del tuo vero volto non possono vedere né immaginare la presenza di una macchia sporca sul tuo stesso volto, senza l’aiuto di uno specchio o di qualcun altro che te lo dica, così spiritualmente è impossibile, almeno per la ragione umana, che un’anima accecata dall’abitudine al peccato riesca a vedere la corruzione nella propria coscienza, senza aver letto o sentito la parola di Dio.
    E proseguendo di questo passo, quando un uomo vede nello specchio, oppure apprende da altri, dove si trova esattamente quella sporca macchia sul suo viso — tutto ciò sia in senso letterale che spirituale allora, e non prima, egli corre alla fontana a lavarsi. Se questa macchia è un peccato particolare, allora la fontana è la santa chiesa e l’acqua il sacramento della penitenza, con quel che comporta. Se invece si tratta della radice stessa del peccato, allora la fontana è Dio misericordioso e l’acqua è la preghiera, con quel che comporta. Questo sta a dimostrare che i contemplativi incipienti e proficienti non possono meditare senza l’esercizio preliminare della lettura o dell’ascolto, né pregare senza una adeguata meditazione.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:25
    CAPITOLO 36
    Le meditazioni di coloro che sono già avanti nella contemplazione

    Certamente questo non vale per coloro che sono già avanti nel lavoro contemplativo di cui stiamo trattando. Le loro meditazioni, infatti, consistono nella consapevolezza improvvisa e nel cieco sentimento della propria miseria o della bontà di Dio. E non hanno bisogno di far ricorso a un esercizio preliminare di lettura o di ascolto, o alla considerazione particolare di qualsiasi cosa al di sotto di Dio. Questa consapevolezza improvvisa e questo cieco sentimento si imparano prima da Dio che dagli uomini.
    Non mi preoccupo affatto se tu per il momento non dovessi avere altre meditazioni sulla tua miseria, o sulla bontà di Dio (naturalmente do per scontato che tu sia mosso dalla grazia di Dio e ti trovi sotto una buona direzione), se non quelle suggerite dalla parola «peccato» o da quest’altra, «Dio», o da qualsiasi altra parola di tuo piacimento. Non devi né analizzare né esplorare queste parole con avidità di sapere, come se la considerazione delle loro proprietà potesse accrescere la tua devozione. Sono convinto che nel nostro caso e in quest’opera, non capiterebbe mai una cosa di tal genere.
    Piuttosto, prendi queste parole così come sono nella loro interezza. Per «peccato» intendi un blocco massiccio di cui non conosci niente, se non che si tratta essenzialmente di te stesso. A mio parere questa maniera di considerare il peccato come un tutt’uno, a cui bai dato la forma di un blocco massiccio e che alla fin fine non è altro che te stesso, dovrebbe mandarti su tutte le furie e farti impazzire. Tuttavia, se qualcuno per caso ti vedesse in questo frangente, non si accorgerebbe di nulla, anzi ti penserebbe nelle più sobrie disposizioni fisiche; e sia che ti trovi seduto o in piedi, fermo o in cammino, in ginocchio o prostrato, nulla trasparirebbe dal tuo comportamento se non una calma assoluta.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:26
    CAPITOLO 37
    Le preghiere personali di coloro che sono già avanti nella contemplazione

    Come le meditazioni di coloro che cercano di vivere la vita contemplativa sorgono improvvisamente e senza alcun aiuto esterno, così anche le loro preghiere. Mi riferisco alle loro preghiere private, non a quelle prescritte dalla santa chiesa. I veri contemplativi non potrebbero stimare maggiormente queste ultime, tanto che ne fanno largo uso, secondo la forma e le regole stabilite dai santi padri prima di noi.
    Ma le loro preghiere personali s’innalzano a Dio in maniera spontanea e repentina, senza alcuna premeditazione o altro espediente, né prima né durante la preghiera stessa. E se anche son fatte di parole, il che capita raramente, si tratta pur sempre di pochissime parole: meno sono, meglio è. E se si tratta di una piccola parola d’una sola sillaba, a mio parere è ancor meglio che una di due, ed è più conforme all’opera dello spirito. Infatti chi si dedica al lavoro contemplativo dovrebbe sempre trovarsi nel punto più alto ed eccelso dello spirito. Che ciò sia vero, lo si può vedere in questo esempio preso dalla realtà quotidiana. Una persona in preda al terrore, per lo scoppio improvviso di un incendio o per la morte repentina di un uomo o per qualcos’altro, raggiunge immediatamente il punto più alto del suo spirito e si sente spinta dalla fretta e dalla necessità a gridare o invocare aiuto. E in qual modo? Certo non con una valanga di parole, e neppure con una semplice parola di due sillabe. Perché mai? Perché gli sembra di perdere troppo tempo per dichiarare il suo urgente bisogno e l’agitazione del suo spirito. Perciò prorompe in un grido lancinante, fatto di una sola parola e di una sola sillaba, come «Fuoco!», oppure «Aiuto!».
    Come questa breve parola: «fuoco!», scuote immediatamente la gente e penetra più in fretta nelle orecchie di chi ascolta, così succede con una parolina di una sola sillaba, quando non solo vien pensata o pronunciata, ma è semplicemente formulata in segreto nelle profondità dello spirito. Dire profondità a proposito dello spirito è come dire altezza, perché in questo caso non vi è differenza tra lunghezza e larghezza, altezza e profondità. E questa parolina penetra nelle orecchie di Dio onnipotente molto prima di un’interminabile salmodia mormorata con le labbra senza pensarci. Per questo sta scritto che «la preghiera breve penetra il cielo».
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:26
    CAPITOLO 38
    Come e perché la preghiera breve penetra il cielo

    E perché penetra il cielo, questa breve e corta preghiera di una sola sillaba? Senz’altro perché viene fatta con tutto il cuore, nell’altezza e nella profondità, nella lunghezza e nella larghezza dello spirito di chi prega così. Nell’altezza, poiché possiede tutta la potenza dello spirito; nella profondità, poiché in questa piccola sillaba è Racchiuso tutto ciò che lo spirito sa; nella lunghezza, poiché se potesse sempre sentire quel che adesso prova, griderebbe in continuazione a Dio come fa ora; in larghezza, poiché vorrebbe estendere a tutti gli altri quel che desidera per sé.
    È a questo punto che l’anima, secondo le parole di s. Paolo, «è in grado di comprendere con tutti i santi — certo non pienamente, ma solo in parte e in una maniera confacente a quest’opera — qual è la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» dell’onnipotente ed eterno Dio, sommo amore e saggezza infinita. L’eternità di Dio è la sua lunghezza, l’amore è la sua larghezza, la potenza è la sua altezza, e la saggezza è la sua profondità. Non c’è da stupirsi se un’anima, così plasmata dalla grazia a stretta immagine e somiglianza di Dio suo creatore, vien subito ascoltata da Dio stesso. Sì, se anche fosse l’anima di un grande peccatore — che è come il nemico di Dio — a gridare, spinta dalla grazia, una breve sillaba di tal genere nell’altezza e nella profondità, nella lunghezza e nella larghezza del suo spirito, Dio la sentirebbe ugualmente per via del tono accorato del suo grido, e l’aiuterebbe senz’altro.
    Eccone una prova. Se tu dovessi sentire il tuo nemico mortale che, in preda al terrore, grida dal profondo del suo spirito questa breve parola: «Fuoco!» o «Aiuto!», tu, senza pensare che si tratta del tuo nemico, ma mosso a pietà, e preso da compassione per il suo grido lancinante, ti alzeresti senz’altro — sì, fors’anche in una notte di pieno inverno — e andresti in suo soccorso per aiutarlo a spegnere il fuoco o per confortarlo e calmarlo nella sua angoscia. Mio Dio!, se un uomo può diventare, per la grazia, così misericordioso da mostrare tanta pietà e compassione per il suo nemico, nonostante l’odio che gli porta, quale pietà e misericordia avrà allora il Signore — che possiede per natura quel che l’uomo ha per grazia — verso l’anima che lancia un tal grido spirituale dall’altezza e profondità, dalla lunghezza e larghezza del suo spirito? Certamente il Signore avrà molto più misericordia, senza alcun confronto, poiché è molto più vicina alle realtà eterne una cosa posseduta per natura, che non una ricevuta per grazia.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:27
    CAPITOLO 39
    Come deve pregare il contemplativo, e in che cosa consiste la preghiera;
    quali parole sono più adatte se si intende pregare oralmente

    Perciò dobbiamo pregare nell’altezza e nella profondità, nella lunghezza e nella larghezza del nostro spirito. E non con molte parole, ma con una semplice parola di una sola sillaba.
    Quale sarà questa parola? Certo una che si accorda per il meglio alla natura della preghiera. E quale parola corrisponde a questo requisito? Vediamo innanzitutto cos’è essenzialmente la preghiera in se stessa; solo allora potremo sapere più chiaramente qual è la parola che meglio si accorda alla natura della preghiera.
    Di sua natura la preghiera non è altro che un pio anelito verso Dio, per ottenere il bene e allontanare il male.
    Poiché tutto il male si può riassumere nel peccato, che ne è la causa e l’essenza stessa, allora quando preghiamo con la ferma intenzione di allontanare il male, non dobbiamo dire né pensare né intendere nient’altro che questa breve parola: «peccato». Se invece preghiamo con la ferma intenzione di ottenere il bene, non ci resta che gridare a parole, con il pensiero o con il desiderio questa semplice parola, e nessun’altra: «Dio». In Dio infatti si trova tutto il bene: egli ne è la causa e l’essenza stessa.
    Non meravigliarti se ho preferito mettere queste parole al posto di altre. Infatti, se potessi trovare delle parole più corte, capaci di riassumere in sé tutto il bene e il male, come fan queste due, oppure se Dio mi avesse insegnato a sceglierne delle altre, avrei certamente preso quelle e avrei lasciato queste. E così che consiglio di fare anche a te.
    Non metterti a ricercare delle nuove parole, perché non raggiungeresti mai il tuo obiettivo: al lavoro della contemplazione non si giunge attraverso lo studio, ma solamente per grazia. Perciò non prendere altre parole per la tua preghiera, malgrado io te ne abbia indicate due, se non quelle che Dio ti induce a usare.
    Ma se Dio ti induce a usare quelle che ti ho proposto, ti consiglio di non lasciarle perdere, sempre che tu faccia uso di parole nella tua preghiera. La loro efficacia consiste nell’essere parole molto corte.
    Quantunque abbia raccomandato soprattutto la brevità della preghiera, non ne va assolutamente rallentata la frequenza, poiché, come ho già detto, si prega nella lunghezza dello spirito. Di conseguenza, una tale preghiera non dovrebbe mai interrompersi, se non quando abbia ottenuto pienamente quello a cui mirava. Un esempio a questo proposito lo ritroviamo nella persona in preda al terrore descritta poc’anzi. Essa non la smette di gridare questa breve parola: «Fuoco!» o «Aiuto», finché non abbia ottenuto il soccorso necessario nella sua disgrazia.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:27
    CAPITOLO 40
    Nella contemplazione l’anima non presta particolare attenzione
    a nessun tipo di vizio o di virtù

    E tu, fa’ lo stesso: riempi il tuo spirito del significato profondo della semplice parola «peccato», senza analizzare di quale peccato si tratta, se veniale o mortale, di orgoglio, d’ira o d’invidia, di cupidigia, di accidia, di gola o di lussuria. Che importa al contemplativo il tipo e la gravità del peccato? Quando è impegnato nel lavoro contemplativo, tutti i peccati li considera ugualmente gravi in se stessi, dal momento che il più piccolo di essi lo separa da Dio e gli toglie la pace interiore.
    Cerca di sentire il peccato nella sua totalità, come un blocco massiccio, di cui sai solo che è il tuo stesso io.
    E allora emetti a più non posso nel tuo spirito quest’unico grido: «Peccato! Peccato! Peccato! Aiuto! Aiuto! Aiuto!». Questo grido spirituale lo si impara meglio da Dio per esperienza che non dalla bocca di un uomo. È meglio quando scaturisce esclusivamente dallo spirito, senza nemmeno essere pensato o espresso a parole. In rarissimi momenti può capitare, tuttavia, che l’anima e il corpo siano così oppressi dal dolore e dal peso del peccato, che lo spirito sopraffatto non può fare a meno di prorompere in parole.
    Allo stesso modo devi comportarti con la breve parola «Dio». Riempi il tuo spirito del suo significato profondo, senza fare nessuna considerazione particolare su una qualsiasi delle opere di Dio: per esempio, se siano buone, migliori o ottime, se siano materiali o spirituali. E non devi cercare di far distinzione tra le varie virtù che possono essere suscitate nell’anima umana dalla grazia: umiltà o carità, pazienza o astinenza, speranza, fede o temperanza, castità o povertà volontaria. Che importa questo al contemplativo, dal momento che tutte le virtù le trova e le sperimenta in Dio? È Dio infatti che ha dato vita a tutte le cose e tutte sussistono in lui. Il contemplativo sa che se ha Dio, possiede ogni bene: per questo non brama nessun bene in particolare, ma l’unico vero bene, Dio. Fa’ anche tu così, per quanto ti sarà possibile con l’aiuto della grazia, e guarda esclusivamente a Dio, a Dio nella sua interezza, così che niente lavori nella tua mente e nella tua volontà, se non Dio solo.
    E poiché per tutto il tempo che passi in questa valle di lacrime devi sempre far esperienza in qualche modo di questo blocco massiccio, orribile e puzzolente, qual è il peccato, come se fosse unito e fuso con la sostanza del tuo essere, allora devi continuamente far ricorso prima all’una e poi all’altra di queste due parole: «peccato» e «Dio». E non dimenticare che se tu avessi Dio, allora non avresti più il peccato, e se tu non avessi più il peccato, allora avresti Dio.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:28
    CAPITOLO 41
    In qualsiasi cosa bisogna usare moderazione,
    ma non nella contemplazione

    Inoltre, se tu dovessi chiedermi quale moderazione bisogna avere nel lavoro della contemplazione, ti risponderei in questi termini: «Nessuna, assolutamente!» In qualsiasi altra cosa tu faccia devi usare moderazione, come per esempio nel mangiare, nel bere, nel dormire, nel proteggere il corpo dall’eccessivo calore o dai rigori del freddo, nel tempo da dedicare alla preghiera o alla lettura o alla conversazione con il tuo prossimo. In tutto questo devi usare moderazione, in modo da non sconfinare nel troppo o nel troppo poco. Ma nel lavoro contemplativo non c’è misura che tenga: vorrei che tu non smettessi mai di contemplare per tutto il tempo della tua vita.
    Non dirò che devi essere sempre in grado di impegnarti con uguale vigore e freschezza: sarebbe pretendere l’impossibile. Infatti, talvolta la malattia o qualche malessere del corpo o dell’anima, insieme a molte altre necessità naturali, costituiranno un grosso ostacolo e spesso ti faranno scendere dall’alto della contemplazione. Ma tu dovresti sempre essere all’opera, sia che lavori, sia che ti diverta, e questo almeno nelle intenzioni, se non di fatto. Di conseguenza, guardati più che puoi, per amore di Dio, dalla malattia, cosa che non sia tu stesso, per quanto è possibile, la causa della tua debolezza. Ti dico con tutta verità che quest’opera richiede una grande pace, e una totale e pura disposizione d’anima e di corpo.
    Dunque, per amore di Dio, controllati nel corpo e nell’anima con gran cura, e mantieniti in salute, per quel che sta in te. E se malgrado il tuo impegno, dovesse sopraggiungere la malattia, sopportala con pazienza e affidati umilmente alla misericordia di Dio: da te non si pretende altro. In verità ti dico: spesso la pazienza nella malattia e in altri tipi di tribolazione, piace a Dio molto di più di qualsiasi pratica devota che tu puoi esercitare quando sei in buona salute.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:29
    CAPITOLO 42
    Solo chi è senza moderazione nel lavoro contemplativo,
    può avere una giusta moderazione nelle altre cose; altrimenti no

    Ma forse mi chiederai come ci si deve comportare con moderazione per quel che riguarda il cibo, il sonno, e così via. Al che la mia risposta è molto breve: «Prendi le cose come si presentano». Continua nel lavoro della contemplazione senza mai fermarti e senza alcuna moderazione, e saprai ben regolarti quando cominciare o smettere in tutto il resto. Non mi par possibile che un’anima, tutta presa da quest’opera notte e giorno senza alcuna moderazione, possa commettere errori di valutazione in questioni concernenti la vita esteriore In caso contrario, secondo me si tratta di un’anima che sbaglierebbe sempre, in qualunque situazione.
    Pertanto; se sarò capace di prestare viva attenzione e vigile cura a quest’attività spirituale interna alla mia anima, allora potrò anche avere una certa qual indifferenza nel mangiare e nel bere, nel dormire e nel conversare, e in tutte le altre azioni esteriori. Sono pienamente certo di giungere alla giusta moderazione in queste cose attraverso una tale indifferenza, piuttosto che mostrando viva attenzione per esse o soppesandone accuratamente tutti i pro e i contro. In verità non ne verrei mai a capo in questo modo, per quanto io possa fare o dire.
    Gli uomini dicano quello che han voglia: l’esperienza insegna. Perciò, eleva il tuo cuore con questo cieco slancio d’amore e considera ora il «peccato», ora «Dio». Dio lo vorresti avere, il peccato, invece, non lo vorresti aver più. Dio, quello sì ti manca: il peccato sei ben sicuro di averlo. Che il buon Dio ti aiuti in questo frangente, perché ne hai veramente bisogno.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:29
    CAPITOLO 43
    Se uno vuol diventare perfetto contemplativo,
    deve per forza perdere ogni conoscenza e coscienza di sé

    Vedi che non ci sia nulla che lavori nella tua mente e nel tuo cuore, se non Dio solo. Cerca di sopprimere ogni conoscenza e coscienza di qualsiasi cosa che sta al di sotto di Dio, e ricaccia il tutto ben lontano, giù giù sotto la nube d’oblio.
    Devi capire che in quest’opera vanno dimenticate non solo tutte le altre creature al di fuori di te (e le loro azioni, nonché le tue personali), ma anche il tuo io, e perfino le azioni che hai fatto per amore di Dio. Infatti, questa è la condizione di chi ama in maniera perfetta: costui non solo ha un grande amore per la cosa che ama più di se stesso, ma in certo qual modo ha anche in odio se stesso per amore della cosa che ama.
    Così bisogna che tu faccia con te stesso: devi provar disgusto e fastidio. per tutto quanto lavora nella tua mente o nella tua volontà, a meno che non si tratti di Dio. Qualunque altra cosa al di fuori di lui, verrebbe sempre a inserirsi tra te e il tuo Dio. Non meravigliarti se hai in odio e ti ripugna pensare a te stesso, dal momento che devi aver sempre coscienza del peccato
    come di un blocco massiccio orribile e puzzolente, un non so che di frapposto tra te e il tuo Dio. Questo blocco massiccio, infatti, non è altro che il tuo io. E tu devi pensarlo unito e fuso con la sostanza del tuo essere, come se fosse inseparabile da te.
    Perciò spazza via qualsiasi conoscenza e coscienza di ogni genere di creature, ma in particolar modo di te stesso. Dalla conoscenza e coscienza di te stesso dipende quella di ogni altra creatura. Al suo confronto ogni altra creatura la si dimentica facilmente. Infatti, se vorrai metterti alla prova per verificare questa mia affermazione, troverai che quand’anche tu avessi dimenticato tutte le altre creature e le loro opere (anche le tue personali), rimarrà pur sempre tra te e Dio la coscienza pura e semplice del tuo essere. E anche questa coscienza deve andar distrutta, prima di poter veramente sperimentare la perfezione del lavoro contemplativo.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:29
    CAPITOLO 44
    Quale deve essere l’atteggiamento dell’anima
    nel distruggere ogni conoscenza e coscienza del proprio essere

    Ma ora vuoi sapere come distruggere questa coscienza pura e semplice del tuo essere. E forse vai pensando che se tu riuscissi a distruggerla, cadrebbero anche tutti gli altri ostacoli: se questo è il tuo ragionamento non ti sbagli di certo.
    Voglio comunque dirti che senza una grazia tutta particolare, liberamente elargita da Dio, e senza una totale disponibilità e capacità da parte tua a ricevere questa grazia, tale coscienza pura e semplice del tuo essere non la puoi distruggere in alcun modo. E questa disposizione d’animo non è altro che un sincero e profondo dolore spirituale. Ma in questo dolore è bene che tu abbia molta discrezione. Devi star attento, quando lo avverti, a non tendere troppo violentemente il tuo corpo o il tuo spirito. Piuttosto, mettiti a sedere completamente tranquillo, quasi tu volessi dormire, tutto preso e immerso nel tuo dolore. Questo, infatti, è il vero dolore; questo il dolore perfetto. E beato colui che riesce a provare un simile dolore.
    Tutti gli uomini hanno di che affliggersi, ma nessuno più di chi ha conoscenza e coscienza del fatto di esistere. Ogni altro dolore, rispetto a questo, è come uno scherzo in rapporto a una cosa seria. Infatti prova un vero dolore chi ha conoscenza e coscienza non tanto della propria fragilità, quanto piuttosto della propria esistenza. Chi non ha mai provato un simile dolore, può ben rammaricarsi: non sa ancora cosa sia il dolore perfetto.
    Questo dolore, quando lo si ha, purifica l’anima non solo dal peccato, ma anche dalla pena che essa ha meritato con il peccato. Inoltre, rende l’anima capace di ricevere quella gioia che libera l’uomo da ogni conoscenza e coscienza del proprio essere.
    Questo dolore, quando è genuino, è ripieno di un desiderio ardente e santo: altrimenti nessuno su questa terra riuscirebbe a resistere o a sopportarlo. Intatti, se non fosse perché riceve un certo qual conforto dal bene che opera, l’anima non sarebbe capace di sopportare la pena derivante dalla coscienza della propria esistenza.
    Tante volte l’uomo, nella purezza del suo spirito, vuol avere una vera conoscenza e coscienza di Dio, per quel che è possibile quaggiù, e poi sente di non potercela fare, perché si accorge sempre più che la sua conoscenza e la sua coscienza sono come occupate e riempite dalla massa orribile e puzzolente del proprio io, che egli deve sempre odiare, disprezzare e rinnegare, se vuol essere un perfetto discepolo di Dio, secondo l’insegnamento del Signore stesso sul monte della perfezione. Ne segue che l’uomo diventa quasi pazzo dal dolore, al punto che si mette a piangere e a gemere, lotta accanitamente con se stesso, maledice e stramaledice. Insomma, gli sembra di portare un fardello tanto pesante che non si dà più pensiero per quel che gli può succedere, almeno finché Dio vuole così. E pur in mezzo a tanto dolore, non desidera por fine alla sua esistenza: sarebbe soltanto pazzia diabolica e disprezzo per Dio. Al contrario, è ben contento di vivere, e ringrazia Dio di tutto cuore per il prezioso dono dell’esistenza, anche se continua a sospirare di essere liberato dalla coscienza della propria esistenza.
    In un modo o in un altro, ogni anima deve provare questo dolore e sentire dentro di sé quest’ardente desiderio. Dio stesso si degna di insegnarlo ai suoi discepoli spirituali, secondo la sua volontà d’amore; deve trovare però corrispondenza nella loro disposizione d’animo e di corpo, tenendo conto del grado a cui son giunti e anche del loro carattere. Solo a questo punto, e se Dio lo permette, essi potranno essere uniti a lui in carità perfetta, per quel che è possibile in questa vita.
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    00 07/09/2013 12:30
    CAPITOLO 45
    Si chiariscono alcuni errori e illusioni che possono capitare in questo lavoro

    Ma attento a quanto ti dico: è molto facile per un giovane discepolo, non ancora pratico ed esperto in materia spirituale, prendere degli abbagli in questo lavoro. Che se non si accorge subito della sua situazione e se non ha la grazia di piantar li quel che sta facendo e di ubbidire umilmente al suo direttore, rischia facilmente di estenuarsi nel fisico e di danneggiare le proprie facoltà spirituali. E tutto questo a causa dell’orgoglio, delle passioni carnali e dell’avidità di sapere.
    Ecco come ci si può illudere. Un giovane o una giovane da poco iniziati alla scuola della devozione, sentono leggere o parlare di questo dolore e di questo desiderio, e vengono cosi a sapere che l’uomo deve elevare il cuore a Dio e desiderare incessantemente di sentire l’amore del suo Dio. E subito, nella loro mente avida di sapere, essi intendono queste parole non in senso spirituale, com’è bene che sia, ma in senso letterale e materiale: così mettono sotto sforzo il loro cuore di carne e lo strapazzano dentro al petto.
    Privi della grazia — e se lo meritano ampiamente —, orgogliosi e avidi di sapere, tendono le loro vene e le loro forze fisiche in maniera così rude e violenta, che in breve tempo son presi da stanchezza e un certo qual torpore si insinua nel loro corpo e nel loro spirito. Ed ecco che si allontanano dalla vita interiore, per ricercare all’esterno qualche vana e falsa consolazione materiale, quasi a voler soddisfare il corpo e lo spirito. Oppure, se non avvertono quel torpore, sentono in petto un bruciore del tutto innaturale, causato dall’abuso del loro corpo o dalla loro falsa spiritualità. E ben meritano
    questa sensazione, per via della loro cecità spirituale e della violenza fatta alla loro stessa natura umana durante questo lavoro apparentemente spirituale, in realtà più che mai bestiale. O, ancora, si sentono dentro uno strano calore, suscitato dal diavolo, loro nemico spirituale; la causa di tutto questo è il loro orgoglio, la loro sensualità e la loro avidità di sapere. Eppure sono capaci di pensare che si tratta di quel fuoco d’amore portato e acceso dallo Spirito santo, per sua grazia e bontà.
    In realtà, da questa illusione e da quelle connesse deriva una gran quantità di mali: molte ipocrisie, eresie ed errori. Come a una falsa esperienza di tal genere segue subito dopo una falsa conoscenza alla scuola del diavolo, così dopo una vera esperienza segue una vera conoscenza alla scuola di Dio.
    In verità ti dico: il demonio ha anche lui i suoi contemplativi al pari di Dio.
    Le illusioni provocate da questa falsa esperienza, e dalla falsa conoscenza che ne consegue, subiscono variazioni innumerevoli e sorprendenti, a seconda dei vari caratteri e delle complesse situazioni in cui si trova chi rimane ingannato. Allo stesso modo diversi sono gli effetti prodotti dalla vera esperienza e dalla vera conoscenza dei salvati. Ma a questo punto non voglio metterti davanti altri errori se non quelli a cui, credo, sei più esposto, se vuoi diventare veramente un contemplativo. A che ti serve, infatti, sapere quali sono le illusioni degli uomini di cultura e di quelli che si trovano in condizioni diverse dalle tue? Assolutamente niente, questo è certo. Perciò non te ne indico altre, se non quelle che possono capitarti se ti dedichi con impegno al lavoro contemplativo. E quel che ti dico ha lo scopo di metterti in guardia, se mai dovessero assalirti durante il tuo lavoro illusioni del genere.
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    00 07/09/2013 12:30
    CAPITOLO 46
    Un buon insegnamento su come evitare questi errori
    e lavorare con ardore spirituale piuttosto che con vigore fisico

    Quindi, per l’amore di Dio, fa’ bene attenzione quando ti dedichi al lavoro contemplativo, e non strapazzare il tuo cuore dentro al petto in maniera troppo rude, o comunque fuori misura. Lavora con un ardente desiderio piuttosto che con la forza bruta Quanto più il tuo lavoro è fatto con ardente desiderio, tanto più risulta umile e spirituale; al contrario, quanto più è fatto in maniera rude, tanto più risulta materiale e bestiale. Perciò sta’ attento, perché l’animale (in questo caso l’uomo che usa maniere bestiali) che osa toccare l’alto monte della contemplazione, sarà certamente cacciato via a sassate.
    I sassi sono delle cose dure e aride, e dove colpiscono lasciano il segno. Così quegli sforzi violenti sono strettamente legati a una visione carnale e puramente fisica, e sono completamente aridi perché non vengono bagnati da una conoscenza di grazia. Inoltre feriscono in modo grave e doloroso l’anima così ottusa, e la avvelenano di fantasticherie e visioni demoniache.
    Perciò sta’ attento a non usare maniere violente e bestiali: impara piuttosto ad amare con il desiderio, assumendo un atteggiamento calmo e dolce sia nel corpo che nello spirito. Accetta con rispetto e umiltà la volontà di nostro Signore, e non afferrarla come un levriero vorace, per quanto grande e acuta sia la tua fame.
    E se posso darti questo consiglio a mo’ di gioco, io ti inviterei a mascherare più che puoi quell’impulso impetuoso e violento che senti nel tuo spirito, come se tu non volessi in alcun modo far sapere a Dio il tuo ardente desiderio di vederlo, di possederlo, di sentirlo. Forse tu pensi che io stia parlando in maniera infantile e scherzosa. Ma io ti dico, in verità, che chiunque avrà la grazia di mettere in pratica il mio consiglio, si renderà conto di fare un bellissimo gioco con lui, come fa il papà con il suo bambino quando lo bacia e lo stringe al petto, e grande sarà la sua felicità per tutto questo.
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    00 07/09/2013 12:30
    CAPITOLO 47
    Un buon insegnamento sulla purezza di spirito necessaria in questo lavoro: l’anima rivela il suo desiderio in una certa maniera a Dio, e in maniera del tutto differente all’uomo.

    Non devi meravigliarti se uso questo linguaggio infantile, che può apparire anche insensato o comunque niente affatto appropriato. Lo faccio per diversi motivi, e poi perché mi sembra che già parecchie volte ho avvertito il bisogno di sentire, pensare e parlare in questi termini ad altri miei intimi amici in Dio, proprio come ora nei tuoi confronti.
    Ecco uno dei motivi per cui ti invito a nascondere a Dio il desiderio del tuo cuore: secondo me, lo si porta a sua conoscenza ancor più chiaramente nascondendolo, che non mettendolo in mostra in un modo o nell’altro. E questo atteggiamento è anche più vantaggioso per te, perché appaga prima il tuo desiderio.
    C’è anche un altro motivo: con una rivelazione occulta di tal genere vorrei sottrarti alla violenza e superficialità dell’emozione fisica, per condurti alla purezza e profondità dell’esperienza spirituale. E così, in definitiva, vorrei aiutarti a stringere quel legame spirituale di amore ardente tra te e Dio, in unità di spirito e armonia di volontà.
    Tu sai bene che Dio è spirito; ora, chiunque vuol diventare una sola cosa con lui, deve farlo nella verità e nella profondità dello spirito, ben lontano da ogni apparenza o immaginazione corporea. È ben vero che non c’è cosa, materiale o spirituale, che Dio non conosca, e che niente può restargli nascosto. Ma poiché è spirito, ciò che è nascosto nel profondo dello spirito umano, Dio lo conosce ancor più chiaramente e per lui è ancor più in vista che non qualsiasi altra realtà materiale. Per sua natura ogni realtà materiale è più lontana da Dio di qualsiasi realtà spirituale. Per questo motivo il nostro desiderio, durante tutto il tempo in cui si accompagna a elementi di natura fisica — come avviene quando mettiamo contemporaneamente sotto sforzo e in tensione il nostro corpo e il nostro spirito —, è più lontano da Dio di quanto non sarebbe se scaturisse da maggior devozione e ardore, ma in sobrietà, purezza e profondità di spirito.
    Ed eccoti qui spiegato, almeno in parte, il motivo per cui ti consiglio di mascherare e nascondere a Dio, un po’ come fanno i bambini a nascondino, l’impulso. pressante del tuo desiderio. Nello stesso tempo, però, non ti dico di nasconderlo completamente: sarebbe roba da pazzi darti un consiglio di questo genere, perché è assolutamente impossibile metterlo in pratica. Ma quel che ti raccomando è di mettercela tutta per nascondere il tuo desiderio. Perché mai ti dico questo? Perché vorrei che tu lo cacciassi nelle profondità del tuo spirito, ben lontano da ogni possibilità di contaminazione con la materia, che lo renderebbe meno spirituale, e quindi sempre più distante da Dio. E inoltre so bene che più la tua anima diventa spirituale, meno subisce l’influsso delle realtà materiali e quindi si avvicina sempre più a Dio, diviene più piacevole e più chiara ai suoi occhi. Però non è Dio, eternamente immutabile, a vedere qualcosa in modo più chiaro in un certo momento piuttosto che in un altro; ma è la tua anima che si fa più simile a lui, quando vive in purezza di spirito, dal momento che egli stesso è spirito.
    E c’è un altro motivo per cui ti dico di fare il possibile perché egli non sappia qual è il tuo desiderio. Io, tu e noi tutti, siamo così pronti a intendere in termini materiali anche quel che viene detto in senso spirituale, che se ti avessi comandato di manifestare a Dio il desiderio intenso del tuo cuore, forse l’avresti espresso in maniera fisica, a gesti, o a voce, o a parole, o in qualche altra rozza manifestazione corporea, allo stesso modo, cioè, con cui riveli a un amico una cosa celata nel cuore; a questo punto il tuo lavoro non sarebbe stato più puro. In effetti, c’è un modo con cui si manifestano le cose agli uomini, e ce n’è un altro con cui si manifestano a Dio.
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    00 07/09/2013 12:31
    CAPITOLO 48
    Dio lo si serve con l’anima e con il corpo, e la sua ricompensa giunge sia all’uno che all’altra; come si fa a sapere se tutte le armonie e soavità che il corpo avverte durante la preghiera sono buone o cattive

    Non dico questo perché voglio che tu smetta di pregare oralmente ogniqualvolta ti senti portato a farlo, e nemmeno per impedire che, nella traboccante devozione dei tuo spirito, tu ti metta improvvisamente a parlare a Dio come a un uomo, dicendogli qualche buona parolina che senti di dovergli rivolgere, quale: «Buon Gesù! Bel Gesù! Dolce Gesù!» o qualche altra di questo genere. No! Dio non voglia che tu abbia a fraintendere il mio pensiero! In verità, non intendo dire questo. Dio non voglia che io separi quello che lui ha unito: il corpo e l’anima. Dio vuol essere servito con l’anima e con il corpo, tutt’e due insieme, ed è giusto che sia così, e vuol dare all’uomo la ricompensa celeste sia nel corpo che nell’anima. E come pegno di questa ricompensa, di quando in quando infiamma il corpo di un suo devoto servitore qui su questa terra — non una volta o due, ma probabilmente molto spesso, e quando a lui piace —, riempiendolo di meravigliose dolcezze e consolazioni.
    Di queste, alcune non entrano nel corpo dall’esterno, attraverso le finestre dei nostri sensi, bensì dall’interno: sorgono e scaturiscono dalla sovrabbondanza di felicità spirituale e da una vera devozione nello spirito. Queste dolcezze e consolazioni non devono essere guardate con sospetto; insomma, chi le sente dentro di sé, può fare a meno di essere prevenuto sul loro conto.
    Ma tutte le altre consolazioni e armonie e gioie e dolcezze che vengono improvvisamente dall’esterno, non si sa bene da dove, ti prego di guardarle con sospetto. Infatti possono essere buone o cattive: vengono suscitate da un angelo buono, se sono buone; da un angelo cattivo se sono cattive.
    Ma anche queste non procurano alcun male, se nei modi che io ti ho insegnato o in altri migliori, qualora tu li conosca, hai eliminato le illusioni dovute all’avidità di sapere e all’uso sregolato dei sentimenti e delle emozioni. E questo perché? Perché la causa delle consolazioni che tu cos? sperimenti, è proprio quel devoto slancio d’amore che abita in uno spirito puro. È Dio, con la sua mano onnipotente, a suscitare direttamente nell’anima questo devoto slancio d’amore, che di conseguenza deve essere sempre ben distinto da ogni immaginazione o falsa opinione che l’uomo può farsi in questa vita.
    Quanto alle altre consolazioni, armonie e dolcezze, e al modo con cui distinguere quelle buone da quelle cattive, non ho intenzione di continuare il discorso per adesso.
    Infatti, non ce n’è alcun bisogno, dal momento che questo stesso argomento lo puoi trovare in un altro libro di un altro autore m, e lì è trattato mille volte meglio di quanto non sappia fare io. E così vi puoi trovare tutto quello che c’è qui, ma trattato in maniera migliore. E allora? Non smetterò, né mi stancherò di trovare il mezzo per soddisfare quell’ardente desiderio e quella brama che mi hai mostrato di possedere nel tuo cuore, prima a parole e ora a fatti.
    Ma questo ti posso dire a proposito delle dolci armonie e dolcezze che entrano dalle finestre dei sensi e che possono essere buone o cattive. Fa’ uso continuamente di questo cieco, devoto e ardente slancio d’amore di cui ti ho parlato, e poi vedrai che sarà lui stesso a indicarti quali siano buone e quali cattive.
    E se anche a tutta prima tu dovessi restare un po’ stupito davanti a esse, perché ti possono apparire strane, questo slancio d’amore darà una tale solidità al tuo cuore, che tu non annetterai grande importanza né presterai fede a quelle dolcezze, finché non sarai sicuro sulla loro natura. E questo avverrà o interiormente, per opera meravigliosa dello Spirito di Dio, o esteriormente, in seguito al consiglio di qualche padre spirituale dotato di particolare discernimento.
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    00 07/09/2013 12:31
    CAPITOLO 49
    La sostanza della perfezione sta tutta in una retta intenzione; tutte le armonie e dolcezze e consolazioni che si possono avere in questa vita sono puramente accidentali

    Perciò, ti prego, disponiti di buona voglia a seguire quest’umile slancio d’amore del tuo cuore, perché esso vuol essere la tua guida in questa vita e vuol condurti alla felicità eterna nell’altra. Quest’impulso d’amore, senza il quale non c’è opera buona che si possa cominciare o finire, è l’essenza e la sostanza di ogni retta esistenza. In poche parole, non è altro che una retta intenzione in armonia con Dio, e una sorta d’appagamento e di contentezza che senti nella tua volontà per tutto quello che egli fa.
    Questa retta intenzione è la sostanza della perfezione. Per quanto possano essere sante, tutte le dolcezze e le consolazioni, sia fisiche che spirituali, non sono che accidenti al suo confronto, e non fanno altro che dipendere da questa retta intenzione. Accidenti li chiamo, perché possono esserci o meno senza che la perfezione ne risenta. Naturalmente, mi riferisco a questa vita, perché non sarà così nella beatitudine celeste, dove tali dolcezze saranno unite in maniera inseparabile alla loro sostanza, così come il corpo in cui operano attualmente sarà unito all’anima. E così la loro sostanza qui in terra non è altro che una retta intenzione del tutto spirituale. E son proprio certo che chi giunge alla perfezione di questo volere, per quel che è possibile quaggiù, è ugualmente contento e felice quando ha le dolcezze e consolazioni che possono capitare all’uomo in questa vita, come quando non le ha, se tale è la volontà di Dio.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:32
    CAPITOLO 50
    L’amore casto; alcuni provano tali consolazioni solo di rado,
    altri invece con grande frequenza.

    Di qui puoi vedere come dobbiamo concentrare tutta la nostra attenzione su quest’umile slancio d’amore che si trova nella nostra volontà. Invece, nei riguardi di tutte le altre forme di consolazione spirituale o materiale, per quanto possano essere sante e piacevoli, dobbiamo mostrare, se è consentito dirlo, una sorta di indifferenza.
    Se vengono, accoglile. Ma non dipendere eccessivamente da esse, perché potresti indebolirti per niente; dovresti pagare un prezzo troppo alto per gustare a lungo quelle dolci emozioni e quelle lacrime così soavi. E può anche darsi che ti senta spinto ad amare Dio per causa loro. Ecco come puoi essere certo di questo difetto: se ti lamenti in maniera eccessiva quando esse non ci sono. Se le cose stanno a questo modo, allora il tuo amore non è ancora né casto né perfetto.
    L’amore casto e perfetto, se anche soffre perché per il momento il corpo non può godere o aver conforto dalla presenza di tali emozioni e lacrime soavi, tuttavia non si lamenta in alcun modo per la loro mancanza; al contrario, è ben contento di non averle, se questa è la volontà di Dio. Va però notato che in alcune persone la contemplazione è normalmente accompagnata da consolazioni di questo tipo; in altre, invece, rappresentano un caso rarissimo. Tutto questo rientra nell’ordinato disegno di Dio e risponde al bene e ai bisogni di ogni singola persona.
    Ci sono, infatti, degli uomini così deboli e, sensibili nello spirito, che se non fossero in qualche modo confortati da tali consolazioni, non riuscirebbero assolutamente a sopportare e a sostenere le diverse tentazioni e tribolazioni a cui sono sottoposti nel corso della loro vita, e che provengono dai nemici del corpo e dell’anima. Altri, invece, sono così deboli di costituzione, che non possono fare delle grandi penitenze per purificarsi. Allora nostro Signore, per sua grazia, purifica queste persone nello spirito, attraverso dolci emozioni e lacrime soavi di tal genere.
    D’altra parte, ci sono anche delle persone dallo spirito così forte, che sanno trovare sufficiente conforto all’interno delle loro anime, nell’offrire questo pio e umile slancio d’amore e quest’accordo di volontà, tanto che non hanno neanche bisogno del conforto di soavi emozioni e dolci sentimenti.
    Quale delle due categorie è più santa o più cara a Dio, la prima o la seconda? Dio solo lo sa, io no di certo.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:32
    CAPITOLO 51
    Bisogna stare molto attenti a non intendere in senso materiale quel che vien detto in senso spirituale, in particolare le parole «dentro» e «in alto»

    Perciò abbandonati umilmente a questo cieco slancio d’amore che si trova nel tuo cuore. Naturalmente, non intendo il tuo cuore fisico, ma quello spirituale, cioè la tua volontà. E sta’ ben attento a non interpretare in senso materiale quel che vien detto in senso spirituale. In verità ti dico che i pensieri materiali e carnali di menti curiose, o comunque fervide d’immaginazione, sono causa di molti errori.
    Un esempio a questo proposito lo puoi trovare quando ti ho detto di nascondere a Dio il tuo desiderio, almeno per quel che ti è possibile. Infatti, se per caso ti avessi detto di rivelare a Dio il tuo desiderio, forse avresti interpretato la mia affermazione in maniera più letterale di quanto tu non faccia ora, quando ti dico di nasconderlo. E tu sai bene che una cosa, quando la si nasconde volutamente, viene ricacciata e riposta nelle profondità dello spirito.
    Ne segue che è estremamente necessario fare molta attenzione nell’interpretare le parole che sono dette con intendimento spirituale, così da poterle recepire nel loro vero senso, che è quello spirituale, e non materiale. In modo particolare, bisogna stare attenti a non fraintendere queste due parole: «dentro» e «in alto», perché in tal caso derivano, a mio parere, molti errori e illusioni per chi si propone di diventare contemplativo. Io ne so qualcosa per esperienza, e qualcos’altro per sentito dire. E ora credo proprio di doverti parlare un poco di queste illusioni.
    Un giovane discepolo che ha appena lasciato il mondo e si è messo alla scuola di Dio, per il semplice fatto di essersi dedicato per un poco di tempo alla preghiera e alla penitenza (seguendo così il consiglio del suo confessore), pensa di essere già in grado di sobbarcarsi il lavoro della contemplazione. Ne ha sentito parlare o leggere da altri, o ha letto qualcosa egli stesso. Orbene, quando lui o altre persone di questo genere leggono o sentono qualche descrizione del lavoro spirituale e in particolare come un uomo debba «rientrare dentro se stesso» o ancora come debba «arrampicarsi al di sopra di se stesso» —, subito, per via della loro cecità spirituale e della visione angusta e distorta della loro mente, fraintendono queste parole e pensano di essere chiamati a un tale lavoro dalla grazia, dal momento che sentono dentro di sé un innato desiderio per le realtà mistiche.
    E sono così sicuri di sé che, se il direttore spirituale non è d’accordo con loro sul fatto che essi debbano dedicarsi alla contemplazione, si mettono subito a mormorare contro di lui e pensano immediatamente — e forse dicono ad altri della loro stessa risma — che non c’è nessuno che possa veramente capirli. E spinti dall’audacia e dalla presunzione della loro mente perversa, eccoli tralasciare troppo presto l’umile preghiera e la penitenza per mettersi a fare, così credono, un lavoro del tutto spirituale dentro la loro anima. Ma il lavoro che essi fanno, se lo si guarda bene, non è né spirituale né materiale. In breve, è un lavoro contro natura, e il diavolo ne è il principale artefice. È la maniera più sbrigativa per morire sia nel corpo che nello spirito, perché è follia e non saggezza, e può condurre l’uomo sull’orlo della pazzia.
    Ma essi non se lo immaginano nemmeno, perché in questo lavoro si propongono di pensare a Dio, e a lui solo.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:33
    CAPITOLO 52
    Come i giovani discepoli presuntuosi fraintendono «dentro»; gli errori che ne derivano

    Ed è così che si produce la pazzia di cui parlo. Essi leggono o sentono dire giustamente che devono lasciar perdere qualsiasi occupazione esteriore delle loro facoltà mentali per mettersi a lavorare interiormente. E poiché non sanno cosa vuol dire lavorare interiormente, fanno un lavoro sbagliato. Rivolgono i loro sensi verso l’in terno del loro corpo, andando così contro natura; e in maniera inverosimile, quasi a voler vedere di dentro con i loro occhi corporei o sentire all’interno con le loro orecchie, e così via per tutti gli altri sensi, l’odorato, il gusto e il tatto. A questo modo li distorcono, scombussolando l’ordine naturale, e con questa curiosità di spirito finiscono per estenuare la loro immaginazione in maniera così dissennata che rimangono col cervello stravolto. E subito il diavolo mette in atto il suo potere di emanare luci o suoni falsi, odori soavi nelle loro narici, sapori squisiti nelle loro bocche, e prova ad accendere passioni e ardori strani nel loro petto o nelle loro viscere, nella loro schiena o nei loro lombi o nei loro genitali.
    Pur in mezzo a questi fenomeni illusori, sono tuttavia convinti di contemplare in tutta tranquillità il loro Dio, senza essere ostacolati da vani pensieri. E in certo qual modo hanno ragione, perché son così pieni di falsità, che la vanità non può nemmeno sfiorarli. E perché? Perché quello stesso nemico che dovrebbe suscitare in loro dei pensieri vani se fossero sulla buona strada, è il principale artefice del lavoro che stan facendo. E tu sai bene che non gli piace, né gli conviene, ostacolare se stesso. Egli non toglie loro il pensiero di Dio, per paura che si insospettiscano.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:33
    CAPITOLO 53
    I vari atteggiamenti disdicevoli che assumono i falsi contemplativi

    I gesti e le espressioni che assumono quanti sono fuorviati da questa falsa contemplazione, o da qualche altra contraffazione, sono veramente strani a vedersi, specie se rapportati a quelli dei veri discepoli di Dio Questi ultimi, infatti, sono sempre a modo nei loro atteggiamenti, sia corporali che spirituali. Non così invece i primi.
    Chiunque volesse prendersi la briga di osservare il loro comportamento nel tempo della contemplazione, li troverebbe con gli occhi sbarrati, ammesso che abbiano gli occhi aperti, come se fossero pazzi, e lo sguardo di sbieco, come se vedessero il diavolo. E fan bene a stare in guardia, poiché in effetti il nemico non è poi molto lontano. Alcuni strabuzzano gli occhi come fossero pecore stordite da una mazzata in testa, e come se stessero per morire. Altri piegano la testa da una parte, come se avessero un verme nell’orecchio. Altri ancora, quando devono parlare emettono suoni rauchi e fiochi, come se non avessero più fiato in corpo: questo è l’atteggiamento proprio degli ipocriti. Altri, infine, urlano e strepitano a squarciagola, tanto sono impetuosi e avidi di dire quel che pensano: così si comportano gli eretici e quanti sostengono sempre l’errore con senso di presunzione e con attività incessante.
    Se uno potesse vedere tutti questi atteggiamenti, si accorgerebbe che molte sono le abitudini strane e le pratiche sregolate che derivano da un simile errore. Tuttavia, ci sono alcuni così cauti e diligenti che sanno frenarsi quasi completamente quando sono in pubblico. Ma se si potesse osservarli così come sono in privato, allora credo proprio che cadrebbero tutti i veli. Allo stesso modo, credo che essi si svelerebbero, almeno in parte, a chi osasse contraddire in pieno la loro opinione: si metterebbero a inveire e ad alzare la voce. Eppure, tutto quel che fanno pensano di farlo per amor di Dio e per tener fede alla verità.
    Orbene, credo proprio che se Dio non compie un miracolo di misericordia per fermarli in tempo, continueranno ad amare Dio in questo modo, cosicché finiranno pazzi nelle mani del diavolo.
    Non intendo dire che il diavolo ha dei servitori così perfetti in questa vita da restare ingannati e contagiati da tutte quante le illusioni che ti ho mostrato. No, non capita sempre così, anche se è possibile che uno, e forse più di uno, rimanga contagiato da tutte insieme. Quel che voglio dire è che non c’è perfetto ipocrita o eretico su questa terra che non sia chiamato in causa da qualcuno degli esempi che ho fatto o che farò più innanzi, se Dio vuole.
    Ci sono alcuni che sono così pieni di pose ed espressioni strane, e così affettati nel loro comportamento, che quando devono sentire qualcosa, storcono la testa da una parte in modo bizzarro e drizzano il mento all’insù. Se ne stanno a bocca aperta, come se dovessero sentire con la bocca, e non con le orecchie. Alcuni, invece, quando parlano gesticolano a più non posso: sembrano parlare con le loro dita z, le portano al proprio petto o le posano su quello del loro interlocutore. Alcuni non son capaci di star fermi, siano pure seduti o in piedi o sdraiati; devono sempre ciondolare i piedi o aver qualcosa tra le mani con cui giocherellare. Altri remano con le, braccia quando parlano, come se dovessero attraversare a nuoto un oceano. Altri ancora si mettono sempre a ridere e a sghignazzare a ogni parola che esce dalla loro bocca, quasi fossero sgualdrine o buffoni ridanciani o mattacchioni senza il senso della misura. Sarebbe bene, invece, comportarsi con sobrietà e compostezza e avere in sé una gioia genuina, e non smodata.
    Con ciò non voglio dire che tutti questi atteggiamenti eccentrici sono di per sé peccati gravi, e nemmeno che tutti coloro che li assumono sono di per sé grandi peccatori: Ma quel che voglio dire è che se simili atteggiamenti inusitati e sconvenienti prendono piede a tal punto da diventare padroni di chi li possiede, tanto che costui non riesce più a liberarsene, allora sono segni sicuri di orgoglio, di mente perversa, di sregolata mostra di sé e di avidità di sapere. In particolare rivelano un cuore instabile e una mente irrequieta, e, quel che più conta, un’assoluta incapacità a compiere il lavoro di cui parla questo libro. È questo l’unico motivo per cui mi sono dilungato su questi errori e su queste illusioni: perché in tal modo il contemplativo può verificare il proprio lavoro.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:33
    CAPITOLO 54
    Grazie a questo lavoro l’uomo sa governare se stesso
    con tutta saggezza e diventa piacevole sia nel corpo che nell’anima

    Chiunque si dedica al lavoro della contemplazione, si accorge che ne riceve benefici effetti sia nel corpo che nell’anima, tanto da riuscire gradevole e simpatico agli occhi di tutti coloro che lo guardano. Tutto questo è così vero, che se l’uomo o la donna più brutti del mondo dovessero diventare, per grazia di Dio, dei contemplativi, si ritroverebbero improvvisamente cambiati, per effetto della grazia, anche nell’aspetto fisico. Qualsiasi persona buona, nell’incontrarli, resterebbe contenta e felice di godere della loro compagnia, e per di più si sentirebbe riconfortata spiritualmente dalla loro presenza e in qualche modo ravvicinata a Dio.
    Chiunque può, cerchi dunque di avere per grazia questo dono; infatti, chi l’ha veramente, è in grado di governare se stesso e tutto ciò che gli appartiene, in virtù di questo dono. Sa, anche usare moderazione quando occorre, per tutti i tipi e i caratteri. Sa essere a suo agio con tutti, peccatori incalliti o meno, senza che in lui ci sia peccato, meravigliando così tutti quelli che lo vedono, e attirando altri, con l’aiuto della grazia, allo stesso lavoro spirituale che fa lui. La sua condotta e le sue parole sono piene di saggezza spirituale, di fuoco e di frutti, sono ferme e veraci, e non conoscono falsità, né ogni altra finzione o lusinga propria degli ipocriti.
    In effetti ci sono certuni che sprecano tutte le loro energie, esteriori e interiori, per abbellire i loro discorsi, e pensano soltanto a rinforzare la loro figura e a puntellarla da ogni lato, per timore che cada, con numerose paroline, umili piagnucolii e gesti appariscenti di devozione. Costoro si preoccupano più di apparire santi agli occhi degli uomini, che non di esserlo effettivamente agli occhi di Dio e dei suoi angeli. Se la prendono di più e restano maggiormente afflitti per un gesto inconsulto o una parola indecente o sconveniente detta in pubblico, che non per mille pensieri vani e altrettanti impulsi peccaminosi e maleodoranti che, essi hanno deliberatamente ammassato dentro di sé o che hanno depositato con noncuranza davanti a Dio, ai santi e agli angeli del cielo. Ah, Signore Iddio! Se di dentro c’è l’orgoglio, allora all’esterno si ritrovano con uguale abbondanza dolci parole e umili piagnucolii.
    Sono pronto a riconoscere come giusto e conveniente che le persone umili di dentro manifestino all’esterno la loro umiltà con parole e gesti appropriati. Ma non per questo devono esprimersi con voce rotta o piagnucolosa, andando contro la loro stessa natura e il loro carattere. Se la loro umiltà è genuina, allora devono parlare con fermezza e pienezza di voce e di spirito. E se uno ha per natura una voce normale o addirittura potente, ma poi parla a bisbigli e piagnucolii — a meno che sia malato, o stia parlando con Dio o con il suo confessore —, questo è un segno evidente di ipocrisia. Può trattarsi di ipocrisia propria di un principiante o di uno già avanti negli anni: resta sempre ipocrisia.
    Che devo dire ancora a proposito di simili malefici errori? Credo proprio che se questi ipocriti non hanno la grazia di smettere dalla loro condotta, tra l’orgoglio segretamente nascosto nel loro cuore e le umili parole che escono dalle loro labbra, l’anima smarrita rischia di sprofondare nel dolore e nella disperazione.
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    00 07/09/2013 12:34
    CAPITOLO 55
    L’errore di quanti seguono il fervore del loro spirito
    nel disapprovare il peccato senza la debita moderazione

    Alcuni, invece, il diavolo li ingannerà in questo modo: infiammerà in maniera del tutto meravigliosa il loro cuore, perché abbiano a far rispettare la legge di Dio e a distruggere il peccato di tutti gli altri uomini. Non li istigherà mai a fare qualcosa di manifestamente cattivo. Egli li rende piuttosto simili a quei prelati pieni di zelo, che hanno il compito di sorvegliare in ogni minima parte tutta la nostra vita cristiana, così come fa l’abate con i suoi monaci. Essi si mettono a rimproverare a tutti gli uomini le loro colpe, come se avessero in cura le loro anime. Pensano di non poter fare altro per amore di Dio, se non denunciare le colpe che vedono. E dicono di essere mossi dal fuoco della carità e dall’amore di Dio che c’è nei loro cuori. In realtà, si ingannano, perché il fuoco che infiamma la loro mente e la loro immaginazione viene dall’inferno.
    Che questo sia vero, lo si può vedere da quanto segue. Il diavolo è uno spirito, e per sua stessa natura non ha corpo, al pari degli angeli. Tuttavia, quando il demonio o un angelo, con il consenso di Dio, assumono forma corporea per svolgere una missione presso gli uomini, il loro corpo ha una certa qual forma e qualità, a seconda del compito che è loro affidato. La sacra Scrittura ci presenta molti esempi. Ogniqualvolta un angelo veniva inviato in forma umana, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, era sempre possibile riconoscere — attraverso il suo nome o qualche oggetto particolare o una qualità del suo corpo — qual era l’oggetto o il messaggio della sua missione spirituale.
    La stessa cosa vale per il diavolo: quando appare in forma corporea, traspare in qualche modo dal suo aspetto visibile quel che i suoi servitori sono spiritualmente.
    A questo proposito mi basta fare un solo esempio. Ho saputo da alcuni cultori di negromanzia — quel l’arte che pretende di evocare gli spiriti maligni — e da altri a cui il diavolo è apparso in forma corporea, che qualunque sia l’aspetto che egli assume, non ha mai più di una narice, e questa è grande e vasta. Egli è ben contento di tirarla in su per far sì che l’uomo vi affondi lo sguardo e giunga a vedere il cervello nella sua testa. E il suo cervello non è altro che il fuoco dell’inferno, perché il diavolo non può avere altro cervello. E non domanda niente di meglio che farvi guardar dentro un uomo; perché costui diventerebbe pazzo per sempre. Ma un perfetto professionista dell’arte negromantica sa bene tutto questo, e quindi prende ogni precauzione perché il diavolo non abbia a fargli del male.
    Quindi ho ragione quando affermo, come ho già detto, che ogniqualvolta il diavolo assume una forma corporea, traspare in qualche modo dal suo aspetto visibile quel che i suoi servitori sono in spirito. Infatti egli infiamma a tal punto l’immaginazione dei suoi contemplativi con il fuoco dell’inferno, che questi, improvvisamente, pronunciano giudizi a destra e a manca senza alcun discernimento, e si arrogano il diritto di giudicare le colpe degli altri, senza avere nemmeno gli elementi per farlo.
    Questo avviene perché anch’essi non hanno che una sola narice, spiritualmente parlando. La divisione che c’è nel naso umano, e che separa una narice dall’altra, sta a significare che l’uomo deve avere il discernimento spirituale, e saper distinguere il bene dal male; il male dal peggio, il bene dal meglio, prima di poter esprimere un giudizio su qualsiasi cosa abbia sentito dire o vistò fare attorno a lui. Il cervello umano è, in senso spirituale, l’immaginazione, perché per sua natura questa si trova e lavora nella testa.
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    00 07/09/2013 12:35
    CAPITOLO 56
    Le illusioni che subiscono quelli che fanno affidamento sulle proprie risorse intellettuali e sulla sapienza umana, piuttosto che sulla dottrina e sugli insegnamenti della santa chiesa

    Ci sono poi alcuni che se anche non cadono nell’errore che ho appena esposto, tuttavia, a causa del loro orgoglio, della loro mente speculativa e avida di sapere, e della loro erudizione, abbandonano la dottrina e gli insegnamenti della santa chiesa. Tutti costoro, e anche i loro sostenitori, fanno troppo affidamento sul proprio sapere. E poiché non sono fondati, né lo sono mai stati, sull’umile cieca esperienza contemplativa e su una vita virtuosa, allora meritano di avere un’esperienza falsa e illusoria, contraffatta e prodotta dal nemico spirituale.
    Avviene così che alla fine prorompono in bestemmie contro tutti i santi, i sacramenti, e gli ordinamenti della santa chiesa. Non mancano poi uomini di mondo dediti ai piaceri della vita, i quali ritengono troppo dure le leggi imposte dalla santa chiesa a chi vuol emendarsi. Costoro, con prontezza e leggerezza sconcertante, passano dalla parte di questi eretici e sostengono fermamente, perché pensano di poter fare, sotto la loro guida, una via più comoda di quella ordinata dalla santa chiesa.
    In verità, chi non vorrà percorrere la via stretta che porta al cielo, si ritroverà su quella larga che porta all’inferno. Questo è quel che penso io, ma ognuno potrà rendersene conto di persona. E credo pure che se noi potessimo vedere chiaramente questi eretici e i loro sostenitori, così come saranno l’ultimo giorno, li vedremmo oppressi dal peso della loro impudente sfrontatezza nel sostenere l’errore; ma anche dal peso dei grossi e orribili peccati del mondo e della loro carne corrotta, che hanno commesso in segreto. E a buon diritto allora si può chiamarli discepoli dell’Anticristo, poiché di essi si dice che, nonostante la loro apparente virtù, in privato sono libertini e depravati.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:35
    CAPITOLO 57
    Come i giovani discepoli presuntuosi fraintendono «in alto»; gli errori che ne derivano

    Ma per ora basta su questo argomento. Dobbiamo andare avanti nel nostro discorso e vedere come questi giovani discepoli spirituali, presuntuosi fraintendono quest’altra parola: «in alto».
    Se capita loro di leggere, o di sentir leggere o dire, che gli uomini devono levar in alto il loro cuore a Dio, eccoli fissare lo sguardo sulle stelle, come se volessero oltrepassare la luna, e tendere le orecchie, come se sentissero cantare un angelo dal cielo. Sull’onda delle loro fantasie mentali, costoro giungono talvolta a perforare i pianeti, e a fare un buco nel firmamento per guardarci dentro. Si fabbricano un Dio a loro piacimento, lo ammantano di ricche vesti e lo mettono su un trono: un Dio così strano non è mai stato dipinto sulla faccia della terra. Ancora, si fabbricano angeli in forma umana e ciascuno con il suo diverso strumento musicale: una cosa di questo genere non la si è mai vista né sentita quaggiù.
    Alcuni di questi uomini, il diavolo li inganna in modo del tutto meraviglioso. Infatti, manda loro una specie di rugiada — cibo degli angeli, essi pensano — che discende come dal cielo e cade dolcemente e deliziosamente nella loro bocca. Ecco perché hanno preso l’abitudine di starsene seduti con la bocca aperta, come se volessero’ prender mosche. Ma per quanto a loro possa sembrare santo, tutto questo non è che una mera illusione: la loro anima nel frattempo è completamente vuota di ogni vera devozione. Il loro cuore, invece, è pieno di vanità e falsità, a causa dello strano lavorio della loro immaginazione. Ed ecco che spesso il diavolo inganna le loro orecchie con suoni inusitati, i loro occhi con luci folgoranti e misteriose, il loro naso con profumi gradevolissimi: nonostante tutto, questi sono fenomeni fasulli.
    Ma essi non la pensano così. Tenendo lo sguardo rivolto in alto, credono di seguire l’esempio di s. Martino, che vide Dio, per rivelazione, rivestito del suo mantello nel bel mezzo dei suoi angeli, o di s. Stefano, che vide nostro Signore nella gloria dei cieli, o di molti altri; e in particolare, di Cristo stesso, che ascese al cielo con il corpo alla vista dei suoi discepoli, Perciò essi dicono che dobbiamo tenere gli occhi rivolti all’insù. Son pronto ad ammettere che nel nostro contegno fisico dobbiamo levare in alto gli occhi e le mani, se lo spirito ci muove a farlo. Ma io dico che l’opera del nostro spirito non è diretta né in alto né in basso, né da una parte né dall’altra, né avanti né indietro, come è invece il caso di una cosa materiale. Il nostro lavoro, infatti, deve essere spirituale, e non materiale, né lo si può compiere in maniera fisica.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:36
    CAPITOLO 58
    Non bisogna prendere come esempio s. Martino e s. Stefano,
    per tendere fisicamente in alto la propria immaginazione durante la preghiera

    In riferimento a quanto le suddette persone affermano di s. Martino e di s. Stefano, bisogna ricordare che, sebbene questi santi videro Dio con i loro occhi corporei, si trattò chiaramente di un miracolo per dimostrare una verità spirituale. Si sa benissimo che il mantello di s. Martino non ricopri mai il corpo di Cristo in maniera reale, poiché egli non aveva assolutamente bisogno di ripararsi dal freddo, ma solo in maniera miracolosa e simbolica. Ciò costituisce un esempio per tutti coloro che devono essere salvati e appartengono spiritualmente al corpo di Cristo. Chiunque veste un povero per amor di Dio o fa del bene corporale e spirituale a una persona bisognosa, costui può star certo che lo fa spiritualmente a Cristo stesso: e per tutto questo sarà ricompensato in modo cosa tangibile come se l’avesse fatto a Cristo in persona.
    Lo dice egli stesso nel vangelo. Ma pensò che non era ancora abbastanza, e cosa in seguito lo confermò con un miracolo: è per questo motivo che si mostrò a s. Martino in una speciale rivelazione. Tutte le rivelazioni in forma corporea che gli uomini abbiano mai avuto qui su questa terra, possiedono un significato spirituale. E credo che se coloro che le hanno avute, fossero stati abbastanza spirituali o avessero potuto comprendere il loro significato in maniera spirituale, quelle rivelazioni non avrebbero mai preso una forma corporea. Togliamo perciò la dura scorza e nutriamoci della dolce mandorla.
    Ma come? Non imitando questi eretici, i quali possono essere ben paragonati a quei pazzi che, dopo aver bevuto in una coppa splendida, hanno l’abitudine di gettarla contro il muro in modo da mandarla in frantumi.
    No, non è così che noi dobbiamo comportarci, se vogliamo far bene. Noi non saremo così sazi del frutto da dover disprezzare l’albero, né cosi ebbri da mandar in frantumi le coppe in cui abbiamo bevuto.
    L’albero e la coppa, cosi io chiamo i miracoli che possiamo costatare e tutti gli atteggiamenti esterni che non contrastano, anzi che ben si accordano all’opera dello spirito. Il frutto e il vino, cosi io chiamo il significato spirituale di quei miracoli visibili e degli atteggiamenti esterni appropriati, come l’elevare gli occhi e le mani al cielo. Se questi son compiuti seguendo l’impulso dello spirito, allora sono buoni; altrimenti sono soltanto ipocrisia, e quindi falsi. E se tali atteggiamenti sono veri e contengono il loro frutto spirituale, perché disprezzarli? Gli uomini, infatti, baciano la coppa se dentro c’è il vino.
    E che importanza ha se nostro Signore, quando ascese al cielo con il corpo, fu visto dagli occhi corporei di sua madre e dei suoi discepoli salire verso l’alto tra le nubi? Forse che nel nostro lavoro spirituale dobbiamo allora guardare perennemente in alto con gli occhi corporei e cercare di vedere Cristo seduto in cielo in carne e ossa, o in piedi come lo vide s. Stefano? No, senz’altro! Egli si rivelò a s. Stefano sotto forma umana in cielo, non perché il primo martire ci desse l’esempio di come bisogna guardare in cielo materialmente durante la contemplazione, caso mai dovessimo vederlo anche noi, come lui, in piedi o seduto o disteso. Quale sia la posizione del suo corpo in cielo, se in piedi o seduto o disteso, nessuno lo sa. E non occorre nemmeno saperlo. Basta questo: Cristo è asceso al cielo anima e corpo, senza alcuna distinzione. Allo stesso modo, la sua umanità, costituita dall’anima e dal corpo, è unita in maniera indissolubile alla sua divinità. Non interessa affatto sapere se è seduto o in piedi o disteso, ma piuttosto che è là come gli è più gradito e che atteggia il suo corpo nella posizione più adeguata al suo essere. E se si mostra disteso o in piedi o seduto, in una delle rivelazioni corporee a qualche creatura di quaggiù, lo fa per qualche scopo spirituale, e non perché si trova effettivamente in quella posizione in cielo.
    Un esempio te lo illustrerà meglio. L’espressione «stare in piedi» implica la prontezza nel soccorrere. Per questo motivo un amico usa dire all’altro, impegnato in un combattimento fisico: «Fatti coraggio, amico, battiti con vigore e non abbandonare il campo troppo facilmente. Io sono qui al tuo fianco». Ed egli non vuole intendere semplicemente lo stare in piedi, perché questa può anche essere una battaglia a cavallo e non in piedi, o ancora, di movimento e non di posizione. Ma quando dice che c’è lui al suo fianco, vuole intendere che è pronto a portargli aiuto.
    Questo è il motivo per cui nostro Signore si rivelò a s. Stefano in posizione ritta su nel cielo, mentre lui subiva il martirio, e non per darci l’esempio di guardare in alto verso il cielo. E come se avesse detto a s. Stefano, modello di tutti coloro che soffrono persecuzioni per amor suo: «Guarda, Stefano! Come è vero che io dischiudo dinanzi a te questo firmamento materiale, che vien chiamato cielo, e com’è vero che tu mi puoi vedere qui in piedi, così devi credere con uguale certezza che io sono lì al suo fianco spiritualmente, per la potenza della mia divinità, e che sono pronto ad aiutarti. Perciò tieniti saldo nella fede, e sopporta con coraggio i colpi violenti di quelle dure pietre. Io ti darò la corona della beatitudine come ricompensa, e non solo a te, ma anche a tutti coloro che soffriranno persecuzioni di ogni sorta per causa mia».
    Puoi in tal modo vedere come le apparizioni corporali avvengono per un preciso scopo spirituale.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:36
    CAPITOLO 59
    Non bisogna prendere come esempio l’ascensione corporea di Cristo;
    il tempo, il luogo e il corpo vanno tutti e tre dimenticati in qualsiasi lavoro spirituale

    E se ora sposti il discorso sull’ascensione di nostro Signore, e dici che essa ha un significato materiale oltre che spirituale, perché Cristo è asceso al cielo come vero Dio e vero uomo, e quindi con il suo vero corpo, ti rispondo a questo modo: dopo la sua morte, egli fu rivestito di immortalità e così avverrà per noi nel giorno del giudizio. Allora ci troveremo così rarefatti nel corpo e nello spirito, che saremo in grado di andare fisicamente in qualunque posto vorremo, con la stessa velocità con cui ora ci muoviamo da un posto all’altro con il pensiero. In alto, in basso, di fianco, indietro, in avanti: sarà sempre la stessa cosa per noi, e andrà ugualmente bene, a detta dei teologi; e anch’io la penso così. Ma, adesso come adesso, tu non puoi salire in cielo fisicamente, ma solo spiritualmente. E quest’ascesa è così spirituale che non presenta alcuna direzione fisica: né in alto né in basso, né da una parte né dall’altra, né in avanti né indietro.
    Sta’ pur certo che tutti coloro che si mettono a fare un lavoro spirituale, e in particolare quello delineato in questo libro, anche se leggono «eleva» o «entra» non devono intenderlo in senso letterale.
    E anche se il lavoro indicato in questo libro è definito come un impulso, si deve fare molta attenzione perché non tenda corporalmente né verso l’alto né verso l’interno, e non sia in alcun modo un movimento da un posto all’altro. E anche se a volte lo si indica con il termine riposo, non si deve tuttavia pensare che si tratta di restare in un posto senza spostarsi. La perfezione della contemplazione è così pura e cosi spirituale in se stessa, che per intenderla nel suo vero senso deve essere considerata come qualcosa di assolutamente diverso e lontano da ogni movimento o posto fisico.
    Sarebbe meglio e più ragionevole chiamare questo lavoro un brusco cambiamento, piuttosto che un movimento da un posto all’altro.
    Il tempo, il luogo e il corpo vanno tutti e tre dimenticati in ogni lavoro spirituale. Quindi sta’ attento in quest’opera a non prendere come esempio l’ascensione corporea di Cristo, per tendere fisicamente in alto la tua immaginazione durante la preghiera, quasi a volerti arrampicare al di là della luna. Non è affatto così che si svolge la nostra attività spirituale.
    Se tu dovessi ascendere al cielo fisicamente come Cristo, allora sì potresti prendere lui come esempio. Però nessuno è in grado di farlo, se non Dio solo, come egli stesso afferma dicendo: «Nessuno può salire al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, e che si è fatto uomo per amore degli uomini». E se anche fosse possibile, ma non lo è, sarebbe dovuto alla sovrabbondanza del lavoro spirituale e solo alla potenza dello spirito, e non grazie a qualsivoglia tensione o sforzo fisico sulla nostra immaginazione, per farla andare in alto, o dentro, o da una parte o dall’altra.
    Perciò lascia da parte questo errore: non è così che si fa.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:37
    CAPITOLO 60
    La maniera più elevata e più breve per giungere al cielo
    è quella di correre con il desiderio, e non con i piedi.

    Ma ora mi chiedi: «Come fai ad arrivare a simili conclusioni?» Infatti, ti sembra di avere prova sicura ed evidente che il cielo si trova in alto: Cristo è asceso fisicamente verso l’alto e, come aveva promesso, ha mandato lo Spirito santo dall’alto, così che tutti i suoi discepoli l’hanno visto discendere in forma corporea.
    E noi questo lo crediamo per fede. Perciò, dal momento che hai questa prova sicura ed evidente, vai chiedendoti come mai tu non debba dirigere il tuo spirito fisicamente in alto quando preghi.
    Cercherò di rispondere a questo interrogativo meglio che posso, anche se la mia risposta sarà sempre inadeguata. Siccome era stabilito che Cristo dovesse ascendere al cielo fisicamente, e poi mandare lo Spirito santo in forma corporea, era più opportuno che tutto ciò avvenisse in alto e dall’alto, piuttosto che in basso e dal basso, o dietro, o davanti, o da una parte o dall’altra. Ma a prescindere da una tale questione di opportunità, non era assolutamente necessario che Cristo andasse in alto o in basso per accorciare la strada.
    Perché, spiritualmente, il cielo è vicino allo stesso modo in alto come in basso, in basso come in alto, dietro come davanti, davanti come dietro, e da una parte come dall’altra. Tant’è vero che chiunque desidera veramente essere in cielo, in quello stesso istante è già in cielo spiritualmente. Infatti, la maniera più elevata e più breve per giungere al cielo è quella di correre con il desiderio, e non con i piedi Per questo s. Paolo, parlando di sé e di molti altri, dice: «Anche se i nostri corpi sono per il momento qui, su questa terra, tuttavia noi viviamo già in cielo». Egli si riferisce all’amore e al desiderio che sono, spiritualmente parlando, la nostra vita.
    Una cosa è certa: l’anima è là dove si trova l’oggetto del suo amore, in maniera così vera e reale come nel corpo che la ospita e al quale dà la vita. Se allora vogliamo andare in cielo spiritualmente, non c’è bisogno di tendere il nostro spirito né in alto né in basso, né da una parte né dall’altra.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:37
    CAPITOLO 61
    Tutte le cose materiali sono soggette a quelle spirituali
    e sono da queste governate (seguendo cosa l’ordine naturale), e non il contrario

    Tuttavia abbiamo bisogno di elevare fisicamente i nostri occhi e le nostre mani lassù, verso quella volta celeste a cui gli astri sono fissati. Naturalmente, parto dal presupposto che il nostro spirito ci spinga a farlo; altrimenti no. Tutte le cose materiali infatti, sono soggette a quelle spirituali, e sono da queste governate, e non il contrario.
    Un esempio di quanta vengo dicendo, si può trovare nell’ascensione di nostro Signore. Quando venne il tempo stabilito in cui a lui piacque ritornare al Padre fisicamente nella sua umanità — la quale non fu separata, né mai lo sarà, dalla sua divinità — allora la virtù dello Spirito di Dio si manifestò in tutta la sua potenza, e nell’unità di una sola persona l’umanità segui corporalmente la divinità. L’apparenza visibile di tutto questo fu, nella maniera più adeguata e conveniente, un moto verso l’alto.
    Analogamente, si può in certo modo cogliere la dipendenza del corpo dallo spirito in quanti cercano di mettere in pratica il lavoro spirituale indicato in questo libro. Infatti, non appena l’anima si mette decisamente al lavoro, subito, senza che il contemplativo ci faccia caso, il corpo, che magari prima di cominciare pendeva verso terra o da una parte o dall’altra per comodità della carne, si tiene su ritto in virtù dello spirito, e segue in certo qual modo con il proprio atteggiamento fisico il lavoro spirituale compiuto dall’anima. Ed è del tutto confacente alla natura dell’uomo che avvenga così.
    Proprio per questa ragione, l’uomo, che fra tutte le creature di Dio ha il corpo più decoroso, non è fatto curvo per terra come tutti gli altri animali, ma su diritto, rivolto verso il cielo. Infatti deve riflettere nel suo aspetto fisico il lavoro spirituale dell’anima, lavoro che è necessariamente dritto in senso spirituale, e non storto.
    Nota che ho detto «dritto» in senso spirituale, e non materiale: infatti, come si potrebbe tener ritta fisicamente l’anima, se questa per sua natura non è in alcun modo materiale? No, è assolutamente impossibile!
    Quindi sta’ attento a non interpretare fisicamente quel che invece ha un valore spirituale, anche se si fa uso di parole dall’apparente significato materiale, quali: su, giù, dentro, fuori, da questa parte, da quell’altra. Infatti, anche se dovessimo parlare della cosa più spirituale in se stessa, dal momento che il linguaggio è un’azione fisica operata dalla lingua, che è uno strumento del corpo, saremmo sempre costretti a far uso di parole materiali. E con questo? Forse che dobbiamo intenderle per forza in senso materiale? No di certo, bensì in senso spirituale.
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    Coordin.
    00 07/09/2013 12:38
    CAPITOLO 62
    Come si fa a sapere se il proprio lavoro spirituale
    è sotto o fuori o allo stesso livello oppure dentro di sé,
    e quando è al di sopra di sé, ma al di sotto di Dio.

    E perché tu possa comprendere meglio come si devono intendere spiritualmente queste parole che vengono dette materialmente, ho pensato di spiegarti il significato spirituale di alcune parole concernenti il lavoro spirituale. Così sarai in grado di sapere chiaramente e senza errore, quando il tuo lavoro spirituale è al di sotto di te e al tuo esterno, quando è al tuo stesso livello e al tuo interno, e quando è al di sopra di te e sotto il tuo Dio.
    Qualunque realtà fisica è esterna alla tua anima e inferiore a essa nell’ordine naturale. Sì, il sole e la luna e tutte le stelle, anche se stanno sopra il tuo corpo, sono tuttavia al di sotto della tua anima.
    Tutti gli angeli e tutte le anime, per quanto possano essere ben saldi nella fede e adorni di grazia e virtù, e quindi superiori a te per purezza, nondimeno sono al tuo stesso livello nell’ordine naturale.
    La tua anima ha per natura dentro di sé tre facoltà principali: la memoria, la ragione e la volontà; e due facoltà secondarie: l’immaginazione e la sensibilità. Al di sopra di te non c’è nient’altro nell’ordine naturale se non Dio solo.
    Ogniqualvolta vedrai scritto «te stesso» in un contesto spirituale, puoi star certo che si tratta della tua anima, e non del tuo corpo. Dunque, a seconda dell’oggetto su cui sono concentrate le facoltà della tua anima, si può anche stabilire la qualità e le condizioni del tuo lavoro: se è al di sotto di te, dentro di te o al di sopra di te.
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