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Qual'è dunque la traduzione più fedele?
 
 
Esaminiamo una esegesi evangelica desunta dal sito "laparola.net"
 

Filippesi 2:6

Lui, che, essendo in forma di Dio, non ritenne con avidità il suo esser uguale a Dio ma annichilò se stesso, prendendo forma di servo e divenendo simile agli uomini.

"Lui che, esistendo in forma di Dio... (en morfh qeou), in forma di Dio". Forma, diciam noi, in mancanza di meglio; ma la morfh non designa la forma qualunque che un essere può assumere; designa la forma organica, nella quale l'essenza, la vita intima di cotest'essere si manifesta al di fuori. Non così invece lo schma della frase: "prendendo laforma (schma) d'un servo", ch'è più sotto, e che esprime la parvenza esterna d'un essere; parvenza, che è il risultato di circostanze più o meno accidentali. La morfh, insomma, si connette intimamente ed organicamente con la essenza, con la natura permanente della cosa a cui ella serve d'involucro o di estrinsecazione; lo schma, invece, non è che la configurazione esterna, transitoria della cosa, senz'alcuna relazione con l'essenza, con la natura permanente della cosa stessa. E la distinzione la facciamo anche noi quando parliamo, per esempio, di "morfologia", e non intendiamo parlare soltanto di "forme", ma di "forme organiche" e delle loro leggi; di "metamorfosi", e non intendiamo parlar soltanto di cambiamenti di "forma", ma dei cambiamenti di farina e di struttura, che alcuni animali ed alcune piante fanno, sviluppandosi. Mentre, per converso, quando parliamo dello "schema" d'un sermone, d'un discorso qualunque, d'una lezione, noi intendiam parlare del disegno, dell'ossatura, della forma esterna della cosa, senz'alcuna relazione con la sostanza della cosa stessa. "Esistendo in forma di Dio", dico, invece di "essendo in forma di Dio; l'esistendorende meglio dell'essendo lo 'uparcwn del testo.

Non ritenne con avidità il suo essere eguale a Dio; così io rendo col Revel la frase del testo. La qual frase è molto variamente tradotta, secondo che lo 'arpagmon della frase 'arpagmon 'hghsato è presa in senso attivo o in senso passivo. Se preso in senso attivo, si ha l'idea di "un atto di rapina", di un "afferrare", e quindi il "non riputò rapina l'essere uguale a Dio" del Diodati, e il "non credette che fosse una rapina quel suo essere uguale a Dio" del Martini. Se preso in senso passivo, si ha l'idea di un "premio, di un qualcosa da essere afferrato, ritenuto con ansia, con avidità, e quindi la traduzione di quasi tutti i moderni (Reuss, Stapfer, Revis. franc., Revised Vers, Weymouth, Crampon). E quest'ultimo modo di tradurre è evidentemente più d'ogni altro in armonia col pensiero generale dell'apostolo. "Questo suo esser uguale a Dio, Gesù non lo ritenne con avidità, quantunque si trattasse di cosa legittimamente sua, ma vi rinunziò spontaneamente. Ed è quest'atto d'abnegazione, la cui descrizione l'apostolo continuerà a darci adesso, che è proposta come ideale all'abnegazione dei fratelli di Filippi.

Il suo essere uguale a Dio equivale esattamente all'essere in forma di Dio. Sono due espressioni che scolpiscono la divinità di Cristo.

Riferimenti


Is7:14; 8:8; 9:6; Ger23:6; Mi5:2; Mat1:23; Giov1:1,2,18; 17:5; Ro9:5; 2Co4:4; Col1:15,16; 1Ti1:17; 3:16; Tit2:13; Eb1:3,6,8; Eb13:8; Gen32:24-30; 48:15,16; Ez8:2-6; Gios5:13-15; Os12:3-5; Zac13:7; Giov5:18,23; 8:58,59; 10:30,33,38; 14:9; 20:28; Ap1:17,18; 21:6