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CAPO V

UTILIZZARE LE PROPRIE COLPE
PER CONSOLIDARSI
NELLA PERSEVERANZA


1. - L'esperienza delle nostre cadute ci rende più prudenti.

L'argomento di questo capitolo è già stato implicitamente trattato nelle pagine precedenti e non è altro che la logica conseguenza degli ultimi due capitoli. Le colpe, procurandoci una conoscenza più esatta della nostra debolezza e dandoci maggiori diritti alla misericordia divina, ci inducono anche a essere più guardinghi e a ricorrere con più fiduciosa umiltà a Colui, senza del quale nulla possiamo, e col quale invece possiamo tutto. Ora si sa che la diffidenza di noi stessi e la confidenza in Dio sono due garanzie di vittoria nel combattimento spirituale.
Frattanto le nostre colpe, nei disegni dì Dio, sono destinate a rendere importanti servigi alla nostra perseveranza. E prima di tutto hanno da renderci più vigilanti. E uno dei significati che gli interpreti danno a quel testo sacro: una grande infermità rende l'anima cauta (Ecli 31, 2). “Senza dubbio, dice S. Giovanni Crisostomo, dovrebbe bastarci la vista delle cadute di uomini ben più santi di noi, per diventare più circospetti, camminare con più attenzione e usare una severa prudenza (1). Ma le disgrazie personali ci ammaestrano sempre meglio. La nostra natura è così fatta, che, per constatare un pericolo, ha bisogno di urtarvi contro” (2).
Oltre che dall'esperienza, questa verità vien confermata anche dallo Spirito Santo: che cosa può sapere colui che non è stato mai tentato? (Ecli 34, 9). E un antico Padre, commentando queste parole, aggiungeva: “Una gioia troppo tranquilla si trova esposta al pericolo, mentre il timore di ricadere in un'insidia nella quale si è già incappati altra volta, rende l'uomo più vigilante. Così il marinaio che già altra volta si è trovato in pericolo, sta più attento, e il solo ricordo di un naufragio subìto per colpa della propria imprudenza, è sufficiente a tenerlo lontano dai porti inospitali” (3).