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3. Per questo, come ho già detto, non dobbiamo preoccuparci affatto di non sentire devozione, ma ringraziare il Signore che ci permette di essere desiderosi di accontentarlo, anche se le nostre opere sono fiacche. Questo modo di portar Cristo in noi giova in ogni stato ed è un mezzo sicurissimo per trar profitto dal primo grado di orazione e giungere in breve tempo al secondo, nonché per essere negli ultimi al sicuro dai pericoli ai quali può esporci il demonio.
4. Ebbene, ciò è quanto possiamo fare da noi. Se qualcuno volesse procedere oltre ed elevare lo spirito ad assaporare dolcezze che ivi non gli si offrono, ciò equivale, a mio parere, a perder l’una e l’altra cosa, perché si tratta di dolcezze soprannaturali; e se viene meno l’intelletto, l’anima resta vuota e del tutto arida. Poiché questo edificio dev’essere interamente fondato sull’umiltà, quanto più ci avviciniamo a Dio, tanto più dobbiamo progredire in queste virtù, altrimenti va tutto perduto. E sembra in certo modo superbia che noi si voglia salire più in alto, perché Dio fa già troppo, per quello che siamo, ad avvicinarci a sé. Non si deve intendere con ciò che io mi riferisca all’elevarsi con il pensiero a meditare su cose alte del cielo o di Dio, sulle meraviglie che ci sono là, e sulla grande sua sapienza; perché anche se io non l’ho mai fatto (non ne ero capace, come ho detto, e mi sentivo tanto miserabile che, con l’aiuto di Dio, riuscivo a capire come il solo pensare alle bellezze della terra fosse non poco ardire, tanto più a quelle del cielo), altre persone possono giovarsene, specialmente se sono istruite; il che, a mio parere, è un gran tesoro, per questo esercizio, quando l’istruzione è unita all’umiltà. Pochi giorni fa l’ho costatato in alcuni studiosi i quali, pur avendo cominciato di recente l’orazione, hanno fatto in essa grandi passi, e ciò mi ispira un ardente desiderio che siano molti a dedicarsi alla vita spirituale, come dirò più avanti.