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13. Si deve notar bene – e lo dico perché lo so per esperienza – che l’anima la quale comincia a inoltrarsi risolutamente in questa via dell’orazione mentale e può riuscire a non far molto caso né delle consolazioni né degli sconforti che prova quando il Signore le concede o le nega questi piaceri e queste tenerezze, ha già percorso gran parte del cammino. Non tema di dover tornare indietro, per quanto possa inciampare, perché ha cominciato a erigere il suo edificio su salde fondamenta. È certo che l’amore di Dio non consiste nel versare lacrime né nel provare questi piaceri e tenerezze – che comunemente desideriamo e con i quali ci consoliamo – ma nel servire Dio con giustizia, con fortezza d’animo e umiltà. Ricevere di più mi sembra lo stesso che non dar nulla da parte nostra.
14. Per donnicciole come sono io, deboli e con scarsa fermezza, mi sembra che convenga, come Dio fa ora con me, favorirle di molti doni, affinché possano sopportare alcune tribolazioni a cui Sua Maestà ha voluto sottoporle; ma quando vedo che servi di Dio, uomini importanti, di cultura, d’intelligenza, fanno caso del fatto che Dio non concede loro devozione, è una cosa che solo a sentirla mi dà fastidio. Non dico che non debbano accettarla, se Dio gliela dà, e farne gran conto, perché significa che Sua Maestà ha ritenuto conveniente dargliela; ma dico che quando non l’hanno, non se ne affliggano e capiscano che non è necessaria, visto che Sua Maestà non la dà, e sappiano essere padroni di se stessi. Tengano per certo che questo è un errore – io l’ho visto e provato – e siano ben convinti che procedere nell’azione senza libertà di spirito e con animo debole è una imperfezione.