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7. Ma ciò lo diranno essi; io dico, secondo quanto mi è stato ordinato, quello che è accaduto a me, e se non dovesse andar bene, colui al quale invio lo scritto – che saprà conoscere meglio di me le deficienze che presenta – lo strappi. Io, però, lo supplico per amor del Signore di pubblicare quello che ho detto fin qui della mia miserabile vita e dei peccati (a partire da questo momento gliene do piena autorizzazione, e la do ugualmente a tutti i miei confessori, come lo è colui al quale andrà questo scritto); se lo vorranno, lo facciano anche subito, me vivente, affinché non inganni più il mondo ove si pensa che ci sia in me qualcosa di buono; sì, non v’è dubbio, lo affermo con tutta verità, per quel che ora capisco di me, che ciò mi darà grande consolazione. Quanto a ciò che dirò da qui in avanti, non do questo permesso, né voglio dire che, se faranno vedere il mio scritto a qualcuno, dicano chi è costei che fece tali esperienze né chi le ha scritte. Perciò, non metto il mio nome né quello di nessuno, anzi, scrivendo, farò tutto il possibile per non essere riconosciuta; chiedo questo per amore di Dio. L’approvazione di persone tanto dotte e importanti è per me sufficiente a conferire autorità a quel qualcosa di buono che vi fosse, se il Signore mi darà la grazia di dirla, perché, in tal caso, il merito sarà tutto suo e non mio, non avendo io istruzione né virtù né formazione da dotti o da qualsiasi persona (solo quelli che mi hanno comandato di scrivere sanno che io scrivo questo, ma attualmente essi non sono qui), e rubando quasi il tempo, con fatica, perché ciò mi impedisce di filare, mentre mi trovo in una casa povera dove attendo a molte occupazioni. Se Dio mi avesse dato più capacità e memoria, almeno con la memoria potrei giovarmi di ciò che ho udito o letto, ma è pochissima quella di cui dispongo. Pertanto, se dirò qualcosa di buono, lo vuole il Signore per trarne qualche bene; ciò che vi sarà d’imperfetto viene invece da me, e la signoria vostra lo cancellerà. Sia in un caso, sia nell’altro, non è di alcun vantaggio dire il mio nome; mentre vivo è chiaro che non si deve parlare del bene; dopo morta non servirebbe ad altro che a sminuire il prestigio di quello stesso bene, screditandolo, per il fatto che è detto da persona tanto vile e spregevole.