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11. Ormai, però, da tempo io mi ero così rovinata da non praticare più l’orazione e, vedendo ch’egli pensava che io ero quella di sempre, non potei resistere a non trarlo d’inganno. Infatti, da oltre un anno non facevo più orazione, sembrandomi maggiore umiltà. E questa, come dirò in seguito, fu la più grande tentazione che io ebbi a sostenere, tanto che a causa di essa avrei finito col perdermi del tutto poiché se, nonostante l’orazione, un giorno offendevo Dio, in altri, con il suo aiuto, tornavo a raccogliermi e ad allontanarmi dall’occasione. Siccome quel benedetto uomo di mio padre veniva con l’idea di prima, mi era duro vederlo inganno a tal punto da pensare che trattassi con Dio come di solito, e gli dissi che io non facevo più orazione, anche se gliene tacqui la causa. Addussi come motivo di impedimento le mie malattie; benché, infatti, fossi guarita da quella più grave, fino ad oggi ne ho sempre avute e ne ho ancora di ben gravi e quantunque da poco tempo non mi attacchino più con tanta violenza, pure non mi danno tregua in nessun modo. Per esempio, ho avuto per vent’anni il vomito al mattino, tanto che mi accadeva di non poter fare colazione se non dopo mezzogiorno e a volte anche più tardi. Da quando, poi, ricevo più spesso la comunione, il vomito mi viene la sera, prima di andare a letto, con molta maggior sofferenza, perché devo provocarlo io stessa con penne o altre cose del genere; se tralascio di farlo, sto molto male, e quasi mai, mi sembra, sono esente da molti dolori, a volte assai gravi, specialmente di cuore, anche se il male, prima molto frequente, ora mi viene solo di tanto in tanto. Dei forti attacchi di paralisi, delle febbri e di altre infermità che ero solita avere spesso, sono guarita da otto anni. Ma a questi mali do così poca importanza, che molte volte perfino me ne rallegro, sembrandomi così di offrire qualcosa al Signore.
12. Mio padre credette, dunque, che questa fosse veramente la causa, perché egli non diceva mai bugie e mai avrei dovuto dirne io, coerente a quello di cui parlavo con lui. Aggiunsi, perché se ne convincesse meglio (ben comprendendo che a quel riguardo non esisteva discolpa) che era già molto se riuscivo ad attendere al coro, anche se nemmeno questo fosse motivo sufficiente per trascurare una pratica che non richiede forze fisiche, ma solo amore e abitudine. E il Signore ci dà sempre l’occasione favorevole per compierla, se lo vogliamo. Dico «sempre» perché, sebbene per determinate circostanze o anche infermità talvolta ci venga impedito di stare a lungo in solitudine, non mancano di esserci altri momenti in cui la salute ci permette di attendervi, senza dire che nella stessa malattia o in speciali avverse circostanze sta la vera orazione, se si tratta di anima amante, nell’offerta cioè a Dio di quella sofferenza, pensando per chi si soffre, conformandosi alla sua volontà con mille altre considerazioni del caso. In tal modo, l’anima fa esercizio d’amore, perché non bisogna praticarla necessariamente solo quando si disponga di tempo e di solitudine, né pensare che diversamente non possa esservi orazione. Con un po’ di attenzione, se ne può ricavare molto bene anche se il Signore con sofferenze di vario genere ci toglie il tempo di attendere all’orazione. Infatti, io ci ero riuscita quando avevo la coscienza pura.