CREDENTI

VITA di s.Teresa D'Avila

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    00 09/08/2013 16:22
    8. Un’altra volta, mentre stavo con la stessa persona vedemmo venire verso di noi – e lo videro anche gli altri lì presenti – un qualcosa simile a un grosso rospo, ma assai più agile nel muoversi di quanto non lo siano i rospi. Non riesco a capire come in pieno giorno potessero trovarsi siffatti schifosi animali nel luogo da cui veniva, né se n’erano mai visti, e l’impressione che mi fece mi pare andasse oltre un orrore naturale; nemmeno di questo potei più dimenticarmi. Oh, grandezza di Dio, con quanta sollecitudine e con quanta bontà cercavate di avvisarmi in tutti i modi, e quanto poco seppi approfittarne!
    9. Vi era lì una monaca, mia parente, anziana, gran serva di Dio e di molta pietà. Anche lei talvolta mi ammoniva, e io non solo non l’ascoltavo, ma m’inquietavo con lei che mi sembrava scandalizzarsi senza ragione. Ho detto questo perché si conoscano la mia perversità, la grande bontà di Dio, e quanto meritassi l’inferno per così estrema ingratitudine; e anche perché, se piacerà al Signore che qualche monaca legga mai il mio scritto, tragga insegnamento dal mio esempio; io la scongiuro, per amore di nostro Signore, di fuggire da tali ricreazioni. Piaccia a Sua Maestà che io possa disingannare qualcuna delle molte che ho ingannato, dicendo loro che ciò non era male e rassicurandole, in così grande pericolo, per la mia cecità, non perché avessi intenzione di ingannarle; pertanto, per il cattivo esempio che diedi, fui – come ho detto – causa di molti mali, senza che me ne rendessi conto.
    10. Nei primi giorni della mia malattia, prima che sapessi giovare a me stessa, avevo un grandissimo desiderio di giovare agli altri; tentazione molto comune nei principianti e che a me riuscì bene. Siccome amavo molto mio padre, desideravo, per il bene che a me sembrava di avere con l’attendere all’orazione – bene maggiore del quale non ritenevo che in questa vita potesse essercene alcuno –, che ne godesse anche lui. Pertanto, con rigiri, come meglio potei, cominciai a fare in modo che la praticasse. A questo scopo gli diedi alcuni libri. Essendo egli, come ho detto, tanto virtuoso, questa pratica gli fu così congeniale che in cinque o sei anni, mi pare, aveva fatto tali progressi che io ne lodavo molto il Signore e ne avevo grandissima consolazione. Furono molte le prove d’ogni genere ch’ebbe a soffrire; le sopportava tutte con perfetta rassegnazione; veniva spesso a vedermi, perché trovava conforto nel parlare delle cose di Dio.
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    00 09/08/2013 16:22
    11. Ormai, però, da tempo io mi ero così rovinata da non praticare più l’orazione e, vedendo ch’egli pensava che io ero quella di sempre, non potei resistere a non trarlo d’inganno. Infatti, da oltre un anno non facevo più orazione, sembrandomi maggiore umiltà. E questa, come dirò in seguito, fu la più grande tentazione che io ebbi a sostenere, tanto che a causa di essa avrei finito col perdermi del tutto poiché se, nonostante l’orazione, un giorno offendevo Dio, in altri, con il suo aiuto, tornavo a raccogliermi e ad allontanarmi dall’occasione. Siccome quel benedetto uomo di mio padre veniva con l’idea di prima, mi era duro vederlo inganno a tal punto da pensare che trattassi con Dio come di solito, e gli dissi che io non facevo più orazione, anche se gliene tacqui la causa. Addussi come motivo di impedimento le mie malattie; benché, infatti, fossi guarita da quella più grave, fino ad oggi ne ho sempre avute e ne ho ancora di ben gravi e quantunque da poco tempo non mi attacchino più con tanta violenza, pure non mi danno tregua in nessun modo. Per esempio, ho avuto per vent’anni il vomito al mattino, tanto che mi accadeva di non poter fare colazione se non dopo mezzogiorno e a volte anche più tardi. Da quando, poi, ricevo più spesso la comunione, il vomito mi viene la sera, prima di andare a letto, con molta maggior sofferenza, perché devo provocarlo io stessa con penne o altre cose del genere; se tralascio di farlo, sto molto male, e quasi mai, mi sembra, sono esente da molti dolori, a volte assai gravi, specialmente di cuore, anche se il male, prima molto frequente, ora mi viene solo di tanto in tanto. Dei forti attacchi di paralisi, delle febbri e di altre infermità che ero solita avere spesso, sono guarita da otto anni. Ma a questi mali do così poca importanza, che molte volte perfino me ne rallegro, sembrandomi così di offrire qualcosa al Signore.
    12. Mio padre credette, dunque, che questa fosse veramente la causa, perché egli non diceva mai bugie e mai avrei dovuto dirne io, coerente a quello di cui parlavo con lui. Aggiunsi, perché se ne convincesse meglio (ben comprendendo che a quel riguardo non esisteva discolpa) che era già molto se riuscivo ad attendere al coro, anche se nemmeno questo fosse motivo sufficiente per trascurare una pratica che non richiede forze fisiche, ma solo amore e abitudine. E il Signore ci dà sempre l’occasione favorevole per compierla, se lo vogliamo. Dico «sempre» perché, sebbene per determinate circostanze o anche infermità talvolta ci venga impedito di stare a lungo in solitudine, non mancano di esserci altri momenti in cui la salute ci permette di attendervi, senza dire che nella stessa malattia o in speciali avverse circostanze sta la vera orazione, se si tratta di anima amante, nell’offerta cioè a Dio di quella sofferenza, pensando per chi si soffre, conformandosi alla sua volontà con mille altre considerazioni del caso. In tal modo, l’anima fa esercizio d’amore, perché non bisogna praticarla necessariamente solo quando si disponga di tempo e di solitudine, né pensare che diversamente non possa esservi orazione. Con un po’ di attenzione, se ne può ricavare molto bene anche se il Signore con sofferenze di vario genere ci toglie il tempo di attendere all’orazione. Infatti, io ci ero riuscita quando avevo la coscienza pura.
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    00 09/08/2013 16:23
    13. Mio padre, però, per la stima che aveva di me e l’amore che mi portava, mi credette in pieno, anzi mi compassionò. Ma, avendo ormai raggiunto un ben alto grado di orazione, in seguito non si tratteneva più tanto con me e, dopo avermi vista, se ne andava dicendo che restare era una perdita di tempo, mentre io, pur sprecandone tanto in vanità, non me ne davo pensiero. Non fu soltanto lui, ma varie altre persone quelle che avviai nel cammino dell’orazione. Pur nel tempo in cui andavo dietro a queste vanità, non appena vedevo qualcuno portato alla preghiera, gli insegnavo il modo di meditare, lo aiutavo a fare progressi e lo provvedevo di libri, perché – come ho detto – avevo questo desiderio che altri servissero Dio, da quando cominciai a praticare l’orazione. Mi sembrava che, non servendo io il Signore come ben intendevo doversi fare, dovevo procurare che non andasse a vuoto ciò che Sua Maestà mi aveva fatto conoscere, in modo che altri lo servissero per me. Dico questo affinché si veda la mia grande cecità: lasciavo andare alla perdizione me stessa e procuravo che altri migliorassero.
    14. In quel tempo mio padre fu colpito dalla malattia che lo condusse alla tomba e che durò alcuni giorni. Andai ad assisterlo, pur essendo più malata io nell’anima che non lui nel corpo, a causa delle mie molte vanità, sebbene non in modo tale – a quanto capivo – da essermi mai trovata in peccato mortale in tutto questo tempo della mia maggior dissipazione poiché, se ne fossi stata consapevole, in nessun modo sarei rimasta in tale stato. Soffrii molta pena durante la malattia di mio padre, e credo di averlo in parte ripagato di ciò che egli aveva sofferto nel corso delle mie infermità. Nonostante che io stessi molto male, mi sforzavo di servirlo e sebbene, mancandomi lui, mi venisse a mancare ogni bene e diletto di cui egli mi faceva godere sempre e pienamente, mi feci coraggio per non dimostrargli dolore e comportarmi, finché morì, come se non sentissi alcuna pena, anche se mi parve che mi strappassero l’anima, quando vidi estinguersi la sua vita, perché l’amavo molto.
    15. È da lodare il Signore per la morte che egli fece, per il desiderio che aveva di morire, i consigli che ci diede dopo aver ricevuto l’unzione degli infermi, per la preghiera di raccomandarlo a Dio e di chiedere misericordia per lui, per le esortazioni a servire sempre il Signore e a considerare che tutto finisce quaggiù. Fra le lacrime ci confidò il suo grande dolore di non averlo servito abbastanza e che avrebbe voluto essere frate in qualche Ordine dei più rigorosi. Sono sicurissima che quindici giorni prima il Signore gli abbia fatto intravedere che non sarebbe vissuto, perché nel periodo precedente a questo non lo pensava, benché stesse male; dopo, pur essendo molto migliorato, come riconoscevano i medici, non faceva alcun caso di ciò, ma era tutto preso a preparare la sua anima al trapasso.
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    00 09/08/2013 16:23
    16. Il suo male più forte fu un enorme dolore alle spalle che non gli cessava mai; a volte lo tormentava tanto da procurargli grande sofferenza. Io gli dissi, poiché era molto devoto di Gesù caricato della croce, di pensare che Sua Maestà con quel dolore gli voleva far provare qualcosa di ciò che egli aveva sofferto. Ne ebbe tanto conforto che mi sembra di non averlo mai più udito lamentarsi. Rimase tre giorni completamente privo di sensi. Il giorno in cui morì, il Signore lo fece tornare così interamente in sé che ne restammo sbigottiti, e durò in tale stato finché, giunto alla metà del Credo, che egli stesso recitava, spirò. Rimase come un angelo, e tale a me sembrava che fosse – per modo di dire – quanto ad anima e a disposizione spirituale che aveva straordinariamente buone. Non so perché ho detto questo, se non per condannare la mia miserabile vita perché, dopo aver visto tale morte e conosciuto una tal vita, almeno per il fatto di assomigliarmi un po’ a tale padre avrei dovuto migliorarmi. Il suo confessore, il quale era un domenicano molto dotto, diceva non dubitare che egli fosse andato direttamente in paradiso, perché era suo confessore da alcuni anni e lodava molto la sua purezza di coscienza.
    17. Questo padre domenicano, che era molto virtuoso e timorato di Dio, mi fece molto bene, perché, avendolo scelto anche come mio confessore, si prese a cuore il bene dell’anima mia, e mi fece capire la rovina in cui mi trovavo. Mi faceva comunicare ogni quindici giorni; a poco a poco, trattandolo di più, gli parlai della mia orazione; mi disse di non abbandonarla mai, che assolutamente non poteva farmi altro che bene. Cominciai a tornare ad essa, anche se non evitavo le cattive occasioni, e non l’abbandonai più. Vivevo una vita piena di sofferenze perché, mediante l’orazione, vedevo meglio le mie colpe: da una parte mi chiamava Dio, dall’altra io seguivo il mondo; le cose di Dio mi davano una grande gioia, quelle del mondo mi tenevano legata. Sembrava che volessi conciliare questi due opposti – così nemici l’uno dell’altro – come sono la vita e le gioie spirituali e i piaceri e i passatempi dei sensi. Nell’orazione provavo grande sofferenza, perché lo spirito non era padrone, ma schiavo; pertanto non riuscivo a rinchiudermi nel mio intimo (che era il mio solo modo di procedere nell’orazione) senza rinchiudervi con me mille vanità. Trascorsi così molti anni; soltanto ora mi meraviglio che una creatura umana abbia potuto resistere tanto in questo stato senza romperla o con Dio o con il mondo: certo, lasciare l’orazione non era più in mio potere, perché mi teneva con le sue mani colui che così voleva darmi maggiori grazie
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    00 09/08/2013 16:23
    18. Oh, mio Dio, se dovessi raccontare tutte le occasioni da cui in quegli anni il Signore mi liberava e come io tornassi a invischiarmi in esse, e i pericoli a cui mi sottrasse di perdere completamente la reputazione! Io, sempre a operare in modo da rivelarmi per quella che ero, e il Signore sempre a coprire le mie colpe e a mettere in luce qualche mia piccola virtù – se ne avevo – e ingrandirla agli occhi di tutti, in modo che tutti mi stimavano molto perché, anche se alcune volte trasparivano le mie vanità, vedendo in me altre cose che a loro sembravano buone, non potevano credere al resto. Questo perché colui che sa tutto aveva già visto che così doveva essere affinché, quando avessi poi testimoniato queste cose, le mie parole riscuotessero più credito e perché la sua sovrana liberalità guardava non ai miei grandi peccati, ma ai desideri che spesso avevo di servirlo e al dolore di non trovare in me la forza di farlo.
    19. Oh, Signore dell’anima mia! Come potrò esaltare le grazie che in quegli anni mi avete fatto? Pensare che proprio mentre io più vi offendevo, voi, in poco tempo, mi disponevate, mediante un vivissimo pentimento, a godere dei vostri doni e favori! In verità, o mio Re, facevate ricorso al più raffinato e penoso castigo che poteva esserci per me, come chi ben capiva ciò che doveva riuscirmi più increscioso: punivate i miei misfatti con grandi favori. E non credo di dire insensatezze, anche se sarebbe bene che perdessi il senno ricordando ora di nuovo la mia ingratitudine e cattiveria. Era tanto più penoso per me ricevere grazie, quando ricadevo in grandi colpe, che ricevere castighi; una sola grazia mi par proprio che bastasse ad annientarmi, confondermi e farmi soffrire più che molte infermità e gravi pene messe insieme, mentre i castighi vedevo bene di meritarli e mi sembrava con essi di pagare in parte il debito dei miei peccati, benché tutto fosse poco nei confronti delle mie colpe che erano molte; ma vedermi oggetto di altre grazie quando avevo ricambiato così male quelle già ricevute, era un genere di tormento terribile per me. Credo lo sia per tutti coloro che hanno qualche conoscenza o amore di Dio, come si può capirlo anche dalle cose umane, se si ha un cuore virtuoso. La causa delle mie lacrime e del mio sdegno era che, nonostante quello che sentivo, mi vedevo sempre in condizioni tali da essere prossima a tornare a cadere, anche se i miei propositi e i miei desideri allora – cioè almeno in quel momento – mi apparivano incrollabili.
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    00 09/08/2013 16:24
    20. Gran male è per un’anima trovarsi sola tra tanti pericoli. A me sembra che, se io avessi avuto con chi parlare di tutto questo, mi avrebbe giovato a non ricadere, non foss’altro per vergogna, visto che non avevo timor di Dio. Perciò consiglierei a coloro che praticano l’orazione, specialmente al principio, di cercare l’amicizia e la conversazione di quelle persone che attendono allo stesso esercizio. È cosa di grande importanza, anche se non si tratti d’altro che di aiutarsi scambievolmente, tanto più, poi, che ci sono molti altri vantaggi. Io non so perché, se in materia di conversazione e affetti umani, anche non molto convenienti, si cercano amici con cui confidarsi e con cui godere di raccontare quei vani piaceri, non si debba permettere a chi comincia con sincerità ad amare e a servire Dio, di parlare con qualche persona delle proprie gioie e delle proprie pene, avendo di tutto quelli che si dedicano all’orazione. Giacché se è sincera l’amicizia che l’anima vuole avere con Sua Maestà, non deve aver timore di vanagloria: respingendola al primo attacco, ne uscirà con merito. Io credo che chi agirà con questa retta intenzione, gioverà a sé e a coloro che l’ascoltano, e ne uscirà più edotto; anche senza sapere come, sarà d’insegnamento ai suoi amici.
    21. Chi parlando di ciò sentisse vanagloria, la sentirà ugualmente nell’ascoltare con devozione la Messa in pubblico, e nel fare altre pratiche che, sotto pena di non esser cristiani, sono d’obbligo, né si possono tralasciare per paura di vanagloria. Ciò è di così grande importanza per le anime che non sono consolidate nella virtù, avendo esse tanti nemici e amici che le incitano al male, che io non so come raccomandarlo. Mi sembra che il demonio si sia servito di questo stratagemma per un fine che gli sta molto a cuore: fare in modo che le anime si sottraggano a che si conosca la loro sincera intenzione di amare e di piacere a Dio, così come fa di tutto perché si scoprano certe disoneste affezioni che già sembra siano ormai talmente in uso – a quanto fa vedere – da ritenersi un’eleganza, e siano rese pubbliche le offese che si fanno a Dio.
    22. Non so se dico sciocchezze; se è così, la signoria vostra strappi questo scritto; e se non lo è, la supplico di venire in aiuto alla mia semplicità, aggiungendo molto al mio pensiero, perché oggi si serve Dio in modo così superficiale che è necessario che coloro che lo servono si aiutino a vicenda per progredire, visto che sembra cosa buona l’andar dietro alle vanità e ai piaceri del mondo. Infatti, ben pochi fanno caso di chi persegue tali vanità; se però qualcuno comincia a darsi a Dio, ci sono tanti pronti a mormorare. Perciò è necessario procurarsi compagnia per difendersi, almeno finché si acquisti tanta forza che non pesi il patire, altrimenti ci si troverà in gravi angustie. Credo che per questo alcuni santi usavano recarsi nel deserto; è una forma di umiltà non fidarsi di sé e credere che Dio ci aiuterà per mezzo di coloro con i quali conversiamo. La carità, inoltre, cresce in virtù di questa comunicazione, e ci sono ancora innumerevoli beni che non oserei menzionare, se non avessi una grande esperienza dell’importanza che è in essi. È vero che io sono la più debole e vile di tutte le creature, ma ritengo che non avrà nulla da perdere chi, umiliandosi, anche se forte, attenderà a questa pratica, credendo a chi ne ha fatto esperienza. Di me posso dire che, se il Signore non mi avesse rivelato queste verità e dato il modo di trattare molto frequentemente con persone dedite all’orazione, a forza di cadere e rialzarmi, sarei andata a capofitto all’inferno; perché per cadere avevo molti amici pronti ad aiutarmi, ma per rialzarmi mi ritrovavo così sola da stupirmi ora di non essere rimasta sempre a terra; e lodo la misericordia di Dio, che era il solo a tendermi la mano. Sia egli per sempre benedetto! Amen.
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    00 09/08/2013 16:24
    CAPITOLO 8
    Tratta del grande bene che le fece non allontanarsi completamente dall’orazione, per non perdere del tutto la sua anima, e di quale valido aiuto essa sia per riconquistare ciò che si è perduto. Esorta tutti a praticarla. Dice quanto giovi e come, anche se si torni a lasciarla, sia una grande fortuna servirsi per qualche tempo di un così prezioso bene.
    1. Non senza motivo ho esaminato con attenzione tutto questo periodo della mia vita; capisco bene che non farà piacere a nessuno lo spettacolo di una condizione tanto spregevole e vorrei davvero che i miei lettori mi disprezzassero, vedendo un’anima così caparbia e ingrata verso chi le ha fatto tante grazie; eppure vorrei parlarne di più per dire quante volte in quel tempo venni meno a Dio.
    2. Per [non] essermi appoggiata a questa salda colonna dell’orazione, trascorsi quasi vent’anni in questo mare tempestoso sempre cadendo e rialzandomi; ma rialzandomi male, perché tornavo a cadere. Conducevo una vita così lontana dalla perfezione che non facevo quasi più conto dei peccati veniali e, quanto ai mortali, anche se li temevo, non li temevo come avrei dovuto, perché non rifuggivo dai pericoli. Posso dire che tale vita è una delle più penose che mi sembra si possano immaginare, perché non godevo di Dio, né gioivo del mondo. Quando mi trovavo fra i piaceri mondani, mi dava pena il ricordo di ciò che dovevo a Dio; quando stavo con Dio mi turbavano le affezioni del mondo. Era una lotta così penosa che non so come potei sopportarla anche solo un mese, nonché tanti anni. Ciò nonostante, vedo chiaramente la grande misericordia che il Signore mi usò dandomi il coraggio, poiché mantenevo rapporti con il mondo, di praticare l’orazione. Dico il coraggio, perché io non so in quale cosa, di quante ne esistono quaggiù, sia necessario un coraggio maggiore di quello che comporta tradire il proprio Re, sapere che egli ne è al corrente e non allontanarsi dal suo cospetto. Infatti, anche se siamo sempre al cospetto di Dio, a me sembra che in modo speciale vi si trovino quelli che praticano l’orazione, perché sentono che egli li guarda, mentre gli altri possono restare più giorni senza mai ricordarsi che Dio li vede.
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    00 09/08/2013 16:25
    3. È pur vero che in questo tempo trascorsi molti mesi – e credo anche qualche anno – guardandomi dall’offendere il Signore, dedicandomi molto all’orazione e facendo ricorso ad alcune particolari attenzioni per non tornare ad offenderlo. E, siccome quanto scrivo deve rispondere ad assoluta verità, ora vengo a trattare di ciò. Ma ho un vago ricordo di questi giorni buoni, pertanto dovevano essere ben pochi, mentre molti i cattivi. Pochi, però, erano anche i giorni che passavo senza dedicare lungo tempo all’orazione, a meno che stessi molto male o fossi molto occupata. Quando stavo male, mi era più facile trovarmi con Dio; procuravo che altrettanto fosse delle persone con le quali trattavo, supplicavo a questo fine il Signore e parlavo molto di lui. Così, tranne l’anno di cui ho parlato, dei ventotto trascorsi da quando ho incominciato a praticare l’orazione, ne ho passati più di diciotto in questa battaglia e in questo contrasto di stare con Dio e con il mondo. Negli altri di cui ora mi resta da parlare, la causa della lotta fu diversa, anche se non fu piccola; ma per il fatto di essere, a quel che penso, al servizio di Dio e di conoscere la vanità del mondo, tutto mi è stato dolce, come dirò in seguito.
    4. Lo scopo, dunque, per cui ho tanto insistito a parlare di ciò è, come ho già detto, anzitutto perché si costatino la misericordia di Dio e la mia ingratitudine, e poi perché si conosca il gran bene che Dio fa a un’anima quando la dispone a praticare e a desiderare l’orazione. Anche se non ha tutta la disposizione necessaria, purché perseveri in essa, per quanti peccati, tentazioni e cadute di ogni genere le frapponga il demonio, il Signore la trarrà al porto di salvezza, allo stesso modo in cui sembra abbia tratto me. Piaccia a Sua Maestà che io ritorni a perdermi.
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    00 09/08/2013 16:25
    5. Del bene che attinge chi pratica l’orazione, intendo dire l’orazione mentale, hanno parlato molti santi e buoni scrittori. Ne sia ringraziato il Signore! E se così non fosse, per poco umile che io sia, non sono però tanto superba d’arrischiarmi io a parlarne. Posso dire soltanto quello di cui ho fatto esperienza, ed è che, per quanti peccati faccia, chi ha cominciato a praticare l’orazione non deve abbandonarla, essendo il mezzo con il quale potrà riprendersi, mentre senza di essa sarà molto più difficile. E che il demonio non abbia a tentarlo, come ha fatto con me, a lasciare l’orazione per umiltà; sia convinto che la parola di Dio non può mancare, che con un sincero pentimento e con il fermo proposito di non ritornare ad offenderlo si ristabilisce l’amicizia di prima ed egli ci fa le stesse grazie, anzi, a volte, molte di più, se il nostro pentimento lo merita. Quanto a coloro che non hanno ancora incominciato, io li scongiuro, per amore del Signore, di non privarsi di tanto bene. Qui non c’è nulla da temere, ma tutto da desiderare, perché, anche se non facessero progressi né si sforzassero d’essere perfetti, così da meritare le grazie e i favori che Dio riserva agli altri, per poco che guadagnassero, giungerebbero a conoscere il cammino del cielo; e, perseverando nell’orazione, spero molto per essi nella misericordia di Dio, che nessuno ha preso mai per amico senza esserne ripagato; per me l’orazione mentale non è altro se non un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama. E se voi ancora non l’amate (infatti, perché l’amore sia vero e l’amicizia durevole dev’esserci parità di condizioni e invece sappiamo che quella del Signore non può avere alcun difetto, mentre la nostra consiste nell’esser viziosi, sensuali, ingrati), cioè se non potete riuscire ad amarlo quanto si merita, non essendo egli della vostra condizione, nel vedere, però, quanto vi sia di vantaggio avere la sua amicizia e quanto egli vi ami, sopportate questa pena di stare a lungo con chi è tanto diverso da voi.
    6. Oh, bontà infinita del mio Dio, mi sembra di vedere chi siete voi e vedo anche quanto misera cosa sia io! Oh, delizia degli angeli, vedendo questa enorme differenza, vorrei consumarmi tutta d’amore per voi. Com’è vero: voi sopportate chi sopporta di stare con voi. Oh, come vi comportate da buon amico, Signor mio, come cominciate subito a favorirlo, sopportarlo e, aspettando che si conformi alla vostra condizione, con quanta pazienza, nel frattempo, tollerate la sua! Voi tenete conto, mio Signore, di tutti i momenti che dedica ad amarvi, e per un attimo di pentimento dimenticate quanto vi abbia offeso! So questo chiaramente per esperienza personale, e non capisco, o mio Creatore, perché tutti non cerchino di giungere a voi per mezzo di questa particolare amicizia. I cattivi, che non sono della vostra condizione, dovrebbero avvicinarvi per diventare buoni, acconsentendo che stiate con loro, sia pure un paio d’ore al giorno, benché essi stiano con voi turbati da mille sollecitudini e pensieri mondani, come facevo io. Per la violenza che essi devono farsi a voler rimanere in così incomparabile compagnia (voi sapete che in ciò, al principio, e qualche volta anche in seguito, non possono far di più), voi costringete, Signore, i demoni a non assalirli e fate loro diminuire di giorno in giorno le forze contro di essi, a cui, invece, le date perché vincano. No, vita di tutte le vite, voi non uccidete nessuno di quelli che confidano in voi e vi vogliono per amico, anzi sostenete la vita del corpo con maggior salute, dandola all’anima.
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    00 09/08/2013 16:25
    7. Non capisco il timore di coloro che esitano ad applicarsi all’orazione mentale, né so di che cosa abbiano paura. Fa bene il demonio, nell’intento di arrecarci, egli sì davvero, male, a ispirarcelo, se mediante la paura riesce a non farmi pensare ai peccati con cui ho offeso Dio, a tutto quel che gli devo, all’inferno, al paradiso e alle grandi pene e dolori che egli ha sofferto per me. Questa fu tutta la mia orazione quando stavo fra i pericoli anzidetti, e questa era la mia meditazione quando riuscivo a concentrarmi in essa perché, per alcuni anni, molte volte badavo più a desiderare che l’ora di stare in orazione finisse e ad ascoltare il suono dell’orologio, che non a darmi a buoni pensieri; e spesso non so a quale grave penitenza che mi fosse stata imposta io non mi sarei obbligata più volentieri che non raccogliermi nella pratica dell’orazione! In verità, era così intollerabile la violenza che il demonio e le cattive abitudini mi facevano perché non mi dedicassi all’orazione, e tale la tristezza che mi prendeva quando entravo in oratorio, che era necessario facessi appello a tutto il mio coraggio (che dicono non sia poco, e si è visto, infatti, come Dio me ne abbia dato assai più di quello che è proprio di una donna, anche se io l’ho impiegato male), e infine il Signore mi aiutava. Dopo essermi fatta, così, forza, sentivo più gioia e tranquillità di altre volte in cui avevo il desiderio di pregare.
    8. Se dunque il Signore ha sopportato tanto tempo una creatura spregevole come sono io, ed è evidente che nell’orazione sta il rimedio di tutti i miei mali, chi, per cattivo che sia, avrà da temere? Perché, lo sia pur molto, non lo sarà per lungo tempo dopo aver ricevuto tante grazie dal Signore. E chi potrà non aver fiducia dopo aver visto quanto ha sopportato me, solo perché desideravo e procuravo di trovare tempo e luogo per starmene con lui? E ciò molte volte senza che lo volessi spontaneamente, ma in virtù della grande forza che mi facevo, o meglio, che il Signore mi dava modo di farmi. Ora, se a quelli che non lo servono, anzi l’offendono, l’orazione è così utile e così necessaria che nessuno può immaginare davvero danno maggiore che il non praticarla, perché dovranno astenersene coloro che servono Dio e vogliono servirlo? Davvero io non posso capirlo, tranne che non sia per voler sopportare con maggior pena le prove della vita, e chiudere a Dio la porta attraverso la quale egli darebbe loro gioia. Mi fanno proprio compassione questi che servono Dio a loro spese, perché a coloro che praticano l’orazione lo stesso Signore paga le spese; infatti, per un po’ di sforzo dà ad essi la grazia utile a superare le difficoltà.
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    Coordin.
    00 09/08/2013 16:26
    9. Siccome di queste gioie che il Signore concede a coloro che perseverano nell’orazione si parlerà a lungo, qui non dirò altro, o meglio dirò solo che l’orazione è la porta d’ingresso per tali sublimi favori che Dio mi ha fatto; chiusa essa, non so proprio come potrà farli perché, anche se Dio vuole entrare in un’anima per goderne e farla godere, non c’è per lui via d’accesso, in quanto egli la vuole sola, pura e desiderosa di ricevere i suoi beni. Se gli ingombriamo la strada di ostacoli e non ci adoperiamo minimamente a toglierli, come potrà giungere a noi e come possiamo pretendere che ci conceda grandi grazie?
    10. Affinché si veda la sua misericordia e il gran bene che fu per me il non aver lasciato l’orazione e la lettura, parlerò qui – poiché è cosa assai utile a sapersi – del martellamento a cui il demonio sottopone un’anima per guadagnarsela e degli accorgimenti misericordiosi con cui il Signore cerca di riprendersela affinché tutti si guardino da quei pericoli dai quali io non seppi guardarmi. Soprattutto per nostro Signore e per il grande amore con cui egli ottiene di richiamarci a sé, io scongiuro chiunque a fuggire le occasioni perché, una volta entrati in esse, non c’è da stare sicuri, essendo molti i nemici che ci danno guerra e troppo deboli le nostre forze per difenderci.
    11. Vorrei saper descrivere la schiavitù in cui era allora la mia anima, perché ben capivo io di essere schiava, ma non riuscivo a capire di che cosa, né potevo credere del tutto che ciò di cui i confessori non mi facevano gran carico fosse così grave colpa come io la sentivo nel mio intimo. Uno di essi, al quale avevo manifestato questo scrupolo, mi disse anzi che, pur raggiungendo uno stato di elevata contemplazione, tali occasioni e amicizie non mi avrebbero arrecato alcun danno. Questo avveniva già all’ultimo, quando io cominciavo, con l’aiuto di Dio, a fuggire i pericoli più gravi, pur non sottraendomi del tutto alle occasioni. Sembrava loro che io facessi molto, vedendomi piena di buoni desideri e dedita all’orazione, ma la mia anima sentiva che non faceva tutto ciò che era tenuta a fare per colui a cui tanto doveva. Mi è ora motivo di pena il molto che essa soffriva e il poco aiuto che da tutti aveva, fuorché da Dio, e la grande libertà che le concedevano per i suoi piaceri e passatempi, dicendo che erano leciti.
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    00 09/08/2013 16:26
    12. Non era piccolo, inoltre, per me, il tormento che mi procuravano le prediche delle quali ero amantissima, al punto che se vedevo qualcuno predicare bene e con spirito di pietà, provavo per lui un affetto particolare, senza che io lo volessi né sapessi chi me lo metteva in cuore. Quasi mai la predica mi sembrava di così poco valore da non ascoltarla volentieri, anche se, stando a quanto dicevano gli altri ascoltatori, il predicatore non era bravo; se poi la predica era bella, mi procurava una gioia particolare. Parlare o sentir parlare di Dio non mi stancava quasi mai, e ciò da quando cominciai a praticare l’orazione. Se, però, da una parte le prediche mi erano di grande consolazione, dall’altra mi erano causa di tormento, facendomi conoscere che non ero neanche lontanamente quale dovevo essere. Supplicavo il Signore di aiutarmi, ma – a quanto ora mi sembra – doveva farmi difetto il fatto di non riporre tutta la mia fiducia in Sua Maestà e di non perderla totalmente in me. Cercavo rimedi, mi impegnavo con diligenza, ma evidentemente non capivo che tutto dà poco profitto se, deposta totalmente la fiducia in noi stessi, non la poniamo in Dio. Desideravo vivere, perché capivo bene di non vivere, ma di lottare contro un’ombra di morte, e non avevo alcuno che mi desse vita, né io potevo procurarmela. Chi poteva darmela aveva ragione di non soccorrermi, poiché tante volte mi aveva attirata a sé e io l’avevo sempre abbandonato.
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    00 09/08/2013 16:27
    CAPITOLO 9
    Parla del modo in cui il Signore cominciò a risvegliare la sua anima, a illuminarla in così fitte tenebre e a rafforzare le sue virtù affinché non l’offendesse più.
    1. Ormai, dunque, la mia anima era stanca e, anche se lo voleva, le sue cattive abitudini non la lasciavano riposare. Accadde un giorno che, entrando nell’oratorio, vidi una statua portata lì in attesa di una certa solennità che si doveva celebrare in casa e per la quale era stata procurata. Era un Cristo tutto coperto di piaghe, e ispirava tale devozione che, guardandola, mi turbai tutta nel vederlo ridotto così, perché rappresentava al vivo ciò che egli ebbe a soffrire per noi. Provai tanto rimorso per l’ingratitudine con cui avevo ripagato quelle piaghe, che pareva mi si spezzasse il cuore, e mi gettai ai suoi piedi con un profluvio di lacrime, supplicandolo che mi desse infine la forza di non offenderlo più.
    2. Ero molto devota di santa Maria Maddalena e assai di frequente pensavo alla sua conversione, specie quando mi comunicavo; perché, sapendo che in quel momento il Signore stava certamente in me, mi prostravo ai suoi piedi, nella speranza che le mie lacrime non venissero disprezzate. Ma non sapevo quel che dicevo (facendo già molto chi mi consentiva di spargere lacrime per lui, visto che dimenticavo tanto presto quella pena), e così mi raccomandavo a questa gloriosa santa perché mi ottenesse il perdono.
    3. Quest’ultima volta, però, l’essermi prostrata davanti alla statua che ho detto lì posta, credo mi abbia giovato di più, perché avevo perduto ogni fiducia in me e confidavo unicamente in Dio. Mi sembra d’avergli detto allora che non mi sarei alzata da lì finché non mi avesse concesso quello di cui lo supplicavo. Sono certa di essere stata esaudita, perché da allora andai molto migliorando.
    4. Questo era il mio metodo di orazione: non potendo discorrere con l’intelletto, cercavo di rappresentarmi Cristo nel mio intimo e mi trovavo meglio, a mio giudizio, ricercandolo in quei tratti della sua vita in cui lo vedevo più solo. Mi pareva che, essendo solo ed afflitto, come persona bisognosa di conforto, mi avrebbe accolta più facilmente. Di queste ingenuità ne avevo parecchie. Mi trovavo assai bene specialmente nell’orazione dell’Orto degli ulivi; lì gli tenevo compagnia; pensavo al sudore e all’afflizione che aveva sofferto; desideravo, potendo, tergergli quel sudore così penoso (ma ricordo che non osavo mai decidermi a farlo, perché mi venivano subito in mente i miei gravissimi peccati). Me ne stavo lì con lui fino a quando i miei pensieri me lo permettevano, essendo molti quelli che mi davano tormento. Per vari anni, la maggior parte delle sere, prima di addormentarmi – allorché per dormire mi raccomandavo a Dio – meditavo sempre un po’ su questo passo dell’orazione dell’Orto degli ulivi, fin da quando non ero ancora monaca, avendo sentito dire che si guadagnavano molte indulgenze. Sono convinta che con questa meditazione la mia anima si sia molto avvantaggiata perché cominciai a praticare l’orazione, senza sapere che cosa fosse, e diventò poi un’abitudine così regolare che non avrei potuto trascurare di farmi il segno della croce prima di addormentarmi.
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    00 09/08/2013 16:27
    5. Ma, tornando a ciò che dicevo circa il tormento di alcuni pensieri, è insito nel metodo di fare orazione senza servirsi dell’intelletto che l’anima o è molto concentrata, o è molto smarrita, dico smarrita quanto a riflessione. Se trae profitto, ne trae molto, perché dovuto all’amore. Ma per giungere a questo occorre gran fatica, salvo che si tratti di persone che Dio vuol far pervenire all’orazione di quiete in breve tempo, come è avvenuto ad alcune persone di mia conoscenza. Alle anime che vanno per questa strada giova molto un libro per raccogliersi presto. A me giovava anche la vista della campagna, dell’acqua e dei fiori; queste cose mi ricordavano il Creatore, intendo dire che mi scuotevano, m’inducevano al raccoglimento e mi servivano da libro; mi giovava anche pensare alla mia ingratitudine e ai miei peccati. In cose celesti e concetti elevati la mia intelligenza era così grossolana che mai e poi mai potei concepirli fino a quando il Signore non me ne fece venire a conoscenza in altro modo.
    6. Ero così poco capace a raffigurarmi cose con l’intelletto che, se non si trattava di cose che vedevo realmente, non mi giovavo affatto della mia immaginazione, come accade, invece, ad altre persone che possono crearsi immagini su cui raccogliersi. Io potevo pensare a Cristo solo come uomo, ma anche così non potei mai figurarmelo nella mia anima, per quanto leggessi della sua bellezza e ne contemplassi le immagini, se non come chi è cieco o sta al buio, il quale, anche se parla con una persona e sa di trovarsi con lei, perché ha la certezza della sua presenza, voglio dire lo capisce e lo crede, tuttavia non la vede. Così accadeva a me quando pensavo a nostro Signore e per questo ho sempre amato le immagini. Infelici coloro che per propria colpa perdono siffatto bene! È evidente che non amano il Signore perché, se lo amassero, godrebbero nel vederne l’immagine, come quaggiù fa sempre piacere vedere il ritratto di coloro a cui si vuole bene.
    7. In quel tempo mi dettero le Confessioni di sant’Agostino, forse per disposizione del Signore, perché io non cercai di averle non conoscendone l’esistenza. Io sono molto devota di sant’Agostino perché il monastero dove fui da secolare era del suo Ordine, e anche perché egli fu peccatore. Infatti, provavo molto conforto nei santi che il Signore rivolse al suo servizio dopo che erano stati peccatori, sembrandomi che mi fossero d’aiuto a sperare che come il Signore aveva perdonato a loro, poteva farlo anche con me. Solo una cosa mi angustiava, come ho già detto: che essi, chiamati dal Signore una sola volta, non tornavano a cadere, mentre io ero stata chiamata già tante volte; ciò mi procurava una grande sofferenza. Ma, considerando l’amore che mi portava, riprendevo coraggio, perché non ho mai diffidato della sua misericordia; di me, invece, assai spesso.
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    00 09/08/2013 16:28
    8. Oh, mio Dio, come mi spaventa l’ostinazione che dimostrò la mia anima, pur avendo tanti aiuti da Dio! Mi è causa ancora di timore il pensare al poco dominio che avevo su di me e ai molti ostacoli che mi costringevano a non risolvermi a darmi tutta a Dio. Appena diedi inizio alla lettura delle Confessioni, mi parve di ritrovarmi in esse e cominciai a raccomandarmi caldamente a questo glorioso santo. Quando giunsi alla sua conversione e lessi della voce che egli udì nell’orto, mi parve che il Signore la facesse udire a me, per quel che ebbe a sentire il mio cuore, e rimasi per lungo tempo tutta in lacrime, provando nel mio intimo una grande afflizione e pena. Oh, mio Dio, quanto soffre un’anima nel perdere la libertà che la rende padrona di sé e quanti tormenti patisce! Io ora mi meraviglio di come potessi vivere in tanta angoscia. Sia lodato Iddio che mi diede vita per farmi uscire da una morte così funesta!
    9. Mi sembra che la mia anima ricevesse allora grandi forze dalla divina Maestà, che dovette udire i miei lamenti e avere pietà delle mie lacrime. Cominciò a crescere in me la propensione a stare più a lungo con Dio e ad allontanarmi dalle occasioni pericolose perché, in questo modo, subito ritornavo ad amare Sua Maestà. Capivo bene, a quel che credo, di amarlo, ma non comprendevo, come avrei dovuto intenderlo, in che cosa consistesse amare davvero Dio. Non avevo, mi pare, ancora finito di dispormi a servirlo, che Sua Maestà cominciava a ridonarmi le sue grazie. Si sarebbe quasi detto che ciò che gli altri cercano di acquistare con gran fatica, il Signore si adoperava, con me, a farmelo accettare. Infatti, in questi ultimi anni, era un continuo darmi grazie e favori. Che io lo supplicassi di concedermeli, non ho mai osato farlo, neanche per quanto poteva riguardare tenerezza di devozione; gli chiedevo solo che mi concedesse la grazia di non offenderlo e che mi perdonasse i miei grandi peccati; vedendoli così grandi, non osavo, deliberatamente, desiderare favori né grazie. Mi pareva già fin troppo buono verso di me, e fu davvero grande la sua misericordia a mio riguardo, nel consentire che gli restassi dinanzi, dopo avermi condotto alla sua presenza, giacché ben vedevo che se egli non si fosse adoperato a tal fine, io non vi sarei andata. Solo una volta in vita mia mi ricordo di avergli chiesto grazie, trovandomi in uno stato di grande aridità; ma quando m’accorsi di ciò che facevo, rimasi tanto confusa che la stessa vergogna di vedermi così poco umile mi diede ciò che avevo osato chiedere. Ben sapevo che era lecito chiedere questo, ma a me pareva che lo fosse solo per quelli che hanno la disposizione necessaria per aver cercato con tutte le loro forze di praticare la vera devozione, che consiste nel non offendere Dio ed essere disposti e pronti ad ogni forma di bene. Mi sembrava che quelle mie lacrime fossero lacrime di donnicciola, senza efficacia, poiché con esse non ottenevo ciò che desideravo. Eppure, ciò nonostante credo che mi siano valse a qualcosa perché, come ho detto, specialmente dopo queste due volte in cui furono dovute a così gran compunzione e sofferenza del mio cuore, comincia a dedicarmi di più all’orazione e ad occuparmi meno di cose che potessero essermi di danno; benché ancora non le abbandonassi del tutto, tuttavia, come ho detto, Dio mi veniva aiutando a distaccarmene. Poiché Sua Maestà non stava aspettando se non qualche buona disposizione in me, le grazie spirituali andarono crescendo nel modo che dirò; cosa insolita, perché il Signore non usa darle se non a coloro che vivono con maggior purezza di coscienza.
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    00 09/08/2013 16:28
    CAPITOLO 10
    Comincia a esporre le grazie che il Signore le concedeva nell’orazione e ciò a cui possiamo contribuire con i nostri sforzi; sottolinea, inoltre, quanto sia importante conoscere le grazie che il Signore ci fa. Supplica colui al quale invia questo scritto di mantenere segreto quanto scriverà da qui in avanti, visto che le hanno ordinato di descrivere così minutamente le grazie ricevute dal Signore.
    1. Come ho detto prima, c’era già stato un inizio per me, alcune volte, di quello che sto per dire, anche se per brevissimo tempo. Nel cercare di rappresentarmi il Signore e prostrarmi ai piedi di Cristo, nella maniera che ho detto, e talvolta anche durante la lettura, mi accadeva d’improvviso d’essere invasa da un così vivo sentimento della presenza di Dio, da non poter dubitare in alcun modo ch’egli fosse in me ed io tutta rapita in lui. Questo, non in maniera di visione, ma a quel modo che credo si chiami teologia mistica. Tale stato tiene l’anima sospesa in modo tale che essa sembra tutta fuori di sé: la volontà ama, la memoria mi pare sia quasi smarrita, l’intelletto non ragiona, a mio giudizio, ma non si perde; però, ripeto, è inoperoso, standosene come stupito per le molte cose che intende, perché Dio vuole che capisca come da solo non possa intendere nulla di ciò che Sua Maestà gli presenta.
    2. Già prima avevo sentito assai di continuo una tenerezza che in parte, mi pare, può essere frutto dei nostri sforzi, una gioia che non appartiene del tutto ai sensi né allo spirito. È data solo da Dio, ma credo che a tal fine possiamo aiutarci molto, considerando la nostra miseria e la nostra ingratitudine verso Dio, quanto egli ha fatto per noi, la sua passione così dolorosa, la sua vita piena di tante tribolazioni, godendo nella contemplazione delle sue opere, della sua grandezza, del suo infinito amore e di molte altre cose in cui s’imbatte continuamente chiunque badi al proprio profitto spirituale, anche se non vada a cercarle con una precisa intenzione. Se a questo si aggiunge un po’ di amore, l’anima gioisce, il cuore s’intenerisce, vengono le lacrime; a volte pare che si spremano a forza, altre volte che le procuri il Signore, senza che si possano trattenere. Sembra che Sua Maestà ricompensi quella piccola concentrazione con un dono così generoso quale è la consolazione provata da un’anima nel vedere che piange per un Signore così grande, e non mi stupisco: ha più che ragione di consolarsi. In ciò è la sua letizia, in ciò il suo godimento.
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    00 09/08/2013 16:29
    3. Mi sembra opportuno il paragone che ora mi viene in mente: che queste gioie dell’orazione devono essere simili a quelle che si godono nel cielo ove, non vedendo i beati più di quel che il Signore, conforme ai loro meriti, vuole che vedano, e conoscendo essi i propri scarsi meriti, ognuno è contento del luogo in cui sta, pur essendoci enorme differenza tra un godimento e l’altro in cielo, assai più grande di quella che vi è quaggiù – sebbene sia grandissima – tra alcuni godimenti spirituali e altri. Veramente un’anima ancora agli inizi della sua esperienza, quando Dio le accorda questa grazia, crede quasi che non ci sia più nulla da desiderare e si reputa ben ricompensata di quanto ha compiuto in suo servizio. E ne ha ben ragione, perché una sola di queste lacrime che, come ho detto, possiamo quasi procurarci da noi – benché senza Dio non si faccia nulla –, non si può, a mio parere, comprare neppure con tutte le sofferenze del mondo, tanto è il guadagno che se ne trae: quale maggior guadagno, infatti, che avere una testimonianza di compiacere a Dio? Chi, pertanto, è arrivato a questo punto, lo lodi molto e si riconosca gran suo debitore perché, se non torna indietro, pare che egli già lo voglia per sua dimora e lo abbia scelto per il suo regno.
    4. Non si preoccupi di certi sentimenti di umiltà, di cui intendo parlare, in base ai quali sembra umiltà non riconoscere che il Signore ci fa tanti doni. Cerchiamo, invece, di capire bene, proprio bene, come stanno le cose, cioè che Dio ce li dà senza alcun nostro merito, e siamone grati a Sua Maestà; perché, se non riconosciamo di ricevere doni, non siamo spinti ad amare. È certo che quanto più vediamo d’esser ricchi in virtù di essi, dopo aver riconosciuto d’essere poveri in noi stessi, tanto più profitto ce ne viene, e anche più vera umiltà. Inoltre, equivale a scoraggiare l’anima il farle credere che non è capace di grandi beni se, quando il Signore comincia a concederglieli, l’anima comincia a intimorirsi per paura di vanagloria. Dobbiamo credere che chi ci dà i beni ci darà la grazia, di fronte a un’eventuale tentazione del demonio in merito a ciò, di comprendere il suo inganno e la forza per resistergli; a patto, però, di camminare con semplicità davanti a Dio, procurando di accontentare solo lui, non gli uomini.
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    00 09/08/2013 16:29
    5. È segno evidente che amiamo di più una persona, quando ricordiamo spesso i benefici che ci ha fatto. Ora, se è lecito e anzi assai meritorio ricordarci che il nostro essere l’abbiamo da Dio, il quale ci ha creati dal nulla e ci mantiene in vita, e tutti gli altri benefici che ci sono venuti dalla sua morte e dalle sue sofferenze, benefici che molto prima di crearci aveva preparato per ciascuno di noi viventi, perché non mi sarà lecito riconoscere, vedere e considerare più e più volte che ero solita parlare di cose vane, e che ora il Signore mi ha concesso di non voler parlare d’altro se non di lui? Ecco qui un gioiello: se ricordiamo che ci fu donato e che ormai lo possediamo, necessariamente ci invita ad amare, ed è proprio questo il bene dell’orazione fondata sull’umiltà. Che dire, poi, nel vederci in possesso di altre gioie più preziose, come le hanno già ricevute alcuni servi di Dio, di disprezzo del mondo e anche di se stessi? È chiaro che dobbiamo ritenerci ancora più debitori e più obbligati a servire, a comprendere che non avevamo nulla di questo e a riconoscere la generosità del Signore, il quale ad un’anima così povera e vile e così priva di meriti come la mia, a cui sarebbe bastata la prima di queste gioie – ed era già tanto per me – volle dare più ricchezze di quante ne sapesse desiderare.
    6. È necessario rinnovare le forze per servire Dio e cercare di non essere ingrati, perché ci concede i suoi doni a questa condizione: che se non facciamo buon uso del tesoro che ci dà e dell’alto stato in cui ci pone, ce lo riprenderà, facendoci restare molto più poveri di prima, per dare le sue gioie a coloro in cui risplendano con proprio ed altrui vantaggio. Ma come avvantaggerà sé ed altri e spenderà con larghezza chi non sa d’essere ricco? È impossibile, a mio giudizio, in conformità della nostra debole natura, avere coraggio per grandi cose, senza riconoscersi favoriti da Dio perché siamo così miserabili e così inclini a cose terrene, che difficilmente potrà disprezzare i beni di quaggiù con effettivo, assoluto distacco chi non comprende d’avere un pegno di quelli celesti. Questi doni, infatti, sono i mezzi di cui si serve il Signore per darci la forza che noi, per i nostri peccati, poi perdiamo. E difficilmente riuscirà a desiderare di essere malvisto e disprezzato da tutti, e a praticare le altre grandi virtù proprie delle anime perfette, chi non avrà qualche pegno dell’amore di Dio e, insieme, una viva fede. La nostra natura, infatti, è così debole che non seguiamo se non ciò che abbiamo presente; pertanto sono proprio questi favori a ridestare la fede e a fortificarla. Può anche darsi che io, misera come sono, giudichi tutti da me stessa, che ci saranno altri ai quali siano sufficienti le sole verità della fede per fare opere di grande perfezione, mentre io, da miserabile qual sono, ho avuto bisogno di tutti gli aiuti.
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    Coordin.
    00 09/08/2013 16:30
    7. Ma ciò lo diranno essi; io dico, secondo quanto mi è stato ordinato, quello che è accaduto a me, e se non dovesse andar bene, colui al quale invio lo scritto – che saprà conoscere meglio di me le deficienze che presenta – lo strappi. Io, però, lo supplico per amor del Signore di pubblicare quello che ho detto fin qui della mia miserabile vita e dei peccati (a partire da questo momento gliene do piena autorizzazione, e la do ugualmente a tutti i miei confessori, come lo è colui al quale andrà questo scritto); se lo vorranno, lo facciano anche subito, me vivente, affinché non inganni più il mondo ove si pensa che ci sia in me qualcosa di buono; sì, non v’è dubbio, lo affermo con tutta verità, per quel che ora capisco di me, che ciò mi darà grande consolazione. Quanto a ciò che dirò da qui in avanti, non do questo permesso, né voglio dire che, se faranno vedere il mio scritto a qualcuno, dicano chi è costei che fece tali esperienze né chi le ha scritte. Perciò, non metto il mio nome né quello di nessuno, anzi, scrivendo, farò tutto il possibile per non essere riconosciuta; chiedo questo per amore di Dio. L’approvazione di persone tanto dotte e importanti è per me sufficiente a conferire autorità a quel qualcosa di buono che vi fosse, se il Signore mi darà la grazia di dirla, perché, in tal caso, il merito sarà tutto suo e non mio, non avendo io istruzione né virtù né formazione da dotti o da qualsiasi persona (solo quelli che mi hanno comandato di scrivere sanno che io scrivo questo, ma attualmente essi non sono qui), e rubando quasi il tempo, con fatica, perché ciò mi impedisce di filare, mentre mi trovo in una casa povera dove attendo a molte occupazioni. Se Dio mi avesse dato più capacità e memoria, almeno con la memoria potrei giovarmi di ciò che ho udito o letto, ma è pochissima quella di cui dispongo. Pertanto, se dirò qualcosa di buono, lo vuole il Signore per trarne qualche bene; ciò che vi sarà d’imperfetto viene invece da me, e la signoria vostra lo cancellerà. Sia in un caso, sia nell’altro, non è di alcun vantaggio dire il mio nome; mentre vivo è chiaro che non si deve parlare del bene; dopo morta non servirebbe ad altro che a sminuire il prestigio di quello stesso bene, screditandolo, per il fatto che è detto da persona tanto vile e spregevole.
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    Coordin.
    00 09/08/2013 16:30
    8. E, pensando che la signoria vostra farà questo che le chiedo per amore del Signore, come gli altri che dovranno leggere il mio scritto, scrivo con libertà; diversamente ne avrei gran scrupolo, tranne che per dire i miei peccati, per i quali non ne ho alcuno. Del resto, basterebbe esser donna per farmi abbassare le ali; tanto più, poi, donna tanto miserabile. E così, ciò che può esservi in più del semplice racconto della mia vita, la signoria vostra lo tenga per sé, visto che ha tanto insistito perché manifestassi in qualche modo le grazie che Dio mi fa nell’orazione, se sarà conforme alle verità della nostra santa fede cattolica; e se invece non lo fosse, la signoria vostra lo bruci subito, perché io a ciò mi sottometto. Dirò quello che sperimento affinché, se conforme alla fede, possa recare alla signoria vostra qualche vantaggio; altrimenti la prego di trarre d’inganno la mia anima affinché il demonio non guadagni là dove credo di guadagnare io. Del resto, il Signore già sa, come poi dirò, che mi sono sempre adoperata a cercare chi mi illuminasse.
    9. Per quanto chiaramente voglia parlare di queste cose di orazione, saranno sempre oscure per chi non ne ha esperienza. Parlerò di alcuni ostacoli che, a mio giudizio, si frappongono in questo cammino, e di altre cose pericolose, secondo ciò che il Signore mi ha insegnato per esperienza e di cui ho trattato con uomini molto dotti e con persone che fanno vita spirituale da molti anni. Si vedrà che in soli ventisette anni da quando pratico l’orazione, nonostante cammini tanto male e fra tanti inciampi in questa via, il Signore mi ha dato tale esperienza quale ne hanno altri che vi camminano da trentasette o da quarantasette anni con continui esercizi di penitenza e di virtù. Sia egli benedetto per tutto questo e si serva pure di me, per quello che egli è. Sa bene il mio Signore che io non cerco altro, scrivendo, se non che egli sia lodato ed esaltato un pochino, facendo vedere come di un letamaio così sudicio e maleodorante egli abbia fatto un giardino di così delicati fiori. Piaccia a Sua Maestà che io non torni per mia colpa a strapparli, ridiventando quella che ero. Questo io supplico, per amore del Signore, che la signoria vostra chieda, poiché sa chi sono io più chiaramente di quanto mi abbia permesso di scrivere.
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    Coordin.
    00 09/08/2013 16:32

    Libro della vita

    Sezione 2

     

    CAPITOLO 11

    Mostra perché non si giunga ad amare Dio con perfezione in breve tempo. Comincia a spiegarlo per mezzo di un paragone che illustra quattro gradi di orazione. Procede, in questo capitolo, a trattare del primo; è molto utile per i principianti e per coloro che non provano gioia nell’orazione.

    1. Venendo, dunque, ora a parlare di quelli che cominciano ad esser servi dell’amore (giacché altro non mi sembra il determinarsi a seguire per la via dell’orazione colui che ci ha tanto amato), è un onore così grande che provo una gioia straordinaria nel ripensarvi. Infatti, ogni timore servile scompare immediatamente, se in questo primo stato procediamo come si deve. Oh, Signore dell’anima mia e mio solo bene! Perché non volete che quando un’anima è determinata ad amarvi procurando, per quanto è possibile, di staccarsi da ogni cosa per dedicarsi meglio all’amore di Dio, non abbia subito la gioia di elevarsi a possedere questo amore in modo perfetto? Ho detto male; avrei dovuto dire, deplorandolo: perché non lo vogliamo noi? Infatti, la colpa è nostra se non godiamo subito di tanto onore, in quanto se arrivassimo a possedere in modo perfetto il vero amore di Dio, esso comporterebbe ogni specie di beni. Ma noi siamo così avari e così lenti nel darci totalmente a Dio che, non volendo Sua Maestà che godiamo di un bene tanto prezioso senza pagarlo a caro prezzo, non giungiamo mai a disporci convenientemente a riceverlo.

    2. Ben vedo che non c’è prezzo adeguato in terra per l’acquisto di un tale tesoro, ma se facessimo quanto è in nostro potere per non attaccarci a cose terrene, rivolgendo invece ogni nostra cura e ogni nostro atto a quelle del cielo, credo senza alcun dubbio che in breve tempo ci sarebbe dato questo bene, purché – ripeto – ci disponessimo subito a riceverlo, come fecero alcuni santi. Invece, ci sembra di dar tutto, e in realtà offriamo a Dio la rendita e i frutti, e ci tratteniamo la proprietà e il capitale. Ci decidiamo a essere poveri – cosa molto meritoria – ma spesso ritorniamo a porre ogni cura e diligenza a non farci mancare non solo il necessario, ma perfino il superfluo, e ad andare in cerca di amici che ce lo procurino, esponendoci a maggiori preoccupazioni e, forse, a più gravi pericoli, con il desiderare che non ci manchi nulla, di quelli in cui incorrevamo prima con il possesso delle nostre ricchezze. Ci sembra anche di rinunciare al pregiudizio dell’onore con il farci religiosi e con l’aver cominciato a condurre vita spirituale e a seguire la via della perfezione e, appena ci toccano in un punto di onore, non ricordandoci di averlo ormai dato a Dio, eccoci di nuovo a rivendicarlo e a voler riprenderglielo, come si dice, dalle mani, dopo averlo fatto volontariamente, a quanto sembra, padrone di esso. E così è di tutto il resto.

    3. Bella maniera di cercare l’amore di Dio! E poi lo vogliamo subito a piene mani, come suol dirsi. Mantenere le nostre affezioni (visto che non cerchiamo di mettere in pratica i nostri desideri per non riuscire ad elevarli dalla terra) e, ciò nonostante, pretendere molte consolazioni spirituali, è assurdo; non mi sembra, infatti, che una cosa sia compatibile con l’altra. Pertanto, poiché non riusciamo a darci totalmente a Dio, anche l’elargizione di questo tesoro non è totale. Piaccia al Signore che Sua Maestà vada donandocelo a goccia a goccia, dovesse pur costarci tutte le sofferenze del mondo!

    4. Grande misericordia egli usa a colui al quale dona la grazia e il coraggio di risolversi ad acquistare con tutte le sue forze questo bene perché, se persevera nella sua risoluzione, Dio, che non nega a nessuno il suo aiuto, a poco a poco renderà il suo coraggio capace di conseguire la vittoria. Dico coraggio, essendo innumerevoli gli ostacoli frapposti all’inizio dal demonio per impedire che s’intraprenda di fatto questa via, come chi conosce il danno che gliene viene, non solo per la perdita di quell’anima, ma di molte. Se, infatti, chi comincia a darsi all’orazione si sforza, con il favore divino, di raggiungere la vetta della perfezione, credo che non entrerà mai solo in cielo, ma traendosi dietro molta gente, come un buon capitano a cui Dio abbia affidato la sua compagnia. Perciò il demonio gli pone innanzi tanti pericoli e difficoltà che ha bisogno di non poco coraggio per non tornare indietro e, inoltre, di un grandissimo aiuto di Dio.

     

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    Coordin.
    00 09/08/2013 16:33
    5. Parlando ora degli inizi di coloro che sono ormai decisi a perseguire questo bene e a conquistarlo (delle altre cose di cui avevo cominciato a dire circa la teologia mistica – credo che si chiami così – parlerò più avanti): in questi inizi sta proprio la maggior fatica, perché qui è dove si deve lavorare, anche se il Signore fornisce i mezzi per farlo, mentre negli altri gradi di orazione predomina il godimento, sebbene tutti, siano essi al principio, a metà o alla fine, portino le loro croci, per quanto diverse. Questo cammino, già percorso da Gesù Cristo, devono percorrere coloro che lo seguono, se non vogliono perdersi. E benedette queste croci che anche qui, in vita, ci vengono ripagate in sovrappiù!
    6. Dovrò servirmi di qualche paragone, anche se, essendo donna, vorrei evitarli e scrivere semplicemente quello che mi hanno comandato, ma è così difficile esprimersi in questo linguaggio spirituale per chi, come me, non ha istruzione, che dovrò cercare di aiutarmi in qualche modo. Potrà darsi che il più delle volte non riesca a far calzare il paragone; vuol dire che servirà da passatempo alla signoria vostra il costatare la mia grande balordaggine. Mi sembra d’aver letto o udito il paragone che segue, ma non so dove né a che proposito, perché ho una cattiva memoria; è utile, però, al mio caso. Chi comincia deve pensare di cominciare a coltivare, per la gioia del Signore, un giardino in un terreno assai infecondo, pieno di erbacce. Sua Maestà strappa le erbe cattive e vi pianta le buone. Ora, supponiamo che questo sia già fatto quando un’anima si decide per l’orazione e ha cominciato a praticarla; con l’aiuto di Dio dobbiamo, da buoni giardinieri, procurare che quelle piante crescano e aver cura d’innaffiarle, affinché non muoiano e producano fiori di molta fragranza, per ricreare nostro Signore, in modo che venga spesso a dilettarsi in questo giardino e a godersi questi fiori di virtù.
    7. Vediamo ora in che modo si può innaffiare un giardino, per capire cosa dobbiamo fare, se la fatica che ci costerà il nostro impegno sarà maggiore del guadagno e per quanto tempo essa durerà. A me sembra che un giardino si possa innaffiare in quattro modi:
    - o con l’attingere acqua da un pozzo, il che comporta per noi una gran fatica;
    - o con una noria e tubi, tirandola fuori mediante una ruota (io l’ho girata alcune volte), il che è di minor fatica del primo e fa estrarre più acqua;
    - oppure derivandola da un fiume o da un ruscello: con questo sistema si irriga molto meglio, perché la terra resta più impregnata d’acqua, non occorre innaffiarla tanto spesso, e il giardiniere ha molto meno da faticare;
    - oppure a causa di un’abbondante pioggia, in cui è il Signore ad innaffiarla senza alcuna nostra fatica, sistema senza confronto migliore di tutti quelli di cui ho parlato.
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    Coordin.
    00 09/08/2013 16:34
    8. Ora, l’attuazione, in pratica, di queste quattro maniere di attingere l’acqua con cui si deve alimentare il nostro giardino, che senz’acqua andrebbe in rovina, è l’esempio che fa al mio caso. Mi pare che potrà chiarire qualcosa circa i quattro gradi d’orazione attraverso i quali il Signore, per sua bontà, ha fatto passare alcune volte la mia anima. Piaccia a lui, per tale bontà, che io riesca ad esprimermi in modo da giovare a una delle persone che hanno ordinato questo scritto. Il Signore lo ha condotto in quattro mesi molto più avanti del punto a cui ero giunta io in diciassette anni. Vi si è disposto meglio di me, e così irriga senza fatica questo giardino con tutte e quattro le acque; anche se l’ultima non gli venga data che a gocce; va però innanzi in modo tale che presto vi si addentrerà ben bene, con l’aiuto del Signore. Se il mio modo di spiegare gli sembrerà insensato, rida pure di me, perché ne avrò piacere.
    9. Coloro che cominciano a fare orazione sono coloro che attingono l’acqua dal pozzo, con grande stento, come detto, dovendo affaticarsi a raccogliere i sensi; il che, essendo questi abituati a divagare, costa grande fatica. È necessario che vadano abituandosi a non curarsi minimamente di vedere o udire nulla, mettendo specialmente in pratica questa noncuranza nelle ore di orazione, a starsene in solitudine e, così appartati, pensare alla loro vita passata (anzi, questo, primi e ultimi, lo devono fare tutti spesso), insistendo più o meno in tale pensiero, come dirò in seguito. In principio, inoltre, dà loro pena il non riuscire a capire se si pentono davvero dei propri peccati, ma sì, se ne pentono, se si decidono a servire Dio con tanta sincerità. Devono cercare di meditare sulla vita di Cristo, e in questa meditazione l’intelletto finisce per stancarsi. Fin qui possiamo avvantaggiarci da noi, s’intende con la grazia di Dio, senza la quale si sa che non possiamo avere nemmeno un buon pensiero. Questo è cominciare ad attingere acqua dal pozzo. Voglia ancor Dio che possa trovarsene, ma almeno cerchiamo, da parte nostra, di andare ad attingerla e di fare tutto il possibile per innaffiare i fiori. Dio è così buono che anche quando, per motivi che Sua Maestà solo conosce – forse di gran vantaggio per noi – permette che il pozzo sia secco, se noi facciamo ciò che dobbiamo fare da buoni giardinieri, senz’acqua alimenterà i fiori e farà crescere le virtù. Chiamo qui «acqua» le lacrime e, in mancanza di queste, la tenerezza e il sentimento interiore di devozione.
    10. Che deve, dunque, fare colui che da molti giorni non vede in sé altro che aridità, noia, ripugnanza, e tale mala voglia di andare ad attingere acqua, che se non ricordasse di far piacere e di rendere servizio al Signore del giardino e non si adoperasse a non perdere tutto ciò che spera di guadagnare con la grande fatica che costa gettare molte volte il secchio nel pozzo e tirarlo fuori senz’acqua, abbandonerebbe tutto? Gli accadrà spesso di non poter neppure alzare le braccia per far questo, né di avere un buon pensiero, poiché resta inteso che trarre l’acqua dal pozzo equivale a lavorare con l’intelletto. Allora, come dico, che farà in questo caso il giardiniere? Dovrà rallegrarsi, consolarsi e stimare come una grazia straordinaria il poter lavorare nel giardino di così grande imperatore. E poiché sa che con quel lavoro lo accontenta, e il suo intento non dev’essere quello di accontentare se stesso, ma Dio, gli renda gran lode per la fiducia che ripone in lui, avendo visto che senza alcuna paga fa tanta attenzione a ciò che gli è stato raccomandato, e lo aiuti a portare la croce, pensando che nella croce egli visse sempre. Non cerchi, del resto, quaggiù il suo regno né abbandoni mai l’orazione, deciso, anche se questa aridità debba durargli tutta la vita, a non lasciar cadere Cristo sotto il peso della croce. Verrà tempo che sarà ricompensato di tutto; non tema che il suo lavoro vada perduto; serve un buon padrone che lo sta guardando; non faccia caso dei cattivi pensieri; pensi che il demonio li faceva nascere anche a san Girolamo nel deserto.
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    00 09/08/2013 16:34
    11. Hanno però il loro premio queste fatiche, che so quanto siano gravi (come chi le ha sopportate molti anni, tanto che quando tiravo fuori una goccia d’acqua da questo benedetto pozzo, pensavo che Dio mi aveva fatto una vera grazia), e che mi sembrano richiedere più coraggio di quel che ci vuole per molte altre traversie del mondo. Ma ho visto chiaramente che Dio le ricompensa sempre ampiamente anche in questa vita. Sì, è così, non v’è dubbio: infatti, con un’ora sola delle dolcezze che egli mi ha poi concesso quaggiù di sé, mi sembra che restino ricompensate tutte le angosce lungamente sofferte per durare nell’orazione. Sono convinta che il Signore voglia dare alcune volte al principio, e altre alla fine, questi tormenti e le molte e varie specie di tentazioni che si presentano, per mettere alla prova coloro che lo amano e vedere se sapranno bere il suo calice e aiutarlo a portare la croce, prima di arricchirne l’anima con grandi tesori. E credo che per il nostro bene Sua Maestà voglia condurci attraverso queste prove, per farci capire che siamo ben poca cosa. Sono tanto sublimi le grazie che dopo ci concederà, che vuole farci vedere, prima di darcele, le nostre miserie per esperienza diretta, affinché non ci accada ciò che avvenne a Lucifero.
    12. Che fate, Signor mio, che non sia per il maggior bene dell’anima che già sapete vostra, e che si sottomette a voi per seguirvi dovunque andiate, fino a morire sulla croce, decisa ad aiutarvi a portarla e a non lasciarvi solo con essa? Se ci si renderà conto di avere in sé questa determinazione, non c’è proprio di che temere, né vi è alcuna ragione di affliggersi, anime spirituali; una volta che ci si ponga in così alto grado com’è quello di voler trattare da sole a solo con Dio e abbandonare i passatempi del mondo, il più è fatto. Ringraziatene Sua Maestà e confidate nella sua bontà, che non è mai venuta meno ai suoi amici. Non vogliate indagare perché conceda tanta devozione a chi lo serve da molti anni. Teniamo per certo che tutto è per il nostro bene. Sua Maestà ci conduca dove voglia; ormai non apparteniamo più a noi stesse, ma a lui. Ci usa una grande misericordia nel permetterci di voler scavare nel suo giardino e star vicino al padrone di esso, che è sempre presso di noi. Se egli vuole che queste piante e questi fiori germoglino, alcuni con l’acqua attinta dal pozzo, altri senza di essa, che importa? Fate, o Signore, ciò che volete, purché io non abbia più ad offendervi né a perdere le mie virtù, se, unicamente per vostra bontà, me ne abbiate data qualcuna. Io voglio patire, Signore, perché voi patire; si adempia in me, pertanto, la vostra volontà, e non permetta la Maestà Vostra che un tesoro di così grande pregio come il vostro amore sia dato a chi vi serve solo per averne consolazioni.
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    00 09/08/2013 16:34
    13. Si deve notar bene – e lo dico perché lo so per esperienza – che l’anima la quale comincia a inoltrarsi risolutamente in questa via dell’orazione mentale e può riuscire a non far molto caso né delle consolazioni né degli sconforti che prova quando il Signore le concede o le nega questi piaceri e queste tenerezze, ha già percorso gran parte del cammino. Non tema di dover tornare indietro, per quanto possa inciampare, perché ha cominciato a erigere il suo edificio su salde fondamenta. È certo che l’amore di Dio non consiste nel versare lacrime né nel provare questi piaceri e tenerezze – che comunemente desideriamo e con i quali ci consoliamo – ma nel servire Dio con giustizia, con fortezza d’animo e umiltà. Ricevere di più mi sembra lo stesso che non dar nulla da parte nostra.
    14. Per donnicciole come sono io, deboli e con scarsa fermezza, mi sembra che convenga, come Dio fa ora con me, favorirle di molti doni, affinché possano sopportare alcune tribolazioni a cui Sua Maestà ha voluto sottoporle; ma quando vedo che servi di Dio, uomini importanti, di cultura, d’intelligenza, fanno caso del fatto che Dio non concede loro devozione, è una cosa che solo a sentirla mi dà fastidio. Non dico che non debbano accettarla, se Dio gliela dà, e farne gran conto, perché significa che Sua Maestà ha ritenuto conveniente dargliela; ma dico che quando non l’hanno, non se ne affliggano e capiscano che non è necessaria, visto che Sua Maestà non la dà, e sappiano essere padroni di se stessi. Tengano per certo che questo è un errore – io l’ho visto e provato – e siano ben convinti che procedere nell’azione senza libertà di spirito e con animo debole è una imperfezione.
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    00 09/08/2013 16:35
    15. Questo non lo dico tanto per coloro che cominciano (anche se vi annetto grande importanza, essendo di grande vantaggio cominciare con questa libertà e determinazione), ma per gli altri, poiché ve ne saranno molti che hanno cominciato da un pezzo e non riescono mai a finire. Credo che il non aver abbracciato la croce fin da principio è in gran parte la causa che li rende afflitti, sembrando loro di non far nulla. Non possono sopportare che l’intelletto cessi di operare, mentre forse proprio allora aumenta e prende forza la volontà, ed essi non se ne accorgono. Dobbiamo pensare che il Signore non bada a queste cose le quali, anche se a noi sembrano colpe, non lo sono: Sua Maestà conosce bene la nostra miseria e l’inferiorità della nostra natura, molto meglio di noi stessi, e sa anche che queste anime desiderano solo pensare sempre a lui e amarlo. Questa è appunto la determinazione che egli vuole; quanto all’afflizione che noi ci procuriamo, non serve ad altro che a turbare l’anima la quale, se prima doveva rimanere un’ora senza trar profitto dall’orazione, adesso ne sarà incapace per lo spazio di quattro ore. Moltissime volte (io ne ho grandissima esperienza e so quanto sia vero per averci fatto particolare attenzione e averne parlato in seguito con persone spirituali) dipende da indisposizione fisica, poiché siamo così miserevoli, che questa povera anima partecipa delle miserie del corpo, di cui è come una piccola prigioniera; i cambiamenti di stagione, il mutamento degli umori fanno sì che molte volte, senza sua colpa, essa non possa far ciò che vuole e soffra ogni genere di patimenti. E quanto più, in tali circostanze, si voglia farle forza, tanto peggio è, perché il male dura più a lungo. Bisogna, invece, aver discrezione per capire quando dipende da queste cause e non opprimere la povera anima. Rendiamoci conto d’essere ammalati; si cambi l’ora dell’orazione, e molte volte per vari giorni, si sopporti come meglio si può questo esilio, perché è una grande disgrazia, per un’anima che ama Dio, vedersi vivere in questa miseria e non poter fare ciò che vuole, per il fatto di avere un ospite così cattivo com’è questo nostro corpo.
    16. Ho detto «con discrezione», perché qualche volta sarà opera del demonio; pertanto, è bene non lasciare del tutto l’orazione, quando l’intelletto sia molto distratto e turbato, né tormentare di continuo l’anima costringendola a ciò che non può fare. Ci sono altre pratiche esteriori, come le opere di carità e la lettura, anche se a volte non si sarà disposti neppure a questo. Allora l’anima serva il corpo per amore di Dio, affinché sia poi esso a servire l’anima più spesso, e si prenda qualche onesto passatempo di conversazioni – che siano sante conversazioni – o faccia ricorso alla campagna, secondo quello che le consiglierà il confessore. In tutto ha molta importanza l’esperienza che fa conoscere ciò che ci conviene, e in tutto si serve Dio. Il suo giogo è soave ed è di gran guadagno non trascinare l’anima a viva forza, come si dice, ma guidarla con la soavità di tale giogo, per il suo maggior profitto.

    17. Perciò ripeto il consiglio già dato – e anche se lo dico molte volte è poco male –, che ha grande importanza, che nessuno si tormenti né si affligga per aridità, inquietudini e distrazioni di pensieri. Se vuole conquistare la libertà dello spirito e non essere sempre pieno di tribolazioni, cominci a non aver paura della croce, e vedrà come anche il Signore l’aiuterà lui a portarla, e la gioia con cui procederà, e il profitto che trarrà da tutto, perché è evidente che se il pozzo non dà acqua, noi non possiamo mettercela. È altrettanto vero, però, che non dobbiamo distrarci, affinché, quando l’acqua ci sia, provvediamo ad attingerla, perché allora Dio vuole, con questo mezzo, moltiplicare ormai in noi le virtù.
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    00 09/08/2013 16:35
    CAPITOLO 12
    Prosegue a parlare di questo primo stato. Dice fin dove possiamo arrivare da noi stessi, con l’aiuto di Dio, e il danno di voler elevare lo spirito a cose soprannaturali, prima che lo faccia il Signore.
    1. Ciò che nel capitolo precedente ho cercato di far capire, sebbene abbia molto divagato in altre cose che mi sembravano particolarmente necessarie, è fino a che punto possiamo arrivare da noi, e come in questo primo grado d’orazione possiamo aiutarci un po’. Infatti, pensando e riflettendo a ciò che il Signore ha sofferto per noi, ci sentiamo muovere a compassione; ed è piacevole questa pena, come anche le lacrime che ne derivano, perché il pensiero della gloria che speriamo, dell’amore che il Signore ci ha portato e della sua risurrezione, ci suscita un godimento che non è del tutto spirituale né del tutto sensitivo, ma un godimento virtuoso, e la pena assai meritoria. Di tal genere sono tutte le cose che suscitano una devozione, al cui acquisto si giunge, in parte, con l’intelletto, benché, se Dio non la concede, non si possa meritarla né conseguirla. Conviene particolarmente a un’anima che egli non abbia portato più su di qui, non cercar di salire da sé – si badi molto a questa raccomandazione – perché non ne trarrebbe altro frutto che danno.
    2. In questo stato l’anima può fare molti atti per risolversi a servire bene il Signore e risvegliare il proprio amore per lui; altri ancora può farne per aiutare l’aumento delle virtù, in conformità di ciò che dice un libro intitolato Arte di servire Dio, molto buono e adatto per coloro che si trovano in questo stato, in cui opera l’intelletto. S’immagini di trovarsi dinanzi al Cristo, cerchi d’innamorarsi della sua sacra umanità, tenendola sempre presente, di parlare con lui, chiedergli aiuto nel bisogno, piangendo con lui nel dolore, rallegrarsi con lui nelle gioie, senza dimenticarlo mai a causa di esse e senza andare in cerca di orazioni studiate, ma servendosi di parole che rispondano ai propri desideri e alle proprie necessità. È un metodo eccellente per far profitto, in brevissimo tempo. Chi si adopera a vivere in così preziosa compagnia e ad avvantaggiarsene il più possibile, amando veramente questo nostro Signore, a cui tanto dobbiamo, costui, a mio parere, è già molto progredito.
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    Coordin.
    00 09/08/2013 16:36
    3. Per questo, come ho già detto, non dobbiamo preoccuparci affatto di non sentire devozione, ma ringraziare il Signore che ci permette di essere desiderosi di accontentarlo, anche se le nostre opere sono fiacche. Questo modo di portar Cristo in noi giova in ogni stato ed è un mezzo sicurissimo per trar profitto dal primo grado di orazione e giungere in breve tempo al secondo, nonché per essere negli ultimi al sicuro dai pericoli ai quali può esporci il demonio.
    4. Ebbene, ciò è quanto possiamo fare da noi. Se qualcuno volesse procedere oltre ed elevare lo spirito ad assaporare dolcezze che ivi non gli si offrono, ciò equivale, a mio parere, a perder l’una e l’altra cosa, perché si tratta di dolcezze soprannaturali; e se viene meno l’intelletto, l’anima resta vuota e del tutto arida. Poiché questo edificio dev’essere interamente fondato sull’umiltà, quanto più ci avviciniamo a Dio, tanto più dobbiamo progredire in queste virtù, altrimenti va tutto perduto. E sembra in certo modo superbia che noi si voglia salire più in alto, perché Dio fa già troppo, per quello che siamo, ad avvicinarci a sé. Non si deve intendere con ciò che io mi riferisca all’elevarsi con il pensiero a meditare su cose alte del cielo o di Dio, sulle meraviglie che ci sono là, e sulla grande sua sapienza; perché anche se io non l’ho mai fatto (non ne ero capace, come ho detto, e mi sentivo tanto miserabile che, con l’aiuto di Dio, riuscivo a capire come il solo pensare alle bellezze della terra fosse non poco ardire, tanto più a quelle del cielo), altre persone possono giovarsene, specialmente se sono istruite; il che, a mio parere, è un gran tesoro, per questo esercizio, quando l’istruzione è unita all’umiltà. Pochi giorni fa l’ho costatato in alcuni studiosi i quali, pur avendo cominciato di recente l’orazione, hanno fatto in essa grandi passi, e ciò mi ispira un ardente desiderio che siano molti a dedicarsi alla vita spirituale, come dirò più avanti.
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    Coordin.
    00 09/08/2013 16:36
    5. Ora, quand’io dico: «non s’innalzino finché Dio non li innalzi», uso un linguaggio spirituale; chi ne abbia qualche esperienza mi capirà, poiché non so dirlo altrimenti se non si riesce a capirlo così. Nello stato di teologia mistica di cui ho fatto cenno, l’intelletto cessa di operare, perché Dio ne sospende l’esercizio, come spiegherò meglio in seguito, se lo saprò fare e s’egli mi darà il suo aiuto a tal fine. Presumere o pensare di sospenderlo noi, è ciò che dico che non si deve fare, come non si deve cessare di operare con esso, perché diversamente resteremo freddi e istupiditi e non faremo né una cosa né l’altra, mentre quando è il Signore a sospenderlo e a fermarlo, gli dà lui stesso di che occuparsi e contemplare, e fa sì che, senza il ricorso alla ragione, intenda nello spazio di un Credo più di quel che noi possiamo intendere con tutte le nostre umane diligenze nel corso di molti anni. Ma pretendere di occupare da noi stesse le potenze dell’anima e di arrestarne l’attività, è una pazzia. E ripeto che, pur facendolo inavvertitamente, è segno di poca umiltà; anche se non c’è colpa, la pena c’è, perché sarà una fatica inutile e l’anima rimarrà con una certa amarezza, come chi, disponendosi a spiccare un salto, si sente afferrare dietro e vede che, dopo aver impegnato tutte le sue forze, si ritrova senza aver fatto nulla di ciò che voleva. Nello scarso profitto ricavato vedrà, chi voglia riflettere, che la causa è quella piccola mancanza di umiltà di cui ho parlato, perché ha questo di eccellente tale virtù, che non c’è azione a cui essa si accompagni che lasci l’anima afflitta. Mi sembra di essermi spiegata, ma forse sarà solo per me. Il Signore apra gli occhi a quelli che leggeranno il mio scritto e, per poca esperienza che abbiano, lo capiranno subito.
    6. Ho trascorso vari anni leggendo molte cose senza intendere nulla di esse, e gran tempo in cui, anche se Dio mi concedeva di capire, non sapevo dir nulla per far capire a mia volta le stesse cose, e questo mi è costato non poco tormento. Ma quando Sua Maestà lo vuole, in un attimo insegna tutto, in modo che se ne rimane sbigottiti. In verità debbo dire una cosa; che, pur parlando con molte persone spirituali le quali si adoperavano a spiegarmi ciò che il Signore mi concedeva, perché lo sapessi esporre, era così grande la mia ottusità, che non me ne giovavo né molto né poco, o così voleva il Signore, perché non dovessi essere grata a nessuno se non a lui, essendo sempre stato Sua Maestà il mio maestro (sia egli di tutto benedetto! Mi è causa di grande confusione dire questo, ma è la pura verità). Senza che lo volessi né lo chiedessi (perché a questo riguardo, in cui sarebbe stata una virtù esser curiosa, non lo fui mai, bensì lo fui di altre cose del tutto vane), Dio in un attimo mi fece capire ogni suo favore con assoluta chiarezza, e mi diede la capacità di saperlo dire in modo tale che i miei confessori ne rimanevano stupiti ed io più di loro, perché meglio di loro conoscevo la mia ottusità. Questa grazia l’ho ricevuta da poco, ragion per cui non cerco più di apprendere ciò che il Signore non mi ha insegnato, tranne che non si tratti di cosa che riguardi la mia coscienza.
    7. Ritorno ancora una volta ad avvertire quanto importi non elevare lo spirito se Dio non lo eleva, cosa che, quando avviene, s’intende subito. Altrimenti il pericolo è grave, specialmente per le donne, nel cui animo il demonio potrà far sorgere qualche illusione, benché sia convinta che il Signore non gli permetterà mai di rovinare chi cerca di avvicinarsi a lui con umiltà; anzi questi trarrà maggior profitto e guadagno proprio da ciò con cui il demonio ne desiderava vivamente la perdita. Mi sono dilungata tanto per il fatto che questa via dei principianti è la più battuta, e i consigli che ho dato sono molto importanti. Altri ne avranno trattato molto meglio di me, lo ammetto, e confesso di aver scritto con grande confusione e vergogna, anche se non con tutta quella che avrei dovuto avere. Sia benedetto il Signore che vuole e permette che una persona come me parli di cose sue così alte e sublimi.
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    00 09/08/2013 16:37
    CAPITOLO 13
    Continua a parlare di questo primo stato e dà consigli per vincere alcune tentazioni a cui talvolta il demonio suole esporci. Mette in guardia contro di esse. È un capitolo molto utile.
    1. Mi è sembrato opportuno parlare di alcune tentazioni che, come ho visto, si provano agli inizi – e qualche volta le ho avute anch’io – e dare alcuni consigli che mi sembrano necessari in proposito. Agli inizi, dunque, bisogna cercare di procedere con allegrezza e libertà di spirito, mentre alcune persone credono di dover perdere la devozione, se si distraggono un po’. È bene, sì, procedere temendo di sé, per non esporsi poco o molto a occasioni che offrono generalmente motivo di offendere Dio, precauzione indispensabile fino a quando non si è ben saldi nella virtù; e non sono molti ad esserlo tanto da potersi impunemente trascurare in occasioni che assecondano la loro indole. È sempre bene, finché viviamo, se non altro per umiltà, riconoscere la nostra misera natura, ma ci sono molte circostanze in cui – come ho detto – è ammesso prendersi una distrazione, anche per ritornare corroborati all’orazione. Occorre discrezione in tutto.
    2. Bisogna avere grande fiducia, perché quello che giova molto non è limitare i nostri desideri, ma credere che con l’aiuto di Dio, impegnandoci a fondo, a poco a poco, anche se non subito, potremo arrivare dove arrivarono molti santi i quali, se non si fossero indotti a tali desideri e non avessero cercato a poco a poco di realizzarli, non sarebbero mai ascesi a uno stato così sublime. Sua Maestà vuole e ama le anime coraggiose, purché procedano con umiltà e diffidino di sé. Non ho mai visto nessuna di esse restare indietro nel cammino della perfezione, né ho mai visto nessuna anima codarda – sia pure ammantata di umiltà – fare in molti anni il cammino che le altre fanno in pochissimo tempo. Mi stupisce quanto profitto si ottenga in questa via con l’animarsi a grandi cose; anche se lì per lì l’anima non ne abbia le forze, spicca il volo e arriva molto in alto, pur stanca e a poco a poco, come l’uccellino di primo pelo.
    3. Tempo addietro pensavo molto spesso a ciò che dice san Paolo: che in Dio si può tutto. Ben capivo che da me non potevo nulla. Questo mi giovò molto; e così pure quanto dice sant’Agostino: «Dammi, Signore, ciò che comandi e comanda ciò che vuoi». Molte volte pensavo che san Pietro non aveva perduto nulla gettandosi in mare, anche se dopo ne ebbe paura. Queste prime risoluzioni sono gran cosa, quantunque in questo primo stato occorra procedere con più cautela che negli altri, e ligi al prudente consiglio di un maestro, badando, però, che sia tale da non insegnarci a camminare come tartarughe e da accontentarci che l’anima si mostri capace solo di cacciar lucertoline. L’umiltà sia sempre tenuta presente, per rendersi conto che tali forze non possono provenire da noi.
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