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CAPITOLO 6
Ove si dice quanto Teresa fu debitrice al Signore per averle dato la rassegnazione nelle sue grandi sofferenze, come ella prese per mediatore e avvocato il glorioso san Giuseppe e quanto ciò le giovò.
1. Dopo quei quattro giorni di crisi, rimasi in tale stato che solo il Signore può conoscere gli insostenibili tormenti di cui soffrivo: mi sentivo la lingua a pezzi a furia di mordermela, la gola chiusa da soffocarmi per non aver inghiottito nulla e per la grande debolezza, così che neanche l’acqua poteva passarvi; mi pareva di essere tutta slogata, con un grandissimo stordimento; tutta rattrappita, diventata come un gomitolo – perché tale fu il risultato del tormento di quei giorni –, senza poter muovere, se non mi aiutavano gli altri, né piede, né mano, né testa, neanche fossi stata morta; mi pare che potessi muovere solo un dito della mano destra. Per di più non si sapeva come aiutarmi perché tutto il corpo mi doleva tanto da non poter sopportare d’essere toccata. Se mi dovevano spostare, mi muovevano in due persone, dentro un lenzuolo, l’una da capo e l’altra da piedi. Rimasi n questo stato fino alla Pasqua di risurrezione. C’era di buono solo il fatto che, quando mi lasciavano in pace, spesso i dolori cessavano, e quel po’ di riposo bastava per farmi credere di star bene, temendo che mi dovesse venir meno la pazienza. Perciò fui molto felice quando mi sentii libera da così acuti e continui dolori, anche se i brividi di freddo della quartana doppia, che mi perdurava fortissima, erano insopportabili. Avevo, inoltre, una grandissima nausea.
2. Sollecitai subito con tanta insistenza il mio ritorno al monastero, che fui ricondotta lì. Così accolsero viva colei che aspettavano morta, ma il corpo era peggio che morto, da far pena a vederlo. Indicibile il punto di magrezza a cui ero giunta: non mi erano rimaste che le ossa. Durai in questo stato più di otto mesi; il rattrappimento, anche se andava migliorando, continuò per quasi tre anni. Sopportai tutto con grande rassegnazione e, tranne nei primi tempi, con grande gioia, perché ogni cosa mi sembrava un nonnulla, paragonata ai dolori e ai tormenti sofferti prima; ero molto rassegnata al volere di Dio, anche se avesse dovuto lasciarmi sempre in quello stato. Mi sembra che tutta la mia ansia di guarire fosse dovuta al desiderio di stare da sola in orazione, com’era mia abitudine, cosa che in infermeria non potevo fare. Mi confessavo assai spesso. Parlavo molto di Dio, così che tutte ne restavano edificate e si stupivano della pazienza che il Signore mi concedeva, giacché sembrava impossibile, senza l’aiuto di Sua Maestà, che io potessi sopportare tanto male con tanta gioia.