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8. Di fronte a questo bel guadagno, mio padre mi ricondusse a casa, dove tornarono a visitarmi i medici. Tutti mi diedero per spacciata perché dicevano che, oltre a tutto il resto, ero anche tisica. Di ciò m’importava poco; i dolori erano il mio tormento, perché li avevo in tutto il corpo, dalla testa ai piedi; quelli dei nervi sono intollerabili, a detta dei medici, e siccome i miei nervi si rattrappivano tutti, certamente – se io non ne avessi perduto il merito per colpa mia – sarebbe stato un duro ma meritorio tormento. Rimasi in questo grave stato circa tre mesi, durante i quali mi pareva impossibile che si potessero sopportare tanti mali insieme. Ora me ne stupisco e ritengo come una somma grazia del Signore la pazienza che egli mi diede, perché si vedeva chiaramente che mi veniva da lui. Mi giovò molto in questo l’aver cominciato a far orazione e l’aver letto la storia di Giobbe nei Moralia di san Gregorio, con la quale il Signore volle forse prevenirmi, affinché io potessi sopportare tutto con rassegnazione. Il mio colloquio era sempre con lui; pensavo spesso, ripetendole, a queste parole di Giobbe: Se abbiamo ricevuto i beni dalla mano del Signore, perché non ne accetteremo anche i mali?. E mi sembrava che mi dessero coraggio.
9. Giunse la festa della Madonna di agosto; il mio tormento durava dall’aprile ed era stato assai maggiore negli ultimi tre mesi. Sollecitai la confessione, perché amavo sempre molto confessarmi spesso. Pensarono che tale richiesta fosse dovuta alla paura di morire e mio padre non mi lasciò confessare per non darmi altro dolore. Oh, esagerato amore della carne che, quantunque si trattasse dell’amore di un padre cattolico fervente – lo era infatti molto, e la sua non certo ignoranza –, avrebbe potuto arrecarmi un grave danno! Quella notte ebbi una crisi che mi fece restare fuori dei sensi quattro giorni o poco meno. In questo frattempo, mi amministrarono il sacramento dell’unzione e, pensando che spirassi da un momento all’altro, non facevano che indurmi a recitare il Credo, come se io potessi capire qualcosa. A volte, dovettero ritenermi proprio morta, tanto che dopo mi trovai perfino la cera sugli occhi.
10. Il dolore di mio padre per non avermi fatto confessare era grande; molte le sue lacrime e le sue preghiere. Benedetto sia colui che si degnò di ascoltarle! Quando già da un giorno e mezzo, infatti, nel monastero era aperta la mia sepoltura in attesa della salma, e in un convento dei nostri frati fuori di città era stato celebrato l’ufficio dei defunti, il Signore si compiacque di farmi riprendere conoscenza. Volli subito confessarmi e mi comunicai con molte lacrime; esse, però, a mio giudizio, non provenivano solo dal dolore e dal pentimento di avere offeso Dio, il che sarebbe bastato a salvarmi, se non bastava il fatto di essere stata tratta in inganno da coloro che mi avevano detto come alcune colpe non fossero peccati mortali, mentre poi ho visto con certezza che lo erano. Continuavo infatti ad avere dolori insostenibili, tanto da perdere spesso la conoscenza, anche se credo di aver fatto una confessione completa, accusandomi di tutto ciò in cui capivo d’aver offeso Dio, giacché Sua Maestà, fra le altre grazie, mi ha concesso anche quella di non aver mai tralasciato di confessare, dopo la mia prima comunione, alcuna cosa che credessi peccato, sia pure veniale. Ma, senza dubbio, la mia salvezza sarebbe stata molto in pericolo, se fossi morta allora, sia per il fatto che i confessori erano ben poco istruiti, sia perché io ero una miserabile, sia per molte altre ragioni.
11. È la pura verità se dico che, giunta a questo punto e considerando come il Signore mi abbia quasi risuscitata, mi sembra d’essere così sbigottita da stare quasi tremando dentro di me. Mi pare che sarebbe stato bene, anima mia, che tu considerassi il pericolo da cui il Signore ti aveva liberato, e se l’amore non bastava a farti cessare di offenderlo, avresti almeno dovuto farlo per timore, potendo egli mille altre volte darti la morte in occasioni più pericolose. Credo di non esagerare molto nel dire «mille altre volte» anche se chi mi ha imposto di essere moderata nel parlare dei miei peccati, debba rimproverarmene: sono già abbastanza abbelliti. Io lo prego per amore di Dio di non togliere nulla di quanto riguarda le mie colpe, poiché in esse si vedono di più la magnificenza di Dio e la sua pazienza verso un’anima. Sia egli per sempre benedetto! Piaccia a Sua Maestà che io muoia piuttosto che cessare mai d’amarlo!