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Ma, fin dall'inizio, i cristiani, da un lato per assicurarsi uno spazio di libertà, dall'altro per sottolineare l'assoluta novità della loro esperienza,usavano gli strumenti giuridici messi a disposizione dall'ordinamento romano statale; innanzitutto, il "collegium religionis causa", una sorta di figura associativa, attraverso la quale essi aprivano e gestivano scuole, ospedali e banche

Identica cosa accadeva nel linguaggio usato (Ecclesia). I primi, pur stretti intorno al tesoro che ciascuno di essi aveva avuto la fortuna di incontrare, vivono immersi nel mondo, conducendo una vita ordinaria, seppur diversa, più piena; perfettamente integrati, secondo la studiosa Marta Sordi, nella vita civile, militare e politica. Non si preoccupano di distruggere l'istituto della schiavitù, per esempio, ma Paolo, rimandando Onesimo a Filemone, suo "padrone", dopo la fuga, lo definisce "fratello", né si preoccupano di riformare i costumi. Essi rispettano l'imperatore, le leggi, ben sapendo che non sono le battaglie di idee a cambiare l'uomo, ed a renderlo felice. Anzi, consapevoli che, per poter liberamente incontrare altri uomini, era necessario rispettare chi aveva il potere; la comunità cristiana, nella sua libertà e autentico realismo, non disdegnò la protezione politica, le donazioni, tutte le forme di tutela loro concesse. 

Il rapporto con lo stato è stato sempre improntato ad un pragmatismo, che nasce dal sano realismo; solo quando gli imperatori hanno preteso di inteferire nelle questioni di fede, imponendo il culto e l'adorazione alle loro persone, scattava l'opposizione, il rifiuto drastico. I martiri sono, pertanto, persone che, ben consapevoli del loro vero bene, vanno incontro alla morte più atroce, non come "fanatici" (così definiti da certa storiografia), ma come chi, dopo aver sperimentato il centuplo sulla terra, va incontro alla felicità senza fine. 

Abbiamo numerose testimonianze dagli atti dei martiri, soprattutto dalle lettere che Ignazio di Antiochia, nel viaggio verso Roma, in catene, scriveva alle comunità che incontrava sul suo cammino. Fanciulle giovanissime, bambini, donne e uomini di ogni rango, ci hanno lasciato commoventi testimonianze e accanto alle loro tombe sempre i fedeli hanno continuato a voler farsi seppellire. Le catacombe, infatti, non erano, come comunemente si crede, il luogo di ritrovo dei cristiani, ma semplicemente, i cimiteri, messi a loro disposizione, spesso insieme ai pagani, per seppellire i "loro" amici. Famoso, il terreno donato dalla nobile Domitilla, oggi catacomba visitabile, presso il quale spesso i cristiani si ritrovavano per venerare i morti, i santi, e anche per celebrare l'eucaristia.

Del realismo cristiano è testimone la reazione di Agostino, Vescovo di Ippona, allorquando apprende che i barbari sono alle porte (Socci). Il suo distacco nasce dal fatto che qualcosa d'Altro riempie la sua vita, qualcosa, o meglio Qualcuno reale e concreto, che non gli può essere tolto da rivolgimenti politici, che dà gioia e senso anche alla fine di un mondo. Identico realismo soggiace al comportamento "politico", improntato ad una "Libertas ecclesiae", che è cosa ben diversa da una semplice libertà religiosa, o libertà di associazione (la stessa differenza che passa tra un'idea ed un fatto); è molto di più: essi, essendo soddisfatti del continuo dono di Grazia, e dalla felicità che Cristo dà loro, vogliono semplicemente goderselo. 


Per approfondire: 
SOCCI Antonio, Tutti gli amici del senatore a fine impero. Roma, i cristiani dell'anno 380, in Il Sabato, 28.8.1993, n. 35, p. 46s. 
SORDI Marta, I Cristiani e l'Impero Romano, Jaca Book, Milano 1995