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LA NOTTE OSCURA (s.Giovanni della Croce)

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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:38
    CAPITOLO 14
    1. Questa sorte fortunata è stata tale a motivo di quello che l’anima dice immediatamente dopo, nei versi successivi: uscii, né fui notata, / stando la mia casa al sonno abbandonata. Qui viene adoperata una metafora. Per meglio realizzare il suo progetto, l’anima esce nottetempo di casa, al buio, mentre tutti sono addormentati così che nessuno possa frapporle alcun ostacolo. Per compiere un atto così eroico e straordinario, come quello di unirsi con il suo Amato divino, l’anima deve, dunque, uscire fuori, perché l’Amato si trova solo fuori, nella solitudine. Per questo, anche la sposa del Cantico, che desiderava incontrarlo da solo, diceva: Oh, se tu fossi mio fratello… trovandoti fuori ti potrei baciare e nessuno potrebbe disprezzarmi! (Ct 8,1). L’anima innamorata, per raggiungere il suo scopo ambito, deve fare altrettanto, cioè uscire di notte, mentre tutti quelli di casa sua sono addormentati e tranquilli, cioè mentre tutte le operazioni imperfette, le passioni e gli appetiti dell’anima sono addormentati e pacificati da questa notte; essi infatti sono quella gente di casa che, se sveglia, disturba sempre l’anima nel raggiungimento di questi beni, opponendosi alla libertà che si prende di fare a meno di tali beni. Questi sono i familiari, di cui parla nostro Signore nel vangelo, dicendoli nemici dell’uomo (Mt 10,36). È opportuno, dunque, che le loro operazioni, come anche i loro movimenti, siano addormentati in questa notte, perché non impediscano all’anima il conseguimento dei beni soprannaturali dell’unione d’amore con Dio, cosa che non può accadere finché sono attivi e operanti. Tutta la loro attività naturale, infatti, è di ostacolo e non di aiuto per ricevere i beni spirituali dell’unione d’amore. Perciò nessuna capacità naturale è in grado di procurare i beni soprannaturali che solo Dio può infondere nell’anima passivamente, segretamente e in silenzio. Occorre, dunque, che tutte le potenze dell’anima restino passive per poter ricevere quest’infusione, senza interporre la loro attività imperfetta e le loro basse inclinazioni.
    2. Pertanto è stata una sorte fortunata per l’anima il fatto che Dio abbia addormentato, durante questa notte, tutta la gente di casa, cioè tutte le sue potenze, le sue passioni, i suoi affetti e i suoi appetiti che vivono nella sua parte sensitiva e spirituale. In questo modo l’anima è potuta uscire senza essere notata, cioè senza venire ostacolata da tali affetti, ecc., che erano addormentati e mortificati in questa notte, nella quale sono stati lasciati al buio perché non potessero osservare né sentire secondo le loro modalità imperfette e naturali e neppure potessero impedire all’anima di uscire da sé e dalla casa della sensualità. È potuta, così, arrivare all’unione spirituale del perfetto amore di Dio.
    3. Che sorte fortunata è per l’anima potersi liberare dalla casa della sensualità! Secondo me, l’anima se ne può fare un’idea esatta solo se è passata per questa esperienza. Essa vede chiaramente in quale infelice schiavitù si trovava e a quante miserie l’assoggettava l’attività delle sue potenze e dei suoi appetiti. Essa conosce, altresì, che la vita dello spirito è la vera vita e il tesoro che racchiude in sé beni inestimabili, come si dirà tra poco nelle strofe che seguono. A quel punto si vedrà più chiaramente quanta ragione abbia l’anima di cantare come una sorte fortunata il passaggio attraverso questa notte terribile di cui si sta parlando.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:38
    CAPITOLO 15
    Seconda strofa
    Al buio e più sicura,
    per la segreta scala, travestita,
    oh, sorte fortunata!,
    al buio e ben celata,
    stando la mia casa al sonno abbandonata.
    Spiegazione
    1. In questa strofa l’anima sta ancora cantando alcune proprietà dell’oscurità della notte, ripetendo i preziosi vantaggi che questa le ha procurato. Descrive poi tali proprietà, rispondendo a un’obiezione implicita, affermando che non si deve pensare che, avendo da attraversare questa notte e oscurità fra tanti tormenti, dubbi, timori e orrori, come ho detto, abbia corso maggior pericolo di perdersi; al contrario, in questa notte oscura ha guadagnato se stessa: si è liberata ed è sfuggita abilmente ai suoi nemici quando le sbarravano il cammino. Col favore delle tenebre di questa notte ha cambiato l’abito e si è travestita con livree di tre colori diversi, come si dirà in seguito. Poi è passata per la segreta scala, cioè quella della fede, all’insaputa delle persone di casa, come dirò più avanti; attraverso di essa è uscita nascosta e ben celata, realizzando così al meglio la sua impresa. Non si dava occasione per muoversi più sicura, particolarmente perché si trovava già in questa notte purificatrice, in cui gli appetiti, gli affetti, le passioni, ecc., della sua anima erano addormentati, mortificati e cancellati; se, invece, fossero stati svegli e attivi, non gliel’avrebbero consentito. Si commenta, dunque, il verso che dice: Al buio e più sicura.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:39
    CAPITOLO 16
    Ove si spiega come l’anima, benché nelle tenebre, avanzi sicura.
    1. Ho già detto che l’oscurità, di cui parla qui l’anima, si riferisce agli appetiti e alle potenze sensitive, interiori e spirituali; tutte, infatti, in questa notte rimangono all’oscuro relativamente alla loro luce naturale, così che, purificate da questa, possano essere illuminate dalla luce soprannaturale. Gli appetiti sensitivi e spirituali sono addormentati e mortificati, non possono gustare cose divine né umane; le affezioni dell’anima, oppresse e soffocate, non possono muoversi verso di esse né trovare appiglio in nulla; l’immaginazione è imbrigliata e incapace di formulare un ragionamento appropriato; la memoria è esaurita; l’intelletto, ottenebrato, non comprende nulla; anche la volontà è arida, oppressa; tutte le potenze sono nel vuoto assoluto e rese inutili; ma più di tutto grava sull’anima una spessa e pesante nube che la tiene nell’angoscia e lontana da Dio. Per questo l’anima dice di camminare al buio e più sicura.
    2. Il motivo di questa situazione è spiegato con molta chiarezza. Abitualmente, l’anima sbaglia solo quando segue i suoi appetiti o le sue inclinazioni, i suoi ragionamenti, le sue conoscenze, le sue affezioni; in questi casi essa pecca per eccesso o per difetto; indulge a cambiamenti o si lascia andare a spropositi; in breve, inclina verso ciò che non conviene. Risulta quindi chiaro che, una volta sospese tutte queste operazioni e questi movimenti, l’anima è al sicuro dal pericolo di seguirli nei loro errori. Non solo si libera da se stessa, ma altresì dagli altri nemici, che sono il mondo e il demonio, i quali, una volta soffocati gli affetti e le operazioni dell’anima, non le possono fare guerra in nessun altro modo.
    3. Per questo, quanto più l’anima si muove, nella notte oscura, libera dalle sue operazioni naturali, tanto più procede sicura. Difatti, come scrive il profeta, la perdizione dell’anima viene da lei medesima – cioè dalle sue operazioni e dagli appetiti interiori e sensitivi – mentre il bene, dice il Signore, solo da me (Os 13,9 Volg.). Così, una volta che l’anima si astiene dalle sue miserie, sarà pronta ad accogliere i beni che l’unione con Dio produrrà nelle sue potenze e facoltà, rendendole divine e celestiali. D’altra parte, fin quando dura il periodo delle tenebre, se l’anima ci bada, sarà in grado di vedere molto chiaramente quanto poco le sue potenze e le sue facoltà si perdano dietro a cose inutili o dannose e quanto essa sia al riparo dalla vanagloria, dalla superbia, dalla presunzione e dalla falsa gioia e da molte altre miserie. Di conseguenza, quando l’anima attraversa questa notte oscura, non solo non si perde, ma ne trae grande profitto perché avanza nelle virtù.
    4. A questo punto, però, si presenta una domanda: se le cose soprannaturali per loro natura fanno bene all’anima, la fanno avanzare e le danno sicurezza, perché Dio annebbia le sue potenze e facoltà così che essa non possa godere di quelle cose soprannaturali né servirsene, come per gli altri beni, anzi di meno? La risposta è semplice. È opportuno che, in questo stato, le potenze e le facoltà non siano attive né desiderino le cose spirituali, perché sono impure, imperfette e molto naturali; quindi, anche se fosse loro concesso di assaporare le cose soprannaturali e divine, non potrebbero approfittarne se non in maniera molto imperfetta e naturale, cioè conforme alla loro struttura. Il Filosofo, infatti, afferma: Ognuno riceve una cosa secondo le capacità della propria natura. Questo è il motivo per cui, non avendo le potenze naturali né purezza né forza né capacità per poter ricevere e gustare le cose soprannaturali in conformità alla natura di queste, cioè divinamente, ma solo secondo la propria che è umana e imperfetta, è opportuno che vengano immerse nelle tenebre anche riguardo alle cose divine. Una volta divezzate, purificate, ridotte a nulla, liberate dal loro modo imperfetto e umano di ricevere e agire, tali potenze e facoltà saranno in grado di ricevere, sentire e gustare le realtà divine e soprannaturali in modo elevato e perfetto; ma questo non può accadere se prima non muore l’uomo vecchio (Col 3,9).
    5. Da ciò si deduce che ogni dono spirituale, se non viene dall’alto e discende dal Padre della luce (Gc 1,17) sul libero arbitrio e sulla volontà umana, non viene gustato divinamente e spiritualmente, ma umanamente e naturalmente – come del resto tutte le altre cose – dal gusto e dalle potenze. Anche se l’uomo eserciterà il suo gusto e le sue potenze per arrivare fino a Dio, non riuscirà mai a gustarne le dolcezze, perché i beni non vanno dall’uomo a Dio, ma da Dio all’uomo. A tale proposito, se non fosse fuori luogo, potrei spiegare qui come molte persone siano felici di riferire a Dio o ai beni spirituali i gusti, gli affetti e le attività delle loro facoltà, pensando che tutto ciò sia soprannaturale e spirituale, mentre – forse! – non si tratta che di atti e desideri molto naturali e umani. Poiché tali persone nutrono simili disposizioni verso tutte le cose, le nutrono anche verso le cose buone, con quella facilità naturale che hanno nel dirigere le loro potenze e facoltà verso un oggetto qualsiasi.
    6. Se in seguito si presenterà l’occasione, ne parlerò. Offrirò, allora, alcuni indizi per conoscere quando i movimenti e gli atti interiori dell’anima nei suoi rapporti con Dio sono soltanto naturali o solo spirituali, oppure spirituali e naturali insieme. Qui basti sapere che, se gli atti e i movimenti interiori dell’anima devono essere mossi da Dio in modo divino, devono prima passare per le tenebre, essere addormentati, placati nella loro sfera naturale fin quando tutte le loro capacità e attività non vengano ridotte a nulla.
    7. Anima devota, quando vedrai i tuoi appetiti nelle tenebre, i tuoi affetti nell’aridità e nell’oppressione, le tue facoltà ridotte all’impossibilità di compiere qualsiasi esercizio della vita interiore, non te ne devi addolorare, ma al contrario considera questo stato una sorte fortunata: Dio, infatti, ti sta liberando da te stessa, ti sta togliendo di mani i tuoi averi. Malgrado il buon uso che ne avevi fatto, non potevi agire così bene, perfettamente e sicuramente come ora, a causa della loro impurità e imperfezione. Dio ti ha presa per mano, ti guida come un cieco nell’oscurità dove tu non sai, e per una strada che non conosci, e dove mai riusciresti a camminare con i tuoi occhi e i tuoi piedi.
    8. Un altro motivo, per cui l’anima non solo avanza sicura al buio, ma riceve anche grande profitto, sta nel fatto che comunemente il suo progresso e la sua perfezione le vengono da dove meno se l’aspetta, anzi perlopiù di là dove pensa di perdersi. E infatti, non avendo mai sperimentato quella novità che la fa uscire da se stessa, la confonde e sconvolge il suo primo modo di procedere, pensa di perdersi più che di guadagnare meriti, perché vede che nella realtà dei fatti si perde proprio relativamente alle sue conoscenze e ai suoi gusti ed è costretta ad andare dove non conosce e non le piace nulla. Assomiglia a un viaggiatore che si reca in terre nuove, sconosciute, mai esplorate prima, lasciandosi guidare non dalle sue conoscenze, ma avvolto nell’incertezza, dalle informazioni degli altri. Certamente egli non potrà raggiungere questi nuovi paesi né sapere più di quanto sapeva prima, se non affronta strade a lui ignote, dopo aver lasciato quelle note. Allo stesso modo, chi vuole perfezionarsi in un mestiere o in un’arte, si muove sempre a tentoni, sempre superando le sue conoscenze precedenti: se non le oltrepassasse, non progredirebbe nell’apprendimento. Così l’anima più avanza nelle tenebre, senza sapere dove va, più progredisce nella perfezione. Perciò, secondo quanto ho detto, Dio è qui il maestro e la guida di questo cieco che è l’anima. E ora che essa comprende bene questa verità qui riferita, ha di che rallegrarsi e può ben dire: uscii al buio e più sicura.
    9. Un altro motivo per cui l’anima ha attraversato sicura queste tenebre è la sofferenza. Ora, la via della sofferenza è più sicura e vantaggiosa di quella della gioia e dell’iniziativa personale; anzitutto perché, quando si soffre, si ricevono ulteriori forze da Dio, mentre quando l’anima agisce o è nella gioia manifesta le sue debolezze e le sue imperfezioni; e poi perché quando si soffre si esercitano e si acquistano le virtù, quindi l’anima si purifica e cresce nella sapienza e nella prudenza.
    10. Ma c’è ancora un altro motivo più importante per cui l’anima in questo stato avanza sicura nel buio. Tale motivo va ricercato in quella luce o sapienza oscura di cui ho parlato. Questa notte oscura della contemplazione investe e pervade l’anima al punto tale d’avvicinarla a Dio, porla al suo riparo e liberarla da tutto ciò che non è Dio. In questo stato l’anima è, per così dire, in cura per ricuperare la sua salute, che è Dio stesso. Sua Maestà, allora, la mette a dieta, la tiene nell’astinenza e distrugge in essa il cupido desiderio di tutte le cose create. Accade come al malato che è molto caro ai familiari: lo tengono talmente riparato che non gli lasciano prendere aria né godere della luce, e nemmeno viene disturbato dai passi o rumori di quelli di casa; lo nutrono con un cibo molto raffinato e secondo misura e badano che sia sostanzioso più che saporoso.
    11. Tali sono le proprietà prodotte nell’anima dalla contemplazione oscura; mirano tutte alla sua sicurezza e salvaguardia, perché ormai è molto vicina a Dio. Quanto più l’anima si trova vicino a lui, tanto più profonde sono le tenebre e intensa l’oscurità dovute alla sua debolezza. Assomiglia a uno che si avvicina al sole: quel suo grande splendore acceca e fa soffrire l’occhio a causa della sua debolezza e impotenza. Così è della luce spirituale di Dio: è immensa e supera talmente l’intelletto umano che, quando gli si avvicina, lo acceca e lo getta nell’oscurità. Questo è il motivo per cui in un salmo Davide dice che Dio si nascondeva avvolgendosi di tenebre come di velo, acque oscure e dense nubi lo coprivano (Sal 17,12). Quest’acqua tenebrosa, contenuta nelle nubi dell’aria, è l’oscura contemplazione e sapienza divina accordata alle anime. L’anima comincia a rendersi conto di essere vicina a Dio, come tenda dov’egli abita, a mano a mano che egli la unisce a sé. E così, quanto più la luce e la luminosità di Dio sono eccelse, tanto più esse sono tenebre oscure per l’uomo, come dice san Paolo (1Cor 2,14). La stessa cosa dice Davide in un salmo: Davanti al suo fulgore si dissipavano le nubi (Sal 17,13), cioè l’intelletto naturale, la cui luce, come dice Isaia, è spessa tenebra: obtenebrata est in caligine eius, è stata oscurata dalla sua caligine (Is 5,30).
    12. Oh, misera condizione umana, ove si corrono tanti pericoli e si arriva tanto faticosamente alla conoscenza della verità, poiché ciò che è più chiaro e vero ci appare più oscuro e incerto, ragion per cui evitiamo ciò che è meglio, e inseguiamo e abbracciamo ciò che brilla più forte e riempie i nostri occhi, mentre è proprio questo ciò che ci conviene meno e ci fa incespicare ad ogni passo! Chi mai potrà dire i pericoli e le paure che sperimenta l’uomo, dal momento che la stessa luce dei suoi occhi, che dovrebbe guidarlo, è invece la prima ad abbagliarlo e a farlo deviare dal cammino verso Dio? Se vuole scorgere la strada da seguire, deve tenere gli occhi chiusi e camminare al buio, onde schivare i nemici di casa sua, cioè i suoi sensi e le sue potenze!
    13. L’anima, dunque, sta ben nascosta e al riparo nelle nube tenebrosa che circonda Dio. Come questa serve a Dio da tenda e da abitazione, così servirà anche all’anima da rifugio sicuro e perfetto. Anche se è nelle tenebre, l’anima è ben nascosta e protetta da se stessa e da tutti i pericoli provenienti dalle creature, come ho detto. Proprio di queste anime Davide parla ancora in un altro salmo: Tu li nascondi al riparo del tuo volto, lontano dagli intrighi degli uomini; li metti al sicuro nella tua tenda, lontano dalla rissa delle lingue (Sal 30,21): espressione con cui si lascia intendere ogni genere di protezione. Infatti, essere al riparo del volto di Dio, lontano dagli intrighi degli uomini, significa essere fortificati in quest’oscura contemplazione contro tutti gli attacchi che possono venire da parte degli uomini. Ed essere al sicuro nella sua tenda, lontano dalla rissa delle lingue, per l’anima significa essere immersa in questa nube tenebrosa, che Davide chiama la tenda di Dio. Poiché l’anima tiene sotto controllo tutti i suoi appetiti, i suoi affetti e le sue potenze nelle tenebre, è libera da tutte le imperfezioni opposte al suo spirito, come pure dalla sua carne e da ogni cosa creata. Per questo può a buon diritto dire di camminare al buio e più sicura.
    14. C’è ancora un altro motivo non meno efficace del precedente, per comprendere in modo più chiaro perché l’anima cammina sicura al buio. È la forza che questa nube oscura, dolorosa e tenebrosa di Dio trasmette immediatamente all’anima. Anche se tenebrosa, infatti, è pur sempre umida, pregna d’acqua, quindi capace di ristorare e fortificare l’anima in ciò di cui ha più bisogno, sebbene questo avvenga nell’oscurità e non senza sofferenza. Subito, infatti, l’anima sente in sé una determinazione vera ed efficace di non fare nulla che possa offendere Dio, né tralasciare nulla che possa rendergli gloria. Quell’amore oscuro la riempie di zelo e sollecitudine per fare oppure non fare le cose per piacere a Dio; esamina e scruta mille volte se stessa per vedere se l’ha offeso. In breve, agisce con molta più attenzione e sollecitudine di prima, quando era ansiosa d’amore, come si è detto sopra. In questo stato, infatti, tutte le potenze, le forze e le facoltà dell’anima sono distolte dalle altre cose create, e tutti i suoi sforzi e la sua tensione mirano solo al servizio di Dio. In questo modo l’anima esce da se stessa e da tutte le cose create per avviarsi alla dolce e piacevole unione d’amore con Dio, al buio e più sicura.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:39
    CAPITOLO 17
    Ove si spiega come questa contemplazione oscura sia segreta.
    Per la segreta scala, travestita.
    1. È opportuno spiegare tre vocaboli del nostro verso. Due, cioè segreta e scala, riguardano la notte oscura di contemplazione di cui sto parlando; il terzo, cioè travestita, si riferisce all’anima e riguarda il suo modo di comportarsi in questa notte. Quanto ai primi due termini, occorre ricordare che l’anima chiama segreta scala questa contemplazione oscura, attraverso cui perviene all’unione d’amore, a motivo di due caratteristiche che essa presenta, cioè quella di essere segreta e di essere scala. Parlerò di ciascuna di esse separatamente.
    2. Anzitutto, chiama segreta questa contemplazione tenebrosa perché, come ho detto sopra, qui si tratta di teologia mistica, che i teologi chiamano sapienza segreta e che, secondo san Tommaso, viene comunicata e infusa nell’anima per mezzo dell’amore. Questa operazione avviene segretamente, all’insaputa dell’attività dell’intelletto e delle altre potenze. Si chiama, dunque, segreta proprio perché le suddette potenze non possono conseguirla, ma è lo Spirito Santo che la infonde nell’anima, come dice la sposa del Cantico (2,4), senza che essa lo sappia né comprenda come avvenga. In realtà non è solo l’anima a non capire tutto questo, ma nessuno, nemmeno il demonio. È il Maestro divino che insegna all’anima: ciò avviene nella sostanza del suo essere, laddove non possono penetrare né il demonio né i sensi naturali né l’intelletto.
    3. Non soltanto per questo può essere chiamata segreta, ma anche per gli effetti che produce nell’anima. Infatti questa sapienza d’amore è segreta quando l’anima passa attraverso le tenebre e le sofferenze della purificazione e quando tale sapienza purifica l’anima, tanto che questa non sa che cosa dirne. Non solo allora è segreta, ma anche in seguito, cioè quando l’anima viene illuminata e questa sapienza si comunica in modo più chiaro all’anima; anche in questo caso resta segreta al punto che l’anima non può discernerla né trovare termini adatti per esprimerla; anzi, oltre a non aver alcuna voglia di parlarne, non sa trovare espressioni o immagini adatte a manifestare una conoscenza tanto sublime e un sentimento spirituale tanto delicato. Perciò, anche se avesse un grande desiderio di esprimerla e ricorresse a tutte le spiegazioni possibili, tale contemplazione rimarrebbe sempre un segreto e qualcosa d’ineffabile. Poiché questa sapienza interiore è tanto semplice, generale e spirituale, non è entrata nell’intelletto avvolta o rivestita di alcuna forma o immagine accessibile ai sensi. Ora, poiché i sensi e l’immaginazione non sono serviti da mediazione attraverso cui essa penetrasse nell’anima, non ne conoscono l’aspetto e il colore, non sanno quindi spiegarla né immaginarla per poterne dire qualcosa; ciò nonostante, l’anima intende e gusta questa saporosa e misteriosa sapienza. Assomiglia a colui che vede per la prima volta una cosa senza aver mai conosciuto in precedenza altro di simile; anche se ne comprende la natura e ne gode, malgrado i suoi sforzi non saprebbe darle un nome né descriverla a parole. Se questo si verifica per cose percepite dai sensi, quanto più avviene per ciò che non è passato attraverso di essi! Questa, infatti, è la caratteristica del linguaggio di Dio: essendo moto intimo all’anima e spirituale, al di sopra di tutti i sensi, arresta immediatamente e riduce al silenzio tutta l’armonia e l’abilità dei sensi esterni e interni.
    4. Nella sacra Scrittura si possono riscontrare diversi esempi e affermazioni a tale riguardo. Geremia dimostra l’impotenza di manifestarlo e di parlarne esteriormente, quando, dopo che Dio si fu rivolto a lui, seppe soltanto dire: Ah, ah, ah (Ger 1,6 Volg.). Mosè manifesta questa incapacità interiore, cioè dell’immaginazione, e insieme quella esteriore, o del linguaggio, quando si trova davanti a Dio che si è rivelato nel roveto ardente (Es 4,10). Non solo dice a Dio, con il quale si era intrattenuto, che non riesce più a parlare, ma addirittura, come si osserva negli Atti degli Apostoli (7,32), non osa nemmeno guardarlo; gli sembrava che la sua immaginazione fosse molto lontana e incapace di rappresentarsi qualcosa di ciò che poteva comprendere di Dio, come anche di farsene un’idea. Poiché la sapienza di questa contemplazione è il linguaggio di Dio all’anima, da puro spirito a spirito puro, tutto ciò che è inferiore allo spirito, come i sensi, non possono percepirlo; resta quindi un segreto per essi, che, in quanto sensi, non lo conoscono né possono esprimerlo; del resto non ne hanno alcun desiderio, perché non lo vedono.
    5. Da ciò si può comprendere il motivo che induce alcune persone, pie ma timide, che percorrono questo cammino, a dar conto al loro direttore spirituale di ciò che sperimentano, ma non sanno esprimerlo, né lo possono. Non sapendo e non potendo farlo, provano grande ripugnanza a raccontare la loro esperienza, soprattutto quando la contemplazione è più semplice e la stessa anima l’avverte appena. Sanno dire soltanto di essere soddisfatte, tranquille e contente, oppure che sentono la presenza di Dio e che, a loro parere, sono sulla buona strada. Non riescono a esprimere ciò che l’anima sperimenta se non con termini generici, simili a quelli di cui ho parlato. La situazione è diversa quando si tratta di grazie particolari, come visioni, sentimenti, ecc. Poiché abitualmente questi favori si manifestano sotto qualche forma sensibile, se ne può parlare solo ricorrendo a questa forma sensibile o a qualcosa di simile. Ma proprio perché se ne può parlare, non si tratta di contemplazione pura, perché, come ho detto, essa è ineffabile e per questo si chiama segreta.
    6. E non solo per questo si chiama ed è segreta, ma anche perché questa sapienza mistica ha la proprietà di nascondere l’anima in sé. Infatti, oltre agli effetti ordinari, a volte assorbe talmente l’anima e l’immerge nel suo abisso segreto, che l’anima si vede chiaramente molto lontana e separata da ogni creatura. Le sembra, allora, di trovarsi in una profonda e vasta solitudine, dove non ha accesso alcuna creatura umana; le sembra di essere come un immenso deserto che non ha confini, tanto più gustoso, piacevole e amabile, quanto più profondo, vasto e solitario. Ivi l’anima si sente tanto più segreta quanto più si vede elevata sopra ogni altra creatura umana. In quest’abisso di sapienza l’anima si eleva e cresce, dissetandosi alle acque della scienza d’amore. Ivi scopre non solo la bassezza della condizione umana rispetto alla conoscenza e alla scienza di Dio, ma vede altresì quanto imperfetti, insufficienti e impropri siano tutti i termini o le espressioni con cui in questa vita si parla delle cose divine. Comprende parimenti come sia impossibile, con l’aiuto dei mezzi e degli sforzi naturali, anche se utili ed elevati, conoscere e sentire le cose divine così come sono, senza la luce della mistica teologia. L’anima, illuminata da essa, vede questa verità, che non saprebbe raggiungere e meno ancora spiegare con termini volgari e umani; per questi motivi la chiama giustamente segreta.
    7. La divina contemplazione ha la proprietà di essere segreta e al di sopra di ogni capacità umana, non solo perché è una realtà soprannaturale, ma anche in quanto è via che conduce l’anima alle perfezioni dell’unione con Dio. Ora, proprio perché queste sono realtà non conosciute umanamente, occorre incamminarsi verso di esse non sapendo nulla umanamente e ignorando tutto divinamente. Parlando infatti misticamente, come sto facendo, le cose e le perfezioni divine non si conoscono né si comprendono come sono, quando vengono cercate e sperimentate, ma solamente quando vengono possedute e sperimentate. Di questa sapienza divina il profeta Baruc dice: Nessuno conosce la sua via, nessuno pensa al suo sentiero (Bar 3,31). Anche il profeta reale, parlando con Dio del cammino dell’anima, si esprime in questi termini: I tuoi fulmini rischiararono il mondo, la terra tremò e fu scossa. Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili (Sal 76,19.20).
    8. Tutto questo, parlando spiritualmente, si può applicare a ciò che sto dicendo. Rischiara il mondo, infatti, la luce che questa contemplazione divina diffonde nelle potenze dell’anima; la terra che trema ed è scossa è la purificazione dolorosa che avviene in essa; e dire che la via e i sentieri di Dio, che l’anima percorre, passano sul mare e rimangono invisibili, significa che questa via per andare a Dio è talmente segreta e nascosta per i sensi dell’anima quanto lo è per quelli del corpo la scia sul mare, che è in conoscibile. È proprio di Dio restare sconosciuto nelle vie che imbocca, quando vuole attirare le anime a sé e condurle alla perfezione unendole alla sua sapienza. Per questo, volendo il libro di Giobbe esaltare l’azione di Dio, afferma: Conosci tu come la nube si libri in aria e i prodigi di colui che tutto sa? (Gb 37,16). Con tale espressione s’intendono le vie e i sentieri lungo i quali Dio eleva e perfeziona nella sua sapienza le anime, qui simboleggiate dalle nubi. È dimostrato, quindi, che questa contemplazione, che conduce l’anima a Dio, è sapienza segreta.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:40
    CAPITOLO 18
    Ove si spiega come questa sapienza segreta sia anche scala.
    1. Ci resta ora da vedere il secondo termine, cioè come questa sapienza segreta sia anche scala. Al riguardo dobbiamo sapere che per molte ragioni possiamo chiamare scala questa contemplazione segreta. Anzitutto perché, come mediante la scala si sale fino a raggiungere la sommità d’una fortezza, per impossessarsi dei beni, dei tesori e di tutte le ricchezze in essa nascoste, così attraverso questa contemplazione segreta, senza sapere come, l’anima prende a salire fino alla conoscenza e al possesso dei beni e dei tesori del cielo. Questo è quanto ci fa comprendere molto bene il profeta reale quando dice: Beato l’uomo che trova in te la sua forza: ha disposto nel suo cuore le ascensioni, dalla valle delle lacrime, nel luogo eletto. Siccome darà la benedizione il Legislatore, andranno di virtù in virtù, e in Sion si rivelerà il Dio degli dei (Sal 83,6-8 Volg.); il Signore è il tesoro della fortezza di Sion, egli è la beatitudine eterna.
    2. In secondo luogo, possiamo chiamare scala questa contemplazione segreta perché, come i gradini della scala servono a salire e a scendere, così anche questa segreta contemplazione si serve di queste stesse comunicazioni per elevare l’anima a Dio e per umiliarla in se stessa. Difatti le vere comunicazioni, quelle che provengono da Dio, hanno la proprietà di elevare e nello stesso tempo di umiliare l’anima. In questo cammino spirituale discendere è salire e salire è discendere, perché chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato (Lc 14,11). Oltre al fatto che la virtù dell’umiltà è una grandezza per l’anima che vi si esercita, di solito Dio la fa salire per questa scala perché la discenda, e la fa scendere perché la risalga, affinché si compia ciò che dice il Saggio: Prima della caduta il cuore dell’uomo si esalta, ma l’umiltà viene prima della gloria (Pro 18,12).
    3. Sposto ora il discorso sul piano naturale, perché quello spirituale non può essere indagato. Se l’anima vorrà riflettere su questo cammino, vedrà bene a quanti alti e bassi va soggetta e che, dopo il godimento di un periodo di prosperità, subentra subito quello della tempesta o della prova; vedrà, altresì, che le è stata concessa la bonaccia per prepararla e rafforzarla in vista delle tribolazioni successive; in breve, l’anima deve convincersi che alla miseria e alla tormenta fa seguito l’abbondanza e la pace: per questo motivo deve passare la vigilia nella prova, se vuole godere le gioie della festa. Questa è la norma ordinaria dello stato di contemplazione fino a quando l’anima non raggiunge lo stato di quiete; per dirla in una parola, l’anima non è mai nello stesso stato, non fa altro che salire e scendere.
    4. Il motivo di questa norma sta nel fatto che lo stato di perfezione esige il perfetto amore di Dio e il disprezzo di sé, il che non può verificarsi senza conoscere Dio e se stessi. Perciò l’anima deve necessariamente esercitarsi prima in una, poi nell’altra conoscenza. Dapprima Dio le fa gustare il suo amore e la esalta, poi le consente di conoscere se stessa e la umilia, finché, acquistate le abitudini perfette, l’anima smette di salire e di scendere. Arrivata alla sommità di questa scala mistica, l’anima si unisce a Dio, a lui si aggrappa e in lui trova il suo riposo. Questa scala di contemplazione che, come ho detto, discende da Dio, è raffigurata dalla scala che Giacobbe vide in sogno e per la quale salivano e scendevano gli angeli da Dio verso l’uomo e dall’uomo verso Dio, che stava all’estremità di detta scala (Gn 28,12). La Scrittura dice che questo sogno avvenne di notte, mentre Giacobbe dormiva, per farci comprendere quanto segreta e diversa da ciò che l’uomo può immaginare sia questa via o ascesa che conduce a Dio. Prova ne è il fatto che ordinariamente si ritiene la peggiore delle sfortune ciò che è di grande profitto per l’uomo, come perdere o annientare se stesso; al contrario, si ritiene buona fortuna ciò che vale di meno, come le gioie e le consolazioni, ove generalmente ci si perde anziché guadagnare.
    5. Ma ora voglio parlare un po’ dettagliatamente di questa scala mistica della contemplazione segreta. Il motivo principale per cui tale contemplazione viene qui chiamata scala sta nel fatto che essa è scienza d’amore, cioè conoscenza piena d’amore, infusa da Dio, che nello stesso tempo illumina e fa innamorare l’anima, fino a elevarla di gradino in gradino a Dio, suo creatore, dal momento che solo l’amore unisce definitivamente l’anima a Dio. Per maggior chiarezza indicherò qui i gradini di questa scala divina, accennando brevemente ai segni e agli effetti d’ognuno di essi, in modo che l’anima possa conoscere a quale grado è pervenuta. Li distinguerò in base ai loro effetti, come fanno san Bernardo e san Tommaso, perché non ci è possibile conoscerli in se stessi attraverso i mezzi naturali. Questa scala d’amore, come ho detto, è talmente segreta che solo Dio può conoscere il peso e la misura di questo amore.
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    00 02/08/2013 17:40
    CAPITOLO 19
    Ove vengono esposti i primi cinque gradini della scala d’amore.
    1. Dico subito che i gradini della scala d’amore, attraverso i quali l’anima sale progressivamente verso Dio, sono dieci. Il primo fa sì che l’anima si ammali, ma a suo vantaggio. Di questo grado d’amore parla la sposa quando dice: Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio Diletto che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore! (Ct 5,8). Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio (Gv 11,4), in quanto l’anima, per amore di Dio, muore al peccato e a tutto ciò che non è Dio, come afferma Davide: L’anima mia viene meno nell’attesa della tua salvezza (Sal 118,81). Come il malato perde l’appetito, non prova più gusto per i cibi e perde il suo colorito naturale, così l’anima in questo grado d’amore perde il gusto e il desiderio di tutte le cose; innamorata di Dio, non si lascia più prendere dalle allettanti abitudini della vita passata. L’anima cade in questa infermità soltanto se dall’alto le viene comunicato un fuoco d’amore, come ci fa capire Davide quando dice: Pluviam voluntariam segregabis, Deus, haereditati tuae, et infirmata est, ecc.: Una pioggia generosa mettesti a parte, o Dio, per la tua eredità; questa era indebolita, ma tu l’hai ristorata (Sal 67,10 Volg.). questa infermità e questo venir meno davanti a tutte le cose create è il punto di partenza, il primo gradino per andare a Dio. L’ho già spiegato sopra quando ho parlato dell’annientamento in cui si trova l’anima allorché comincia a salire questa scala di purificazione quale si ha nella contemplazione; proprio allora l’anima non riesce a trovare gusto, sostegno, conforto o appoggio in nessuna cosa. Così essa abbandona subito il primo gradino per passare al secondo.
    CAPITOLO 20
    Ove vengono esposti gli altri cinque gradini.
    1. Il sesto gradino fa sì che l’anima corra leggera verso Dio e abbia frequenti contatti con lui. Animata dalla speranza e fortificata dall’amore, senza stancarsi mai, l’anima vola con leggerezza verso Dio. Di questo grado dice Isaia: I santi che sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, procedono senza stancarsi (Is 40,31), come accadeva nel quinto grado. A questo sesto grado si riferisce anche il Salmo 41,2: Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. Il cervo assetato, infatti, corre leggero verso l’acqua. Il motivo di questa leggerezza d’amore posseduta dall’anima in questo sesto grado è dovuta al fatto che l’amore in lei è molto cresciuto, e anche perché è quasi del tutto purificata, come dicono il Salmo 58,5 (Volg.): Sine iniquitate cucurri: Io corsi e regolai i miei passi senza iniquità, e l’altro Salmo 118,32: Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore. Da questo sesto gradino si passa, quindi, immediatamente al settimo, che è il seguente.
    2. Il settimo gradino di questa scala rende l’anima molto audace. A questo punto l’amore non si avvale del ragionamento per sperare, né del consiglio per desistere, né si lascia bloccare dal rispetto umano, perché i favori che Dio ha concesso all’anima la rendono oltremodo ardita. L’Apostolo, infatti, conferma questa verità con le parole seguenti: La carità tutto crede, tutto spera, tutto può (1Cor 13,7). Di questo settimo grado parlava Mosè quando chiedeva a Dio di perdonare il peccato del popolo… se no, cancellami dal libro della vita che hai scritto (Es 32,31-32). A questo livello le anime ottengono da Dio ciò che a loro piace chiedergli. Per questo Davide dice: Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore (Sal 36,4). Una volta pervenuta a questo grado la sposa osò dire: Osculetur me osculo oris sui!: Oh, mi baciasse col bacio della sua bocca! (Ct 1,1 Volg.). A ogni modo qui non è consentito all’anima essere così ardita se non sente il favore interiore dello scettro del re rivolto verso di lei (Est 5,2 Volg.), affinché non le capiti di cadere dagli altri gradini saliti fino a quel momento, nei quali deve mantenersi sempre umile. Al settimo gradino, ove Dio concede audacia e aiuto all’anima perché si rivolga a lui con tutta la veemenza dell’amore, segue l’ottavo. Qui l’anima è afferrata dall’Amato e a lui unita, come viene detto qui sotto.
    3. L’ottavo gradino d’amore fa sì che l’anima afferri e si stringa all’Amato senza mai più lasciarlo, come dice di sé la sposa: Quando trovai l’Amato del mio cuore, lo strinsi fortemente, e non lo lascerò (Ct 3,4). In questo grado d’unione l’anima soddisfa il suo desiderio, anche se non in maniera continua, perché alcuni arrivano a porvi il piede, ma poi lo ritirano. Se l’abbraccio con Dio perdurasse, l’anima godrebbe di una certa gloria già in questa vita, perciò quest’unione già in questa vita, perciò quest’unione con Dio dura brevi momenti. Al profeta Daniele, uomo di grandi desideri, il Signore ordinò di restare in questo grado con le seguenti parole: Daniele, uomo dei desideri, resta in questo grado d’amore dove sei (cfr. Dn 10,1 Volg.). A questo gradino segue il nono, quello dei perfetti, come si vedrà subito.
    4. Il nono gradino fa sì che l’anima arda di tenero amore per Dio. È la condizione dei perfetti, che già bruciano d’amore soave per Dio. È lo Spirito Santo che, in virtù della loro unione con Dio, comunica loro quest’amore pieno di soavità e di delizie. San Gregorio Magno dice che quando lo Spirito Santo scese visibilmente sugli apostoli, questi arsero interiormente d’amore soave. È impossibile descrivere i doni e le ricchezze divine che l’anima gode in questa condizione; anche se si scrivessero molti libri su questo argomento, resterebbe ancora molto da esporre. Per questo motivo ora non dico nulla, anche perché dirò qualcosa più avanti. Qui dico solo che a questo gradino segue il decimo e ultimo gradino della scala d’amore, il quale, però, non appartiene più alla vita presente.
    5. Il decimo e ultimo gradino della scala segreta d’amore fa sì che l’anima venga assimilata totalmente a Dio, perché lo contempla com’egli è e lo possiede immediatamente. Una volta pervenuta in questa vita al nono grado, l’anima non ha che da lasciare il corpo. Sono poche le anime che pervengono a queste altezze. Radicalmente purificate dall’amore, non passano neanche per il purgatorio. Per questo motivo san Matteo afferma: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt, ecc.: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8). Ora, come dicevo, questa visione è la causa della totale somiglianza tra l’anima e Dio, secondo quanto afferma san Giovanni: Sappiamo che noi saremo simili a lui (1Gv 3,2). Tale espressione non va intesa nel senso che l’anima sarà potente quanto Dio, ciò che è impossibile, ma nel senso che diventerà in tutto simile a Dio; così si chiamerà e sarà Dio per partecipazione.
    6. Questa è la segreta scala di cui parla l’anima nella seconda strofa. In verità, in questi ultimi gradini, la scala non è più segreta per l’anima, perché l’amore produce in lei effetti tanto grandi da rivelare meraviglie divine. Una volta raggiunto l’ultimo gradino, quello della chiara visione di Dio, l’ultimo della scala ove è Dio, come ho già detto, non vi è nulla di nascosto per l’anima, perché ormai è totalmente assimilata a Dio. Per questo il Signore afferma: In quel giorno non mi domanderete più nulla… (Gv 16,23). Ma fino a quel giorno, per quanto elevata possa essere l’anima, le rimane nascosto qualcosa, esattamente in proporzione a quanto le manca per essere perfettamente simile alla divina Essenza. In tal modo, per mezzo della teologia mistica e di quest’amore segreto, l’anima si eleva al di sopra di tutte le cose create e di se stessa e ascende a Dio. L’amore infatti è come il fuoco, tende sempre verso l’alto, desideroso di raggiungere il centro della sua sfera.
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    00 02/08/2013 17:41
    CAPITOLO 21
    Ove si spiega la parola «travestita» e vengono indicati i colori del travestimento dell’anima in questa notte.
    1. Dopo aver spiegato il motivo per cui l’anima chiama questa contemplazione scala segreta, non resta che spiegare la terza parola del verso, cioè travestita, e dire anche il motivo per cui l’anima è uscita per la segreta scala, travestita.
    2. Per una maggiore comprensione di quanto sto dicendo, occorre ricordare che travestirsi significa dissimularsi, nascondersi sotto un vestito diverso da quello che abitualmente s’indossa, o per mostrare esternamente, con quel vestito, il desiderio di conquistare le grazie e l’affetto della persona amata, o per sottrarsi agli sguardi dei propri rivali e realizzare meglio le proprie imprese. Per questo si scelgono i vestiti e le livree che meglio rivelano i sentimenti del proprio cuore, o quelli con i quali ci si nasconde meglio agli avversari.
    3. L’anima, dunque, ferita dall’amore per Cristo suo sposo, desidera entrare nelle sue grazie e conquistarne la volontà. Così essa esce travestita con quel costume che rappresenta al meglio gli affetti del suo cuore e la protegge con maggior sicurezza dai suoi avversari e nemici, cioè il demonio, il mondo e la carne. La livrea che indossa ha tre colori principali; il bianco, il verde e il rosso. Essi simboleggiano le tre virtù teologali: la fede, la speranza e la carità. Forte di esse, l’anima non solo conquisterà la grazia e la volontà del suo Amato, ma sarà anche al sicuro dai suoi tre nemici. La fede, infatti, è una tunica interiore di tale candore da abbagliare la vista di qualsiasi intelletto. Se, allora, l’anima va in giro rivestita di fede, non può essere vista né tanto meno raggiunta dal demonio, perché con questa virtù, più che con tutte le altre, è maggiormente al sicuro dal diavolo, il nemico più temibile e astuto che ci sia.
    4. San Pietro non trovò aiuto migliore della fede per liberarsi dal maligno, quando disse: Cui resistite fortes in fide: Resistetegli saldi nella fede (1Pt 5,9). Per ottenere la grazia e l’unione con l’Amato, l’anima non può avere miglior abito interiore di quello del vestito bianco della fede, principio e fondamento degli altri vestiti delle virtù. Infatti senza di essa, come dice la Scrittura, è impossibile piacere a Dio (Eb 11,6), e con essa è impossibile non piacergli. Il Signore stesso conferma questa verità per mezzo del profeta Osea: Desponsabo te mihi in fide (Os 2,22), come a dire: O anima, se vuoi unirti a me e sposarmi, occorre che venga vestita interiormente di fede.
    5. L’anima indossava questo vestito bianco della fede quando uscì dalla notte oscura della contemplazione; proprio allora, come si diceva prima, avanzava tra le tenebre e le angosce interiori; il suo intelletto non le dava alcun sollievo con la sua luce né dall’alto, perché il cielo gli sembrava chiuso e Dio nascosto, né dal basso, perché tutti gli insegnamenti non la soddisfacevano. Ciò nonostante, l’anima sofferse con costanza e perseverò, sopportando quelle angosce senza deludere e senza mancare all’appuntamento con l’Amato. Questi, in realtà, voleva provare la fede della sua sposa per mezzo delle sofferenze e delle tribolazioni, in modo che essa potesse poi ripetere in tutta verità ciò che Davide afferma: Seguendo la parola delle tue labbra ho camminato per sentieri difficili (Sal 16,4 Volg.).
    6. Sopra questa tunica bianca della fede l’anima indossa un secondo vestito di colore verde. Questo, come ho detto, simboleggia la virtù della speranza, per mezzo della quale l’anima si libera e si difende soprattutto dal mondo, suo secondo nemico. Il verde di questa speranza viva in Dio conferisce all’anima tanta forza, coraggio e slancio verso le cose della vita eterna, che l’universo intero le appare com’è in realtà, cioè arido, vuoto, morto, privo di qualsiasi valore rispetto a quanto spera lassù in cielo. Quaggiù sulla terra si spoglia di tutti i vestiti e le livree del mondo, non riponendo il suo cuore in nulla, né si aspetta niente da quello che c’è o ci sarà sulla terra; vive rivestita solo della speranza della vita eterna. Così, tenendo il cuore assai elevato rispetto al mondo, questo non solo non la può toccare o avvincere, ma neppure sfiorare.
    7. Con questo travestimento e la livrea verde della speranza l’anima è al sicuro dal mondo, suo secondo nemico. Difatti san Paolo chiama la speranza elmo della salvezza (1Ts 5,8): l’elmo è l’armatura che difende e copre la testa in modo da lasciare scoperta solo una parte del viso perché si possa vedere. La speranza copre anche tutti i sensi della testa dell’anima, in modo che non si ingolfino in alcuna cosa del mondo e siano protetti dalle frecce di questa vita. Le lascia libera solo la visiera perché l’occhio possa guardare verso l’alto e non altrove. Questo è il compito abituale della speranza nell’anima, che leva gli occhi al cielo per guardare solo Dio, come dice di aver fatto Davide: Oculi mei semper ad Dominum: I miei occhi sono rivolti sempre al Signore (Sal 24,15). Del resto egli non sperava nessun altro bene, come dice altrove: Ecco, come gli occhi della schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi (Sal 122,2) che abbiamo sperato in lui.
    8. Rivestita di questa livrea verde, l’anima ha sempre lo sguardo rivolto a Dio; perciò distoglie i suoi occhi da qualsiasi altra cosa e si aggrappa solo a Dio. In questo modo si rende così gradita all’Amato da ottenere realmente ciò che da lui spera. Questo è il motivo per cui lo Sposo del Cantico le dice che con un solo suo sguardo gli ha rapito il cuore (Ct 4,9). Senza questa livrea verde della speranza in Dio solo non era opportuno che l’anima uscisse per raggiungere il suo amore, perché non avrebbe ottenuto nulla: ciò che muove Dio e ottiene da lui ogni cosa è la ferma speranza.
    9. Travestita con questa livrea di speranza, l’anima avanza in questa segreta e oscura notte di cui ho parlato. Libera da ogni possesso, facendo a meno di ogni appoggio, volge i suoi sguardi e il suo affetto solo a Dio, cacciando nella polvere la bocca, caso mai ci fosse ancora speranza (Lam 3,29), secondo l’espressione di Geremia riportata sopra.
    10. Insieme al bianco e al verde, per completare e perfezionare questo travestimento, l’anima indossa il terzo colore che è una splendida toga rossa, simbolo della carità, terza virtù teologale. Questo colore non solo conferisce grazia agli altri due colori, ma eleva senza indugio l’anima tanto da renderla bella e piacevole agli occhi di Dio, ragion per cui ella osa dire: Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme! Sono bella e per questo il re mi ha amata e mi ha introdotta nelle sue stanze (Ct 1,5 e 4). Con questa livrea della carità che è quella dell’amore, l’anima suscita maggior diletto nell’Amato. Non solo, ma si difende e si mette al riparo dalla carne, suo terzo nemico (perché dove c’è vero amore di Dio non c’è amore di sé né interesse personale), ma rafforza anche le altre virtù. In breve, la carità conferisce a queste vigore e forza a difesa dell’anima e grazia e leggiadria per piacere all’Amato; senza la carità, infatti, nessuna virtù è bella davanti a Dio. Essa è quella porpora, di cui parla il Cantico (3,10), sulla quale il Signore si adagia quando scende nell’anima. Proprio di questa rossa livrea l’anima è vestita, quando, come ha affermato nella prima strofa, nella notte oscura esce da sé e da tutte le cose create, con ansie, dal mio amor tutta infiammata, attraverso la segreta scala della contemplazione, verso l’unione perfetta dell’amore di Dio, sua amata salvezza.
    11. Questo è, dunque, il travestimento che l’anima dice d’indossare nella notte della fede quando sale i gradini della scala segreta. Questi sono, altresì, i suoi tre colori, che costituiscono la migliore disposizione per l’unione dell’anima con Dio nelle sue tre facoltà: intelletto, memoria e volontà. La fede, infatti, ottenebra l’intelletto e lo priva di tutta la sua intelligenza naturale, disponendolo così a unirsi alla Sapienza divina. La speranza fa il vuoto nella memoria e la separa dal possesso di ogni cosa creata, perché, come dice san Paolo, la speranza ha per oggetto le cose non possedute (cfr. Rm 8,24-25). Essa, quindi, distacca la memoria da ciò che può possedere e la colloca in ciò che essa spera. Per questo solo la speranza in Dio dispone la memoria, in maniera pura, all’unione divina. Ugualmente, la carità purifica la volontà dagli affetti e dagli appetiti sregolati relativamente a tutto ciò che non è Dio, per concentrarli su lui solo. In questo modo tale virtù dispone la volontà all’unione d’amore con Dio. In definitiva, poiché queste virtù mirano a staccare l’anima da tutto ciò che è inferiore a Dio, tendono anche a unirla a lui.
    12. Se, dunque, non si è davvero rivestiti di queste tre virtù, è impossibile arrivare alla perfezione dell’amore di Dio. Di conseguenza, se l’anima vuole raggiungere il suo scopo, cioè l’unione piena d’amore e di dolcezza con il suo Amato, ha assoluto bisogno di travestirsi con quest’abito. Essere riuscita a rivestirsi e a perseverare con quell’abito fino al raggiungimento della meta tanto desiderata, qual è l’unione d’amore, è stata per lei una grande felicità, e per questo dice: oh, sorte fortunata!
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    00 02/08/2013 17:41
    CAPITOLO 22
    Ove si spiega il terzo verso della seconda strofa.
    1. È fuori dubbio che per l’anima è stata una sorte fortunata riuscire in un’impresa così importante, cioè liberarsi dal demonio, dal mondo e dalla sua stessa sensualità. Per questo motivo ha raggiunto la libertà di spirito preziosa e da tutti desiderata; è salita dalle zone basse verso l’alto, da terrena è diventata celeste e da umana divina, raggiungendo la sua patria che è il cielo (Fil 3,20), come avviene nello stato di perfezione dell’anima, che descriverò più avanti, anche se brevemente.
    2. La cosa più importante, infatti, e che mi ero proposto, era quella di spiegare questa notte a molte anime che vi si trovano immerse senza saperlo, come è detto nel Prologo. Tutto questo ormai è abbastanza chiaro e comprensibile, anche se non in tutta la sua realtà. Ho già indicato quali ricchezze l’anima acquista in questo stato e quanto sia fortunata la sorte verso la quale cammina, di modo che, se si spaventa di fronte a sofferenze così terribili, trova il coraggio nella ferma speranza di numerosi e preziosi beni che Dio le concederà di ottenere. Ma oltre a questo l’anima ebbe sorte fortunata ancora per un altro motivo, di cui parla il verso seguente: al buio e ben celata.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:41
    CAPITOLO 23
    Ove si parla del mirabile nascondiglio in cui si trova l’anima in questa notte e come il demonio non riesca a entrare in esso, sebbene entri in altri più reconditi.
    1. Ben celata equivale a dire: di nascosto, al riparo. Quando, dunque, l’anima dice che uscì al buio e ben celata è per far meglio comprendere la completa sicurezza di cui ha parlato nel primo verso di questa strofa e di cui gode lungo il cammino dell’unione d’amore con Dio con il favore dell’oscura contemplazione. Dire, quindi, che l’anima è uscita nel buio e ben celata equivale a dire che, sebbene cammini al buio, procede però riparata e nascosta al demonio, alle sue astuzie e alle sue insidie.
    2. Il motivo per cui l’anima procede libera e nascosta alle insidie del demonio nell’oscurità di questa contemplazione è che la contemplazione infusa, che ha raggiunto, viene data passivamente e segretamente all’anima senza il concorso dei sensi e delle potenze interiori o esteriori della parte sensitiva. Ne segue che essa procede non solo di nascosto alle potenze e al riparo dagli ostacoli che potrebbe opporgli la debolezza naturale, ma anche dal demonio che non può scoprire nulla di quanto accade nell’anima se non attraverso le sue facoltà sensitive. Così, quanto più le comunicazioni sono spirituali, interiori e lontane dai sensi, tanto meno il demonio può comprenderle.
    3. È, quindi, molto importante per la sicurezza dell’anima che il suo rapporto intimo con Dio sia tale che i sensi della parte inferiore rimangano all’oscuro, lo ignorino e non ne siano a conoscenza. In primo luogo, la debolezza della parte sensitiva non sarà di ostacolo alla libertà di spirito e la comunicazione spirituale potrà essere più abbondante; in secondo luogo, poiché, come sto dicendo, il demonio non può penetrare in una parte così intima, l’anima procede più sicura. Al riguardo possiamo interpretare in senso spirituale quell’affermazione del Signore: Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra (Mt 6,3). È come se dicesse: ciò che accade nella destra, cioè nella parte superiore e spirituale dell’anima, resti sconosciuto alla sinistra, cioè avvenga in modo che la parte inferiore della tua anima, che è quella sensitiva, lo ignori; tale comunicazione resti un segreto tra lo spirito e Dio.
    4. È vero che spesso, quando nell’anima ci sono o passano queste comunicazioni spirituali molto interiori e segrete, il demonio, pur non conoscendo quali siano né come avvengano, si rende perfettamente conto che essa sta ricevendo qualche bene, a motivo della grande calma e del profondo silenzio che alcune di esse provocano nei sensi e nelle potenze della parte sensitiva. E allora, vedendo che non può opporsi per il fatto che esse avvengono nel profondo dell’anima, fa quanto gli è possibile per sconvolgere e turbare la parte sensitiva, che può raggiungere facilmente. Suscita in questa dolori, orribili fantasmi, paure, allo scopo di togliere la calma e turbare così la parte superiore e spirituale dell’anima, distogliendola da quei beni che sta ricevendo e godendo. Molte volte, però, quando la comunicazione di questa contemplazione investe di purezza lo spirito e gli immette forza, il demonio non riesce a turbarla, anzi l’anima ne ricava un ulteriore vantaggio e una pace maggiore e più sicura. Difatti, avvertendo la molesta presenza del nemico, l’anima – cosa degna di nota! – senza sapere come avvenga e senza far nulla da parte sua, entra nella parte più intima del suo spirito come in un rifugio sicuro; lì si accorge di essere molto lontana dal nemico e ben protetta, e sente aumentare la pace e la gioia che il nemico voleva rapirle. E allora svaniscono tutte le paure che provenivano dall’esterno; di questo l’anima si accorge con molta lucidità. Così si rallegra di poter godere con tanta sicurezza di quella pace dello Sposo nascosto, piena di dolcezze e di soavità, che il mondo e il demonio non possono dare né togliere. A questo punto conosce per esperienza la verità di quanto la sposa dice nel Cantico a tale proposito: Ecco la lettiga di Salomone, sessanta forti le stanno intorno… contro i pericoli della notte (Ct 3,7-8). Ha coscienza della sua forza e della sua pace, anche se molto spesso sente la sua carne e le sue ossa tormentate dall’esterno.
    5. Altre volte, quando la comunicazione non viene infusa esclusivamente nello spirito ma vi partecipano anche i sensi, con più facilità il demonio riesce a turbare e sconvolgere lo spirito, terrorizzandolo, tramite i sensi. Provoca, allora, tormento e pena nello spirito, a volte molto più profondi di quanto sia possibile dire. Poiché il combattimento avviene tra due spiriti, l’orrore che il cattivo provoca nel buono, cioè nell’anima, è intollerabile quando questa viene raggiunta dal turbamento. Ciò è quanto riferisce la sposa del Cantico, la quale ha sperimentato questo tormento quando ha voluto addentrarsi nel raccoglimento interiore per godere di questi beni: Nel giardino dei noci io sono scesa, per vedere il verdeggiare della valle, per vedere se la vite metteva germogli, se fiorivano i melograni; non lo so, il mio desiderio fu turbato per i carri di Amminadib (Ct 6,11-12), cioè dal demonio.
    6. Capita, a volte, quando Dio si serve dell’angelo buono, che certi favori accordati all’anima siano noti al demonio. Costui s’accorge, infatti, di alcune di queste grazie, perché Dio abitualmente permette che il maligno venga a conoscenza soprattutto di quelle che egli concede all’anima per mezzo dell’angelo buono. Questo perché il maligno vi si possa opporre con tutte le forze, nei limiti della giustizia, e non abbia motivo d’invocare i propri diritti dicendo che non gli è stato permesso di conquistare l’anima, come avvenne nel caso di Giobbe (1,9; 2,4-8). Questo accadrebbe se Dio non permettesse che nei confronti dell’anima ci fosse una certa parità tra i due avversari, cioè tra l’angelo buono e quello cattivo; così la vittoria di uno dei due sarà più gloriosa, e l’anima che risulterà vittoriosa e fedele nella tentazione avrà un premio più grande.
    7. Occorre, dunque, notare che questo è il motivo per cui Dio permette al demonio di agire nei confronti dell’anima, nella stessa misura e modo con cui egli, Dio, la guida o si comporta con essa. Perciò se l’anima, mediante l’angelo buono, è favorita di visioni vere – le quali di solito vengono accordate mediante lui, anche se raffigurano il Cristo, che non appare quasi mai di persona –, Dio permette anche all’angelo cattivo di presentare visioni false, e queste visioni, essendo verosimili, possono facilmente gettare nell’inganno l’anima imprudente, come è già accaduto molte volte. Ne abbiamo una prova nell’Esodo (7,11-12.22; 8,3.14), dove si racconta che tutti i prodigi compiuti da Mosè erano contraffatti dai maghi del faraone. Se egli faceva comparire le rane nel paese d’Egitto, per esempio, anch’essi le facevano comparire; se trasformava l’acqua in sangue, i maghi facevano altrettanto.
    8. Ma il demonio non imita solo questo genere di visioni corporali; s’insinua anche nelle comunicazioni spirituali provenienti dall’angelo buono; riesce a vederle, come si è detto. Difatti Giobbe dice del maligno: Omne sublime videt: Vede tutte le cose sublimi (Gb 41,25 Volg.), le imita e vi s’intromette. Tuttavia, poiché queste comunicazioni spirituali (per loro natura) non hanno né forma né figura, egli non può imitarle e dare loro una forma, come invece fa per le altre che si presentano sotto qualche immagine o rassomiglianza materiale. E così, per contrastarle, presenta – allo stesso modo impiegato dall’angelo buono – uno spirito pieno di terrore, onde distruggere uno spirito con un altro spirito. Quando ciò avviene, nel momento in cui l’angelo buono sta per comunicare all’anima la contemplazione spirituale, essa non ha il tempo di ritirarsi nel segreto della contemplazione così da non farsi vedere dal demonio. Questi, con la sua presenza, le ispira paure e turbamenti spirituali, a volte molto penosi. Tuttavia l’anima alcune volte può liberarsene in fretta, senza che lo spirito maligno abbia il tempo d’ingenerarle impressioni di terrore. Ella trova rifugio dentro di sé, favorita validamente e soccorsa spiritualmente dall’angelo buono.
    9. Altre volte prevale il demonio, e l’anima viene invasa dal turbamento e dal terrore, che le provocano una pena maggiore di qualsiasi altro tormento in questa vita. Difatti, poiché questo terrore viene comunicato da uno spirito a un altro spirito in modo chiaro e alieno da tutto ciò che è corporeo, è più straziante del dolore dei sensi. Dura alquanto, ma non troppo, perché se la prova si prolungasse, lo spirito si staccherebbe dal corpo, talmente straziante è il tormento comunicato dallo spirito maligno. In seguito resta il ricordo che di per sé basta a rinnovarle la grande pena.
    10. Tutto ciò che ho detto avviene nell’anima passivamente, senza che essa possa farvi nulla, né pro né contro. Però è bene ricordare che quando l’angelo buono lascia al demonio il vantaggio di raggiungere l’anima per insinuarle questi sentimenti di terrore spirituale, lo fa per purificarla. In realtà egli intende disporla attraverso questa preparazione spirituale a qualche grande festa o grazia interiore che le vuole accordare. È così che agisce colui che mortifica per dare la vita e umilia solo per esaltare (cfr. 1Re 2,6-7). L’anima non tarda a farne l’esperienza: quanto più la purificazione è stata tenebrosa e terribile, tanto più la contemplazione spirituale di cui ora gode è bellissima e piena di dolcezze; questa grazia a volte è tanto sublime da non potersi descrivere a parole. Il terrore provocato dallo spirito cattivo ha affinato talmente l’anima da disporla a un bene tanto grande. Queste visioni spirituali, infatti, appartengono più all’altra vita che a questa e sono tali che l’una prepara all’altra.
    11. Quanto ho esposto si applica al caso in cui Dio visita l’anima per mezzo dell’angelo buono; si riferisce anche ai periodi in cui l’anima non si trova del tutto al buio e ben celata, così da impedire al nemico di attaccarla. Ma quando è Dio in persona a farle visita, allora si realizza pienamente il verso suddetto, perché, immersa completamente al buio e ben celata al nemico, riceve le grazie spirituali da Dio. Il motivo sta nel fatto che sua Maestà dimora sostanzialmente nell’anima, ove né l’angelo né il demonio possono riuscire a comprendere quanto accade o a conoscere le comunicazioni intime e segrete che avvengono tra Dio e l’anima. Poiché è Dio stesso che concede tali comunicazioni, esse sono del tutto divine; sono tocchi sostanziali di unione divina tra l’anima e Dio. Siccome si è di fronte al più alto grado di orazione, basta un solo tocco a comunicare all’anima più beni che tutto il resto.
    12. Questi sono i tocchi che la sposa chiede all’inizio del Cantico: Osculetur me osculo oris sui: Oh, mi baciasse col bacio della sua bocca! (Ct 1,1 Volg.), ecc. Poiché si tratta di un’esperienza così intima che avviene tra Dio e l’anima e del bene verso cui l’anima anela arrivare con ansie d’amore, desidera e stima questo tocco divino più di tutte le altre grazie che potrebbe ricevere da Dio. Per questo, insoddisfatta delle molte grazie enumerate nel Cantico, già ricevute, chiede questi tocchi divini nei seguenti termini: Oh, se tu fossi mio fratello, allattato al seno di mia madre! Trovandoti fuori ti potrei baciare e nessuno potrebbe disprezzarmi! (Ct 8,1). Con queste parole l’anima vuol far capire quanto abbia desiderato che la comunicazione fosse per lei sola, come dicevo, al di fuori e all’insaputa di tutte le creature. Questo significano le parole trovandoti fuori, cioè soffocando gli appetiti e gli affetti della parte sensitiva (questo favore si ha quando l’anima, godendo della libertà di spirito, senza che la parte sensitiva o il demonio possano impedirglielo, gusta la soavità e la pace intima procurate da questi beni). Il demonio, allora, non osa attaccarla, perché non potrebbe raggiungerla né riuscirebbe a comprendere questi tocchi divini che fondono l’amorosa sostanza di Dio, piena d’amore, alla sostanza dell’anima.
    13. Nessuno giunge a questo bene se non attraverso un intimo spogliamento, la purificazione spirituale e l’abnegazione di ogni cosa creata. Tutto ciò avviene al buio, come ho diffusamente spiegato sopra e come ancora dirà a proposito di questo verso: ben celata, cioè di nascosto. In questo nascondimento, ripeto, l’anima si rafforza nell’unione con Dio nel segno dell’amore. Per questo nel verso canta: al buio e ben celata.
    14. Quando l’anima riceve quelle grazie in maniera ben celata, cioè solo nello spirito, di solito, senza sapere come, ritrova la parte superiore di se stessa tanto lontana e separata dalla parte inferiore e sensitiva da ritenerle molto distinte tra loro. Le sembra che non abbiano niente a che vedere l’una con l’altra, tanto esse sono vicendevolmente lontane e distanti. In verità, in un certo senso, è proprio così; difatti l’operazione che si compie, essendo del tutto spirituale, non ha alcun rapporto con la parte sensitiva. Così l’anima diventa a poco a poco tutta spirituale e nel segreto della contemplazione unitiva mette a tacere quasi totalmente le passioni e gli appetiti spirituali. Per questo, parlando della sua parte superiore, l’anima proferisce subito l’ultimo verso: stando la mia casa al sonno abbandonata.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:42

    CAPITOLO 24
    1. Ciò equivale a dire: quando la parte superiore della mia anima, come quella inferiore, si trovò acquietata nelle sue operazioni e facoltà, uscii verso la divina unione d’amore con Dio.
    2. Ricordo che, come per mezzo della guerra della notte oscura l’anima è vagliata e purificata a due livelli – cioè nella parte sensitiva e in quella spirituale, con i loro sensi, potenze e passioni –, allo stesso modo l’anima ora riesce a ottenere pace e sollievo in due modi, cioè nella sua parte sensitiva e in quella spirituale, con tutte le potenze e gli appetiti. Per questo ripete due volte lo stesso verso, nella prima e nella seconda strofa, proprio perché due sono le parti dell’anima, quella spirituale e quella sensitiva; per poter camminare verso l’unione divina d’amore, devono prima essere riformate, ordinate e acquietate entrambe dal punto di vista sensitivo e spirituale, conformemente allo stato originale d’innocenza posseduto da Adamo. Questo verso, quindi, che nella prima strofa si riferisce al riposo della parte inferiore e sensitiva, in questa seconda strofa si riferisce in modo particolare alla parte superiore e spirituale. Per questo motivo è ripetuto due volte.
    3. Per quanto è possibile in questa vita, l’anima consegue la quiete e la pace della sua casa spirituale, in maniera abituale e perfetta, mediante l’azione dei tocchi sostanziali dell’unione or ora descritti. Sono tocchi che riceve da Dio al sicuro e ben nascosta dai turbamenti del demonio, dei sensi e delle passioni. In questi tocchi l’anima è stata gradualmente purificata, acquietata, fortificata e resa capace di ricevere stabilmente l’unione di cui sto parlando, cioè lo sposalizio spirituale tra l’anima e il Figlio di Dio. Appena queste due case dell’anima riescono a calmarsi e fortificarsi, insieme con i loro familiari che sono le potenze e gli appetiti, immergendosi nel sonno silenzioso circa ogni bene celeste e terreno, immediatamente la Sapienza divina si unisca all’anima con un nuovo vincolo di possesso d’amore. Si verifica, allora, ciò che dice il libro della Sapienza: Dum quietum silentium tenerent omnia, et nox in suo cursu medium iter haberet, omnipotens sermo tuus, Domine, a regalibus sedibus…: Mentre un quieto silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dai troni regali… (Sap 18,14-15). La stessa cosa fa capire la sposa del Cantico, quando dice che, dopo aver incontrato le guardie notturne che la percossero, la ferirono e le tolsero il mantello (Ct 5,7), trovò l’Amato del suo cuore (Ct 3,4).
    4. Non si può pervenire a quest’unione senza una grande purezza, ma questa purezza non si raggiunge senza un totale spogliamento di ogni cosa creata e senza un’intensa mortificazione. Questo è significato dal mantello che viene tolto alla sposa e dalle ferite che riceve nella notte in cui si mette alla ricerca dello Sposo; non poteva infatti indossare il nuovo vestito nuziale che desiderava, senza prima togliersi il vecchio. Chi, dunque, rifiutasse di uscire nella notte suddetta in cerca dell’Amato ed essere spogliato e mortificato nella sua volontà, e volesse cercarlo nella tranquillità del suo letto, come faceva la sposa, non lo troverebbe; quest’anima, invece, dice che l’ha trovato, uscendo in una notte oscura, / con ansie, dal mio amor tutta infiammata.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:42
    CAPITOLO 25
    Ove viene spiegata brevemente la terza strofa.
    Terza strofa
    Nella gioiosa notte,
    in segreto, senza esser veduta,
    senza veder cosa,
    né altra luce o guida avea
    fuor quella che in cuor mi ardea.
    Spiegazione
    1. L’anima, mentre continua la metafora e il parallelo tra la notte naturale e quella spirituale, ne enumera ed esalta le eccellenti proprietà. È con il favore della notte di contemplazione che essa le ha scoperte e se n’è impossessata per raggiungere, in breve tempo e con sicurezza, lo scopo desiderato. Enumera tre di queste proprietà.
    2. La prima, dice l’anima, consiste nel fatto che in questa notte fortunata Dio la conduce per un cammino di contemplazione così solitario e segreto, così lontano ed estraneo ai sensi, che nulla di quello che le appartiene né creatura alcuna sono in grado d’influenzarla al punto di ostacolarla o frenarla nella via dell’unione d’amore.
    3. La seconda proprietà è data dalle tenebre spirituali di questa notte, per cui tutte le potenze della parte superiore dell’anima sono al buio. Perciò l’anima non vede né può vedere nulla, né si ferma in nulla che non sia Dio, ma va diritto a lui. Ormai è libera da tutti gli ostacoli, forme, figure o conoscenze naturali che abitualmente le impediscono l’unione con l’essere eterno di Dio.
    4. La terza è questa: l’anima non è più attaccata a qualche particolare luce interiore dell’intelletto né ad alcuna guida esterna per riceverne qualche conforto lungo questo arduo cammino; al contrario, in queste dense tenebre è privata di tutto questo. Solo l’amore, che arde in lei lungo tutto questo tempo, la spinge a offrire il suo cuore all’Amato, la muove, la guida e le consente di spiccare il volo verso il suo Dio attraverso il cammino della solitudine, senza sapere come ciò avvenga. S
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