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V. L'e. come sapienza divina. Stando ai mistici cristiani e alle tradizionali riletture in chiave più o meno dionisiana che dell'e. è andata proponendo una lunga serie di interpreti, la teologia della mistica ha ristretto il proprio campo d'indagine attorno a due nuclei principali: l'e. cristiana è un « sapere », anche se « non-sapendo »; l'e. cristiana è un « sapere » « subendo » l'iniziativa o la divina presenza operante nella passività mistica dell'anima.37

La teologia odierna tende a identificare questo « sapere-non-sapendo » con il « sapere » proprio della vita spirituale, in quanto vita di fede operante nella carità. In altri termini, la fede è il « sapere » tipico del cristiano, cioè una conoscenza relativa rispetto alle verità rivelate, che egli crede ciecamente e liberamente, perché le riconosce come manifestazioni dell'unica Verità rivelatrice. Per questo motivo, anche nell'e. si riesce a cogliere solo qualche particella della Verità assoluta, che come un prisma presenta innumerevoli sfaccettature che solo Dio ha presente in sé, nell'immediatezza, nella profondità e nella totalità. Appena si varca la soglia della conoscenza umana e teologica, si scorgono come in lontananza orizzonti sconfinati, ove regna la tenebra più assoluta. A questo punto ci si convince che « Dio è più grande del nostro cuore » (1 Gv 3,20), ossia che la Verità è talmente immensa da richiedere una ricerca che mai si esaurirà. A questo proposito il Qoelet afferma: « Molta sapienza molto affanno, chi accresce il sapere, aumenta il dolore » (1,18). Scrutare le profondità di Dio (cf 1 Cor 2,10), dunque, vuol dire, per chi fa l'e., scoprire il proprio limite creaturale, passare attraverso il deserto, il silenzio, le tenebre, ove Dio si « mostra » come il Deus absconditus deutero-isaiano (cf Is 15,45).

In breve, l'e., che è conoscenza al di qua della visione beatifica, quindi della situazione escatologica definitiva dell'uomo, si deve muovere non sul piano dell'intelligenza, ma su quello dell'amore. Del resto, il Dio rivelato in Gesù Cristo può essere conosciuto, nel senso biblico del termine, solo mediante l'esercizio della carità. In questa ricerca-incontro, si è favoriti dal fatto che lo spirito umano è strutturalmente aperto a Dio 38 fino a « conoscerlo » misticamente. L'esperienza mistico-conoscitiva si pone, dunque, sul piano della « sapienza del Mistero » (1 Cor 2,7), essendo oggetto di tale conoscenza « le cose di lassù », ossia quelle pasquali e trascendenti (cf Col 3,1). Di qui l'invocazione di Paolo, a nome di tutti coloro che sono alla ricerca della Sapienza eterna: « Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui » (Ef 1,17).

La perfetta conoscenza mistica, vero e proprio pellegrinare in avanti oltre le frontiere dei limiti umani verso l'infinito di Dio, sbocca sull'eterno, ove si verifica una penetrazione vitale nel mistero salvifico in tutta la sua estensione. Non si tratta qui di una conoscenza mediata, fondata sulle proposizioni della fede, ma di una intuitiva percezione 39 del mistero del Dio vivente, che si manifesta tra ombre e luci. La struttura cognitivo-religiosa si rivela, pertanto, completamente inadeguata, perché l'e. si pone tra l'umano e il divino, l'esistenziale e il metastorico, cioè in quella intersezione con il limite creaturale, al di là del quale regna il mistero divino. E la terra del silenzio di Dio, che sconvolge più dell'abbandono o dell'assenza. Questo divino silenzio è la Parola più loquace che Dio possa pronunciare, perché è un evento salvifico-comunionale, attraverso il quale la Trinità partecipa all'uomo il suo progetto d'amore, di fronte al quale il mistico riconosce il proprio destino creaturale, aperto a cogliere, seppure in parte, il volto di Dio trascendente e immanente al tempo stesso.

L'esperienza del divino è, dunque, protesa a questa conoscenza sapienziale del Padre, sorgività d'amore, del Figlio soggetto dell'amore del Padre e dello Spirito vincolo d'amore tra il Padre e il Figlio. Tutto ciò conferma, una volta di più, che la comunione mistica con le divine Persone è essenzialmente trinitaria. Riprendendo il pensiero paolino del cristiano tempio dello Spirito (cf 1 Cor 3,16) e quello giovanneo sulla dimora del Padre e del Figlio presso il credente (cf Gv 14,23), la tradizione cristiana ha sottolineato questa misteriosa presenza di Dio nell'uomo, e ha ribadito il valore della conseguente divinizzazione, che è il nucleo centrale dell'e.

Dio dalla sua diafana trascendenza si comunica e rivela nello spazio immanente dell'uomo. Nasce così una unità con Dio che tiene insieme la più abissale differenza, mai ignorata, da Dio e la più profonda comunione con lui; l'immediatezza della presenza di Dio diventa, così, inabitazione del suo mistero d'amore, realtà tanto più profonda quanto più l'unione con lui diventa reale. Nella comunione offerta dallo Spirito divino, il mistero irraggiungibile di Dio viene sperimentato come fedeltà e prossimità. In tale vicinanza-comunione con Dio, il mistico raggiunge, nella fede, quella sapienza che alimenta la carità e la gioia di stare in Dio, coltivando al tempo stesso la speranza di vederlo faccia a faccia, in un'estasi d'amore senza fine.

VI. L'e. come vita teologale. L'esistenza cristiana del mistico è aperta all'accoglienza del Dio di Gesù Cristo per la forza dello Spirito: nella sua storia feriale, egli viene a narrare la trama della sua alleanza con le divine Persone, cioè la sua comunione di vita con la Trinità beata, come vita teologale.

Il Dio trinitario, comunicando la sua divinità ed unità al mistico, gli imprime anche qualcosa del movimento eterno della sua vita, restaurando nel suo intimo l'immagine e somiglianza delle origini (cf Gn 1,26). In breve, il mistico riflette nella sostanza del suo essere il Dio uno e trino, in quanto riflette l'unità comunionale ed essenziale del dinamismo della vita intradivina. Tutto ciò costituisce le « vestigia » della Trinità, che la riflessione postpasquale ha saputo scoprire nello spirito di ogni uomo. Tale riflessione non ha inteso con questo spiegare il mistero trinitario, ma ha voluto piuttosto cercare di comprendere l'uomo partendo dalla rivelazione trinitaria, per meglio inquadrarlo nel mistero di cui ogni creatura umana è immagine.40

La vita nuova ricevuta nel battesimo e dinamicamente ora comunicata al mistico mediante l'identificazione al Cristo pasquale, nella grazia dello Spirito Santo è, dunque, vita che riflette l'unità trinitaria nell'incorporazione al Corpo ecclesiale di Cristo (cf Ef 4,4ss.) e nell'anticipazione della visione futura e definitiva del volto di Dio. L'esistenza del mistico viene, così, sempre più radicata nella vita intradivina e si esplica in un dinamismo, quotidianamente vissuto come vita teologale.41 Il mistico, insomma, vive nella Trinità e in rapporto alla storia feriale come uomo di fede, di speranza e di carità.42

Proprio perché, mediante il battesimo, il mistico è entrato a far parte della famiglia di Dio Padre, come figlio adottivo e immagine restaurata di lui (cf Col 3,10; Rm 8,29; ecc.), egli riflette in sé la sorgività dell'amore eterno, cioè l'essere amore amante proprio del Padre. Tale riflesso in lui e nella sua esistenza storica è la carità: 43 dono che rapporta il mistico all'origine e al principio di ogni cosa e di ogni amore. Esercitando la carità, il mistico può amare con la sorgività, la gratuità, la creatività, la forza stessa di Dio, appunto perché gli vengono comunicate dall'eterno Padre.

Incorporato con il battesimo al Verbo incarnato, nella sua esistenza pasquale, il mistico riflette in sé, altresì, la ricettività dell'amore, propria del Figlio, cioè l'essere amore amato. Tale riflesso che è fede, si esprime nell'e. come accoglienza del dono di Dio, come obbedienza nell'amore e, infine, come ascolto fedele della Parola. Nella e per la fede, il mistico partecipa, in un certo senso, al movimento eterno dell'amore, per mezzo del quale il Figlio accetta senza misura l'amore del Padre. Per questo motivo, nell'e. il cristiano si lascia amare, incondizionatamente, come il Figlio, da Dio Padre, nel senso che si lascia gestire dallo Spirito, senza chiedere garanzie o fare calcoli umani; accoglie la volontà salvifica del Padre, si fida ciecamente di essa, e ad essa obbedisce senza riserve.

Infine, riempito dal dono dello Spirito Santo, il mistico riflette nella propria vita teologale quel vincolo di unità e quell'apertura nella libertà dell'amore, propri dello Spirito Santo. Questo riflesso nell'esistenza pasquale del mistico costituisce la speranza. Questa virtù nella sua tensione teleologica unisce la presente realtà del mistico alla pienezza di Dio, aprendogli continuamente il cuore alla sua imprevibile volontà. Lungi dal risolversi, quindi, in passiva attesa, la speranza teologale è anticipo della beatitudine eterna promessa. La speranza, insomma, dona audacia all'amore e pazienza all'obbedienza della fede (cf Rm 5,1-5), per camminare senza stancarsi, come su ali d'aquila (cf Is 40,31), verso la comunione trinitaria.

La carità, la fede e la speranza, imprimono, dunque, un carattere tutto particolare all'esistenza redenta del mistico, intesa come esistenza trinitaria. Queste tre virtù non sussistono perciò separatamente, ma si rapportano mutuamente, in un dinamismo vitale, che riflette il dinamismo intradivino proprio della vita della Trinità. Lo spazio di quest'accoglienza sempre più profonda della Trinità nell'esperienza vitale del mistico alimenta un rapporto vitale, filiale, che comunemente viene definito preghiera.44

VII. Tipologie dell'e. cristiana. Nel vissuto cristiano sono state individuate varie forme di esperienze mistiche. E pressocché impossibile classificarle tutte in una mappa completa ed esaustiva, perché lo Spirito di Dio si comunica all'anima in modi singolari, diversi, e quasi sempre nascosti. Non ci è permesso conoscere le forme più elevate di e., perché troppo ineffabili per poter esser comprese dall'intelligenza umana.45 Ciò nonostante si possono individuare alcune tipologie registrate nella storia della mistica riproposte qui in maniera sintetica.

Innanzitutto, la mistica dell'essenza e la mistica sponsale. La prima è rappresentata dai mistici renano-fiamminghi nei secc. XIII-XIV, che si esprimeranno secondo il modello di « mistica dell'essenza » (Wesenmystik) distinto dal modello « sponsale » (Brautmystik).

In questa l'unione con Dio avviene secondo l'analogia del fidanzamento prima e del matrimonio poi, secondo il modello proposto dal Cantico dei Cantici, quindi muove da un retroterra più tipicamente biblico. E il retroterra dell'alleanza e della simbologia nuziale che la esprime. La comunione dell'uomo con Dio è vista come la comunione dell'anima (sposa) con lo Sposo (Dio). Il simbolo nuziale, insomma, esprime l'esperienza dell'essere-unito a Dio, cioè della comunione della sposa-creatura nella trasformazione dello Sposo-Creatore.

Nella mistica dell'essenza, invece, l'unione con Dio viene concepita come esperienza dell'unità dell'essere creato nell'Essere increato, di cui il primo è certamente partecipazione, sul modello del mistero di Dio, che è mistero di unità nella Trinità. La partecipazione-unità ontologica con il Divino essenziale avviene nel punto radicale dello spirito umano (fondo, scintilla, apice, centro, sostanza dell'anima). Tale esperienza mistica consiste, da parte dell'uomo, nel ritrovarsi o stabilirsi in permanenza in codesto « luogo », dove ritrova il fondo della sua umana esistenza e quello di Dio, nel loro reciproco fluire e rifluire.

La mistica dell'assenza: è l'esperienza dell'assenza di Dio, dell' aridità, del deserto o molto più semplicemente della purificazione o notte dei sensi e dello spirito. Per Giovanni della Croce, è la fase di passaggio per arrivare alla comunione-trasformazione in Dio, non ancora definitiva.

La mistica della luce consiste nella illuminazione dell'oscurità della non-conoscenza attraverso la luce divina che si mostra e lascia sperimentare a squarci di luce. Nella Scrittura, soprattutto nell'AT, Dio viene rappresentato come luce e le sue epifanie avvengono sotto forma di illuminazioni, visioni, folgorazioni. Ma è soprattutto nella Chiesa ortodossa che si insiste sulla mistica della luce, attraverso cui è possibile ricevere la visione della Luce increata (per es. nell'esicasmo), fine ultimo della vita spirituale.

La mistica contemplativa, infine, è un vissuto spirituale che si propone al termine dell'esperienza spirituale di preghiera. Difatti, la preghiera inizia in un modo discorsivo e, nella fase contemplativa, si riduce ad un atto semplice, a conclusione di quel processo di pneumatizzazione da parte dello Spirito. In questo modo, il mistico, che è in tutto « rinnovato e mosso da Dio » 46 e in lui solo totalmente raccolto, è come travolto ed assorbito entro il vortice della vita trinitaria.

VIII. Pellegrino dell'Assoluto sulle strade del mondo. L'e., fin qui descritta, non è una realtà avulsa dalla storia, ma si pone attraverso il soggetto mistico nel cuore stesso della storia come testimonianza concreta del Dio di Gesù Cristo. Il mistico, pertanto, non è uno spirito sazio di sé, chiuso in se stesso per fuggire dal consesso umano e rimanere in una sterile solitudine. Al contrario, egli è aperto agli altri nella comunicazione dell'amore; anzi, egli vive per le strade in solidarietà con gli altri uomini: condivide le loro aspirazioni, le loro gioie, le loro pene per edificare con loro la città celeste e narrare, qui ed ora, le meraviglie che Dio va compiendo in lui (cf 1 Gv 1,1-3) e nella storia degli uomini. Sulle strade del mondo, il mistico, come il Risorto a Emmaus, si fa compagno di viaggio degli uomini per fare della sua vita mistica un umile servizio di corredenzione e di mediazione tra il Salvatore e l'umanità.

Il mistico, proprio perché non è uno spirito disincarnato è, dunque, tutto impegnato nella collaborazione e nel completamento dell'opera creatrice dei primi giorni e nel rendere nuove tutte le cose, secondo l'azione salvifica del Cristo (cf Ef 1,10; Rm 8,22). La sua e. è, in conclusione, un frammento dell'eternità di Dio nella storia vissuta di ogni uomo, per cantare con la sua vita la Canzone « Tu » del rabbino hassidico di Berditschev nel '700 mitteleuropeo: « Dovunque io vada, Tu, dovunque io sosti Tu. Solo Tu, ancora Tu, sempre Tu. Cielo Tu, Tu terra, Tu. Dovunque mi giro, dovunque guardo, Tu, Tu, Tu! ».47

Note: 1 Cf L. Bouyer, « Mystique ». Essai sur l'histoire d'un mot, in VSpS 3 (1943), 3-23; 2 Cf a tale riguardo U. Rahner, Mysterion. Il mistero cristiano e i misteri pagani, Brescia 1952; 3 Cf Dionigi Areopagita, in Id., Teologia mistica, Tutte le opere, Milano 1981, 406-407; 4 Cf R. Moretti, Mistica e misticismo, oggi, in Aa.Vv., Mistica e misticismo oggi, Roma 1979, 28-41; 5 All'inizio della sua opera intitolata Teologia della mistica, tradotta in italiano con il titolo La scala del paradiso. Teologia della mistica, Brescia 1979, A. Stolz, ad esempio, fa notare come tutti, attualmente, siano concordi nel riconoscere che questo termine sottende un'esperienza del divino. Vedasi a tale proposito B. Calati, Teologia della mistica, in Id., Sapienza monastica, Roma 1994, 141-172; cf anche A. Bertuletti, Il concetto di « esperienza » nel dibattito fondamentale della teologia contemporanea, in Teologia, 5 (1980), 283-341; G. Moioli, Dimensione esperienziale della spiritualità, in Aa.Vv., Spiritualità: fisionomia e compiti, Roma 1981, 45-62; 6 Cf L. Duch, La experiencia religiosa en el contexto de la cultura contemporánea, Barcelona 1979, 39; vedasi soprattutto A. Godin, Psicologia delle esperienze religiose. Il desiderio e la realtà, Brescia 1983; 7 Expérience chrétienne et communication de la foi, in Con 9 (1973), 74-75; 8 J.-R. Armogathe, Esperienza dello spirito e tradizione cristiana, in Com 30 (1977), 18; 9 Così scrive s. Bonaventura a tale riguardo: « La conoscenza sperimentale della dolcezza divina aumenta la conoscenza speculativa della verità divina, perché Dio rivela i suoi segreti ai suoi amici e ai suoi intimi », (in IV Sent., I.III, dist. 34, a. 2, q. 2, 2m); 10 « E opportuno insistere sul fatto che l'esperienza dello Spirito non è un'esperienza della grazia, cioè di ordine mistico: ciò riporterebbe a concepire l'esperienza cristiana come un'esperienza mistica a un livello inferiore. E la tentazione quietista (o pietista) di non ammettere l'esperienza che come sola teologia - quindi di riservare ad alcuni l'esperienza cristiana... L'uomo religioso fa un'esperienza attiva, ma il teologo che si umilia, gusta anche l'esperienza della conoscenza », J.-R. Armogathe, Esperienza..., a.c., 22-23; 11 Cf a questo proposito H. de Lubac, Mistica e mistero cristiano, Milano 1979, soprattutto a p. 7 ove il noto teologo afferma: « Se bisogna intendere per «mistica» una certa perfezione raggiunta nella vita spirituale, una certa unione effettiva alla Divinità, allora, per un cristiano, non può trattarsi d'altro che dell'unione col Dio Tri-personale della rivelazione cristiana, unione realizzata in Gesù Cristo e per mezzo della sua grazia; dono «infuso» di contemplazione «passiva» »; 12 « Dio non è un ente tra gli altri, come quelli che s'incontrano nel mondo e sono esperibili con i sensi umani e con i criteri spirituali con una esperienza [Esperimentare significa letteralmente: «accertare viaggiando, recandosi sul posto». E «viaggiare» stesso deriva dalla stessa radice «per» (immergersi in qualcosa, penetrare qualche cosa, viaggiare attraverso), come il latino per = attraverso, ex-per-ientia = esperienza guadagnata facendo tentativi; in greco: peira = esperienza, peiro = penetrare, periao = tentare, provare, conoscere] che si arricchisce nel corso di una vita. Perciò, c'è da attendersi a priori che non si può sperimentare Dio come un oggetto mondano, neppure come un altro uomo. Dio è essenzialmente il nostro principio dal quale proveniamo non con una crescita naturale, come un ramo germoglia dal tronco, ma in sovrana libertà che ci apre la strada alla nostra indipendenza e libertà creaturale. Naturalmente non per abbandonarci in un'isola deserta, ma perché in libera ricerca ci apriamo al nostro principio «se mai arriviamo a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi» (At 17,27). Questo «sperimentare» si verifica quando vediamo Dio e l'uomo solamente in questo confronto di Creatore e creatura, paragonabile al procedere a tentoni di un cieco che al di là dello spazio colmo di oggetti finiti tasta nell'infinito per vedere se la sua mano spirituale si imbatta in qualche cosa », (H. U. von Balthasar, Nuovi punti fermi, Milano 1980, 20); 13 Cf B. Jiménez Duque, Cristo y la mística cristiana, in Teologia espiritual, 19 (1975), 155-185; 14 Cf J. Mouroux, L'expérience chrétienne, Paris 1952, soprattutto il cap. VIII; 15 Cf L. Borriello, Indicazioni per una lettura spirituale del Deuteronomio, in Asprenas, 32 (1984), 479-495; 16 « Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi... egli ci ha amati per primo », 1 Gv 4,10.19; 17 Cf D. De Pablo, Amor y conoscimiento en la vida mistica, Madrid 1979; 18 Cf G. Colombo, Conoscenza di Dio e antropologia, Milano 1988; 19 Questo « principio è stato ripreso molte volte nelle varie formulazioni dagli autori spirituali dell'Oriente ed è divenuto uno dei cardini del monachesimo. Citerò un testo recente che è assai suggestivo. L'autore è un teologo russo, B. Vyseslavcev: E profetica per ogni intellettualismo recente, quest'espressione di Leonardo da Vinci: Un grande amore è figlio di una grande conoscenza. Noi cristiani d'Oriente possiamo dire il contrario. Una grande conoscenza è figlia di un grande amore. Il principio, come notiamo, si dichiara universalmente valido per tutti i cristiani. Eppure vi è chiaramente sottolineato l'elemento mistico. La conoscenza di Dio è al di là delle nozioni intellettuali. Suppone l'esperienza vitale con Dio nella carità » (T. Spidlík, La mistica, in Aa.Vv., Mistica e scienze umane, Napoli 1983, 21); 20 Cf Ch.-A. Bernard, Teologia spirituale, Cinisello Balsamo (MI) 19893, soprattutto il cap. III; 21 Cf a tale riguardo L. Bouyer, Mysterion. Dal mistero alla mistica, Città del Vaticano 1998; 22 « Nella riflessione teologica la mistica si presenta come il farsi cosciente da parte dell'esperienza della grazia increata, in quanto rivelazione e autocomunicazione del Dio trinitario », H. Fischer, Mistica, in K. Rahner (cura di), Sacramentum mundi, V, Brescia 1976, 409; 23 Cf H. de Lubac, Mistica..., o.c., 19ss.; 24 Così afferma Fr. Claudio de J. Crucificado, in un articolo denso e interessante, ove tenta una definizione della mistica: Hacia una definición clara y precisa de la teología de la mística, in Revista española de teología, 1 (1940), 573-601; 25 Des grâces d'oraison, Paris 1922, Introduzione, III, 12; 26 A conferma di tale atteggiamento è opportuno riportare le parole di Gesù a Pietro: « Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi » (Gv 21,18); 27 Cf A. Hamman, La Trinità nella liturgia e nella vita cristiana, in Mysterium salutis, a cura di J. Feiner e M. Löhrer, III, Brescia 1969, 180-184; 28 III Sent. d. 35, q. 2, corp. Si pensi anche a un'altra definizione, offerta da Tommaso d'Aquino, quando, rispondendo alla seguente questione: « Duplex est cognitio divinae bonitatis vel voluntatis, una quidem speculativa... », afferma: « ... alia autem est cognitio divinae bonitatis seu voluntatis affectiva seu experimentalis, dum quis experitur in seipso gustum divinae dulcedinis et complacentiam divinae voluntatis » (STh, II-II, q. 97, a. 2 ad 2; un'altra definizione di mistica viene proposta da J. Maritain in Vita di preghiera, liturgia e contemplazione (Roma 1979, 60-77). Secondo tale autore, la vita mistica è caratterizzata dall'influsso abituale dei doni dello Spirito Santo. Si può, dunque, affermare che la vita mistica si svolge sotto l'influsso particolare e abituale dello Spirito Santo. Ora, quando questo influsso si manifesta soprattutto nel predominio della conoscenza e durante l'orazione, si avrà uno stato di contemplazione mistica; quando, invece, tale influsso sarà più forte nelle attività del cristiano posto di fronte alle difficoltà della vita, si avrà un'orazione, più semplice e penetrante, o per dirla con il Maritain, di una contemplazione impropriamente detta o mascherata (Ibid., 66-67) che permea la stessa attività dell'orante; 29 Direbbe l'apostolo Giovanni: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato Gesù Cristo » (17,3); 30 STh, II-II, q. 180, 3, 1m e 3m.; 31 Notte oscura, II, 18,5; 32 Cf Ch.-A. Bernard, Structure et passivité dans l'expérience religeuse, in NRTh 110 (1978), 643-678; 33 Di qui la tentazione di privilegiare tale conoscenza «passiva» a scapito della vita spirituale più comune. Si preferisce la passività in cui Dio stesso opera, all'attività umana, perché incapace di far conoscere Dio e di unire a lui. Tale è la posizione di coloro che propendono per il quietismo, rinunciando alla cooperazione dell'uomo per disciplinare, quindi, conformare la propria volontà a quella di Dio. Questo è il motivo per cui, a partire dal Seicento, entrò nell'uso comune contrapporre le due espressioni «teologia ascetica» e «teologia mistica». Ed è anche per questo motivo che si è giunti a distinguere sempre più l'ascetica, volontaria, attiva, ordinaria nella vita dello Spirito e di preghiera, dalla mistica, che è essenzialmente contemplativa, passiva e straordinaria; 34 H.U. von Balthasar, Au-de-là de l'action et de la contemplation, in Vie consacrée, 45 (1973), 65-74; 35 Cf a tale proposito L. Ancona, Interpretazione clinica del comportamento religioso, in Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria, gen-feb. 1961, 7-28; M. Bellet, Psychologie et spiritualité, in Christus, 16 (1969), 495-509; Fr. Gabriele di S.M. Maddalena, Indole psicologica della teologia spirituale, in Rivista di Filosofia neoscolastica, 32 (1940), 31-42; 36 In realtà, specialmente oggi, non si possono ignorare gli interrogativi posti dalla psicologia del profondo circa la natura dell'esperienza mistica. Questa può essere il risultato di forze naturali o di un processo inconscio, come pure le sue manifestazioni, straordinarie o normali che siano, possono essere il frutto di condizionamenti psicosomatici o di isteria; 37 Tommaso d'Aquino direbbe: « Il grado supremo della conoscenza umana di Dio è sapere di non sapere che cosa è Dio, in quanto appunto ci si rende conto che «ciò che Dio è» supera tutto ciò che comprendiamo di lui », (De potentia, q. 7 a. 5 ad 14); 38 Cf C. Tresmontant, La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988; 39 « L'esperienza mistica è, dunque, il percepire «ad una profondità» e «da una profondità». E come sentire che vi è un «centro», un «fondo», oppure, secondo un'altra immagine, un «vertice». «Fondo» e «vertice» sono le due immagini antitetiche che i mistici usano. Questa percezione «ad una profondità» o «da una profondità, oppure «ad un vertice» o «da un vertice», postula che il soggetto sia totalmente implicato, al di là di ogni esercizio distinto del pensare, del volere, della fantasia e della memoria » (G. Moioli, L'esperienza spirituale, Milano 1992, 77); 40 Cf K. Rahner, Il Dio trino come fondamento originario e trascendente della storia della salvezza, in Mysterium salutis, a cura di I. Feiner e M. Löhrer, III, Brescia 1969, 401ss.; 41 Cf H. de Lubac, Mistica..., o.c., 21-23, passim; 42 Cf E. Jüngel, Dio, mistero del mondo, Brescia 1982, 505ss.; 43 Cf I. Hausherr, Carità e vita cristiana, Roma 1970; 44 Cf Teresa d'Avila, Vita 8,5; 45 Si pensi, ad esempio, alle esperienze mistiche di Gesù, della Vergine Maria, di Abramo, del profeta Isaia, di Paolo, dell'apostolo Giovanni, ecc.; 46 Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore 4;47 Cf M. Buber, I racconti dei Chassidim, Milano 1979, 257.

Bibl. Aa.Vv., Mystique, in DSAM X, 1889-1984; Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982; J. Beaude, La mistica, Cinisello Balsamo (MI) 1992; A.M. Enebral Casares, Fundamentos antropológicos de la mística, Madrid 1991; H. Fischer, s.v., in K. Rahner (cura di), Sacramentum mundi, V, Brescia 1976, 409-424; S. Guerra, s.v., in Aa.Vv., Diccionario teológico: El Dios cristiano, Salamanca 1992, 897-916; B. Jimenez Duque, Teología de la mística, Madrid 1963; W. Johnston, L'occhio interiore. Inedita meditazione sul senso della vita mistica, Roma 1987; A. Léonard, Expérience spirituelle, in DSAM IV2, 2004-2026; G. Moioli, Mistica cristiana, in NDS, 985-1001; J. Sudbrack, Mystik, in WMy, 367-370; Id., Mistica, Casale Monferrato (AL) 1992; C. Tresmontant, La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988; R. Woods (ed.), Understanding Mysticism, New York 1980; R.C. Zaehner, Mysticism Sacred and Profane, Oxford 1980.

L. Borriello