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ESPERIENZA MISTICA.

I. Cenni storici sul termine « mistica ».1 L'aggettivo mystikós proviene dal verbo muo, che vuol dire tacere, chiudere gli occhi; da qui deriva, in primo luogo, mysterion, mistero, nel senso ellenistico del termine, cioè il rito segreto d'iniziazione che mette in contatto l'uomo con la divinità. In secondo luogo, deriva mysteriasmós, che vuol dire iniziazione al mistero del mystés, dell'iniziato. Il termine mystikós, invece, è adoperato, in modo generale, relativamente ai misteri, cioè ai riti iniziatici delle religioni chiamate per questo « misteriche ». Stando, dunque, al significato comune del termine mysterion, il campo mistico implica sempre l'esistenza di una realtà segreta, nascosta alla conoscenza ordinaria e che, quindi, si rivela attraverso una iniziazione quasi sempre di tipo religioso. Nell'area greco-ellenistica, il termine mystikos era usato molto raramente e sottindendeva già un'idea di mistero, ma in un senso molto limitato e difficile da precisare.2
In seguito, lo stesso termine, ma in ambito cristiano, significò prima un'esegesi spirituale, quindi allegorica, dei testi scritturistici e liturgici, orientata su Cristo e sulla Chiesa. In seguito, venne a significare lo sforzo dell' anima che scopre la presenza di Cristo nella Bibbia e nella liturgia e, quasi nello stesso tempo, l'esperienza interiore del possesso di Dio. Molto presto, da un significato oggettivo ed esegetico del termine, si pervenne ad un significato soggettivo e sperimentale.

Difatti, mistico-mistero, cioè la realtà divina, sempre nascosta, passò a indicare l'oggetto della fede comune a tutti i cristiani. In Paolo, il Mistero della salvezza diventa oggetto di esperienza, in seguito alla visione del Cristo (cf Gal 1,15-16) sulla strada di Damasco. L'attenzione viene posta non sull'esperienza dell'uomo, bensì sulla rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Sicché, il termine « mistico », nel senso originario, viene a significare la scoperta dell'amore di Dio.

Per i Padri greci, il Mistero o i misteri indicano in particolare i vari sacramenti: dietro i simboli sensibili è presente una realtà divina. Come nel battesimo opera la potenza invisibile del Cristo morto e risorto, così nell' Eucaristia i segni del pane e del vino nascondono la presenza del Cristo glorioso. Inoltre, erano intesi come « mistici » sia il senso nascosto dei sacramenti, cioè la presenza della potenza divina sotto forma visibile, sia l'esperienza di Dio nascosto, presente nell'opacità del vissuto.

Proseguendo in questa direzione, « mistico » viene a indicare, più esplicitamente e innanzitutto, lo stesso Gesù come manifestazione visibile e, allo stesso tempo, mistero dell'opera salvifica di Dio. Egli concentra in sé il senso di entrambi i Testamenti e continua ad operare attraverso i gesti salvifici e la Parola nella sua Chiesa. In questa, il mistero di Gesù, rivive nella Scrittura e nel sacramento: il battesimo è una « rinascita mistica » nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma soprattutto l'Eucaristia è un « cibo mistico », un « banchetto mistico ». Solo passando per questo significato originario, il termine « mistico » diventa attributo della contemplazione dei divini misteri; sicché contemplazione viene a significare « visione » dei misteri di Dio. Tale visione può includere tutto perché al suo centro sta la sacramentale « mistica » unione del creato con Dio nel Dio-Uomo Gesù Cristo: « E il Verbo si fece carne » (Gv 1,14), il divino si fece cosmico.

Quanto ai Padri latini, essi usano soprattutto il termine mysterion, tradotto spesso con « sacramentum », nel senso paolino o in un senso più ampio, però sempre dipendente da quello paolino. In breve, nell'ambito cristiano, si parla di una realtà segreta e nascosta, cioè Dio stesso, che trascende ogni cosa; nascosti e segreti rimangono, altresì, i vari aspetti del Mistero salvifico, conosciuti per fede, ma solo in modo imperfetto.

Con Marcello d'Ancira ( 374 ca.) compare un'espressione che, raccolta da Dionigi Areopagita, conoscerà una grande fortuna: teologia mistica. Con questo termine, Marcello intendeva indicare una conoscenza di Dio « ineffabile e mistica », distinta dalla conoscenza comune. Dionigi Areopagita nella sua Teologia mistica aggiunge una precisazione determinante, cioè che questa conoscenza misteriosa di Dio costituisce l'apice dell'esperienza religiosa.3

Anche se il primo uso del termine « mistica » applicato a un certo modo di conoscere Dio direttamente e in modo quasi sperimentale sembra trovarsi in Origene, è, dunque, soprattutto Dionigi Areopagita a parlare di mistica in senso di esperienza. Nel suo trattato sui Nomi divini, parlando di Ieroteo, suo presunto maestro, e dell'interpretazione delle Scritture, dichiara che « tutto rapito fuori di sé in Dio, egli partecipava dal di dentro e interamente dell'oggetto stesso che celebrava ». Poi passa a un altro soggetto richiamando un termine di cui ha appena finito di parlare, cioè l'esegesi di Ieroteo e la sua esperienza spirituale, tà exeì misticà. E su questo sfondo saturo di esperienza che va inquadrato il libretto intitolato Teologia mistica, con il quale l'Areopagita divenne il teologo normativo della mistica. L'accento decisivo che egli dà alla sua vasta opera è questo: l'essere di Dio rimane un mistero che non si può raggiungere né con il sapere né con l'esperienza; si può soltanto, come Mosè sul Monte Sinai, entrare nell'oscura nube del mistero. Il precedente, ricco mondo d'esperienza delle molteplici percezioni si apre verso Dio solo se il permanente mistero divino non viene dissolto (teologia negativa): Dionigi « canta » così, servendosi del simbolo di Mosè, l'ascesa dell'uomo verso la mistica unione con Dio.

Questa dottrina dell'esperienza di Dio nascosto nella tenebra attraverserà tutto il Medioevo. Nel Cinquecento e nel Seicento, epoca in cui prevale la considerazione psicologica, invece, l'attenzione si sposta sulle condizioni soggettive dell'esperienza e, in particolare, sulle modalità della contemplazione mistica e sui fenomeni parapsicologici che in essa si possono verificare.

L'uso del termine al sostantivo, cioè « mistico », nel sec. XVII segna una distinzione tra il fatto di poter sperimentare il mistero e il mistero in sé. L'attenzione al soggetto, lo studio psicologico dell'esperienza (come fenomeno di coscienza), il confronto superficiale dei concetti cristiani occidentali con quelli dell'estremo Oriente, in seguito anche alcune esperienze « parossistiche » (peak-experience= esperienza culmine o limite) o alcuni stati inebrianti provocati dalla droga, riducono la mistica a una fusione con il divino, oppure a un sentimento sublime senza contenuto o senza oggetto. La mistica viene, così, intesa come un « concetto-limite ed essenziale » (J. Seyppel) che riassume quanto detto sopra.

Nella teologia posteriore al 1900 si è imposta in maniera forte la questione se la mistica costituisca un prolungamento o un'intensificazione dell'esperienza della fede (R. Garrigou-Lagrange) o un dono di Dio straordinario e qualitativamente nuovo (Foulain). Strettamente legata a tale questione se ne è posta un'altra altrettanto importante, cioè se ridurre l'essenza stessa della mistica alla mistica dei fenomeni straordinari. Tale questione si può ridurre al seguente interrogativo: la mistica dipende da un metodo o è un dono gratuito? Pare che la risposta più elevata sia questa: pur consapevole dell'utilità dei metodi, la mistica cristiana insiste, però, soprattutto sul carattere dei doni gratuiti dello Spirito (J. Maritain). L'esperienza mistica, intesa come pienezza di vita cristiana, si riferisce sempre alla gratuità di Dio, con il quale si entra in intima unione d'amore, sul piano esperienziale.

L'altro termine con cui si è designato la mistica nel corso della storia è misticismo, termine che in varie lingue europee assume un significato piuttosto negativo, di pseudo-mistica, mentre in inglese e in italiano ha generalmente un senso positivo ed è sinonimo di mistica. E anche vero, però, che con questo termine si indicano la tendenza, l'aspirazione, l'espressione di un bisogno, la ricerca, in breve, un certo dinamismo vitale.4 Alcune volte, gli autori cattolici lo contrappongono a mistica per indicare ogni deviazione che assuma le apparenze di mistica, come ad esempio la teosofia, lo spiritismo, il quietismo, ecc.

Comunque, è evidente che « mistica » sottintende sempre l'idea di un'esperienza interiore del divino.