CAPITOLO 2
Dice quanto sia ripugnante lo stato di un’anima in peccato mortale, e come Dio volle farne capire qualcosa a una persona. Tratta anche un po’ della conoscenza di sé. È molto utile per certi punti che meritano attenzione. Spiega come debbano intendersi queste mansioni.
1. Prima di andare avanti, voglio esortarvi a considerare cosa deve essere lo spettacolo di questo castello così risplendente e così bello, questa perla orientale, quest’albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita, che è Dio, quando l’anima cade in un peccato mortale. Non vi sono tenebre più buie, né nulla di così oscuro e fosco che possa reggerne il confronto. Non cercatene altro motivo che questo: lo stesso sole che le dava tanto splendore e bellezza, pur stando nel centro di quest’anima, è come se non ci fosse più; come se l’anima non potesse più partecipare di lui, anche se conserva la capacità di godere di Sua Maestà come il cristallo di riflettere in sé il sole. Niente le è di vantaggio: in questo stato di peccato mortale, qualunque buona opera essa compia non le procura alcun frutto per acquistare gloria, perché non procedendo da quel principio, cioè da Dio, in forza del quale la nostra virtù è virtù, e allontanandosi, anzi, da lui, non può essere gradita ai suoi occhi. Infatti, l’intento di chi commette un peccato mortale non è quello di accontentare Dio, ma di far piacere al demonio e, identificandosi questi con le tenebre stesse, la povera anima diviene con lui una sola tenebra.
2. Conosco una persona alla quale nostro Signore volle mostrare che cosa sarà di un’anima che ha commesso un peccato mortale. Tale persona dice che, secondo lei, sarebbe impossibile che qualcuno, comprendendolo, potesse peccare. Per fuggirne le occasioni, avrebbe preferito esporsi alle maggiori prove che sia dato immaginare. Da ciò le venne un immenso desiderio che tutti comprendessero questa verità. Possa pertanto nascere in voi, figlie mie, il proposito di pregar molto Dio per coloro che si trovano in questo stato, ridotti a una completa oscurità, come oscure sono anche le loro opere. Infatti, come da una sorgente molto chiara non sgorgano che ruscelli limpidissimi, così è di un’anima in stato di grazia; le sue opere sono tanto gradite agli occhi di Dio e degli uomini perché procedono da questa fonte di vita, dove ella si trova come un albero piantato lungo l’acqua, senza la quale non avrebbe freschezza né fecondità, mentre essa la sostenta, le impedisce di inaridirsi e le fa produrre ottimi frutti. Tutto ciò che, invece, procede dall’anima la quale, per sua colpa, si allontana da questa fonte e mette radici in un’altra fonte, dalle acque scurissime e maleodoranti, riflette la sua stessa assenza di grazia e la sua sudiceria.
3. Bisogna qui notare che la fonte o, meglio, quel sole risplendente posto al centro dell’anima non perde il suo fulgore né la sua bellezza: continua a stare nell’anima e niente può portargli via tale bellezza. Ma, se sopra un cristallo esposto al sole si mette un panno molto scuro, è evidente che, anche se il sole batte su di esso, la sua luce non avrà nessun effetto sul cristallo.
4. O anime redente dal sangue di Gesù Cristo! Rendetevi conto di questo stato e abbiate pietà di voi stesse! Com’è possibile che, acquistata tale consapevolezza, non cerchiate di togliere questa pece dal vostro cristallo? State attente che, se vi sorprende la morte, non tornerete a godere mai più di questa luce. Oh, Gesù! Che spettacolo è quello di un’anima priva di essa! In che stato vengono a trovarsi le povere stanze del castello! Quale turbamento s’impadronisce dei sensi che ne sono gli abitanti! E le potenze che ne sono le guardie, i maggiordomi e i direttori di mensa, in quale condizione di accecamento e di mal governo si riducono! In conclusione, se l’albero è piantato nella terra, che è il demonio stesso, quale frutto può dare?
5. Una volta un uomo spirituale mi diceva che non si spaventava di ciò che può fare chi si trova in peccato mortale, ma di ciò che non fa. Che Dio, nella sua misericordia, ci liberi da un così grande male, non essendoci nulla nella nostra vita terrena che meriti questo nome di male se non il peccato, apportatore di numerosissimi mali eterni. Ecco, figlie mie, ciò che dobbiamo temere e da cui nelle nostre orazioni dobbiamo supplicare Dio di liberarci. Se, infatti, egli non custodisce la città, lavoreremo invano, perché non siamo che vanità. Quella persona diceva di aver ricavato due vantaggi dalla grazia accordatale da Dio: anzitutto un timore grandissimo di offenderlo, pertanto lo supplicava continuamente di non lasciarla cadere, essendo consapevole dei terribili danni che una caduta comporta e, in secondo luogo, uno specchio di umiltà, nel quale vedeva come il principio del bene che facciamo non sia in noi, ma in questa fonte nella quale è piantato l’albero delle nostre anime, e in questo sole che feconda le nostre opere. Aggiunse che tale verità le apparve così chiara che, quando faceva o vedeva fare qualche opera buona, risaliva subito a chi ne era il principio e si rendeva conto che senza il suo aiuto non si può fare nulla. L’effetto di questa riflessione era di recarsi subito a ringraziare il Signore e, di solito, dimenticarsi di se stessa, qualunque cosa buona facesse.
6. Non sarebbe tempo perduto per voi, sorelle, leggere questo e per me scriverlo, se ne ricavassimo questi due vantaggi. I dotti e gli esperti di tale materia sanno molto bene tutto questo, ma noi donne, nella nostra ignoranza, abbiamo bisogno di tutto. Per questo motivo, forse, il Signore vuole che simili paragoni vengano a nostra conoscenza. Si compiaccia, nella sua bontà, di farci la grazia di trarne profitto!
7. Queste cose interiori sono tanto difficili da capirsi che una persona di così scarsa istruzione come me per forza dovrà dire molte parole superflue, e anche spropositate, prima di dirne una che colga nel segno. Occorre che chi mi legge abbia pazienza, come ne occorre anche a me, del resto, per scrivere di cose che non so. Certo, qualche volta prendo carta e penna come un idiota che non sa cosa dire né da dove cominciare. Capisco bene, però, che è molto importante per voi che io vi spieghi alcune cose interiori come meglio potrò, perché sentiamo sempre parlare dell’eccellenza dell’orazione, a cui le nostre Costituzioni ci prescrivono di attendere per molte ore, ma non ci viene spiegato più di quello a cui possiamo arrivare da noi stesse. Delle cose che il Signore opera in un’anima, intendo dire soprannaturali, si dice ben poco, mentre parlandone e spiegandole in diverse maniere se ne trarrebbe un gran conforto, per la considerazione di questo celeste edificio interiore così poco capito dai mortali, benché siano molti quelli che vi si trovano. E, anche se in altri libri che ho scritto il Signore mi ha già dato qualche lume in merito a ciò, mi rendo conto che alcune cose, specialmente le più difficili, non le avevo comprese come ora. Il guaio – ripeto – è che, per giungere a spiegarle, dovrò ripeterne una quantità di quelle già molto conosciute, perché con una intelligenza così rozza come la mia non può essere altrimenti.
8. Ma, ritorniamo al nostro castello e alle sue molte mansioni. Non dovete immaginare queste mansioni una dietro l’altra, come poste in fila, ma portare il vostro sguardo al centro, che è l’abitazione o il palazzo dove sta il Re; dovete far conto che sia un «palmetto» in cui, prima d’arrivare al frutto, si trova un fitta ricopertura di foglie che lo circondano da ogni parte. Così, qui, intorno a questa stanza, e anche al di sopra, ve ne sono molte altre, perché le cose dell’anima vanno sempre considerate con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, essendo la sua capacità superiore a ogni nostra immaginazione, e ogni parte di essa irradiata dal sole che ha sede in questo palazzo. È molto importante che un’anima di orazione, qualunque sia il grado da essa raggiunto, non sia rincantucciata e costretta in una sola stanza. La si lasci circolare per queste mansioni, in alto, in basso, e ai lati, poiché Dio le ha conferito così gran nobiltà; non la si tiranneggi obbligandola a stare a lungo nello stesso posto, sia pure in quello della conoscenza di sé. Capitemi bene, però: la conoscenza di se stessi è tanto necessaria anche alle anime ammesse dal Signore nella sua stessa mansione, che mai – per quanto elevate esse siano – devono trascurarla, né potrebbero farlo, anche volendolo, perché l’umiltà è come l’ape che fabbrica continuamente nell’alveare il miele, senza di che tutto sarebbe perduto. Ma, consideriamo anche che l’ape non tralascia di uscire e di volare per succhiare il nettare dei fiori. Così dev’essere dell’anima nella conoscenza di se stessa: mi creda, e prenda di tanto in tanto il volo per considerare la grandezza e la maestà del suo Dio. In ciò scoprirà la propria bassezza assai meglio che guardando in se stessa, e sarà più esente dagli animaletti immondi che entrano nelle prime stanze, cioè quelle della conoscenza di sé; anche se, ripeto, è grande misericordia di Dio che si applichi a questa conoscenza, tuttavia, come suol dirsi, il più val bene il meno. E, credetemi, con l’aiuto di Dio attueremo assai miglior virtù che rimanendo molto attaccate al nostro fango.
9. Non so se mi sono spiegata bene: questa conoscenza di noi stessi, infatti, è tanto importante che non vorrei vi fosse mai in ciò rilassatezza, anche se foste già elevate fino ai cieli; perché fino a quando saremo su questa terra non c’è cosa che ci sia più necessaria dell’umiltà. Pertanto, torno a dire che va bene, benissimo, cercar di entrare, prima, nella mansione a ciò preposta, anziché volare verso le altre, essendo questo il giusto cammino; e se possiamo camminare su un terreno piano e sicuro, perché volere ali per volare? Cerchiamo piuttosto il modo di avvantaggiarci sempre più in questa conoscenza. Ma, a mio parere, non arriveremo mai a conoscerci se non procureremo di conoscere Dio: la contemplazione della sua grandezza ci servirà per scoprire la nostra bassezza; la considerazione della sua purezza ci farà vedere la nostra sozzura; il pensiero della sua umiltà ci farà comprendere quanto siamo lontani dall’essere umili.
10. In ciò vi sono due vantaggi: il primo, perché è evidente che una cosa bianca appare molto più bianca vicino a una nera; il secondo, perché la nostra intelligenza e la nostra volontà restano nobilitate e più disposte ad ogni specie di bene, essendo volte alternativamente su Dio e su di noi. Se, invece, non usciamo mai dal fango delle nostre miserie, ne derivano non pochi inconvenienti. Dicevamo, a proposito di coloro che si trovano in peccato mortale, quanto siano nere e maleodoranti le correnti che da loro procedono. Così è qui (quantunque non allo stesso modo – Dio ci liberi –, si tratta solo di un paragone), giacché, sempre immersi nell’abiezione della nostra terra, la corrente che procede da noi non sarà mai libera dal fango dei timori, della pusillanimità, della codardia e da pensieri come questi: Si bada o no a me? Andando per questa strada, me ne verrà del male? Posso osare intraprendere quest’opera? Non sarà superbia? È bene che una persona miserabile attenda a una cosa così sublime come l’orazione? Non mi giudicheranno migliore se non batto il cammino di tutti? Gli estremi non sono mai buoni, anche in materia di virtù, ed essendo tanto peccatrice, non farò che cadere più dall’alto; forse non proseguirò il cammino e sarò di danno ai buoni, perché per una come me non ci vogliono particolarità.
11. Oh Dio, figlie mie, quante anime il demonio deve aver rovinato con questi pensieri! Infatti, tutto ciò, insieme a molte altre cose che potrei dire, sembra alle anime umiltà. Ne è causa il non riuscire ad avere una chiara consapevolezza di sé, che fa deviare la conoscenza di sé; se non usciamo mai da noi stessi, non me ne meraviglio: c’è da temere questo e peggio. Pertanto vi dico, figlie mie, di fissare gli occhi su Cristo, nostro bene, e sui suoi santi: da essi impareremo la vera umiltà, la nostra intelligenza ne resterà nobilitata e la conoscenza di noi stessi non ci renderà vili e negligenti, perché, pur trattandosi della prima mansione, essa è così eccellente e di tale pregio che se l’anima sa schivare gli animaletti nocivi che vi si incontrano, non mancherà di passare oltre. Sono terribili gli inganni e le astuzie del demonio per impedire alle anime di conoscersi e rendersi conto del proprio cammino.
12. Di queste prime mansioni io potrò parlare con cognizione di causa per l’esperienza che ho di esse. Ripeto, dunque, che non dovete pensare che qui vi siano pochi appartamenti, ma tantissimi, perché le anime entrano in questa mansione in molti modi e tutte con buona intenzione. Ma, siccome quella del demonio è sempre tanto cattiva, certamente in ognuna egli ha molte legioni di suoi simili per contendere loro il passaggio dall’una all’altra; le anime, non rendendosene conto, sono oggetto di inganni in mille guise, inganni che riescono meno facili al demonio con quelle ormai più vicine all’appartamento del Re. Qui, invece, essendo ancora attratte dal mondo, ingolfate nei suoi piaceri e perdute dietro ai suoi onori e alle sue esigenze, i loro vassalli (che sono i sensi e le potenze) non hanno più la forza originaria data loro da Dio, e facilmente esse sono vinte, anche se sono animate dal desiderio di non offendere Dio e se si dedicano a opere buone. Coloro che si vedranno in tale stato devono ricorrere spesso, come meglio possono, a Sua Maestà, prendere come intercessori la Madre sua benedetta e i suoi santi, perché combattano per loro, visto che i propri vassalli hanno ben poca forza per difenderle. In realtà, in qualunque stato, la forza ci deve venire da Dio. Sua Maestà ce la dia per la sua misericordia! Amen.
13. Com’è miserabile la vita che viviamo! Poiché altrove ho parlato a lungo del danno che ci arreca, figlie mie, il non comprendere bene ciò che riguarda l’umiltà e la conoscenza di noi stesse, qui non ve ne parlo più, anche se si tratta di quanto ha maggiore importanza per noi. E piaccia a Dio che abbia detto qualcosa che vi sia utile!
14. Dovete notare che in queste prime mansioni non giunge ancora quasi nulla della luce che emana dal palazzo dove abita il Re. Sebbene esse non siano così nere e tenebrose come quando l’anima è in peccato, la luce ne è in qualche modo offuscata, tanto che chi si trova lì non può vederla, e non per difetto dell’appartamento – non so come spiegarmi –, ma perché tutte le cose nocive, serpenti, vipere e altri animali velenosi che vi si sono introdotti con l’anima, non le consentono di percepirla. È come se uno entrasse in una sala inondata di sole, avendo gli occhi così pieni di terra da non poterli quasi aprire. La sala è luminosa, ma egli non gode della luce a causa dell’ostacolo che glielo impedisce, cioè a causa di questi rettili e di questi animali nocivi che lo obbligano a chiudere gli occhi a tutto fuorché a loro. Così mi pare che debba essere di un’anima la quale, anche senza trovarsi in un cattivo stato, è – come ho detto – talmente invischiata nelle cose del mondo e talmente assorbita dagli averi, dagli onori e dagli affari che, sebbene di fatto, in realtà, vorrebbe considerare se stessa e godere della sua bellezza, ne è impedita, né, a quanto sembra, riesce a schivare tanti ostacoli. Eppure è ben necessario, per entrare nelle seconde mansioni, lasciar perdere le cure e gli affari che non sono necessari, ciascuno in conformità del suo stato. Ciò è di tale importanza per arrivare alla mansione principale che se l’anima non comincia subito a farlo, ritengo impossibile che vi giunga, e anche che riesca a stare senza grande pericolo in quella ove si trova, pur essendo già entrata nel castello, perché fra bestie tanto velenose è assai difficile che una volta o l’altra non ne venga morsa.
15. Che sarebbe dunque, figlie mie, se quelle come noi che sono ormai libere da questi ostacoli e si sono già molto addentrate nelle mansioni più segrete del castello dovessero, per propria colpa, tornare, uscite da esse, a questa baraonda! In effetti, a causa dei nostri peccati, devono esserci molte persone alla quali Dio ha concesso molte grazie e che per loro colpa le lasciano svanire miseramente. Qui noi siamo libere esteriormente; piaccia al Signore che lo siamo anche interiormente e ci liberi lui da ogni pericolo. Guardatevi, figlie mie, da preoccupazioni che non vi riguardano. Badate che sono poche le mansioni di questo castello in cui non vi sia da combattere con il demonio. È vero che in alcune sono le guardie – cioè, come credo di aver detto, le potenze – ad avere la forza di combatterlo, ma abbiamo bisogno di una grande vigilanza, per scoprirne le insidie ed evitarne gli inganni, qualora egli si trasformi in angelo di luce. Ci sono molte cose che ci possono nuocere, insinuandosi in noi a poco a poco, in modo che non ci rendiamo conto del male se non quando lo abbiamo fatto.
16. Vi ho già detto che agisce come una lima sorda e che bisogna scoprirlo fin dal principio. Per farvelo intendere meglio, voglio qui aggiungere qualche esempio. Ispirerà a una sorella così violenti desideri di penitenza da farle credere di non aver riposo se non quando è tesa a tormentarsi. Questo principio è buono, ma se la priora ha ordinato di non fare penitenza senza suo permesso e il demonio le fa credere che in una cosa tanto meritoria può bene osare di contravvenire all’ordine, ed ella, di nascosto, si sottopone a tali prove da perderci la salute e non ottemperare a ciò che impone la Regola, vedete da voi stesse dove va a finire questo buon principio. A un’altra ispirerà un grande zelo per la perfezione. Anche questa è cosa ottima, ma potrebbe derivarne il fatto che qualunque piccolo difetto delle consorelle le apparisse come una grave mancanza, e che, per conseguenza, avesse gran cura di osservare se esse commettono errori, per correr subito ad avvertire la priora. Potrà anche accadere, a volte, che questo grande zelo religioso non le faccia vedere i propri errori; e le altre, che non conoscono il suo intimo e notano la cura che si prende di osservare le loro mancanze, potranno aversela a male.
17. Ciò che qui il demonio pretende non è cosa da poco, perché il suo scopo è quello di raffreddare la carità e l’amore reciproco, il che sarebbe un grande male. Rendiamoci conto, figlie mie, che la vera perfezione consiste nell’amore di Dio e del prossimo, e quanto più compiutamente osserveremo questi due comandamenti, tanto più saremo perfette. La nostra Regola e le nostre Costituzioni non sono altro che mezzi per meglio osservarli. Lasciamo perdere questi zeli indiscreti che possono farci molto danno e ognuna badi a se stessa. Siccome in altro luogo vi ho già parlato a lungo di questo argomento, non mi dilungherò.
18. L’amore reciproco è così importante che io vorrei che non lo dimenticaste mai, perché l’andare osservando nelle altre certe inezie, che a volte non saranno neppure imperfezioni e che forse solo la nostra ignoranza ci farà interpretare nel modo peggiore, può far perdere la pace dell’anima e anche turbare quella delle consorelle: guardate un po’ se non costerebbe cara questa perfezione! Il demonio potrebbe, inoltre, far nascere la stessa imperfezione nella priora, e allora sarebbe più pericolosa. In tal caso, occorre molta discrezione, perché se si tratta di cose che vanno contro la Regola e le Costituzioni, non bisogna sempre interpretarle nel modo migliore, ma avvisarla e, se non si corregge, informarne il superiore. Questa è carità. Lo stesso va fatto nei riguardi delle consorelle, se si tratta di qualcosa di grave. Lasciar correre tutto, per paura che sia tentazione, sarebbe ciò stesso una tentazione. Ma dovete star molto attente (affinché il demonio non vi induca in inganno) a non parlare di queste cose le une con le altre, perché il demonio potrebbe trarne gran profitto, introducendo l’abitudine della mormorazione; bisogna parlarne solo, come ho detto, con chi può apportarvi rimedio. Qui, grazie a Dio, non c’è tanto da temere, per il continuo silenzio che si osserva, ma è bene star sempre in guardia.