00 01/08/2013 19:11
CAPITOLO 30
Ove si comincia a trattare del quinto genere di beni, cioè quelli soprannaturali, nei quali la volontà può trovare gioia. Si spiega quali siano e come si distinguano da quelli spirituali e come si debba indirizzare a Dio la gioia che ne proviene.
1. È opportuno ora parlare del quinto genere di beni nei quali l’anima può trovare gioia, cioè dei beni soprannaturali. Per beni soprannaturali intendo tutti i doni e le grazie da Dio concessi, che superano la facoltà e le forze della natura. Si chiamano grazie gratis datae, cioè date gratuitamente, come ad esempio i doni della sapienza e della scienza, accordati a Salomone, e le grazie di cui parla san Paolo (1Cor 12,9-10): la fede, il dono della guarigioni, quello di operare miracoli, lo spirito di profezia, la conoscenza e il discernimento degli spiriti, l’interpretazione e anche il dono delle lingue.
2. Anche se questi beni sono indubbiamente spirituali, come quelli dello stesso genere di cui tratterò dopo, tuttavia, essendovi molta differenza fra di loro, ho voluto parlarne a parte. L’esercizio di questi beni, infatti, concerne immediatamente l’utilità del prossimo e per questo motivo vengono concessi da Dio, come dice san Paolo: A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune (1Cor 12,7), espressione da riferire alle grazie suddette. Quanto alle grazie spirituali, invece, il loro esercizio riguarda solo i rapporti tra l’anima e Dio, e viceversa, in una comunicazione d’intelletto, di volontà, ecc., come dirò più avanti. C’è quindi una differenza quanto all’oggetto: oggetto dei beni spirituali è unicamente il rapporto fra il Creatore e l’anima, mentre oggetto dei beni soprannaturali è la creatura. Essi differiscono, inoltre, nella sostanza, nelle operazioni, quindi necessariamente anche nella dottrina.
3. Trattandosi, però, di doni e di grazie soprannaturali come le intendo qui, affermo che bisogna purificare la volontà dalla gioia vana che se ne prova, tenendo presenti due vantaggi che si ottengono in questo genere di beni, l’uno temporale e l’altro spirituale. Il vantaggio temporale riguarda la guarigione dalle malattie, l’acquisto della vista per i ciechi, la risurrezione dei morti, l’espulsione dei demoni, la predizione del futuro per salvaguardarsi, e altre cose di questo genere. Il vantaggio spirituale ed eterno sta nel fatto che Dio viene conosciuto e glorificato per queste opere da chi le compie e da coloro nei quali e di fronte ai quali vengono compiute.
4. Quanto al primo vantaggio, che è temporale, le opere e i miracoli soprannaturali meritano poca o nessuna gioia da parte dell’anima, perché, se viene escluso il secondo vantaggio, poco o niente interessano all’anima. Di per sé non giovano ai fini dell’unione dell’anima con Dio, se non c’è la carità. Queste opere e questi doni soprannaturali possono essere compiuti anche senza essere in stato di grazia o possedere la carità: Dio può realmente concedere tali doni e grazie, come avvenne con l’empio profeta Balaam (Nm 22,20) e con Salomone, oppure il demonio può falsificarli, come avvenne con Simon Mago, o, infine, possono provenire da una virtù segreta della natura. Solo le opere e le meraviglie autentiche, cioè quelle che vengono da Dio, possono recare qualche vantaggio a colui che le compie. San Paolo c’insegna quanto tali opere valgano senza il secondo vantaggio, allorché dice: Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che suona o un cembalo che squilla. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede, così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla, ecc. (1Cor 13,1-2). Per questo motivo, quando coloro che avranno stimato le loro opere in questo modo e per ricompensa chiederanno al Signore la gloria, dicendo: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?, Cristo risponderà: Allontanatevi da me, voi operatori di iniquità (Mt 7,22-23).
5. L’uomo, quindi, deve gioire non perché possiede tali grazie o per l’uso che ne fa, ma solo per il vantaggio spirituale che ne ottiene, servendo Dio in perfetta carità: in questo sta il nocciolo della vita eterna. Per questo il Signore rimproverò i suoi discepoli che si rallegravano per aver cacciato i demoni: Non rallegratevi perché i demoni si sottomettevano a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli (Lc 10,20). Tradotto in termini teologici significa: Gioite perché i vostri nomi sono scritti nel libro della vita. Di conseguenza, l’uomo deve rallegrarsi solo se procede sul cammino della vita, che consiste nel compiere le opere nella carità. A che giova o che vale di fronte a Dio ciò che non è amore di Dio? Ora questo amore non è perfetto se non è assai forte e accorto da purificare l’anima da tutte le gioie che derivano dalle cose, e compiacersi solo nel fare la volontà di Dio. A questa condizione la volontà si unisce a Dio mediante questi beni soprannaturali.