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CAPITOLO 18
Ove si tratta della gioia derivante dai beni temporali. Si dice come indirizzarla a Dio.
1. Il primo genere di beni che ho elencato è quello dei beni temporali. Con questo termine intendo ricchezze, condizioni sociali, cariche e altri titoli, figli, parenti, matrimoni, ecc., cose tutte di cui la volontà può rallegrarsi. Ma è evidente quanto sia vana la gioia degli uomini per le ricchezze, i titoli, la condizione sociale e altre cose del genere! Se, infatti, bastasse essere più ricchi per servire meglio Dio, ci sarebbe motivo di godere delle ricchezze. Queste, al contrario, sono motivo per offenderlo, come ci ricorda il Saggio quando dice: Se hai troppo, non sarai esente da colpa (Sir 11,10). Indubbiamente i beni temporali, in quanto tali, non portano al peccato; tuttavia il cuore umano, per la sua debolezza, si attacca ad essi e manca ai suoi doveri verso Dio, il che è peccato, perché è peccato venir meno nei riguardi di Dio. Per questo motivo il Saggio dice: Non sarai esente da colpa. Questo è anche il motivo per cui il Signore nel vangelo chiama spine le ricchezze (cfr. Mt 13,22; Lc 8,14), onde far capire che colui che vi è attaccato con la volontà rimarrà ferito da qualche peccato. Quell’esclamazione evangelica, poi, riportata da san Luca, ci mette paura, poiché afferma: Quanto è difficile per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio! (Lc 18,24), cioè per coloro che godono di esse. Questo testo ci fa capire chiaramente che l’uomo non deve riporre la sua gioia nelle ricchezze, perché si espone a un grave pericolo. Per allontanarci da tale rischio Davide esorta: Alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore (Sal 61,11).
2. Non voglio addurre altre testimonianze per una questione così chiara, perché non finirei mai di citare la Scrittura e di elencare tutti i mali che Salomone nell’Ecclesiaste attribuisce alle ricchezze. Questo re, che aveva posseduto molte ricchezze e ne conosceva bene la natura, diceva che tutte le cose che esistono sotto il sole (Qo 1,14) sono vanità immensa (1,2); afflizione dello spirito (1,14; 2,17), vanità e occupazione senza senso (2,26); chi ama il denaro non si sazia mai (5,9); le ricchezze custodite dal padrone sono a suo danno (5,12). Anche nel vangelo si legge di colui che si rallegrava per avere accumulato beni che gli sarebbero bastati per molti anni; ma gli fu detto dal cielo: Stolto, questa notte stessa sarà richiesto alla tua anima il rendiconto. E quello che hai preparato, di chi sarà? (Lc 12,20). Infine anche Davide c’insegna la stessa cosa quando afferma: Se vedi un uomo arricchirsi, non temere: quando muore, con sé non porta nulla (Sal 48,17-18). Da tutto ciò si deduce che dovremmo piuttosto rammaricarci di avere ricchezze!
3. Ne segue che l’uomo non deve gioire delle ricchezze che possiede, né di quelle che possiede suo fratello, a meno che non le usino per servire Dio. Ci si può rallegrare delle ricchezze quando vengono spese e usate per il servizio di Dio; altrimenti non se ne trarrà alcun vantaggio. Lo stesso si deve dire degli altri beni e titoli, condizioni sociali, cariche, ecc. È una vanità gioirne, se per mezzo di essi non si serve meglio Dio e se non offrono una strada più sicura per la vita eterna. Poiché è impossibile sapere chiaramente se è così e se con essi si serve meglio il Signore, ecc., sarebbe stolto rallegrarsi decisamente di questi beni, perché una tale gioia non può essere ragionevole, come dice il Signore: Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima? (Mt 16,26). Non c’è, dunque, motivo di rallegrarsi se con tale gioia non si serve meglio il Signore.
4. Non c’è motivo di rallegrarsi neanche per avere dei figli, perché sono molti o ricchi o dotati di doni e di grazie naturali o di beni di fortuna; è concesso rallegrarsene soltanto se servono Dio. Ad Assalonne, figlio di Davide, non giovarono a nulla la bellezza, le ricchezze, la sua illustre origine, perché egli non servì Dio (2Sam 14,25); vano fu, dunque, per lui rallegrarsi di questi beni. Da quanto detto deriva che è inutile desiderare avere figli, come fanno alcuni che muovono e sconvolgono il mondo per averne. Non sanno, infatti, se questi figli saranno buoni e serviranno Dio, se la gioia che si aspettano da loro non si cambierà invece in dolore, se il riposo e la consolazione in travagli e preoccupazioni, se l’onore in disonore e se tali figli non saranno occasione di maggiore offesa a Dio, come accade spesso. Di costoro Cristo dice che percorrono mari e monti per arricchirli e farne figli di perdizione, due volte più cattivi di quanto siano stati loro (cfr. Mt 23,15).
5. Allora, quando tutto arride all’uomo e tutto gli va bene, deve temere anziché rallegrarsi, perché in questa situazione si moltiplicano le occasioni e i pericoli di dimenticare Dio e dunque di offenderlo. Per questo Salomone, che era molto guardingo, scrive nell’Ecclesiaste: Del riso ho detto: «Follia!», e della gioia: «A che serve?» (Qo 2,2). È come se dicesse: quanto più le cose andavano bene, tanto più ritenni inganno ed errore rallegrarmene. Difatti è certamente un errore e una stoltezza grande da parte dell’uomo rallegrarsi di ciò che gli si presenta come favorevole e piacevole, senza sapere se di lì ricaverà qualche bene eterno. Dice il Saggio: Il cuore degli stolti è rivolto alla casa in festa e il cuore dei saggi alla casa in lutto (Qo 7,4). La gioia, infatti, acceca il cuore e non gli permette di riflettere e ponderare le cose, mentre la tristezza fa aprire gli occhi e discernere se le cose procureranno una perdita o un guadagno. Ne consegue, dice ancora il Saggio, che è preferibile la mestizia al riso (Qo 7,3); pertanto è meglio andare in una casa in pianto che andare in una casa in festa, perché quella è la fine di ogni uomo (Qo 7,2).
6. Sarà quindi anche vanità per gli sposi rallegrarsi, se non sanno chiaramente di servire meglio Dio nel matrimonio. Essi, al contrario, dovrebbero provare confusione, perché il matrimonio, come dice san Paolo, fa sì che il cuore, diviso dall’amore che i coniugi nutrono l’uno per l’altro, non sia unicamente per Dio. Per questo dice: Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. Nel caso che l’abbia già, conviene comportarsi come se non l’avessi (1Cor 7,27). Questo, insieme a quanto abbiamo detto dei beni temporali, ce lo insegna con le seguenti parole: Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero; coloro che piangono come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano come se non possedessero; quelli che usano del mondo come se non ne usassero appieno (1Cor 7,29-31). Non dobbiamo, quindi, riporre la gioia se non in ciò che riguarda la gloria di Dio, perché il resto è vanità e non giova a nulla, perché la gioia che non è secondo Dio non può essere utile all’anima.