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CAPITOLO 13
Ove si parla dei benefici che l’anima ottiene nell’allontanare da sé le conoscenze immaginarie. Si risponde a un’obiezione e si spiega la differenza che intercorre fra le conoscenze immaginarie naturali e quelle soprannaturali.
1. L’anima trova dei vantaggi nel liberare la memoria dalle conoscenze immaginarie. Ciò è mostrato chiaramente da quanto ho detto a proposito dei cinque danni nei quali incorre l’anima quando pone l’attenzione in tali rappresentazioni, come pure quando vuole conservare in sé l’impressione delle conoscenze naturali. A parte questi, vi sono altri vantaggi, che procurano grande riposo e serenità dello spirito. Senza parlare della pace che l’anima gode naturalmente quando è libera da immagini e rappresentazioni, è libera altresì dalla preoccupazione di sapere se esse siano buone o cattive e come debba comportarsi con le une e con le altre. Inoltre è libera anche dalla fatica e dal dover spendere tempo con i maestri di vita spirituale per discernere se siano buone o cattive, se appartengano a questo o a quel genere; infatti non ha più bisogno di sapere tutto ciò, perché non ha da badarci. Così tutto il tempo e la diligenza che l’anima avrebbe dovuto spendere per rendersi conto di ciò, può impiegarlo in qualche esercizio migliore e più utile, come, ad esempio, indirizzare la volontà verso Dio e perseguire con cura la spoliazione e la povertà sul piano sia dello spirito che dei sensi. Ora, tale spoliazione consiste nel volersi privare concretamente di ogni consolazione o conoscenza che funga da appoggio interiore o esteriore. Questo si ottiene facilmente quando l’anima vuole e cerca di staccarsi da tutte queste immagini; ne ricaverà un grande vantaggio, come quello di avvicinarsi a Dio, che non ha né immagine né forma né figura; ciò avverrà nella misura in cui si distaccherà da tutte le forme, figure o rappresentazioni immaginarie.
2. Ma forse potrai obiettare: perché molti autori spirituali consigliano alle anime di trarre profitto dalle comunicazioni e dai sentimenti che Dio accorda loro e di desiderare, anzi, di ricevere tali favori per avere qualcosa da offrirgli? Infatti, se lui non ci dà qualcosa, non abbiamo nulla da offrirgli. Invero, san Paolo dice: Non spegnete lo Spirito (1Ts 5,19). E lo Sposo dice alla sposa: Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio (Ct 8,6). Ora qui vi è già una conoscenza. Secondo l’insegnamento offerto in precedenza, non bisognerebbe ricercare tali conoscenze; al contrario, occorrerebbe respingerle e liberarsene ogni volta che Dio le manda. Ma è chiaro che se Dio le concede, lo fa in vista di un bene, ed esse avranno un buon effetto. Non è giusto gettar via le pietre preziose (cfr. Mt 7,6). Rifiutare i favori di Dio è una sorta di orgoglio, quasi che senza di essi, da noi soli, potessimo fare qualcosa.
3. Per rispondere a questa obiezione occorre ricordare quanto ho detto nei capitoli 16 e 17 del libro II, dove si può trovare una soluzione a questo dubbio. Difatti in quei capitoli ho detto che il bene procurato all’anima dalle conoscenze soprannaturali, quando vengono da Dio, si produce in essa, passivamente, nell’istante stesso in cui tali conoscenze si presentano ai sensi, senza che le potenze facciano qualcosa da parte loro. Non è quindi necessario che la volontà faccia alcunché per accoglierle, perché, come dicevo, se l’anima vuole intervenire con le sue potenze, con la sua cooperazione limitata e naturale, ostacolerà l’azione soprannaturale che Dio in quel momento compie in lei per mezzo di quelle conoscenze, anziché trarre profitto da tale situazione. Poiché quelle conoscenze immaginarie si comunicano passivamente nell’anima, essa deve comportarsi passivamente nei loro confronti, evitando di emettere qualsiasi atto interno o esterno. Ciò significa custodire i sentimenti graditi a Dio, dal momento che in questo modo l’anima non li compromette a causa del suo modo umano di agire. Ciò significa anche non soffocare lo Spirito, perché si segue una linea di condotta voluta da Dio. Lo soffocherebbe se, concedendole Dio passivamente lo Spirito, come accade in queste manifestazioni, l’anima volesse comportarsi attivamente, agendo con l’intelletto o intromettendosi in qualche modo in tali favori. Questo è chiaro. Se l’anima, infatti, vuole agire a forza, la sua azione sarà solo naturale, perché da sé non può fare di più; essa non può elevarsi alle opere soprannaturali, né saprebbe farlo, se Dio stesso non la muove né la eleva. Di conseguenza, se l’anima vuole agire da sé, ostacolerà necessariamente, per quanto dipende da lei, con i suoi atti, l’azione passiva che Dio le va comunicando, cioè il suo Spirito; essa resterà nell’ambito della sua attività, che è limitata e di genere diverso rispetto a quella comunicatale da Dio, visto che quella di Dio è passiva e soprannaturale, mentre quella dell’anima è attiva e naturale. Ecco ciò che vuol dire spegnere lo Spirito.
4. È chiaro, inoltre, che tale modo di agire è di livello minore. Infatti le facoltà dell’anima possono da sole riflettere e agire unicamente su forme, figure e immagini. Ora, queste sono la scorza e l’accidente che celano la sostanza e lo spirito. Tale sostanza o spirito si unisce alle potenze dell’anima, in questa vera intelligenza e in quest’amore, solo quando cessa l’attività delle potenze, perché lo scopo ultimo di tale operazione per l’anima è quello di arrivare a possedere la sostanza conosciuta e amata di quelle forme. Da ciò deriva che la differenza e il vantaggio esistenti fra lo stato attivo e passivo equivale alla differenza e al vantaggio intercorrente fra ciò che si sta facendo e ciò che è già fatto, oppure fra quanto si vuole conseguire e ciò che abbiamo già raggiunto e ottenuto. Da ciò si può dedurre, inoltre, che se l’anima vuole impiegare attivamente le sue potenze in queste conoscenze soprannaturali, nelle quali, come ho detto, Dio gliene comunica passivamente lo spirito, non farebbe altro che lasciare il già fatto per rifarlo daccapo, non godrebbe del lavoro compiuto e con la sua attività non farebbe che ostacolare il già fatto. Come ho detto, le sue potenze non possono da sole arrivare al bene spirituale che Dio concede all’anima senza il loro concorso. Se l’anima, perciò, facesse affidamento su queste conoscenze immaginarie, soffocherebbe direttamente lo spirito che Dio le infonde per loro tramite; di conseguenza deve evitarle e assumere verso di esse un atteggiamento passivo e negativo. Dio stesso, allora, eleverà l’anima a uno stato che essa non saprebbe né potrebbe raggiungere con le sole sue forze. Per questo motivo il profeta afferma: Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà (Ab 2,1). È come se dicesse: in piedi veglierò a guardia delle mie potenze e non permetterò loro di fare un passo avanti e di agire; così potrò essere attento a ciò che mi si dirà, cioè ascolterò e gusterò ciò che mi verrà comunicato soprannaturalmente.
5. Quanto alle parole dello Sposo citate sopra, vanno riferite all’amore che egli porta alla sposa. La peculiarità di tale amore è quella di rendere simili i due nella parte migliore d’entrambi. Per questo motivo egli le dice di metterlo come sigillo sul suo cuore (Ct 8,6), dove vengono a cadere tutte le frecce d’amore della faretra, cioè le opere e i motivi d’amore. Occorre che tutte le azioni raggiungano questo scopo che è ad esse stabilito e che tutte siano indirizzate allo Sposo. Così l’anima somiglierà allo Sposo per mezzo delle opere e i movimenti d’amore, sino a trasformarsi in lui. Lo Sposo dice, inoltre, allo sposa di metterlo come sigillo sul suo braccio (Ct 8,6), che simboleggia l’esercizio dell’amore, ove l’amato si nutre e trova le sue delizie.
6. Pertanto l’anima deve procurare in ogni conoscenza che le viene dall’alto (immaginaria o di altro genere, come visioni, locuzioni, sentimenti o rivelazioni), di non badare alla lettera o alla corteccia, cioè quanto significano, rappresentano o danno a intendere, ma di preoccuparsi soltanto di conservare l’amore divino che tali favori infondono nell’intimo. In altre parole: interessarsi ai sentimenti che producono amore di Dio, non già al gusto, alla soavità o alle immagini. Solo per raggiungere tale scopo l’anima potrà a volte ricordare la tale immagine o conoscenza che le causò amore, così da fornire allo spirito motivi d’amore. Sebbene l’effetto del ricordo non sia così efficace come quando le fu accordato il favore stesso la prima volta, tuttavia il suo ricordo ravviva l’amore ed eleva l’anima a Dio, particolarmente quando si ricordano alcune figure, immagini o sentimenti soprannaturali che di solito s’imprimono profondamente nell’anima, in modo da durare a lungo e a volte da non cancellarsi più. Queste conoscenze che s’imprimono così nell’anima producono, ogni volta che le si richiama, divini effetti d’amore, di soavità, di luce, ecc., ora più intensi ora meno; del resto, proprio a tale scopo sono stati impressi nell’anima. È un’immensa grazia che Dio concede a colui che beneficia di tali favori, perché ha in sé una fonte di beni.
7. Le rappresentazioni che producono tali effetti sono profondamente impresse nell’anima. Differiscono dalle altre immagini e forme che si conservano nella fantasia, e perciò l’anima non deve ricorrere a questa facoltà per ricordarsi di esse, perché vede che le ha in se stessa, come si scorge l’immagine in uno specchio. Quando un’anima possiede in sé, in maniera formale, tali rappresentazioni, può benissimo ricordarsene per l’effetto d’amore di cui parlavo: il ricordo no le sarà d’ostacolo per l’unione d’amore nella fede, purché non si lasci sedurre da tali rappresentazioni, ma se ne serva e se ne liberi immediatamente per crescere nell’amore. In questo modo le saranno certamente d’aiuto.
8. È difficile distinguere quando queste immagini siano impresse nell’anima e quando nell’immaginazione. Queste ultime, infatti, ordinariamente sono molto frequenti, perché alcune persone hanno abitualmente nell’immaginazione o fantasia visioni immaginarie e sovente se le rappresentano alla stessa maniera. Questo perché hanno un’immaginazione molto viva e, per poco che ci pensino, essa si mette in moto e disegna nella loro fantasia quella visione per via ordinaria; oppure tali visioni possono dipendere dal demonio; oppure ancora vengono da Dio, pur non imprimendosi nell’anima in maniera formale. Tuttavia queste visioni possono essere riconosciute dai loro effetti. Quelle naturali e quelle provenienti dal demonio, anche se ricordate, non producono alcun effetto positivo né un rinnovamento spirituale nell’anima, che si limita a guardarle con freddezza. Quelle buone, invece, quando vengono ricordate, producono un effetto buono simile a quello prodotto nell’anima la prima volta. Quanto alle rappresentazioni formali che s’imprimono nell’anima, producono quasi sempre qualche buon effetto quando vi si pensa.
9. Chi ha fatto esperienza di queste ultime, può facilmente discernere le une dalle altre, perché la netta differenza che intercorre fra loro è molto chiara ai suoi occhi. Dico solo che quelle che s’imprimono formalmente e in maniera durevole nell’anima sono molto rare. Ma, che si tratti di queste o di quelle altre, è bene che l’anima non voglia conoscere nulla se non Dio, oggetto della fede e della speranza. A chi dicesse che potrebbe sembrare superbia rifiutare queste rappresentazioni quando sono buone, rispondo che invece è un atto di umiltà. Difatti è prudente servirsene nel miglior modo possibile, come ho detto, e seguire la via più sicura.