00 18/07/2013 21:57
" Un addio" sospetto

Joseph Ratzinger, forte anche dei suoi vastissimi studi teologici, non è uomo che si lasci impressionare dalle reazioni né di giornalisti né di certuni "specialisti". Si legge in un documento a sua firma questa esortazione tratta dalla Scrittura: "E necessario resistere, forti nella fede, all'errore, anche quando si manifesta sotto l'apparenza di pietà, per potere abbracciare gli erranti nella carità del Signore, professando la verità nella carità".

Non mette di certo al centro della sua riflessione il discorso sul Diavolo (ben consapevole che ciò che è decisivo è semmai la vittoria che su di esso ha riportato il Cristo), ma un simile discorso gli sembra esemplare perché gli permette di denunciare metodi di lavoro teologico che giudica inaccettabili. Anche per questo carattere di "esemplarità" non sembri eccessivo lo spazio dato all'argomento. Qui, del resto (lo vedremo) è in gioco anche l'escatologia, dunque la fondamentale, irrinunciabile fede cristiana nell'esistenza di un'aldilà.

È certo per questo che uno dei suoi libri più noti - Dogma e predicazione - inserisce la trattazione della dottrina tradizionale sul Demonio nei "temi basilari della predicazione". Ed è ancora per questo, crediamo, che - già Prefetto della Congregazione per la fede - ha steso la prefazione al libro di un suo collega nel cardinalato, Léon Joseph Suenens, intenzionato a ribadire la visione cattolica di Satana come "realtà non simbolica, ma personale".

Mi ha parlato del celebre libretto con il quale un suo collega, docente di esegesi all'università di Túbingen, ha voluto, sin dal titolo, dire "addio al Diavolo". (Tra l'altro - è un piccolo aneddoto raccontandomi il quale ha riso di gusto - quel volume gli fu donato dall'autore in occasione della festicciola tra professori per salutarlo dopo che il Papa lo aveva designato arcivescovo di Monaco. Diceva la dedica sul libro: "Al caro collega professor Joseph Ratzinger, dire addio al quale mi costa assai di più che dire addio al diavolo...").

L'amicizia personale con il collega non gli ha impedito allora né gli impedisce adesso di seguire la sua linea di azione: "Noi dobbiamo rispettare le esperienze, le sofferenze, le scelte umane, anche le esigenze concrete che si trovano dietro certe teologie. Ma dobbiamo però contestare con estrema risolutezza che si tratti ancora di teologie cattoliche".

Per lui, quel libro scritto per congedarsi dal Diavolo (e che prende ad esempio di una serie intera che da qualche anno giunge in libreria) non è "cattolico" perché "è superficiale l'affermazione nella quale culmina tutta l'argomentazione: " Nel Nuovo Testamento il concetto di diavolo sta semplicemente al posto del concetto di peccato, di cui il diavolo non è che un'immagine, un simbolo"". Ricorda, Ratzinger, che "quando Paolo VI sottolineò la reale esistenza di Satana e condannò i tentativi di dissolverlo in un concetto astratto, fu quello stesso teologo che - dando voce all'opinione di tanti suoi colleghi rimproverò al Papa di ricadere in una visione arcaica del mondo, di fare confusione tra ciò che nella Scrittura è struttura di fede (il peccato) e ciò che non è che espressione storica, transitoria (Satana)".

Osserva invece il Prefetto (rifacendosi del resto a ciò che già aveva scritto da teologo) che "se si leggono con attenzione questi libri che vorrebbero sbarazzarsi dell'ingombrante presenza diabolica, alla fine se ne esce convinti del contrario: gli evangelisti ne parlano molto e non intendono affatto parlarne in senso simbolico. Come Gesù stesso' erano convinti - e così volevano insegnare - che si tratta di una potenza concreta, non certo di un'astrazione. L'uomo è minacciato da essa e ne viene liberato per opera di Cristo, perché Egli solo, nella sua qualità di " più forte ", può legare l'uomo "forte" per usare le stesse parole evangeliche".

"Biblisti o sociologi?"

Ma allora, se l'insegnamento della Scrittura sembra così chiaro, come giustificare la sostituzione (oggi così diffusa tra gli specialisti) con l'astratto "peccato " del concreto "Satana"?

È proprio qui che individua un metodo utilizzato da molta esegesi e da molta teologia contemporanee e che vuole respingere: "In questo caso specifico, si ammette - non può farsi diversamente - che Gesù, gli apostoli, gli evangelisti erano convinti dell'esistenza delle forze demoniache. Ma, nello stesso tempo, si dà per scontato che in questa loro credenza erano " vittime delle forme di pensiero giudaiche di allora ". Ma, siccome si dà anche per scontato che "quelle forme di pensiero non sono più conciliabili con la nostra immagine del mondo ", ecco che per una sorta di gioco di prestigio ciò che si considera incomprensibile all'uomo medio di oggi viene cancellato".

Dunque, continua, "ciò significa che per dire "addio al Diavolo" non ci si appoggia sulla Scrittura (la quale, anzi, afferma proprio il contrario) ma si fa riferimento a noi, alla nostra visione del mondo. Per congedarsi da questo e da ogni altro aspetto della fede scomodo al conformismo contemporaneo non ci si comporta pertanto come esegeti, come interpreti della Scrittura, ma come uomini del nostro tempo".

Da questi metodi discende per lui una conseguenza grave: "Alla fine, l'autorità sulla quale simili specialisti della Bibbia basano il loro giudizio non è la Bibbia stessa, ma la visione del mondo contemporanea al biblista. Il quale parla dunque come filosofo o come sociologo e la sua filosofia non consiste che in una banale, acritica adesione alle sempre provvisorie persuasioni dell'epoca".

Dunque, se ho ben capito, sarebbe il rovesciamento del tradizionale metodo di lavoro teologico: non più la Scrittura che giudica il "mondo", ma il "mondo" che giudica la Scrittura.

"In effetti - dice -. È la ricerca continua di un annuncio che presenti ciò che già sappiamo o che comunque sia gradito a chi ascolta. Comunque, per quanto è del Diavolo, la fede anche di oggi ne confessa, come sempre ha fatto, la realtà misteriosa e insieme oggettiva, personale. Ma il cristiano sa che chi teme Dio non deve temere niente e nessuno: il timore di Dio è fede, qualcosa di ben diverso da un timore servile, da una paura dei demoni. Eppure, il timore di Dio è anche qualcosa di molto diverso da un coraggio millantatore che non vuole vedere la serietà della realtà. È proprio del vero coraggio non nascondersi le dimensioni del pericolo, ma considerarle con realismo".

Secondo il Cardinale, la pastorale della Chiesa deve "trovare il linguaggio adatto per un contenuto sempre valido: la vita è una questione estremamente seria, dobbiamo stare attenti a non rifiutare la proposta di vita eterna, di eterna amicizia col Cristo che viene fatta a ciascuno. Non dobbiamo adagiarci nella mentalità di tanti credenti d'oggi, i quali pensano che basti comportarsi più o meno come si comporta la maggioranza e per forza tutto andrà bene".

Continua: "La catechesi deve tornare ad essere non un'opinione accanto a un'altra ma una certezza che attinge alla fede della Chiesa, con i suoi contenuti che sorpassano di gran lunga l'opinione diffusa. Invece, in non poca catechesi moderna la nozione di vita eterna si trova appena accennata, la questione della morte è solo sfiorata e, la maggior parte delle volte, lo è solo per interrogarsi sul come ritardarne l'arrivo o per renderne meno penose le condizioni. Sparito in tanti cristiani il senso escatologico, la morte è stata circondata dal silenzio, dalla paura o dal tentativo di banalizzarla. Per secoli la Chiesa ci ha insegnato a pregare perché la morte non ci sorprenda all'improvviso, dandoci tempo per prepararci; ora è proprio la morte improvvisa che viene considerata una grazia. Ma non accettare e non rispettare la morte significa non accettare e non rispettare neppure la vita".

Dal purgatorio al limbo

Sembra, dico, che l'escatologia cristiana (quando ancora se ne parla) sia ridotta al solo " paradiso ", anche se questo nome stesso fa problema, lo si scrive tra virgolette; non mancano neppure qui le voci per dissolverlo in qualche mito orientale. Saremmo tutti contenti - è ben chiaro - se nel nostro futuro non fosse possibile altro che la felicità eterna. E in effetti, chi rilegge i vangeli vi trova innanzitutto la buona notizia per eccellenza, l'annuncio consolante dell'amore senza fine e misura di Dio. Ma, accanto a questo, nei vangeli troviamo anche la chiara indicazione che uno scacco è possibile, che un nostro rifiuto dell'amore non è impossibile. Proprio perché " veri ", i vangeli non sono testi al contempo consolanti e impegnativi, proposte rivolte a uomini liberi e quindi aperti a diversi destini? Il purgatorio, ad esempio che fine ha fatto?

Lo vedo scuotere il capo: "Il fatto è che oggi tutti ci crediamo talmente buoni da non potere meritare altro che il paradiso! Qui c'è certamente la responsabilità di una cultura che, a forza di attenuanti e alibi, tende a sottrarre agli uomini il senso della loro colpa, del loro peccato. Qualcuno ha osservato che le ideologie che oggi dominano sono tutte unite da un comune dogma fondamentale: l'ostinata negazione del peccato, cioè proprio di quella realtà che la fede lega all'inferno, al purgatorio. Ma nel silenzio attorno al purgatorio c'è anche qualche altra responsabilità".

Quale?

"Lo scritturismo di origine protestante che è penetrato anche nella teologia cattolica. Per cui si afferma che non sarebbero sufficienti e sufficientemente chiari i testi della Scrittura su quello stato che la Tradizione ha chiamato " purgatorio " (forse il termine è tardivo, ma la realtà appare subito creduta dai cristiani). Ma questo scritturismo, ho già avuto occasione di dirlo, ha poco a che fare con il concetto cattolico di Scrittura, che va letta nella Chiesa e con la sua fede. lo dico che se il purgatorio non esistesse, bisognerebbe inventarlo".

E per qual motivo?

"Perché poche cose sono così spontanee, umane, universalmente diffuse - in ogni tempo, in ogni cultura - della preghiera per i propri cari defunti".

Calvino, il riformatore di Ginevra, fece frustare una donna sorpresa a pregare sulla tomba del figlio e dunque, secondo lui, colpevole di "superstizione".

"La Riforma in teoria non ammette purgatorio, dunque non ammette preghiera per i defunti. In realtà, almeno i luterani tedeschi nella pratica vi sono ritornati e trovano anche delle argomentazioni teologiche degne di attenzione per darle un fondamento. Pregare per i propri cari è un moto troppo spontaneo per soffocarlo; è una testimonianza bellissima di solidarietà, di amore, di aiuto che va al di là delle barriere della morte. Dal mio ricordo o dalla mia dimenticanza dipende un poco della felicità e dell'infelicità di chi mi fu caro ed è passato ora all'altra sponda ma non cessa di avere bisogno del mio amore".

Però, il concetto di " indulgenza -, ottenibile per se stessi in vita o per qualcuno in morte, sembra sparito dalla pratica e forse anche dalla catechesi ufficiale.

"Non direi sparito, direi indebolito, perché non ha evidenza nel pensiero attuale. La catechesi, però, non ha il diritto di ometterne il concetto. Non ci si dovrebbe vergognare di riconoscere che - in certi contesti culturali - la pastorale ha difficoltà a rendere comprensibile una verità della fede. Forse questo è il caso dell' "indulgenza". Ma i problemi di ritraduzione in linguaggio contemporaneo non significano certo che la verità di cui si tratta non sia più tale. E ciò valga per molti altri aspetti della fede".

Sempre a proposito di escatologia, è però sparito il "limbo", quel luogo intermedio dove andrebbero i bambini morti senza battesimo, dunque con la sola "macchia" del peccato originale. Non ce ne è più traccia, ad esempio, nei catechismi ufficiali dell'episcopato italiano.

"Il limbo non è mai stata verità definita di fede. Personalmente - parlando più che mai come teologo e non come Prefetto della Congregazione lascerei cadere questa che è sempre stata soltanto un'ipotesi teologica. Si trattava di una tesi secondaria a servizio di una verità che è assolutamente primaria per la fede: l'importanza del battesimo. Per dirla con le parole stesse di Gesù a Nicodemo: " In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio "

(Gv 3,5). Si lasci pure cadere il concetto di " limbo " se è necessario (del resto, gli stessi teologi che lo sostenevano affermavano al contempo che i genitori potevano evitarlo al figlio con il desiderio del suo battesimo e la preghiera); ma non si lasci cadere la preoccupazione che lo sosteneva. Il battesimo non è mai stato, non è né mai sarà cosa accessoria per la fede".