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[Da Raniero Cantalamessa (a cura di), Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle origini, Vita e Pensiero, Milano 1976, pp. 212-272] 

    L’etica sessuale matrimoniale di sant’Agostino non viene presa in oggetto per la prima volta in questo articolo. La ricostruzione storica della sua dottrina è stata affrontata, ellitticamente o positivamente, da diversi autori in capitoli appositi. Non pretendiamo perciò di dire cose assolutamente nuove. Purtuttavia buona parte delle interpretazioni correnti del suo pensiero su questo punto (quando non appartengano già al genere della farneticazione brillante) (1) sembrano soffrire di una ambiguità fondamentale: rifacendosi al metodo dell’analista che stacca un frammento, lo esplora e ignora il resto, esse rischiano talvolta di pro porre conclusioni limitative o peggio arbitrarie. Tagli di lettura del genere arbitrario (che verremo man mano discutendo) non sono mancati in questi anni. Per desiderio di misurare i titoli di grandezza ed opacità dell’uomo, o più semplice mente per amor di tesi, alcuni autori si sono gettati su alcune frasi agostiniane (2) per dichiarare decaduta (o per lo meno insostenibile) la sua etica e per produrre una normativa nuova in campo sessuale. Non arbitrario ma limitativo (e perciò da accantonare) ci è sembrato anche un altro tipo di ricostruzione del pensiero agostiniano, presente in un filone della bibliografia, che ha teso a ritagliarlo su uno sfondo confuso, senza metterlo in sufficiente relazione con la lotta anti-eretica. Il rischio che si è corso allora è stato quello di prendere per posizione definitiva la parte polemica o enfatica degli scritti, condizionata dal momento, con conseguente ipervalutazione delle influenze o stoiche o neoplatoniche o infine manichee (3). 

     E limitative abbiamo creduto pure di dover considerare quelle ricostruzioni, in sé utilissime e confundamentum in re, che hanno posto l’attenzione sul semplice censimento, nelle opere agostiniane, dei passi in cui veniva declinata la dottrina dei tria bona coniugalia(4), in quanto esse sono incappate in un difetto di prospettiva: hanno mancato, cioè, di cogliere il dinamismo e la successiva accentuazione che, durante l’arco di tutte le opere (si no all’Opus imperfectum contra Julianum degli anni 428-430), ha assunto la sua etica sessuale. 

    Ignorando i temi particolari, abbiamo accantonato anche il taglio offerto da quegli studi che riprendono la dottrina matrimoniale in Agostino partendo da angolature settoriali: per esempio la concezione della donna (5), quella dell’amore e dell’intimità coniugale (6), quella della dottrina sociale nei suoi risvolti per le relazioni interpersonali (7). Ricostruzioni di quest’ultimo genere rischiano di perdere di vista la radice di fondo del pensiero agostiniano e soprattutto di non formulare la domanda, ad un tempo semplice e fondamentale, che a nostro avviso è la più comprensiva e cioè in materia sessuale Agostino fu o non fu quel pessimista o rigorista che si dice? (8). 

     Che la formulazione di questa domanda sia necessaria, appare evidente a chi consulta i risultati della letteratura antica e recente. Questa sembra assumere due conclusioni: una, la più frequente, accusa Agostino di dualismo-manicheismo (9); l’altra riduce l’influenza dell’esterno su Agostino, ma lo coopta parzialmente ora al platonismo, ora al neoplatonismo, ora allo stoicismo o alla filosofia romana (10). Personalmente non ci siamo sentiti di condividere questi risultati dove, secondo il detto di un esegeta famoso, «l’ansia di voler dimostrare una mancanza rischia talvolta di dimostrarsi né più né meno che una mancanza di informazione» (11); abbiamo allora tracciato un quadro in cui la domanda sull’etica sessuale matrimoniale di Agostino si precisasse: esiste in Agostino un procreazionismo ad oltranza? sino a che punto esso è in rapporto con i momenti forti della sua dottrina? Con queste domande siamo, come si vede, nella forma cava; ciò che dovrà riempire questa forma è appunto il confronto con la sua dottrina escatologica, con le sue idee di ascesi e creazione ed infine con la sua dottrina della concupiscenza e del peccato originale. 

La dottrina agostiniana dei «bona coniugalia» 

     Per individuare il centro di gravità di un pensiero bisogna individuare lo schema dottrinale che lo sorregge. Nel caso dell’etica coniugale il primo passo da compiersi e la rilevazione della dottrina dei tria bona coniugalia, scartando dall’esame quella breve e di testi frammentari che pronunciano o per eccesso o per difetto giudizi sul matrimonio da un punto di vista estremistico (12).
    Non sembra esservi difficoltà tra i commentatori circa il significato del primi due elementi costituenti il triplex bonum delle parole secondo Agostino. Il santo, ripetutamente e quasi con le stesse parole, elenca in molte opere il bonum prolis e il bonum fidei come le strutture portanti del contratto matrimoniale naturale (13). Con qualche incertezza aggiunge il bonum sacramenti come costitutivo del matrimonio cristiano soltanto (14). Le realtà che i tre beni designano sono rispettivamente la procreazione dei figli (il bonum prolis), la fedeltà reciproca (il bonum fidei) e l’indissolubilità (ilbonum sacramenti). I passi chiari in questo senso abbondano ed il loro valore connotativo sembra indubitabile (15). 

    Nel De bono coniugali, scritto nel 401, Agostino, descrivendo la bontà di quello status che è il matrimonio, indica nel bonum prolis quel bene per cui l’incontinenza giovanile, anche se alterata dall’eros, è ridotta all’onorevole funzione della propagazione dei figli (16). Ma il bonum prolis ha anche un’altra funzione: non solo la paternità e la maternità redimono l'istinto dalla brutalità (malum) della concupiscenza poiché lo rendono fecondo, bensì anche perché lo rendono fertile di tradizione, di trasmissione di affetti pieni e di delicatezze, di educazione ai valori della religione cristiana (17). 

    Il bonum fidei nel matrimonio impone il reciproco adempimento del dovere coniugale (18) la convivenza per tutta la vita in una unione paritaria e fedele. Nel De bono viduitatis, scritto nel 414, Agostino dà uno dei tanti segni del livello di considerazione in cui tiene il bonum fidei. Descritta la radice biblica della vedovanza cristiana, fondata dalle parole di Paolo dico autem non nuptis et viduis: bonum est illis si sic permaneant, ed affermatane la superiorità sul matrimonio, Agostino individua anche per il bonum fidei l’innervazione biblica: l’eccellenza di una unione fedele è così grande che i coniugati sono le membra stesse di Cristo (19). Mancare alla fedeltà equivale allora a prostituire le membra di Cristo; il bonum fidei dunque esprime, in modo istituzionale, la convinzione che la relazione coniugale non ammette infrazioni. 

    Senza trattare per ora il problema del valore che Agostino attribuisce al termine sacramentum, sembra evidente il significato immediato cui il bonum sacramentisi riferisce. A differenza del contratto puramente umano, il matrimonio genera uno status, vale a dire una situazione, su cui ci si può fondare con sicurezza per una ragione fondamentale: all’aspetto soggettivo-umano segnato dalla fragilità si è aggiunto un quoddam sacramentum di una realtà superiore che trascende la volontà dei contraenti, rendendo indissolubile il loro rapporto (20). Il patto nuziale è sino a tal punto la realtà di un certo sacramento (cuiusdam sacramenti res est) che non può essere invalidato (irritum) dalla separazione (21). 
Questi tre beni costituiscono insieme il bonum coniugiied Agostino, in un passo decisivo del De bono coniugali, dopo aver dichiarato che il matrimonio è un bene naturale presso tutti i popoli, elenca l'intima corrispondenza che questi tre beni hanno con la loro radice neo-testamentaria (22). Che le nozze avvengano per la procreazione dei figli è testimoniato dalle parole di Paolo a Timoteo: voglio che le vedove ancora giovani si sposino, abbiano figli, siano madri di famiglia. Che in esse debba essere salvaguardata la fedeltà nella castità lo dicono le parole dell’Apostolo ai Corinti: la sposa non è padrona del proprio corpo, ma il marito, e così pure il marito non è padrone del proprio corpo, ma la moglie. Ed infine ecco l’istruzione che indica la fonte scritturistica del bonum sacramenti: la moglie non si separi dal marito, ma qualora si separasse non passi ad altre nozze, o si riconcili con lui (23).

    Stabilito il valore connotativo dei tria bona e la loro derivazione dalla Scrittura, per rispondere alla nostra domanda sul procreazionismo di Agostino è necessario arretrare il problema ed aprirsi ad alcuni rilievi. Il primo concerne l’importanza che vie ne ad assumere il bonum sacramenti per una retta valutazione dell’etica sessuale dell’Ipponate; il secondo tocca il tema del rapporto gerarchico esistente tra i diversi bona coniugalia.

Rapporto tra «bonum sacramenti» e procreazionismo

    La discussione critica sui possibili significati aggiunti, oltre quello dell’indissolubilità, del termine sacramentumnon risulta oggi ancora terminata. Emergono praticamente tre filoni: il primo tende ad attribuire il valore della definizione moderna di sacramento al termine sacramentum di Agostino (24). Il santo avrebbe allora attribuito al matrimonio due caratteri che lo renderebbero vero sacramento nel senso attuale: l’istituzione da parte di Gesù e l’efficacia sacramentale (25). Se questa conclusione non è immediatamente recepibile sulla base dei testi, altri più sfumatamente hanno affermato che tale dottrina è implicita nella sua opera, soprattutto quando si tenga conto dell’associazione istituita da Agostino tra matrimonio, battesimo ed ordine, si che risulterebbe strana una sua omissione su questo punto (26). 

    Il secondo filone nega recisamente che asacramentum debba attribuirsi un senso strettamente teologico (27). Se per sacramento si intende a) unsegno sensibile (un rito) che in virtù della formula sacramentale viene a significare una cosa invisibile, b)istituito da Gesù Cristo, c) che produce il dono santificante significato, vale a dire la Grazia, la risposta non può essere che negativa (28). Agostino non parla mai del sacramentum in fieri, cioè del rito del contratto coniugale, bensì parla del matrimonio de facto, cioè dello stato di matrimonio (29). Non esistono inoltre testi in cui si afferma chiaramente che il matrimonio sia stato istituito da Gesù. Quanto al terzo punto si deve altresì negare che vi siano testi in cui venga sottolineato direttamente il dono della grazia conferito agli sposi nel matrimonio (31). 

    Nella terza prospettiva i giudizi delle prime due sono legittimi solo parzialmente. Si rileva infatti che per Agostino sacramentum non è il matrimonio nel suo complesso, quanto una sua proprietà: la fedeltà-unità o la fedeltà-indissolubilità. Ma si aggiunge anche che Agostino, riferendo al matrimonio questo termine, pone le premesse per fame un simbolo «che realizza le realtà significate» (32). Altri, ancora su questa linea, hanno finito per osservare che, se è vero che Agostino non si è posto il problema della produzione della grazia, tuttavia, attraverso la categoria di partecipazione (33) si è avvicinato ai nostri risultati. Il sacramentum nuptiarum è visto sempre dal dottore in relazione al sacramentum magnum in Christo et in Ecclesia della lettera agli Efesini. Ambedue hanno un punto in comune, una res che si realizza su due piani: perfettamente in Cristo e nella Chiesa, imperfettamente nel vincolo coniugale (34). Lares maior, di cui Agostino parla in un passo del De bono coniugali è il modello dell’unione coniugale, e questo modello agisce sul matrimonio in modo tale da dargli un’impronta; «sembra dunque trattarsi di un influsso o di un’azione obiettiva che noi potremmo chiamare, in un linguaggio teologico odierno, ex opere operato».

    Volendo raccogliere ai fini del nostro tema il risultato di questa discussione, ci sembra di poter segnalare alcune acquisizioni. Prima di tutto è evidentemente errato cercare in Agostino una teologia dei sacramenti ut sic (come quella elaborata dalla Scolastica e dal Concilio di Trento); già il Vasquez nel 1588 aveva constatato l’impossibilità di valersi dell'autorità di Agostino come pezza d’appoggio contro i protestanti (87). Detto questo però, è altrettanto evidente che la res primariacui il termine sacramentum si riferisce è il mistero dell’unione di Cristo e della chiesa (88). Da questo fatto, per la comprensione dell’etica sessuale, discendono alcune conseguenze rilevanti che tendono a rettificare ogni eventuale esaltazione del bonum prolis come il fine del matrimonio. Il rapporto di partecipazione esistente, infatti, tra l’unione indissolubile di Cristo e della chiesa ed il matrimonio impone che la res sacramenti, l’effetto del sacramento, sia l’indissolubilità. 

    Ora l’indissolubilità come conseguenza della partecipazione terrestre ad un mistero divino di amore indissolubile, dice immediatamente come per Agostino il matrimonio sia sotto il giudizio di Dio. Non si tratta di una indissolubilità naturale, ma di una indissolubilità teologica e la generazione della prole non può essere da sola l’essenza del matrimonio, perché la sterilità della donna non ha alcuna azione dirimente sul legame matrimoniale. Questa dottrina trova la sua espressione più completa nel De coniugiis adulterinis scritto nel 4 19-420 (39). 

    Se l’indissolubilità è così forte da impedire al congiunto di unirsi ad un’altra donna in vista del bonum prolis (e questo anche quando sua moglie sia adultera), il legame del matrimonio umano con l’unione Cristo-chiesa svela un’altra conseguenza implicita nel bonum sacramenti: la santità del matrimonio cristiano. Il bonum sacramenti si presenta allora all’interno del matrimonio con caratteristiche per così dire dialettiche e trascendentali. Dialettiche, in quanto se da una parte afferma essere unione legittima anche quella in cui non vi sia il bonum prolis e in cui vi sia un rapporto coniugale senza figli, dall’altra afferma che la stessa unione coniugale ha un limite intrinseco nell’uso della sessualità per il fatto di essere ordinata all’unione Santa di Cristo con la chiesa (40). Trascendentali in quanto il bonum sacramentiinforma ogni possibile matrimonio, sia quello aperto alla generazione che quello sterile.