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«NOSTRAE SALUTIS CAUSA» 
 
Contro la «pura fonte storica» vi sarebbe poi «la ragione generale che vale per tutti i libri della Bibbia» e si troverebbe in quest'altro celebre testo: «i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità, che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere» (R 11: deh. 890).
 
Secondo P. Z. pertanto «domandare ai Vangeli (e in genere alla Bibbia) un insegnamento certo, fedele e senza errore circa altre cose che non siano la verità che ha ordine (è utile, necessaria, indirizzata) alla nostra salvezza, è domandar loro quello che non hanno voluto dire». 
 
Pur trattandosi di un'affermazione sfumata (essendo considerato, in modo molto estensivo, che potrebbe anche essere indiretto, tutto ciò che ha «ordine alla nostra salvezza»), quelle parole che ho sottolineato delineano un'interpretazione inammissibile di questo testo: nei Vangeli cioè vi sarebbero cose erronee, al di fuori delle verità attinenti alla nostra salvezza. Di tali cose infatti nel proseguimento dell'articolo vengono date delle esemplificazioni. Si noti che non si pada di generi letterari non sto­rici (ammissibili prudentemente nell'Antico Testamento e non nelle nar­razioni evangeliche di «fatti» e «detti» del Signore, che si appellano ad accurate ricerche e a testimonianze dirette o quasi: cfr. Lc 1, 3; Gv 19, 35; 1 Gv 1, I), ma di errori

Questa interpretazione infatti, a parte il suo contrasto con il dogma della totale ispirazione divina della Scrittura (che la rendono «ab omni affinino errore immune»: Leone XIII, Enc.Provid., EB 127), toglierebbe ogni valore al ben noto diretto intervento del S. Padre perché nel testo conciliare non si padasse soltanto, quanto all'esclusione di ogni errore, di «ve­rità salutari». E si tornerebbe praticamente alla tesi, ripetutamente condannata dal magistero, di una ispirazione divina limitata soltanto alle «res fidei morumque» (cfr. Leone XIII, Enc. Provid., EB 124; Benedetto XV, Enc. Spir. Par., EB 455; Pio XII, Enc. Div. affl. Sp., EB 539). 
 
Il testo effettivamente si riferisce a tutte le asserzioni della Scrittura (intese nel loro «genere letterario») e quindi a tutto il contenuto, di cui si afferma la «verità». Basta anche solo guardare alla prima proposizione con cui inizia questo capoverso della Costituzione. Esso dice: «Tutto ciò [senza alcuna eccezione], che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo». L'affermazione sulla veritàprosegue poi come conseguenza di ciò, con riferimento sempre a tutto, secondo questo filo logico: «per conseguenza... i libri della Scrittura insegnano [in tutto il loro contenuto] con certezza, fedelmente e senza errore [essendo tutto asserito dallo Spirito Santo] la verità, che Dio... volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere [non cioè tutto lo scibile, ma solo quanto è contenuto nelle Scritture]». 

Va aggiunto l'inciso: «per la nostra salvezza». Ma esso non può contraddire all'affermazione totalitaria precedente, bensì solo additare la finalità ultima ed essenziale di tutta la Scrittura. Un conto è il contenuto (di cui è garantita la verità), un conto lafinalità di tale contenuto. Quando per es. è detto che Gesù nacque a Betlemme e dimorò poi a Nazareth, tale notizia è data allo scopo di inquadrare e garantire storicamente la persona di Gesù e ricordare i riferimenti profetici, non di insegnare una pagina di geografia: il contenuto della notizia è il fatto geografico, il fine è la precisazione storica del Messia. E così di seguito.

Del resto il medesimo inciso si ritrova, al medesimo scopo, nel testo parallelo, relativo strettamente ai Vangeli, dei quali si afferma: «senza alcuna esitanza la storicità [senza alcuna riserva]». Essi «trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, per la loro eterna salvezza [scopo di tutta la sua attività]effettivamente operò e insegnò»: trasmettono cioè i veri fatti e detti del Signore (R 19: deh. 901). L'inciso evidentemente non delimita questi fatti e detti, ma addita, di tutti, le finalità. 

Quando pertanto P. Z, deduce che «domandare ai Vangeli un insegnamento... senza errore, circa altre cose non... ordinate alla nostra salvezza, è domandar loro quello chenon banno voluto dire», identifica arbitrariamente ciò che i Vangeli hanno voluto dire (in sé anche fatti geografici, ecc.) con il loro fine ultimo (soltanto salvifico); e non tiene abbastanza presente la dignità intrinseca di tutta la parola scritturale, che, quale parola di Dio, non può mai essere contaminata dall'errore. 
 
Tuttavia la inesatta tesi stessa dello Z. (comune a notevole parte della esegesi moderna), pienamente e coerentemente sviluppata, finirebbe indirettamente per ricadere nella totaleimmunità da errore. Basta che quell'ordine alle verità salutari si consideri non soltanto immediatamente e direttamente, ma anche indirettamente. Ciò risulterà chiaro da qualche ulteriore riflessione.
 
In base alla sua inesatta tesi lo Z. così esemplifica (anche qui pongo dei sottolineati miei): «L'esattezza cronistica dei particolari, per esempio della successione dei fatti geografica e cronologica, si può certo esigere da una pura fonte storica, ma non dai Vangeli, se non nella misura in cui consti che la verità voluta insegnare poggia appunto sull'esattezza, sulla realtà oggettiva, di quei particolari. Almeno per parecchi casi la scienza critica sembra dimostrare (o almeno dare come la ipotesi migliore) che questa esattezza di realtà oggettiva non è il supposto necessario, inteso dall'evangelista, per il suo insegnamento di verità che hanno ordine alla salvezza». 
 
Questo enunciato seguita, innanzitutto, a identificare poco felicemente la «pura fonte storica» con una narrazione completa ed ordinata, la quale certo nelle narrazioni saltuarie ed episodiche dei Vangeli non si può trovare. In queste la piena storicità, ossia la piena esclusione di errore, richiede invece solo che i detti e i fatti, con tutte le circostanze positivamente affermate, siano vere. Così se è descritto il luogo e il tempo di un evento (in tale luogo, dopo tanti giorni, ecc) essi debbono essere veri. Niente invece impedisce che, senza affermare positivamente la identità di tempo e di luogo, si accostino, per analogia e per sintesi, a un evento po­sitivamente presentato in un luogo e in un tempo, altri di cui non si dicono luogo e tempo. Sarebbe erroneo invece se anche di questi altripo­sitivamente si affermasse tale luogo e tempo, mentre sono avvenuti altrove, e in altro momento. Similmente, oltre le circostanze di luogo e di tempo debbono ritenersi obiettive le altre circostanze concrete, positivamente affermate. 
 
Ma, soprattutto, il problema è male impostato perché implicitamente ed esplicitamente si riferisce a un «supposto necessario» della verità salvifica soltanto intrinseco e diretto. Questo può quasi sempre essere negato, per tutte le circostanze episodiche che sono accidentali, da chi restringa la verità ispirata alla sola dottrina. 

Vi è anche invece un «supposto necessario» indiretto, che consiste nella garanzia della veridicità dei detti e dei fatti del Signore, che solo può nascere dalla obiettività del narratore: obiettività il cui sigillo caratteristico è dato - quando si tratta di testimoni diretti o quasi - dalla realtà delle circostanze concrete affermate. 

Un testimone e un narratore che su eventi così grandiosi come quelli divini (e con intenti talora anche esplicitamente professati di precisione: «ho investigato accuratamente ogni cosa», Lc 1, 3) si permettesse tacitamente liberi abbellimenti e integrazioni, non avrebbe più diritto alla fiducia critica del lettore sulla sostanza stessa della sua narrazione, se non altro perché mai si potrebbe sapere quando finiscono gli adornamenti e comincia la sostanza. 

Qualche esegeta suol rispondere che questa libertà dell'agiografo deve essere necessariamente ammessa per superare le difficoltà di interpretazione e di concordanza di alcuni passi. Ma io sfido a citarmi nei Vangeli una sola di tali difficoltà veramente insuperabile: non c'è. E non ci può essere. 
 
QUESTIONI DI BUON SENSO 
 
Tornando all'articolo che sto considerando, non potevo anche non attendermi e infatti ho trovato, il solito alibi che non manca nemmeno nelle esegesi anche ben più disgregatrici della piena verità storica dei Vangeli. Si afferma cioè che questa storicità ridimensionata, anziché menomare, tornerebbe a vantaggio della ricchezza del messaggio evangelico. Dice P. Z.: «Il Gesù storico di alcuni moderni scrittori, che vogliono dare... come degli altri personaggi... un ritratto di Gesù psicologico storico, con tutti i particolari di cronologia e di geografia ecc., rischia di nascondere il... Cristo Figlio di Dio... che è quello che gli evangelisti soprattutto ci vogliono dare». 

Certo una descrizione soltanto naturalistica di Gesù come di ogni altro uomo ne distruggerebbe la suprema grandezza. 

Ma ciò non ha niente a che vedere con le accurate precisazioni di modo, tempo, luogo, ecc., quali si possono avere dall'esame critico dei testi, perché esse non servono che agarantire la storicità di Gesù, senza la quale la sua divina grandezza si dissolverebbe nel sogno.
 
E' una riflessione di semplice buon senso. 
 
Vorrei concludere rilevando che nelle ottime intenzioni di tale esegesi questa ridotta nozione di storicità dei Vangeli dovrebbe costituire anche un modo per andare incontro alle obiezioni degli avversari. 

Ma a quali avversari si pensa: logici o illogici? Non sarebbe certo raccomandabile di subordinare la nostra linea critica a pretese illogiche. 
Se si tratta pertanto di avversari logici, questa presentazione della storicità non potrà invece che allontanarli (15).