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L'INFANZIA IN S. LUCA 

Il dramma della esegesi moderna, puntualizzato
. - Tale dramma non consiste nella mancanza di buona esegesi e di maestri di sicurissima dottrina (altro che ci sono!); ma nel fatto della crescente diffusione di una disgregatrice esegesi progressista, alimentata, con le migliori intenzioni, da una catena di dotti biblisti che scrivono molto, che si citano a catena, che si presentano come gli unici «à la page». Il dramma consiste soprattutto nel fatto che tale esegesi sta trovando sempre maggior credito nel campo cattolico, che ha la massima responsabilità, di fronte a Dio e agli uomini, per la difesa della verità scritturale. 

Questo sintomatico libretto del Rev.mo P. Ortensio affronta, da p. 66, con criteri perfettamente uguali a quelli usati per i primi due capitoli di S. Matteo, la valutazione della portata storica dei primi due di S. Luca. Potrei ripetere tante cose già dette per Matteo. 
 
Ma innanzi tutto interessano le pp. 67-69, nelle quali P. O. nel trattare di Lc 1-2 inquadra tutto il problema della esegesi moderna, ricapitolandone e puntualizzandone il dramma: egli infatti ricapitola e giustifica le posizioni di questa nuova esegesi. Secondo il suo riassunto, nel secolo scorso esplose la radicale critica razionalista hegeliana dello Strauss (1808-1874) e degli altri indipendenti (come P. O. chiama pur tanti che furono schiavidella pregiudiziale anticattolica e antireligiosa), critica che rifiutò ogni contenuto soprannaturale del Vangelo, ritenuto come inve­rosimile e leggendario, a cominciare, naturalmente, dal Vangelo della Infanzia. 

«Nonostante la faziosità e gli estremismi» tale «critica indipendente» aveva «scoperto un problema reale sino allora sconosciuto» circa il «concetto di storicità evangelica». Ma purtroppo il problema restò ancora chiuso per un secolo ai cattolici, incapaci di vera «obietti­vità» [gratuita accusa al campo cattolico!] perché, anziché trarre insegnamento dall'impostazione critica degli «indipendenti» [essi obiettivi!], restarono «arroccati» nelle posizioni tradizionali, seguitando ingenuamente [Lagrange compreso] ad attenersi al «senso ovvio dei racconti evangelici». 

Ma finalmente anche i cattolici acquistarono «maggiore obiettività», facendo attenzione alle «questioni di forma» e considerando [per es. in Lc 1-2) gli schematismi artificiosi della trattazione, il ricco substrato biblico veterotestamentario, le inverosimiglianze di pura finalità didascalica, gli intenti apologetici di Lc 1-2. A distanza di un secolo dalla non bene risolta, ma utile problematica del razionalista Strauss, finalmente cattolici e indipendenticominciarono, da alcune de­cine di anni, a camminare a braccetto, «quasi di comune accordo», nella strada della nuova esegesi critica, mirando a cogliere sempre meglio la verità di «fondo», nascosta sotto la forma verbale, materiale, esteriore, ossia a scoprire «l'esattezza cronistorica e cronologica delle notizie e delle affermazioni dell'evangelista» (112).
 
Non fa alcuna meraviglia la consueta ultima affermazione. Questi volonterosi esegeti, quanto più svuotano e rendono incerto il contenuto evangelico, tanto più parlano di approfondimento, di arricchimento, di esattezza. Eufemismi? Difetto logico? Insincerità? Basta ricordare quanto notai per S. Matteo; e altro vedremo per S. Luca. 
 
Cattolici e miscredenti. - Il dramma è tutto svelato, alle sue radici, in quel procedereinsieme - «quasi di comune accordo» - credenti e miscredenti. Ciò significa avere ceduto alle obiezioni della miscredenza di un secolo fa. Oggi infatti è quasi inutile, specialmente nelle introduzioni bibliche, guardare se il libro porta l'Imprimatur, perché cattolici e non cattolici li vediamo in gran parte confluire nelle medesime tesi antitradizionali.

Ci si guardi bene dallo svalutare lo shldio del «genere letterario» della narrazione evangelica, la cui importanza è stata felicemente messa in evidenza nell'esegesi moderna: esso è infatti indispensabile per comprendere quello che l'agiografo ha voluto dire (ed è stato perciò novamente raccomandato dal Concilio: R, 12: deh. 892). Neanche si deve negare l'apporto documentario e problematico che può venire anche da studiosi miscredenti. 

Ma è impossibile, in via ordinaria, procedere affiancati nei risultati esegetici. E ciò proprio supposto l'impiego dei medesimi rigorosi criteri d'indagine, come già notai nel primo cap. di questa parte (cfr. 181 s.). 
 
Infatti - per fare qualche esempio - l'inverosimile andra bensì, da tutti, criticamente scartato. Ma il razionalista, negatore, a priori, di ogni realtà soprannaturale, considererà come inverosimile ogni miracoloso intervento divino; il cattolico invece sarà libero di affermarlo o negarlo secondo i casi e, nel contesto scritturale di supremi avvenimenti divini (l'Incarnazione) circostanziatamente descritti, dovrà logicamente essere tutt'altro che facile ad ammetterlo. 

Le analogie con le narrazioni veterotestamentarie potrebbero indubbiamente anche tradire delle artificiose elaborazioni devozionali e didascaliche. Ma, mentre il razionalista è praticamente obbligato ad affermarlo, il cattolico può invece scoprirvi un riflesso della provvidenziale colleganza e unità del Vecchio e del Nuovo Testamento, essendo il primo preparazione al secondo. 

Il ripetersi di rassomiglianti schemi narrativi delle due annunciazioni può spiegarsi sia come artificioso montaggio, sia come armonia di fatti reali, sapientemente così regolati da Dio, per due eventi tra loro strettamente congiunti. Il razionalista non può ammettere che la prima soluzione, mentre il cattolico ha buone ragioni per preferire la seconda.

Un succedersi di circostanze narrative dimostrative e convalidatrici del fatto principale, potrebbe certo far criticamente prospettare l'ipotesi che ciò costituisca un artificioso espediente apologetico. Il razionalista preferirà senz'altro tale ipotesi, mentre il cattolico troverà invece molto ragionevole che la Provvidenza abbia obiettivamente fatto maturare gli eventi in un quadro dimostrativo che li garantisca. 
 
Ma, più in generale, la disparità di valutazione tra credenti e miscredenti si avrà inevitabilmente quanto alla basilare determinazione del genere letterario. L'ipotesi, per il Vangelo dell'Infanzia, di un genere che sia storico soltanto quanto al fondo e non quanto alle circostanze esteriori, infirma, in realtà, tutto il valore della narrazione. Infatti, come già feci notare, nessuno potrà mai dire con sicurezza dove termina l'esteriore e dove comincia il fondo; inoltre, e principalmente, in una narrazione testimoniale come quella dell'infanzia, scritta da chi «ha investigato accuratamente ogni cosa fin dall'inizio» (Lc 1, 3), la verità dei vari circostanziati episodi è l'unica solida garanzia della verità della sostanza. A differenza pertanto del miscredente, che non avrà difficoltà ad ammettere tale invalidazione della testimonianza evangelica, l'esegeta cattolico non può supporre che alla base della rivelazione storica di Gesù vi sia una tale imponderabile e incoerente documentazione; né può supporre che lo Spirito Santo abbia ispirato una così inefficace narrazione documentaria.
 
Lo Spirito Santo, rispettando le caratteristiche personali e culturali dell'Agiografo e dei tempi, non ha fatto scrivere certamente una storia documentaria, minutamente e rigorosamente circostanziata e inquadrata, nel tempo, nei luoghi, nelle cose e nelle persone, secondo il raffinato stile moderno. Ma non può aver fatto scrivere nemmeno una storia così mescolata alla fantasia da distruggere se stessa, annullando la sua essenziale funzione documentaria e testimoniale. 
 
Antico e Nuovo Testamento. - Nessun confronto può essere fatto con la storia, per es., dell'Esamerone e dei primi capitoli del Genesi, che è informativa, ma non testimoniale. In essa la strutturazione artistica e la parte simbolica non costituiscono alcun inganno e non infirmano l'insegnamento, bensì costituiscono solo un modo di presentazione popolare. Nella storia dell'infanzia invece le supposte artificiosità si risolverebbero in inganno, e infirmerebbero la validità di tutto il racconto, il che è incompatibile con la infallibile verità della ispirazione biblica. D'altra parte il modo di narrazione di S. Luca ed i suoi intenti esplicitamente dichiarati non giustificano affatto tali supposizioni.

Si rifletta anche, nel confronto con i primi capitoli del Genesi, al significativo diverso linguaggio del Magistero. Pio XII nella Hum. Gen.) a proposito dei «primi undici capitoli del Genesi», afferma che «appartengono al genere storico in un vero senso», precisando però che, con un «parlare semplice e metaforico, adatto alla mentalità di un popolo poco civile, riferiscono sia le principali verità che sono fondamentali per la nostra salvezza, sia anche una narrazione popolare dell'origine del genere umano e del popolo eletto» (39). 

Quanto ai Vangeli invece il Vaticano II ha ribadito «senza alcuna esitanza la storicità» e nello spiegare di che genere di storia si tratti, ha puramente precisato che essi «trasmettono fedelmente quanto Gesù Cristo Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza» (R, 19: deh. 901; cfr. 890). Nessun accenno a un «parlare semplice e metaforico... popolare, ecc.». 

Né si può cavillare su una pretesa distin­zione tra Vangelo dell'infanzia e restante Vangelo, anche se nel primo vi sono caratteristiche proprie spiegabili con l'oggetto della narrazione. Il testo conciliare infatti ignora totalmente tale distinzione, parlando soltanto e integralmente dei «Quattro Vangeli». D'altra parte la natività rientra come principale atto nella «vita di Gesù tra gli uomini»; e tra le cose che egli «operò» vi sono quelle compiute fin dal seno materno, descritte da Luca. 
 
Gravità del dramma. - La gravissima portata di queste posizioni di buona parte dell'esegesi moderna emerge riflettendo al conseguente crollo della granitica sicurezza della veridicità del libro ispirato. A tale sicurezza si sostituisce la dissolvente illusione di raggiungere lo strato veramente sicuro di «fondo», strato che essendo invece investigato con un tipo di analisi estremamente elastico e mutabile e con diversissime valutazioni - fatte a intuizione e a sentimento dai diversi studiosi  non può che restare incerto. Ed è un'analisi, come si sa, che viene estesa a tutto il Vangelo.
 
Quando poi i cattolici rifiutano tale elastica analisi solo quanto ai testi essenziali attinenti ai dommi definiti (come quelli, per es., relativi alla Eucaristia), si condannano all'incoerenza. Se coerentemente l'applicassero anche a quei testi li dissolverebbero. E non pochi purtroppo, proprio per coerenza al metodo esegetico ormai adottato, varcano il fosso. Quando, poco dopo che era uscito, lessi l'articolo del brillante biblista F. J. Schierse S.J., inBibel und Leben del dic. 1960, sul Vangelo dell'Infanzia, tutto ispirato a questi princìpi, segnai in nota: «con questa dottrina crolla la fede». Alcuni mesi dopo purtroppo il P. S., invano richiamato dai superiori, gettò l'abito. E si sa in questi ultimi anni quanti illustri nomi lo hanno seguito. Un giovane, brillante professore, dichiarò apertamente: «Mi hanno tolto la fede». 
 
Scardinata la storicità sostanziale di Lc l, 2. - Ecco, per es., a cosa si ridurrebbe la verità di «fondo» dei primi due capitoli di S. Luca. Seguo, rapidamente, il libretto di P. Ortensio.

Egli parte da una premessa che vorrebbe essere rassicurante: «La storicità sostanziale di Luca 1, 2 non può essere messa in serio dubbio» (71). Si ha in realtà subito l'impressione che l'assicurazione non sia sufficientemente recisa. Che vuol dire: sostanziale? E poi unqualche dubbio (bensì: non serio) sembra ammesso. Ma passi. 

A p. seguente però sembra già crollar tutto. Tale narrazione infatti non sarebbe «una cronaca oggettiva... senza artificiosità, sovrastrutture, abbellimenti». Ora, se manca l'oggettività non si vede davvero che valore abbia la riconferma che «non ne compromettono il carattere storico» (72): storicità significa oggettività. 
 
Le affermazioni effettivamente scardinatrici di ogni oggettività seguono poi, l'una dopo l'altra. Ne riporto alcune.

«Le annotazioni cronologiche dei mesi e dei giorni... difficilmente, afferma Zerwick. .. rivelano una preoccupazione di esattezza cronologica o biografica» (77). - Così una caratteristica nota di concretezza e di obiettività viene arbitrariamente dissolta.

Luca «nel raccontare le esperienze dei suoi protagonisti o nell'annunziare la loro missione [nel che consiste tutta la sostanza del Vangelo dell'Infanzia] invece di affidarsi ai soli... fatti [come aveva promesso in 1, 3] o alle risorse della propria fantasia [che già infirmerebbe ogni sicurezza di autenticità]... si ispira largamente anche alle narrazioni analoghe del V. T. [cioè a fatti diversi di quelli che Luca ha dichiarato di narrare] o della letteratura giudaica contemporanea [non storica]» (77). - Impossibile in questa ipotesi sceverare i fatti dalle invenzioni

«Secondo P. Benoit... l'annuncio della nascita di Giovanni [si modella] sui racconti giudaici del tempo... Per Audet, seguito da Iglesias... il modello... nell'annuncio della Vergine è il racconto della vocazione di Gedeone» (81). - Le narrazioni essenziali dunque sono artificiosamente modellate

«Il Magnificat (come dice lo stesso Laurentin) è posto sulle labbra della Madonna dall'agiografo... rivela la medesima cultura del resto del vangelo... si presenta come un prodotto del medesimo ambiente... in cui è nato il racconto dell'Infanzia... è un midrash» (85). - Il tutto cioè è una libera meditazione esegetica edificante (85).
 
Luca «cerca una coincidenza più profonda tra la storia passata e la recente... e poiché i modelli antichi sono irreformabili, l'evangelista è costretto ad adattare i fatti recenti che ha in mano» (89). - Mirabile coincidenza davvero, come quella delle vittime del brigante Procuste, che venivano amputate o stirate fino a combaciare col prestabilito letto; la povera vittima sarebbe il deformato vangelo.

Così, non sembrerebbero oggettivi, più o meno, la «fretta» di Maria, l'annunciazione conclusasi «prima» della visitazione (93, 103), l'«accorrere» dei pastori, il «grido» di giubilo di Maria «subito» dopo l'incontro, l'«incredulità e la punizione di Zaccaria», il «ritiro di cinque mesi» di Elisabetta (94), la «reale» apparizione dell'angelo (96), la «sterilità» di Elisabetta (97), il «proposito verginale» di Maria (97 s.), la profezia di Simeone fatta personalmente a Maria, essendo stata forse nominata Maria (P. Benoit) solo come «simbolo della comunità messianica» (104), e così via.
 
Che resta di sicuro? E sono tutte affermazioni superficialmente dedotte da «inverosimiglianze» arbitrariamente affermate e da «analogie» spiegabilissime con la verità dei fatti. (Ne analizzerò alcune, particolareggiatamente, in seguito). 
 
Perché non chiamare allora senz'altro S. Luca un metodico ingannatore? Perché seguitare a presentare come un utile «espediente stilistico» la sua gravissima calunnia - che P. O. non manca di riconoscere tranquillamente come «sconveniente» (105) - di «tacciare d'incredulità» il povero Zaccaria, soltanto per mettere in risalto la fede di Maria? Con quale coerenza affermare (come la fede impone) che «la verginità di Maria è un fatto indiscusso» (98), dopo avere infirmato le caratteristiche essenziali del colloquio dell'annunciazione, dopo aver affermato che «nella trama del Vangelo tutto è funzionale» (100), dopo avere definito la «sterilità» di Elisabetta come «finzione letteraria» per sottolineare l'«opera esclusiva di Dio nel piano salvifico» (97)? Perché non far rientrare nella pura «finzione letteraria» per sottolineare più efficacemente tale «opera esclusiva di Dio», anche il concepimento di Gesù per sola opera dello Spirito Santo (cfr. Cat. Olandese); anzi perché non farvi rientrare addirittura (vero massimo sottolineamento) l'Incarnazione del Verbo? 
 
Eppure tutto ciò - seguitano a ripetere - «non compromette il carattere storico» del libro; «i fatti sottostanti [quali?] a Luca 1, 2 sono veri [perché?], ma l'autore li ha ricomposti con criteri personali» (72). - Come una macchina arbitrariamente e falsamente rimontata, tale racconto non funziona più. 

«Il contenuto dottrinale risulta determinato nel modo più sicuro» (91). - In realtà, dissolvendone il sicuro fondamento storico, esso perde ogni valore. 
Un «principio teologico» può essere ugualmente «dimostrato attraverso fatti reali» o «attraverso una finzione» (97). - Affermato, sì, dimostrato, no

«L'intento principale del Vangelo dell'Infanzia è... annunziare un alto messaggio cristologico» (102). - No, è annunciare il fatto dell'incarnazione, che andava garantito con obiettive circostanze. 

«La migliore teologia di Lc. 1, 2 è confinata nelle profondità [ossia nelle oscure, incertissime ed esteriori analogie] del sustrato veterotestamentario, nascosta oltre il suono materiale delle parole... e degli artifici stilistici» (107). - Dunque a questi si ridurrebbe «ogni cosa accuratamente investigata fin dall'inizio» (Lc 1, 3); dunque ciò che Luca chiaramente ha detto è falso, ciò che non ha detto, ma che oscuramente avrebbe additato, è vero. Frasi di questo genere sembrano una presa in giro del lettore. 

In questo modo «la figura e l'opera (del Salvatore) si precisano e si definiscono del modo più convincente» (109). - Dopo avere arbitrariamente dissolto ogni ragionevole fiducia nella obiettività storica della sua esistenza! (109). 
 
Punizione di Zaccaria. - L'analisi di questa pretesa inverosimiglianza è particolarmente istruttiva. «L'incredulità e la punizione di Zaccaria afferma P. O. - rimangono difficilmentespiegabili se presi come dati obiettivi» (94). «Quando si pensa ai casi analoghi del Vecchio Testamento... non si vede perché non sia legittima la domanda di Zaccaria» (ivi). Inoltre «Maria chiede ugualmente una prova che la convinca ad accettare la divina proposta» (76 n. 35). 

Se la domanda fu legittima in lei, perché non in Zaccaria? E' dunque probabile che si tratti di un «espediente stilistico per esaltare la fede di Maria» (106 n. 87). Infatti «la poca fede del sacerdote fa meglio risaltare e ammirare la pronta accettazione della Madre di Gesù. Per accentuare questa superiorità... l'evangelista oltrepassa perfino i limiti dellaconvenienza. Per esaltare la fede di Maria non teme di tacciare di incredulità Zaccaria» (105).

Tutte queste riflessioni perdono in realtà ogni mordente davanti allo elementare rilievo che il credere o non credere di Zaccaria non dipende solo dalle sue parole, ma dagli interni sentimenti che le dettarono; e questi, per testimonianza dell'angelo, illuminato da Dio, furono di incredulità: «perché non hai creduto» (Lc 1, 20). Dunque non difficile, ma chiarissima spiegazione. L'episodio è rivelatore dello stato d'animo di Zaccaria e come tale va criticamente preso. Si potrebbe parlare di inverosimiglianza se qualsiasi ipotetica crisi di fede del santo sacerdote fosse da escludere, il che ovviamente non è. Il rigore critico non consente di rettificare il valore obiettivo della narrazione di S. Luca, in base a una presupposta e ipotetica piena rettitudine di Zaccaria, ma viceversa insegna a dedurre i sentimenti interni di Zaccaria in base alla narrazione. O così o Luca sarebbe un riprovevole calunniatore. 
 
Però anche le stesse parole di Zaccaria indicano abbastanza apertamente il dubbio: «Da cosa potrò conoscere questo?» (ivi 18). Le parole della Madonna invece non chiedono - come dice il P. Ortensio - «una prova che la convinca» (come Zaccaria), bensì chiedono ilmodo, in relazione alle iniziative da prendere, secondo il divino volere: «Come avverrà questo?» (ivi 34). 

Che ciò sia vero per la Madonna è confermato dal fatto che la pretesa «prova» sarebbe stata insignificante, giacché Maria avrebbe dovuto prima andare ad accertarsi del fatto da S. Elisabetta e poi tornare a dar l'assenso. Il ch.mo autore, in realtà, in piena coerenza con questa fantasiosa esegesi, non manca di prospettarsi la probabile inversione dei due episodi. Dio infatti non può avere «imposto a Maria un atto di fede irragionevole, cioè senza basi storiche adeguate» (103, n. 83); e queste le sarebbero state date proprio dalla visita a Elisabetta. Pertanto il «chiudere l'Annunciazione [subito] con l'Incarnazione» può essere stato un puro adattamento di Luca, affinché la visita a S. Elisabetta «ripetesse il tragitto dell'Arca verso Gerusalemme», il che richiedeva che «Maria fosse presentata già Madre di Dio» (93, n. 65), mentre in realtà lo sarebbe divenuta dopo. Così facendo però - ecco le mani avanti che questi illustri esegeti sogliono sempre mettere, con disinvoltura - S. Luca non «inventa, ma solo armonizza, dà una personale forma agli avvenimenti...» (ivi). 
 
Ma, di fatto, più invenzione di così! Si tratta infatti di una inversione che addirittura capovolgerebbe lo stato d'animo di Maria e la renderebbe oggetto infondato delle parole di elogio di Elisabetta. 

Ammessa invece l'obiettività del racconto, la ragionevolezza della risposta di Maria apparisce perfettamente fondata. Essa ebbe infatti l'evidenza della soprannaturale natura del messaggero celeste (che doveva essere chiara tuttavia anche a Zaccaria). Il merito della fede, a sua volta, è dato dall'immediata adesione alla inaspettata e strabiliantemissione comunicatale (immediata adesione provata dalla richiesta del modo, che suppone la già avvenuta accettazione del fatto). Era infatti una missione così sublime e un evento così meraviglioso, che, nonostante la certezza della comunicazione angelica, non avrebbe potuto non suscitare in qualunque altro, in ordine pratico, un movimento per lo meno di sospensiva perplessità, per non dire di pratica incredulità. 

In questa era caduto infatti (e per tanto meno) Zaccaria, che perciò fu punito (v'è un'analogia con la punizione di Mosè che colpì ripetutamente per difetto di fiducia, la rupe dalla quale, per divina promessa, doveva scaturire l'acqua: cfr. Nm 20, 8-12), mentre non vi era caduta minimamente Maria. E fu fede eroica perché la missione implicava una maternità, in terra, dolorosissima, in relazione allo straziato figlio, vittima di Redenzione (convenientemente nota a Maria per le profezie e la speciale illuminazione che eventualmente ella dovette avere, affinché desse un responsabile assenso). Tutto nel racconto lucano si spiega dunque perfettamente. 
 
Perché, allora, fu comunicata a Maria la miracolosa maternità di Elisabetta? Non fu per dare una prova di ciò a cui Maria aveva già pienamente creduto; bensì per accostare tra loro i due meravigliosi interventi divini, i quali, essendo obiettivamente e strettamente congiunti, era bene che fossero entrambi conosciuti dalla Vergine. Ciò costituì anche un implicito invito a recarsi caritatevolmente «con premura» (come meglio si può tradurre il testo greco, anziché «con fretta»: cfr. Lc 1, 39) dalla parente.

La sua carità sarebbe poi stata premiata dalle ben note fecondissime manifestazioni di grazia. 
 
Il ritiro di S. Blisabetta. - «Un altro rebus per gli esegeti - dice ancora P. O. in quel libretto - è questo ritiro improvviso e immotivato di Elisabetta dopo la concezione del bambino» (94, n. 69). Esso sarebbe «storicamente inspiegabile, al pari del prolungato ammutolimento eli Zaccaria» (106, n. 88). Probabilmente sarebbe un'invenzionedell'evangelista, che se ne serve per «tener celato il miracolo di Elisabetta fino alla prossima apparizione angelica [alla Madonna]»: e ciò allo scopo eli sottolineare «lafunzionalità di segno che ha la gravidanza di Elisabetta» e di mettere «in rilievo la parte che ha Dio in tutta la storia» (ivi). 

Proprio così? Ma allora sarebbe stato alquanto malaccorto e contraddittorio il povero S. Luca. Egli infatti - secondo questa esegesi - per far rassomigliare il viaggio della Madonna a quello «dell'Arca verso Gerusalemme», avrebbe anticipato la risposta conclusiva della Vergine, ossia posticipato la visita a S. Elisabetta (93, n. 65). Ma con ciò veniva compromessa proprio quella «funzionalità di segno» che egli voleva sottolineare nella gravidanza di Elisabetta: essa infatti sarebbe stata controllata soltanto dopo l'assenso. 

Che fare? Rimettere l'assenso a dopo la visita? Sarebbe stata la via più semplice per valorizzare quella «funzionalità di segno», ma ne veniva compromessa la non meno amata equazione Madonna-Arca. Un vero supplizio di Tantalo. Allora pensò di mantenere quella posticipazione della visita, sottolineando però mediante quell'antecedente artificiosaclausura la scoperta fatta da Maria della maternità di Elisabetta. Ma non si accorse che questa clausura sarebbe comparsa ai lettori come «inspiegabile», e che quel famoso «segno» sarebbe restato ancora del tutto inoperante per la suddetta ragione di manifestarsi quando era stato già dato l'assenso. Quanto poi a quel voler anche mettere «in rilievo la parte che ha Dio in tutta la storia», Luca prese una vera gaffe perché «la parte di Dio» è fatta di cose vere, non inventate. 
 
Abbandonando invece queste pretese acutezze esegetiche e restando alla pura obiettività della narrazione, tutto risulta chiaro. Naturalmente non si potrà fare lo studio di questi episodi sulla sola base delle consuetudini e degli stati psicologici umani puramente naturali e comuni. Ciò sarebbe anticritico, perché si dimenticherebbero i fattori storici fondamentali, quali sono la natura dei personaggi e degli eventi. 

L'occultarsi pertanto di Elisabetta (opportunamente preceduto dal silenzio imposto a Zaccaria) anziché circostanza inspiegabile, costituisce, nel quadro concreto di questi divini avvenimenti, un prezioso sigillo di autenticità e di armonia tra le due narrazioni dell'Infanzia, di Matteo e Luca. Esso svela l'identica ispirazione dello Spirito Santo, che, mentre suggerì gli impenetrabili silenzi di Maria con S. Giuseppe (Matteo), sollecitò Elisabetta a sottrarsi all'altrui curiosità (Luca). In entrambi i casi si trattava di non anticipare minimamente i tempi voluti dallo Spirito Santo per la manifestazione di questi grandi avvenimenti: e ciò con tanto più premurosa cura in quanto erano appunto avvenimenti di divina manifestazione. In particolare lo Spirito Santo ispirando tale silenzio e ritiro a Maria e a Elisabetta, fece svolgere le cose in modo che nella visita della Madonna il Precursore, si manifestasse, per la prima volta, alla presenza del Salvatore, che egli aveva il compito di additare. 

Un elementare senso critico, del resto, avrebbe dovuto far riflettere che proprio la «inspiegabilità» di tali comportamenti, visti in chiave umana comune, esclude che siano stati artificiosamente inventati (chi mai avrebbe proposto situazioni inspiegabili?). Essi invece suggeriscono subito una profonda realtà, del tutto coerente con questi misteri divini.