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L'EVOLUZIONE ALL'ESAME DI STUDIOSI CATTOLICI
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01/05/2013
18:18
IL POLIGENISMO DI K. RAHNER S. J
.
Forzare analiticamente qualche lato soltanto dei problemi non è acutezza, ma unilateralità e superficialità disgregatrici della solida indagine teologica.
Sentiamo K. Rahner, sulla problematica del
poligenismo
, particolarmente sintomatica di tutta una metodologia analitica, in
Concilium
6, 1967.
«Se si determina nella maniera giusta il genere letterario di Gen. 1-3... l'Antico Testamento non contiene
affermazione alcuna
sul monogenismo» (74). - E' una petizione di principio. Si assume come «
giusto
genere letterario» quello che si concilia con il preconcetto evoluzionismo e poligenismo. Tale «giusto genere» invece deve essere determinato tenendo ben presente il Magistero, secondo il quale «gli undici primi capitoli del Genesi... appartengono al genere storico in un vero senso... [riferendo] con parlare semplice e metaforico... sia le principali verità... per la nostra salvezza, sia anche una narrazione popolare della origine del genere umano e del popolo eletto» (
Hum. G
., 39: D-S 3898) (9). E tra tali «principali verità» il Magistero ha ripetutamente ribadita - come si è visto nell'ultimo punto del paragrafo precedente - quella strettamente collegata col peccato originale, ossia il
monogenismo
.
«Quando Paolo... usa l'espressione dell'
unico primo uomo
Adamo [bisogna vedere se non ripeta]... la formulazione dell'Antico Testamento [senza offrire quindi] per sé nessuna dottrina inequivocabile sul monogenismo» (75). - Invece: sia la natura di approfondimento teologico dei testi paolini, sia la Tradizione, sia il Magistero, non possono lasciare dubbio prudente sul valore
chiarificatore
dei testi paolini, a
conferma
della affermazione monogenista dell'Antico Testamento.
Come avrebbe potuto esprimersi S. Paolo - secondo il R. - per indicare che intendeva positivamente confermare, con l'infallibile autorità della divina ispirazione, il senso letterale della formulazione dell'Antico Testamento?
«Il concilio di Trento... [presuppone]
un solo
Adamo fisico... ma parlando del peccato originale,
ripete
semplicemente le formulazioni della Scrittura e della Tradizione e non ha voluto dare alcuna definizione del monogenismo... Non si può parlare di un dogma formale sul monogenismo a partire dal Concilio di Trento... Anche per quanto riguarda il magistero ordinario». - Quanto al «dogma formale» del Concilio bisognerebbe distinguere l'implicito dall'esplicito. Inoltre, come può essere negata, in proposito, resistenza del «Magistero ordinario»?
Comunque, oltre al dogma, c'è la dottrina teologicamente sicura, la noncuranza della quale impedisce di «sentire con la Chiesa» e disgrega la mentalità teologica e il senso dell'ortodossia, snervandoli con un problematicismo di timbro razionalista. E non si tratta di un «sentire con la Chiesa» libero, ma obbligatorio in coscienza, come è detto, per es., esplicitamente, per gli insegnamenti non definitori delle Encicliche, nella
Hum. G.
(19, 20).
Tornando alla definizione del Tridentino, è perfettamente vero che l'intenzione definitoria esplicita riguarda il peccato originale e non il monogenismo; ma riguarda essenzialmente oltre il
fatto
anche il
modo
, gli
effetti,
la
trasmissione
, per i quali l'affermazione monogenistica costituisce un fattore essenziale e inseparabile dall'affermazione della caduta. Il Concilio quindi, assumendo interamente la sostanziale narrazione del Genesi, ne fornisce l'
ispirata interpretazione
.
Il R. riconoscerebbe come «dottrina implicita» tridentina il monogenismo, solo se questo risultasse
indispensabile
per salvare la dottrina tridentina «sul peccato originale». - Basta invece che sia indispensabile per salvare il
modo
di trasmissione, definito dal Concilio. E lo è perché il monogenismo si inserisce essenzialmente in tale modo.
In tutto il resto dell'articolo il R. prosegue aprioristicamente a ritenersi vincolato solo quanto al
fatto
e non quanto al
modo
, trascurando il tenore ovvio delle affermazioni tridentine e tutti gli altri insegnamenti del Magistero - ultimamente confermati dalla
Professione di Fede
di Paolo VI (30 giugno 1968) - relativi non solo al
fatto
, ma anche al
modo
.
Anzi, preoccupato solo della dogmaticità - del
fatto, invita
il Magistero a non «intromettersi nella discussione sul poligenismo» (87; cfr. 77). Egli sapeva però che già il Magistero si era ripetutamente intromesso. E' quindi un implicito rimprovero che fa al Magistero. Siamo davanti a una specie di capovolgimento delle parti: non è il «Magistero, che nella Chiesa rappresenta la persona di Gesù Cristo Maestro» (Paolo VI al Convegno dei teologi, ottobre 1966), a guidare i teologi, ma viceversa.
Per prendere lo slancio verso la libertà di affermare anche il poligenismo, R. così presenta la dottrina della
Hum. G.
(37) sull'evoluzionismo: «La Chiesa... considera
libera
la teoria dell'evoluzione antropologica» (78); e R. dà il giusto riferimento: D-S 3896. - Ma il vero testo esprime invece tutt'altro che pura libertà, limitandosi a dire che la Chiesa «non prohibet» che il problema «de humani corporis origine... pertractetur», pronti sempre a rimettersi «Ecclesiae iudicio», non essendo il problema estraneo «divinae revelationis fontibus» ed esigendo quindi «maximam moderationem et cautelam».
Dopo tale inesatta premessa il R. passa non a imparare, ma ad insegnare come la Chiesa debba coerentemente contenersi su tale argomento: «la teologia rifletta seriamente se la Chiesa [concessa tale presunta libertà per l'evoluzionismo]... possa... condannare
logicamente
il poligenismo». Ma R. si guarda dal citare il n. successivo della
Hum. G
., in cui il
poligenismo
viene escluso. Il R. inoltre conosce bene gli altri numerosi interventi del Magistero contro di esso. Sarebbe stato dunque un Magistero
illogico
!
Dall'
evoluzionismo
infatti, secondo il R. verrebbe necessariamente il
poligenismo
, a cominciare fatalmente dalla prima coppia, in cui già sono due: «ogni altra soluzione sarebbe solo un compromesso pigro e inaccettabile» (78). Direi che la «pigrizia» è piuttosto di chi non vuole adeguatamente distinguere. Il
monogenismo
scientifico
si è sempre riferito a «una coppia» (e non a un solo individuo); esso ha trovato validissime conferme nell'antropologia comparata, e non è esatto dire che «la maggioranza schiacciante degli scienziati» è poligenista (ivi 77).
Il
monogenismo filosofico
, anche quando ammette l'evoluzionismo, reclama, alla soglia dell'intelligenza, l'intervento estrinseco del Creatore, per la creazione e infusione dell'anima spirituale, intervento che, convenientemente, può ammettersi compiuto su una sola coppia. Il
monogenismo teologico
aggiunge il dato della rivelazione e perfeziona l'origine monogenica con la speciale derivazione della donna dall'uomo, derivazione che, nel quadro dell'intervento ormai necessario e diretto del Creatore, non crea logicamente alcuna difficoltà.
Non ho lo spazio per seguire il grande teologo negli ulteriori tentativi per giustificare una solidarietà umana anche nell'ipotesi poligenista e per inquadrarvi il peccato originale. Tutto comunque è minato dalla errata premessa di risolvere il mistero della caduta originale, che è un dramma inserito nell'economia soprannaturale, staccandosi dagli essenziali dati scritturali, dalla tradizione, dal magistero, ossia dalla rivelazione.
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