00 22/06/2018 14:34

La scienza risponde a tutto?
Nemmeno sfiora gli interrogativi più importanti

«È con la scienza che possiamo sperare di rispondere agli interrogativi dell’uomo. È con la scienza che possiamo contribuire a migliorare la qualità della vita del singolo». Due frasi, buttate lì come finale di un articolo dal prof. Giuseppe Novelli, genetista e rettore dell’Università Tor Vergata di Roma.

Novelli non è certo uno scientista, un odifreddiano antimetafisico, un positivista ottocentesco e, anzi, l’università che dirige è spesso sede di importanti convegni sul rapporto tra fede, scienza e filosofia. Per questo, probabilmente, nemmeno lui avrà dato troppo peso a quanto scritto. Com’è possibile, infatti, credere davvero che tutti gli interrogativi esistenziali che l’uomo matura di fronte alla sua incompletezza, alla sua sete di un significato ultimo, possano arrivare dalla scienza?

Nonostante le convinzioni dell’entomologo E.O. Wilson («La scienza non è semplicemente un’altra impresa come la medicina, l’ingegneria o la teologia. È la fonte di tutto il sapere che abbiamo del mondo reale»), si tratta di ultimi rimasugli di un riduzionismo nato già vecchio. La visione illuministica del cosmo ha ceduto il passo ad una concezione scientifica consapevole della sua provvisorietà, forgiata sulla base delle conquiste del XX scolo, come il principio di indeterminazione di Heisenberg. Karl Popper, con l’inserimento del criterio di falsificabilità, ha dimostrato che la scienza è un sistema ipotetico-deduttivo e non c’è nulla di definitivo in essa. Se per Thomas Kuhn la scienza avanza per “crisi rivoluzionarie” e non certo in modalità lineare e progressiva, per l’altro gigante dell’epistemologia novecentesca, Imre Lakatos, la scienza ha un carattere non assoluto ed è tutt’altro che un metodo di conoscenza certa. Il premio Wolf per la scienza, Victor Weisskopf, ha a sua volta delineato gli enormi limiti dell’indagine scientifica: «Non è giustificata la pretesa che la scienza può trovare e troverà una spiegazione per ogni esperienza umana e, anche lo fosse, la spiegazione scientifica di un’esperienza umana non necessariamente tocca tutti gli aspetti di questa esperienza. Ciò è particolarmente vero per quegli aspetti che hanno a che fare con concetti quali amore, dignità ed etica» (Il privilegio di essere un fisico, Jaca Book 1994, pp. 36-37).

Chi sono io che esisto, ma non ho in me il principio, la chiave per comprendere il senso del mio esistere? Davvero qualcuno è in grado di rispondere seriamente usando nozioni biologiche o chimiche? Sarebbe un tentativo ridicolo, come ha ben chiarito il laico biologo e premio Nobel, Peter Medawar: «non vi è modo più rapido per uno scienziato di apportare discredito a se stesso e alla sua professione che dichiarare apertamente che la scienza conosce e conoscerà presto le risposte a tutte le domande degne di essere poste, e le domande che non ammettono una risposta scientifica sarebbero in qualche modo delle non domande o “pseudo-domande” che soltanto i sempliciotti possono porre e a cui soltanto i creduloni professano di saper dare risposta […]. L’esistenza di un limite per la scienza è reso evidente dalla sua incapacità di rispondere a interrogativi elementari e infantili riguardanti le cose prime e ultime: interrogativi quali “come è cominciato tutto?”, “che cosa ci facciamo qui?”, che senso ha la vita”» (Advice to a Young Scientist, Harper&Row 1979, p. 31).

L’impresa scientifica è certamente fonte di incredibili scoperte ed innovazioni che hanno contribuito a cambiare il mondo, la vita dell’uomo e saziare molte delle sue domande sul cosmo. Ma cosa può dirci a riguardo della bellezza di un disegno, di una poesia o di una scultura? Contando le pennellate, le rime presenti nel testo o i colpi di scalpello? Come potrebbe la scienza dirci se un quadro è un capolavoro o una confusa macchia di colori? Analizzando chimicamente la pittura? Un chimico può dirci che aggiungendo stricnina alla bevanda di qualcuno lo uccideremmo, ma tace sulla questione se ciò è moralmente giusto o sbagliato. Anche l’insegnamento morale, infatti, è al di fuori del campo scientifico. Cos’ha realmente da dire la scienza su una sonata di Mozart? Quale voce in capitolo ha l’indagine scientifica quando si parla di amore, diritti, religiosità, infelicità e senso della vita? E, tra parentesi, è ovvia l’autoconfutazione di chi afferma in modo non scientifico che la scienza sarebbe l’unica fonte di verità.

E, per quanto riguarda la “qualità della vita” (concetto già di per sé molto aleatorio), tornando alla citazione di Novelli, non è certo il solo progresso scientifico a poterla migliorare. Alcuni esempi: la Svizzera è considerato il Paese con maggior qualità della vita ma non rientra in alcuna classifica sulle città più scientificamente sviluppate, dove invece dominano Taiwan, Corea del Sud, Singapore e Giappone, che non sono proprio paesi-benessere. Il Giappone, ad esempio, è tra i 26 Paesi con il più alto tasso di suicidi, assieme ai sviluppatissimi Finlandia (35°), Svezia (46°) e Stati Uniti (48°). Al contrario, i Paesi con minor tasso di suicidi non sono affatto rinomati per il loro sviluppo scientifico: Nepal, Perù, Haiti, Armenia, Filippine, Grecia e Malta.

Per concludere la nostra riflessione, non c’è niente di meglio che rifarsi alla illuminata frase del logico e filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein: «Se pure tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati» (L. wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 6,52).