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IL NEODARWINISMO

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    00 20/01/2013 15:12

    Il neodarwinismo è morto, ma non lo si può dire

    Arlin Stoltzfus 

    di Enzo Pennetta*
    *biologo

     

    In un articolo apparso su BioMed viene proposta la CNE (Constructive Neutral Evolution), una teoria che prende le mosse dalla dichiarazione del fallimento della sintesi estesa. Ma la soluzione proposta non risolve i problemi, e della teoria neodarwiniana resta solo il fallimento. L’articolo in questione è intitolato “Constructive neutral evolution: exploring evolutionary theory’s curious disconnect” ed è stato pubblicato il 13 ottobre scorso su PubMed.

    Si tratta di un lavoro di Arlin Stoltzfus, del Center for Advanced Research in Biotechnology presso l’Università dell’Iowa.  L’autore  parla di una “disconnessione” all’interno della teoria dell’evoluzione, un’incoerenza tra quello che la teoria afferma e ciò che emerge dalla genetica, in pratica tornano in primo piano le difficoltà che la genetica mendeliana pose sin dai primi anni del ‘900 alla teoria di Darwin e sulle quali la stessa naufragò.

    Stoltzfus ricorda che nella formulazione originaria di Darwin, la selezione agiva su una serie di differenze infinitesimali che costituivano il “materiale grezzo”. Darwin aveva una visione non mendeliana nella quale l’ambiente induceva una serie continua di variazioni. Al riguardo Stoltzfus ricorda che quando a Darwin si prospettava la possibilità che la selezione non fosse creativa ma che agisse solamente per stabilire quali forme avrebbero avuto successo, lo scienziato inglese era solito rispondere che “potrebbe essere una teoria molto buona ma non è la mia“. Tale impostazione fu poi mantenuta dai suoi primi seguaci che non accettarono mai l’ipotesi delle mutazioni casuali.

    E fu proprio per riconciliare la teoria di Darwin con le leggi della genetica scoperte da Mendel che nacque la Sintesi moderna (SM), una teoria che prevedeva che a infinitesimi cambiamenti a livello del genotipo sarebbero corrisposti dei piccoli cambiamenti a livello di fenotipo. Ma come Stoltzfus fa notare, si trattava di un assunto pericoloso, infatti portava al disaccoppiamento della macroevoluzione dalla microevoluzione: “Nella teoria originale di Darwin, e in seguito nella visione di Fisher, le differenze individuali sono propriamente una materia prima, come la sabbia utilizzata per fare un castello di sabbia: ogni granello di sabbia singolo può essere unico per dimensioni e forma, ma la sua natura individuale ha poca importanza, perché è infinitesimale rispetto al tutto che è costruito dalla selezione. Al contrario, se un episodio di evoluzione riflette la natura individuale di una notevole mutazione, una macromutazione di sviluppo, una duplicazione di un gene o del genoma, un evento di trasferimento laterale o endosymbiogenesi, ecc -, allora l’ipotesi infinitesimale non è più applicabile e la teoria verbale fallisce: quando la variazione fornisce la forma (non la sostanza), non è più propriamente una materia prima, e la selezione non è più il creatore che plasma le materie prime in prodotti.”

    Le micromutazioni sono dunque come i granelli di sabbia di un castello, troppo piccoli per poter essere significativi, la selezione agisce su un livello più grande e quindi non può essere lei a plasmare le macromutazioni agendo sulle micromutazioni come afferma invece la SM. Ed ecco quindi che dopo la teoria darwiniana originaria e la SM, emerge la necessità di una “Terza rivoluzione“, quella che è stata definita la Sintesi Estesa (SE) o TDE 3.0. Mentre la definizione di Sintesi Estesa data dal suo ideatore Daniel R. Brooks indica un recupero di elementi del darwinismo originario, nella proposta di Stoltzfus la direzionalità dell’evoluzione viene fornita da un meccanismo definito “Constructive neutral evolution“, un percorso direzionale non finalistico. Il modello proposto dalla CNE è uno sviluppo della  Neutral theory of molecular evolution che Motoo Kimura propose alla fine degli anni ’60 la quale prevedeva che i cambiamenti fossero causati da una deriva casuale o da mutazioni neutrali che non avevano effetti sulla fitness.

    Stoltzfus ricorda che nella Sintesi moderna l’evoluzione è definita come uno spostamento delle frequenze alleliche e che la comparsa di nuovi alleli non fa parte della teoria dell’evoluzione, se non come pre-condizione. Poi afferma che la SM come fu formulata da Fisher e Haldane contiene degli errori di ragionamento in quanto il tasso di mutazioni è piccolo e la forza delle mutazioni è debole in confronto alla selezione. Questa ipotesi, fa notare l’autore, sarebbe valida solo se si assumesse che l’evoluzione sia deterministica e che tutti gli alleli rilevanti ai fini dell’evoluzione fossero presenti sin dall’inizio. Come si vede, ancora una volta, si rileva come la microevoluzione non sia riconducibile alla macro evoluzione. La teoria della Constructive Neutral Evolution interviene quindi a risolvere questo ostacolo, se le micro mutazioni non possono fornire nuovi caratteri per via della selezione, le mutazioni neutrali non sarebbero invece selezionabili e potrebbero quindi accumularsi nel genoma come fenomeno di deriva genetica.

    L’autore dello studio ritorna insistentemente sul fatto che gli architetti della SM escludevano il mutazionismo riducendo l’evoluzione ad uno “spostamento delle frequenze geniche”, e mette in guardia dal rischio di cadere nell’errore opposto, quello di immaginare che l’evoluzione possa essere ridotta ad un processo di fissazione dall’origine o ad un mutazionista processo di selezione: “Anche se nuove mutazioni sono sempre accettate o respinte, in fin dei conti esse non sono sempre accettate o respinte in modo tale che l’evoluzione segua dinamiche di fissazione dall’origine“. E seguendo un leitmotiv, Stoltzfus ritorna quindi ad affermare con decisione l’insufficienza della SM nello spiegare l’evoluzione, insufficienza che permane anche con l’aggiunta di quelle componenti, tanto care anche al neodarwinismo che in Italia è sostenuto dal pensiero diTelmo Pievani, responsabile di Pikaia, il portale dell’evoluzione (vedi La vita inaspettata: il nuovo libro di T. Pievani), che fa leva sul nuovo concetto di “contingenza” che va ad aggiungersi a quello di “caso“: “…questa insufficienza non è colmata con l’aggiunta di possibilità, della contingenza e  vincoli, che sono dei vaghi principi esplicativi, non cause. La “possibilità” ovviamente non è né una forza né una causa. I “limiti” non sono una forza, non sono neanche una causa positiva, ma una condizione che indica che un ideale immaginario non è stato soddisfatto. La “contingenza” allo stesso modo, non è una causa, ma un segnaposto concettuale che indica l’inapplicabilità di una idealizzazione astorica nella quale i sistemi raggiungono un equilibrio globale indipendentemente dalle loro condizioni iniziali. Rattoppando la Sintesi Moderna con i limiti, la possibilità e la contingenza, espandiamo la copertura di un largo raggio di casi fuori del paradigma centrale, tuttavia questa espansione comporta un’enorme perdita di rigore e chiarezza che il risultato non merita il nome di “teoria”. C’è qualcosa (evoluzione, la politica, i movimenti planetari, costruzione di ponti), che non può essere spiegato con la teoria delle forze della genetica e popolazione, quando è combinata con i tre principi “acchiappa tutto” per cui i risultati sono contingenti nelle condizioni iniziali, limitati da vari fattori, e soggetti alla possibilità?”

    La conclusione dell’articolo di Stoltzfus è impietosa, la Sintesi Moderna e le sue varianti con l’aggiunta della contingenza escono a pezzi dalla sua analisi. E si tratta del lavoro di un ricercatore passato attraverso la dinamica della Peer Rewiew. La ricerca, che èfortemente critica verso il neo-darwinismo, è quindi stata approvata da altri ricercatori, il motivo di questa accettazioneva probabilmente individuato nel fatto che l’autore, Stoltzfus, non giunge alle logiche conseguenze del suo discorso e non si spinge a dichiarare che darwinismo tout-court è confutato. Egli fa la sua professione di fede (per dirla con le parole di J. Fodor e M.P. Palmarini) “salvando” il meccanismo casuale con la proposta della CNE, proponendo cioè un’evoluzione che produce nuovi caratteri attraverso l’accumulo di mutazioni neutrali. È quindi una proposta che, nonostante le critiche mosse al darwinismo, si vuole collocare all’interno dello stesso, fatto che ha permesso allo studio di essere accettato e divulgato, ma che ha l’incredibile caratteristica di proporre una soluzione che ha gli stessi difetti del problema che vorrebbe risolvere.

    La teoria della CNE infatti, proponendo di individuare l’origine di nuovi caratteri nell’accumularsi di mutazioni neutre, che ad un certo punto divengono funzionali, si imbatte nell’insormontabile ostacolo della improbabilità statistica (vedi UCCR-L’insostenibile leggerezza del neodarwinismo di Michele Forastiere e Giorgio Masiero). Anche questa soluzione proposta con la teoria della CNE non è quindi accettabile. Cosa resta allora della teoria darwiniana dopo la pubblicazione del lavoro di Stoltzfus? Sembra proprio che quel che resta sia la constatazione che il neo-darwinismo contemporaneo, così come quello originale dell’800, è morto. Ma non lo si può dire.

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    00 20/01/2013 15:14

    L’insostenibile leggerezza del neodarwinismo


     
    di Giorgio Masiero*,
    *fisico e docente universitario

    Michele Forastiere*,
    *insegnante di matematica e fisica

     
     
     

    In un recente articolo abbia mostrato i limiti scientifici del neodarwinismo e persino la sua contraddizione con il naturalismo. In aggiunta ai commenti dei lettori apparsi sul sito, abbiamo ricevuto privatamente molte mail con richiesta di delucidazioni e quantificazioni, cui ci proponiamo di rispondere in questo articolo.

    Ricordiamo che il neodarwinismo è riconducibile allo schema monodiano, che vede nel gioco esclusivo di Caso & Necessità, agenti a livello di DNA, le condizioni sufficienti all’insorgenza di organismi sempre più complessi, dalle forme prebiotiche fino all’uomo. Il neodarwinismo identifica il motore dell’evoluzione nella successione graduale di mutazioni genetiche provocate per caso, i cui effetti fenotipici sono poi selezionati col criterio della sopravvivenza del più adatto (necessità). In questa visione, la ricca evidenza paleontologica e genetica dell’evoluzione (la speciazione asincrona di organismi a contenuto informativo crescente insieme alla desunzione di appartenenza di specie simili ad antenati comuni) assegna un ruolo smisuratamente prevalente del caso.L’evoluzione è un fatto, ciò che appare insufficiente è che il caso (più la selezione naturale, che però al livello fisico di DNA assume il ruolo d’improbabile comparsa) sia l’unica risorsa per spiegare l’origine di specie nuove ad informazione genetica crescente e di tutte le forme biologiche esistenti, compreso l’uomo. In altri termini, il caso diventa in questo paradigma l’alibi all’assenza di spiegazioni scientifiche, assume il ruolo di onnipresente “god of the gaps” e rischia di bloccare così linee di ricerca alternative.

    L’aberrazione appare particolarmente evidente con la speciazione umana, e in particolare in quello che abbiamo definito “effetto Ramanujan”: vale a dire, nella constatazione che l’abilità matematica umana, intesa come prestazione biologica del cervello di H. Sapiens Sapiens, si è costituita da subito in una capacità sovradimensionata rispetto alle esigenze di fitness selettiva. La soluzione proposta dal neodarwinismo di considerare la capacità astrattiva e matematica umana come un carattere gregario correlato ad un altro genuinamente adattativo (quale per es. il bipedismo) non può essere considerata una spiegazione scientifica nemmeno in termini coerenti con il paradigma, finché non si indica lanecessità, ovvero il meccanismo fisico responsabile della correlazione tra i due caratteri. Emerge l’assenza di un’appropriata legge fisica capace di spiegare come ciò potrebbe avvenire, superando la spinta contraria dell’entropia.

    Qual è la probabilità che in una popolazione si fissi un carattere (allele) mutato, neutro rispetto alla selezione? La vita, anche al livello più elementare di un batterio, èinformazione e in matematica l’informazione non è il caso, ma per definizione il suo opposto. La quantità d’informazione  I  è collegata alla sua probabilità P dall’equazione di Shannon:

    P = 2I,

    da cui si evince che ad un’alta quantità di informazione corrisponde una bassaprobabilità e viceversa. Così, se tirando una moneta a testa (T) o croce (C) comunico di aver fatto C, poiché la probabilità dell’evento C è 1:2 = 2-1, l’informazione che ho dato vale 1 bit, che è il quanto minimo d’informazione: c’erano 2 possibilità, T o C, ed ho comunicato quale si è attuata. Se invece comunico una successione esatta di 8 uscite di lancio (per es., TCCTCTTT), poiché la probabilità di questa stringa è 1:28 = 1:256 = 2-8, l’informazione che ora dò vale 1 byte ≡ 8 bit. Con 8 lanci ci sono 256 possibilità equiprobabili, ed ho comunicato quella di 256 che si è avverata: l’informazione è maggiore, vale 1 byte. Un 13 al totocalcio contiene un’informazione ancora maggiore, 21 bit, perché la sua probabilità è 1:313 ≈ 1:221 = 2-21Maggiore è il numero delle forme diverse in cui un evento può potenzialmente manifestarsi, maggiore è la quantità d’informazione contenuta nella sua forma attualizzata.

    Quanta informazione c’è nel genoma umano? Secondo J.C. Venter, esso contiene 3.200 Mbyte, di cui solo il 37,5% (1.200 Mbyte) è utile, perché codificante o comunque composto di geni e sequenze correlate. Quale sottostruttura della “quota utile” è dedicata alle funzioni astratte della mente? Lo “Chimpanzee Genome Project” ha tra i suoi scopi la comparazione tra i genomi degli umani e quelli delle scimmie, per comprendere che cosa distingue i primi. Non è ancora stata eseguita l’intera scansione del DNA dello scimpanzé, ma con riferimento ai campioni finora esaminati (33,3 megabasi del cromosoma 22), la distanza in termini d’istruzioni emersa tra uomo e scimmia è l’1,44%. Assumendo che tale percentuale sia omogeneamente distribuita in tutto il genoma e, soprattutto – secondo una delle assunzioni fondamentali del neodarwinismo – che tutte le differenze tra le specie siano riducibili al DNA, se ne deduce che la “caratteristica” genetica umana sta in 17 Mbyte.

    Facciamo ora l’assunzione che la mutazione che porta all’effetto Ramanujan sia dovuta all’apparire casuale di una specifica proteina che regola la crescita e/o la connessione di particolari strutture neurali. Una proteina media ha la lunghezza di 300 amminoacidi ed ogni amminoacido è codificato da 3 basi: dunque, il nostro gene richiede una stringa di900 bit (abbiamo prudentemente dimezzato i 1.800 bit canonici, tenuto conto che il codice genetico è degenerato, alcune mutazioni sono silenti e molte posizioni lungo la sequenza portano alla stessa struttura 3D). Questo equivale ad assegnare alle funzioni più astratte della mente un peso dello 0,005% sulla caratteristica genetica umana, che sarebbe giudicato forse troppo basso da Aristotele che ripartiva le funzioni vitali in 3 componenti: la vegetativa, la sensitiva e l’intellettiva. Se si deve “soltanto” al caso senza l’azione di una legge selettiva la formazione di questa sottostruttura del genoma, a priori il numero di stringhe è 2900 ≈ 10271, che ripartito in centinaia di migliaia di anni tra decine di migliaia di generazioni di una popolazione totale dell’ordine di alcuni miliardi d’individui (~ 1010) fornisce il valore P ~ 10-261 ≈ 0. Se invece assumiamo l’arco di tempo a partire dall’abiogenesi (~ 3,5 × 109 anni), con l’enzima apparso da subito e rimasto quiescente fino ad oggi in tutti gli organismi derivati dal primo, otteniamo un limite superiore  P < 10-221 ≈ 0, tenuto conto che gli atomi della Terra sono dell’ordine di 1050.

    Un’altra stima, del tutto indipendente, si può ottenere supponendo che una prima forma del nostro enzima (lunga magari solo un centinaio di amminoacidi) sia apparsa per casofin dalla nascita della vita – nel cosiddetto “brodo primordiale” – e sia stata poi in qualche modo codificata nel DNA, rimanendo sepolta in sezioni neutre del pool genico complessivo della biosfera fino alla comparsa del primo H. Sapiens Sapiens. Sotto questa ipotesi, possiamo avvalerci del metodo di calcolo delle probabilità messo a punto da E. Koonin e presentato qui qualche tempo fa. Questa volta, nelle ipotesi di Koonin (1021 pianeti adatti a ospitare la vita, un tasso di sintesi di 1 molecola/cm3×sec per un tempo di 10 miliardi di anni), la probabilità della comparsa spontanea di tale proteina da qualche partenell’Universo, in tutto il tempo trascorso dal Big Bang, risulta dell’ordine di 10‑119. Per un’ulteriore comparazione, può essere utile il calcolo della probabilità di autocomposizione casuale di un organismo monocellulare, che il fisico inglese F. Hoyle eseguì negli anni ‘80, immaginando un modello di batterio astratto con un DNA semplificato, capace di programmare soltanto 400 proteine. Egli trovò P ≈ 10‑40.000, che è un valorecompatibile con quello da noi calcolato per una sola proteina, anziché 400. Un valore analogo è stato ottenuto anche dal chimico e genetista americano R. Shapiro nel 1986 per un batterio di 2.000 proteine.

    In conclusione, tutti i valori trovati risultano inferiori alla cosiddetta soglia di impossibilità assoluta di 10-100, introdotta dal matematico francese G. Salet. Detto in altri termini, l’effetto Ramanujan, e più in generale la comparsa di una singola proteina, è da considerarsi un evento impossibile, se inquadrato esclusivamente nell’ambito del neodarwinismo. Fu lo stesso F.H. Compton Crick, scopritore insieme a J.D. Watson della struttura del DNA (che valse ai due biologi il premio Nobel 1962 per la medicina), ad ammettere: «Se una particolare sequenza di aminoacidi fu selezionata a caso, quanto raro potrebbe essere un tale evento? […] La gran parte delle sequenze[necessarie al DNA] non potrà mai essere sintetizzata del tutto, in nessun tempo». Queste parole sono la traduzione genetica del dilemma di Wallace, dell’effetto Ramanujan e più in generale dell’enigma dell’origine della vita. Allorché J. Monod, parlando dell’emergenza della vita, scrisse nel suo saggio “Caso e necessità” che «il nostro numero è uscito per caso alla roulette cosmica», si espresse con una metafora adatta forse ad un libro di divulgazione, ma non con la precisione che si richiederebbe ad un saggio scientifico. Per vincere la puntata massima alla roulette, infatti, le probabilità sono 1:37; perché si combini casualmente la più semplice cellula di sole 400 proteine, invece, esse sono1:1040.000 ≈ 1:3725.507: Monod avrebbe dovuto dire per la precisione che, non tanto “noi” umani, ma già gli organismi unicellulari a capo della catena biologica hanno vinto la puntata massima alla roulette per almeno 25 mila volte di seguito!

    S.J. Gould e R. Lewontin sono stati i pionieri nella denuncia del ruolo smisurato giocato dal caso nel neodarwinismo. Chi, come R. Dawkins, si era inizialmente rifugiato nel nebuloso concetto di “cernita cumulativa”, ora ha trovato nelle infinite possibilità di replica fornite dalla metafisica del multiverso, la sua consolazione. Schiere crescenti di scienziati, tuttavia, non si rassegnano a fondare la biologia su basi così anti-sperimentali, e addirittura anti-scientifiche (perché contrarie alle leggi statistiche), solo per non toccare ideologie di moda ed interessi forti: oltre ai “revisionisti”, ci sono molti studiosi che vanno ormai oltre la cosiddetta “nuova sintesi” (fusione di genetica ed evoluzionismo darwiniano) considerandola superata: G. Dover, J. Fodor, E. Koonin, L. Kruglyak, L. Margulis, S. Newman, M. Piattelli Palmarini, C. Woese,… Se non si è disposti ad accontentarsi d’un ricorso ripetitivo alla roulette, se anzi si considera questa scappatoia la via opposta ad un’autentica ricerca scientifica, occorre pensare a qualcosa di nuovo.

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    00 20/01/2013 15:17

    Perché si accusa di creazionismo
    chi critica il neo-darwinismo?

    Il celebre biologo e genetista di fama internazionale Richard Lewontin, luminare dell’Università di Harvard e ritenuto uno dei più grandi evoluzionisti viventi avendo avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle basi matematiche della teoria evolutiva, ama definire “post panglossiana” latribù neo-darwinistaSecondo il celebre genetista, il neo-darwinismo è «un tipo di darwinismo volgare, caratteristico di fine Ottocento e riportato in auge negli ultimi dieci anni». E ancora: «la selezione naturale non è una nozione mistica, come tendono invece a definirla i neodarwinisti. Ci sono ormai troppe risposte che vanno sotto il nome di “selezione”, ma che non rispondono alle grandi domande. Sono risposte vuote. I cultori dell’evoluzionismo come Dennett e Dawkins hanno fatto dell’evoluzione una nozione astratta».

    Tuttavia, secondo gli adepti dell’ideologia neo-darwinista, il genetista Lewontin, avendo osato criticare la selezione naturale e la chiesa neodarwinista in questo modo, sarebbe ovviamente un “creazionista“. La stessa assurda tattica dialettica è stata recentemente utilizzata contro l’articolista del post intitolato “L’Australopithecus sediba contro Darwin, il neo-darwinismo e il gradualismo”apparso su questo sito qualche giorno fa.  Il responsabile di questa  discriminazione si chiama Stefano Della Casa, sconosciuto giornalista scientifico, appassionato di tecnologia, cinefilo e frequentatore assiduo dei Darwin’s Day in tutt’Italia, vere e proprie giornate di culto del noto naturalista. Nel nostro articolo si mostrava scetticismo verso una parte dell’evoluzione ma assicurando contemporaneamente che essa non può essere messa in discussione. Precisazione d’obbligo, si vede scritto, proprio «per non illudere troppo il movimento creazionista». Della Casa, dopo averci citato, ha comunque pensato bene di commentare«Ovviamente siamo di fronte alla forma più recente di Creazionismo, quella che cioè a volte aborrisce il termine stesso preferendo definirsi antievoluzionismo». Secondo il militante, osando avanzare delle critiche all’appartato evoluzionista, noi saremmo dunque dei creazionisti che aborriscono di essere creazionisti. Veniamo titolati come tali circa 8 volte, a tale martellamento ossessivo arriva l’opera di convincimento che il devoto di Darwin vuole imprimere nei suoi lettori.

    Bastano poche righe comunque perché il Della Casa si contraddica e passi a considerarci come evoluzionisti, anche se di serie B. Dichiara infatti chiudendo l’articolo: «Come sempre si deve porre l’accento sul fatto che esistono diversi tipi di evoluzionismo, in particolare due: quello “ortodosso” e quell’altro là, qualunque esso sia». Il neo-darwinista e i suoi amici farebbero parte ovviamente dell’evoluzionismo ortodosso. Il biologo Enzo Pennetta, anche lui divertito da questa isterica reazione neodarwinista, ha però fatto notare sul suo sito web che nei dizionari, la parola “ortodossia” sta per: “rigorosa fedeltà ai principi di una religione, di un’ideologia, di una dottrina, di una politica.  Nel suo articolo inoltre ha risposto ottimamente a tutte le altre questioni sollevate dal giornalista, dunque evitiamo di farlo anche noi e rimandiamo al suo portale. Recentemente è dovuto intervenire ancora una volta contro questa forma di discriminazione, altre volte ha invece risposto a veri e propri attacchi personali.

    Orgogliosi di non fare parte della “religione, ideologia e dottrina dell’evoluzionismo ortodosso”, così come dice Della Casa, sottolineiamo  che i neo-darwinisti sono costretti per forza a tacciare di “creazionismo” anche l’evoluzionista non credente Massimo Piattelli Palmarini, dato che dichiara«La selezione naturale è molto marginale nello spiegare i meccanismi dell’evoluzione. Il neo-darwinismo è morto e non resuscitabile». Allo stesso modo è sicuramente un “creazionista” anche il biologo darwinista Francisco Ayala, poiché sostiene«noi scien­ziati parliamo di Darwin, non di darwinismo o neodarwinismo. Queste ideologie sono fuori della scienza». E lo è anche l’evoluzionista Jerry Fodor poiché afferma«la letteratura neodarwinista è del tutto priva di senso critico». I neo-darwinisti tacciano di creazionismo anche Eugene Koonin, autorità internazionale sull’evoluzione, il quale ha dichiarato«la visione fortemente dogmatica del darwinismo è caratteristica della sintesi moderna operata dalla biologia dell’evoluzione. Non è che la selezione naturale sia “sbagliata”, anzi, è una grande scoperta. Semplicemente non racconta tutta la storia che sta dietro l’evoluzione della vita». Infine, l’etichetta “creazionista” pioverebbe anche sul filosofo Giulio Giorello dato che apprezza il volume “Gli errori di Darwin (Feltrinelli 2010) dicendo«Darwin ha spiegato due cose: l’evoluzione delle specie, la parte del darwinismo che il libro riconosce funzionante, e il meccanismo adattazionista, che invece mette in discussione. E secondo me in modo efficace. C’è una certa ideologia neodarwiniana, questo è vero».

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    00 20/01/2013 15:19

    L’antropologo Tattersall spiega
    l’inadeguatezza della spiegazione neodarwinista

    Il celebre antropologo Ian Tattersall, responsabile della divisione di Antropologia dell’American Museum of Natural Historydi New York, fondatore della Hall of Human Biology and Evolution dell’American Museum e vincitore del prestigioso premio W. W. Howells dell’American Anthropologican Association, è uno dei tanti scienziati in opposizione alla teoria del “neo-darwinismo”, ovvero una delle posizioni che cercano di spiegare l’evoluzione biologica, cioè un fatto in gran parte supportato -per quanto riguarda la “microevoluzione”- da innumerevoli evidenze fossili.

    Una teoria -quella neodarwinista- che però vieneindebitamente esaltata per pure ragioni ideologiche e anti-teiste, tanto che lo stesso termine “neo-darwinismo” è diventato ambiguo, sinonimo di una posizione filosofica più che di una ipotesi scientifica. Per molti non è nemmeno una spiegazione scientifica, come tutto quel che termina con -ismocome ha spiegato il biologo darwinista Francisco Ayala: «noi scienziati parliamo di Darwin, non di darwinismo o neodarwinismo». Per altri il neodarwinismo è una tautologia, anzi una vera e propria anti-teoria come l’ha chiamata il premio NobelRobert Laughlin (R.Laughlin ‘Un Universo Diverso’ Codice Editore) e come ben spiegatodal dott. Alessandro Giuliani. Al neodarwinismo si oppongono sempre più studiosi per mere questioni scientifiche (un esempio qui), come hanno fatto Massimo Piattelli Palmarini Jerry Fodor nell’ormai noto volume “Gli errori di Darwin” (Feltrinelli 2010), ma tanti altri sono anche interessati a confutarne le pretese filosofiche di stampo riduzionista che vengono diffuse attraverso tale teoria, anche correndo il rischio di essere tacciati di “creazionismo” (che è un po’ uno spauracchio usato in modo molto simile all’accusa di “omofobia”).

    Tattersall, ospite del “Meeting per l’amicizia tra i popoli” 2012, evento culturale organizzato da Comunione e Liberazione, sembra posizionato ad un’opposizione puramente scientifica, come già aveva fatto notare in precedenza il prof. Enzo Pennetta (anche più recentemente). Ha infatti respinto in una recente intervista l’idea di unaevoluzione lineare e graduale, così come vuole il cardine del neodarwinismo (una sorta di continuum tra i primati e l’uomo), affermando: «L’idea di una evoluzione graduale era la posizione degli scienziati che hanno elaborato la cosiddetta teoria sintetica nella prima metà del secolo scorso e che riducevano i fenomeni evolutivi alla competizione e selezione naturale. Verso gli anni ‘70 però è diventato sempre più chiaro che questo modello non era adeguato. Soprattutto la documentazione fossile mostrava l’evidenza di un cammino con interruzioni e periodi di assenza di cambiamento». Questo ovviamente riduce il ruolo della selezione naturale, esaltata come unica spiegazione dai filosofi infervorati come Telmo Pievani e gli scienziati controversi come Richard Dawkins. E infatti, ha continuato l’antropologo americano: «Ciò significa che la selezione naturale non è l’unico fattore dei cambiamenti evolutivi e che altri agenti sono coinvolti, comprese le interazioni con l’ambiente: i mutamenti ambientali sono in effetti un grande “driver” dell’evoluzione. Naturalmente interviene anche il caso. Bisogna però considerare che quando parliamo dei processi evolutivi spesso siamo portati a semplificare le cose: in realtà noi non guardiamo al singolo processo ma a una storia fatta dall’accumularsi di molti e diversi elementi».

    Soffermandosi sul ruolo del “caso”, tanto a cuore agli anti-teisti, ha però puntualizzato:«Caso è una parola delicata. Certo, il caso è un elemento presente in tutta la nostra esperienza umana e non è incomprensibile che nel corso dell’evoluzione biologica intervengano cambiamenti casuali, insorgano differenze e variazioni, dovute anche al fatto che cambia l’ambiente, che si verificano fenomeni improvvisi, disastri naturali, a volte catastrofici. La mia idea della selezione naturale è che sia molto importante ma cheagisca più nelle fasi di stabilizzazione delle popolazioni che nel produrre le novità e i mutamenti. Per spiegare questi bisogna introdurre altri fattori». L’antropologo dunque concorda con il celebre  biologo e genetista statunitense Richard Lewontinsecondo cui«il segreto, ancora largamente misterioso, risiede senz’altro in proprietà interne, nell’organizzazione dei sistemi genetici, non nella selezione naturale», e in un’altra occasione: «la teoria di Darwin della selezione naturale ha delle falle fatali».

    Tattersall tuttavia non concorda con il paleontologo Simon Conway Morris secondo cui la comparsa dell’Homo Sapiens sarebbe stata inevitabile, ma ci tiene comunque a ribadirel’unicità dell’uomo rispetto a tutte le altre creature: «noi uomini ricostruiamo il mondo nella nostra testa e produciamo oggetti frutto di questa rielaborazione; non ci limitiamo, come altri animali, a reagire agli stimoli che arrivano dal mondo. Pensando alle grandi scimmie, capita spesso di sentire dire che “hanno fatto cose che finora si pensava facessero solo gli uomini”: tuttavia non si può affermare che arrivino ad avere una capacità simbolica. È questo l’abisso cognitivo tra noi e le scimmie». E sopratutto: «il passaggio dall’Homo ”non simbolico” all’Homo ”simbolico” era impensabile, ma è accaduto; ed è accaduto in un unico evento, non gradualmente».

    Sotto l’intervista di Tattersall, pubblicata su “Ilsussidiario.net” ha commentato il prof.Andrea Moro, linguista e neuroscienziato, ordinario di linguistica generale presso la Scuola Superiore Universitaria IUSS Pavia dove è responsabile della Classe di Scienze Umane e presso l’università Vita-Salute San Raffaele. Ha voluto sottolineare che secondo lui «la posizione importante di Tattersall sottolinea un filone di ricerche ben affermato: le scimmie non parlano “perché non possono”. Tuttavia il motivo, a mio avviso, non sta nella simbolizzazione [...]. La vera differenza, come intuì Cartesio, sta semmai nel fatto che nessun animale può ricavare senso dalla combinazione dei simboli, cioè da quello che dall’epoca ellenistica chiamiamo “sintassi” [...]. Ed è proprio dalla combinazione di simboli, dalla sintassi cioè, che si spalanca l’infinito nel linguaggio umano, e solo in quello. È questo il fatto inaspettato e clamoroso che differenzia noi da tutti gli altri animali. E questo “infinito presente” è anche alla base di altre capacità cognitive umane come la musica. Come diceva Chomsky negli anni 50 del secolo scorso “gli esseri umani sono progettati in modo speciale” per apprendere il linguaggio secondo modalità che ci portano dritti a riconoscere il mistero».

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    00 23/06/2013 08:30

    Che differenza c’è tra darwinismo
    e la teoria di Darwin?

    Eugenie Scott 
     
    di Enzo Pennetta*
    *docente di Scienze naturali

     

    Eugenie Carol Scott è un nome che non è noto al grande pubblico, si tratta di un’antropologa che è direttore esecutivo del National Center for Science Education (NCSE), l’ente statunitense che dovrebbe promuovere l’educazione scientifica ma che sin dal suo logo si dichiara più che altro in difesa del darwinismo e della tesi del Global Warming Antropico.

    E.C.Scott ha recentemente annunciato che entro la fine dell’anno si dimetterà da direttore esecutivo del NCSE, una posizione dalla quale ha promosso una visione dell’evoluzionismo che ha avuto, e ancora avrà, importanti ricadute in ambito scolastico negli USA. Se da un lato la Scott può essere annoverata tra i più decisi sostenitori della teoria darwiniana e una delle più accese nemiche del creazionismo, al tempo stesso la stessa può essere certamente presa come esempio di una presenza critica interna al darwinismo che recepisce una delle principali obiezioni che da sempre giungono dal versante antidarwinista.

    Eugenie Scott ha infatti affermato che non si dovrebbe più chiamare la biologia evoluzionistica con il temine “darwinismo” in quanto ormai i cambiamenti sono stati così tanti rispetto alla teoria iniziale che l’utilizzo di tale termine ostacola la corretta comprensione dello stato attuale della materia. Ma non solo, la dott. Scott ha dichiarato che l’utilizzo del termine darwinismo per via di quella desinenza in “-ismo” diventa uno strumento in mano ai creazionisti che in questo modo rappresentano l’evoluzione come “una pericolosa ideologia, un -ismo, che non deve trovare posto in una aula di scienze“.

    Su una cosa siamo d’accordo, la teoria dell’evoluzione è oggi così diversa da quella di Darwin che non ha più senso chiamarla “darwinismo”, ma su chi ne tragga vantaggio da tale situazione c’è qualcosa da dire. Il darwinismo inteso come ideologia non è un termine inventato dagli avversari della teoria, è un’importante realtà storica che andrebbe insegnata come tale e chenon andrebbe confusa con la teoria dell’evoluzione di Darwin che ne è stata, e ne è tuttora, la “giustificazione” scientifica. A differenza di quanto sostiene E. Scott, il termine darwinismo non deve quindi essere eliminato, al contrario, dovrebbe essere mantenuto ma non per indicare la teoria dell’evoluzione, bensì quell’ideologia che interpreta la società umana in termini di“conservazione delle razze favorite nella lotta per la vita“, come recita il titolo dell’opera principale di Darwin.

    Chiarito questo punto va detto che, a differenza di quanto sostenuto dalla Scott, non è ai creazionisti che fa comodo usare il termine “darwinismo” per fuorviare il dibattito, sono infatti i sostenitori della teoria neo-darwiniana che hanno tutto l’interesse a fuorviarlo cercando anche pretestuosamente lo scontro con i “creazionisti”. Riducendo infatti ogni critica alla teoria ad una posizione creazionista, e quindi antiscientifica, si mette in atto un espediente che ha come scopo quello di evitare di riconoscere come legittime le  critiche e quindi di dover dare delle risposte.

    Eugenie C. Scott, nonostante il suo importante incarico,  con ogni probabilità resterà dunque inascoltata, il nome di Darwin e tutti i termini da esso derivati costituiscono di fatto un marchio internazionale, un vero e proprio “brand” sul quale da un secolo e mezzo si è investito facendone un prodotto di successo. E nessuno rinuncia ad un famoso marchio di successo. Neanche se ormai è una scatola vuota.

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    00 05/06/2014 17:41

    Psicologia evoluzionista?




    PsicologiaArriva dal più noto sostenitore della filosofia neo-darwinista l’ultima stoccata, in ordine cronologico, alla “psicologia evoluzionista”, ovvero il tentativo di spiegare il nostro comportamento estendendo la teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie alla società e alla cultura umana.


    Se il processo evolutivo dell’uomo è certamente un indiscusso dato di fatto -seppur la controversia divida tra finalisti e casualisti- la psicologia evoluzionista è frutto della filosofia neodarwinista, cioè della strumentalizzazione puramente naturalista e scientista dell’evoluzione biologica, nel tentativo di imporre alla biologia un approccio esclusivamente meccanicistico.


    E’ perciò doppiamente significativo, dunque, che sia stato proprio il filosofo della scienza Telmo Pievani, legato all’UAAR (l’Unione degli Atei italiani) nell’organizzazione dei “Darwin Day”, a screditare la psicologia evoluzionista nel suo ultimo libro “Evoluti e abbandonati. Sesso, politica, morale: Darwin spiega proprio tutto?” (Einaudi 2014). Tale approccio, come dicevamo, vorrebbe spiegare ogni comportamento umano (perdono, tradimento, infedeltà, amore ecc.) tirando in ballo Darwin, ovvero tramite un istinto “selezionato” dall’ambiente preistorico. «Per i guru di questa materia»ha spiegato Pievani, «la nostra mente sarebbe una collezione di moduli evolutisi per risolvere problemi specifici: una specie di “coltellino svizzero». Eppure «per giustificare l’utilità di meccanismi adattativi così rigidi e immutabili da essere al tempo stesso preistorici e attivi ancor oggi, l’ambiente avrebbe dovuto essere uniforme e duraturo», ed invece «abbiamo vissuto in ambienti instabili e imprevedibili, dove, più che moduli di comportamento innati e rigidi, servivano al contrario flessibilità e innovazione comportamentale». Pievani parla giustamente di«imbarazzanti spiegazioni evolutive» quando si cerca di spiegare chiamando in causa la selezione naturale il perché, ad esempio, gli uomini temono i tradimenti sentimentali e le donne quelli sessuali. «Sono narrazioni affascinanti».


    Ad un certo punto, tuttavia, ci pare che Pievani cada nello stesso errore che ha appena condannato. Sostenitore dell’inconciliabilità tra scienza e fede, ha spesso negato ogni finalismo e anche in questa intervista ha voluto ribadirlo: «Tutto sembra avere un senso perché c’è un’intenzione, un cattivo punito, un lieto fine. Tendiamo, fin dall’infanzia, a individuare nel mondo esterno, “progetti”, “intenzioni”. Ed è comprensibile: siamo stati per quasi tutta la nostra storia evolutiva prede in fuga da predatori più forti e cacciatori di animali più veloci di noi. Così abbiamo imparato a interpretare il comportamento degli altri esseri viventi in termini teleologici, ossia di intenzioni e progetti, per prevederli e sopravvivere». Pievani parla dell’interpretazione del comportamento degli altri esseri viventi ma sembra estendere il discorso anche in generale, cioè alla teleologia nell’evoluzione della natura, al guardare l’uomo come essere creato per uno scopo superiore, al dare un senso ultimo alla nostra vita. Ci comporteremmo così per motivi di selezione naturale, per motivi di sopravvivenza. Lo aveva già fatto Marx quando liquidava la religione definendola “oppio dei popoli”.


    Ma non è anche questa psicologia evoluzionista? Questa riflessione di Pievani non è a sua volta una “narrazione affascinante” ma priva di fondamenta? Anche perché, la direzionalità e la teleologia dell’evoluzione sono considerate da numerosi scienziati non tanto un’interpretazione, ma addirittura un’evidenza. Ad esempio il più importante antropologo statunitense degli ultimi anni, George Gaylord Simpson ha affermato che «la storia della vita è decisamente non casuale» ed è evidente la«direzione nel mutamento nella morfologia» dei viventi, da cui viene la conferma dell’esistenza di «forze direzionali» nell’evoluzione (G.G. Simpson, “L’evoluzione. Una visione del mondo”, Sansoni 1972, p.154). Il celebre Theodosius Dobzhansky, teorizzatore della sintesi moderna, sempre si dimostrò aperto ad un “evoluzionismo teistico”, riconoscendo che «l’evoluzione dell’Universo è direzionale, se non necessariamente diretta» (T. Dobzhansky, “Teilhard de Chardin and the Orientation of Evolution”, “Zygon” 1976, p. 242-258).


    Come ha spiegato il celebre antropologo italiano Fiorenzo Facchini, la teleologia e la direzionalità dell’evoluzione non sono un’illusione. Anzi, «l’idea di un disegno superiore, che emerge dalla razionalità della natura ed è da ricollegare al rapporto con una mente ordinatrice, con il Creatore, è certamente sostenibile, e la fede cristiana l’insegna, ma si colloca su un piano filosofico e più ancora su un piano teologico [...]. Ma è ragionevole pensare che Dio si sia servito e si serva nei suoi disegni delle cause seconde, dei fattori della natura» (F. Facchini, “Complessità, evoluzione, uomo”, Jaca Book 2011, p.13). Insomma, la nostra risposta a Telmo Pievani è che il sostegno di un “progetto” è ambito della ragione, non dell’illusione. Al contrario delle spiegazioni della psicologia evolutiva, criticata giustamente anche da lui stesso.


    Alla fine della sua intervista il filosofo della scienza ha, inoltre, correttamente spiegato come l’uomo non sia affatto determinato dall’istinto, al contrario degli animali. Secondo lui possediamo piuttosto un “precursore naturale”, e «questo precursore non è un tiranno come l’istinto. Può farci preferire alcune spiegazioni, come l’idea intuitiva che il Sole si muova nel cielo. Ma, se ne ascoltiamo altre più convincenti, come la teoria copernicana, possiamo cambiare idea»L’uomo è libero, cioè, e né lui né i suoi comportamenti possono essere spiegati tramite il riduzionismo e il materialismo ottocentesco.



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    00 03/10/2015 09:37



    Il 18 luglio è stato pubblicato su Scientific American un articolo dal titolo “15 Answers to Creationist Nonsense“, un pezzo che già dal titolo è fuorviante in quanto gli argomenti trattati nono sono specifiche ed esclusive obiezioni sollevate dall’ambiente creazionista.


    Già la denominazione “creazionista” è un termine che genera confusione tra chi è religioso e chi rifiuta la scienza: per creazionista, secondo un’accezione consolidata, qui si intende il secondo caso. Ma non verrà spiegato che di questo si tratta. Fatta questa dovuta precisazione, gli argomenti addotti nell’articolo sono a loro volta presentati in modo da costruire un’immagine volutamente caricaturale di qualsiasi obiezione al darwinismo, portando a credere che si ponga l’equazione obiezione=creazionismo.


    L’articolo è stato prontamente tradotto su Le Scienze con il titolo “Quindici risposte al nonsenso creazionista“, fin dalle prime parole l’articolo, riportato su Le Scienze, è fazioso:


    http://www.enzopennetta.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/09/15non.jpg


     


    Già la denominazione “creazionista” è un termine che genera confusione tra chi è religioso e chi rifiuta la scienza: per creazionista, secondo un’accezione consolidata, qui si intende il secondo caso. Ma non verrà spiegato che di questo si tratta. Fatta questa dovuta precisazione, gli argomenti addotti nell’articolo sono a loro volta presentati in modo da costruire un’immagine volutamente caricaturale di qualsiasi obiezione al darwinismo, portando a credere che si ponga l’equazione obiezione=creazionismo.


    L’articolo è stato prontamente tradotto su Le Scienze con il titolo “Quindici risposte al nonsenso creazionista“, fin dalle prime parole l’articolo, riportato su Le Scienze, è fazioso:


    Gli oppositori della teoria dell’evoluzione vogliono dare spazio al creazionismo smantellando la vera scienza…


    Il meccanismo è chiaro, come già detto viene affermato che il creazionismo smantella la vera scienza, giocando sulla confusione tra il termine “creazione”, a cui fa riferimento un credente, e il termine creazionismo che come abbiamo visto è una presa di posizione antiscientifica. Poi si parla genericamente di oppositori della teoria dell’evoluzione, senza specificare che comunque evoluzione e darwinismo non sono la stessa cosa in quanto la teoria di Darwin è una possibile spiegazione di un fenomeno che è l’evoluzione.  La distinzione tra le due cose si comprende meglio pensando che se così non fosse non avrebbe senso la teoria di Lamarck, sull’evoluzione, formulata ben 50 anni prima di quella di Darwin. L’articolo poi prosegue così:


    Quando, 143 anni fa, Charles Darwin introdusse la teoria dell’evoluzione attraverso la selezione naturale, gli scienziati dell’epoca discussero ferocemente su di essa, ma le prove che si andavano accumulando da campi come la paleontologia, la genetica, la zoologia, la biologia molecolare, portarono gradualmente a stabilire la verità dell’evoluzione al di là di ogni ragionevole dubbio. Oggi quella battaglia è stata vinta ovunque, tranne che nell’immaginario collettivo.


    Il lettore viene portato a credere che le prove raccolte nel tempo provino il meccanismo darwiniano della selezione naturale e che questa sia il punto più importante della teoria:


    1- La selezione naturale non è verificabile a posteriori in quanto tautologicamente quello che troviamo nei fossili è quello che è stato selezionato.


    2- Il punto centrale di una qualsiasi teoria dell’evoluzione è l’origine dei nuovi caratteri, cosa che Darwin non chiarì mai scivolando infine verso un lamarckismo rivisitato con l’aggiunta della selezione naturale.


    3- Nella Sintesi Moderna (o neodarwinismo) l’origine dei nuovi caratteri è affidata alle mutazioni casuali che non sono soggette a possibile prova contraria di confutazione, e che quindi, in ottica popperiana, non sono un argomento scientifico.


    Se quindi la verità dell’evoluzione è accertata sin dai tempi di Lamck e Cuvier (inizio ‘800), quello che ancora resta da provare è che il meccanismo darwiniano sia quello vero.


    Ma andiamo avanti ad analizzare il primo di questi 15 punti proposti su SA:


    1. L’evoluzione è solo una teoria. Non è un fatto o una legge scientifica.


    Molte persone hanno imparato alle elementari che una teoria cade nel bel mezzo di una gerarchia di certezze: è al di sopra sopra di una mera ipotesi, ma al di sotto di una legge. Gli scienziati, però, non usano i termini in questo modo. Secondo la National Academy of Sciences (NAS), una teoria scientifica è “una spiegazione ben motivata di alcuni aspetti del mondo naturale che può incorporare fatti, leggi, inferenze e ipotesi testate”. Per quanto convalidata, nessuna teoria diventa una legge, che è una generalizzazione descrittiva della natura. Così, quando gli scienziati parlano di teoria dell’evoluzione – o di teoria atomica o di teoria della relatività – non stanno esprimendo delle riserve sulla sua verità.


    Oltre che di teoria dell’evoluzione, cioè dell’idea di una discendenza modificata, si può anche parlare del fattoevoluzione. La NAS definisce un fatto come “un’osservazione che è stata più volte confermata ed è accettata come ‘vera’ a tutti gli effetti pratici”. I reperti fossili e molte altre prove testimoniano che gli organismi si sono evoluti nel tempo. Anche se nessuno ha osservato queste trasformazioni, la prova indiretta è chiara, univoca e convincente.


    Tutte le scienze si basano spesso su prove indirette. I fisici, per esempio, non possono vedere direttamente le particelle subatomiche e ne verificano l’esistenza guardando le tracce rivelatrici che lasciano nelle camere a nebbia. L’assenza di osservazioni dirette non rende le conclusioni dei fisici meno certe.


    Partendo dalla definizione riconosciuta come valida del termine “teoria”, data dalla National Academy of Sciences (NAS), una teoria scientifica è “una spiegazione ben motivata di alcuni aspetti del mondo naturale che può incorporare fatti, leggi, inferenze e ipotesi testate”, nel nostro caso l’evoluzione rappresenta un “fatto” (si trovano fossili diversi in strati e quindi epoche diverse), l’ipotesi neodarwiniana per spiegare questo fatto è l’origine di nuovi caratteri e nuove specie per accumulo di mutazioni e selezione delle stesse, ebbene questa ipotesi non è stata testata. I casi riportati in letteratura (vedi Lenski) sono tutti esempi di una perdita di funzione: nessun nuovo organo, nessuna nuova proteina.


    Che la cosa provata sia il “fatto” dell’evoluzione, viene correttamente poi dichiarato nella risposta, ma sempre senza chiarire che il fatto dell’evoluzione non è però la teoria di Darwin.


    Così, con un abile gioco di parole, si lascia credere che evoluzione e teoria di Darwin siano la stessa cosa, in tal modo una volta dimostrato che la prima è provata (cosa che noi su CS condividiamo), il lettore è indotto a credere che lo sia anche la seconda, e cioè la teoria di Darwin.


    La risposta al punto 1 sull’obiezione “L’evoluzione è solo una teoria. Non è un fatto o una legge scientifica.” è dunque la seguente:


    L’evoluzione, intesa come successione di specie differenti nel tempo, è un fatto testimoniato dai ritrovamenti fossili e sul quale concordiamo.


    La sua spiegazione fornita dalla teoria neodarwiniana e dalle sue successive rielaborazioni, non ha invece ricevuto una soddisfacente corroborazione scientifica, infatti con le mutazioni casuali si sono osservati solo casi di micro mutazioni, ma peggio ancora, e questo nell’articolo non viene detto, non è possibile ideare alcun esperimento che possa confutare che i nuovi caratteri si siano formati a causa di mutazioni casuali (confutazione popperiana). Se ad esempio vi mostrano una roulette a ruota ferma con la pallina sul numero 1, come potete stabilire che sia finita lì per caso o se invece è stata messa deliberatamente o con una calamita che l’attira in quella posizione?


    Per rispondere al primo punto possiamo quindi dire che l’evoluzione darwiniana è una teoria non sufficientemente corroborata e, cosa ancor più rilevante, non confutabile.


    Riguardo la teoria neodarwiniana (non l’evoluzione), possiamo giungere alle conclusioni che si tratta quindi di una congettura che non solo non ha avuto una corroborazione adeguata, ma che per la mancanza di un criterio di falsificabilità (ci una prova che potrebbe smentirla) non può neanche essere definita scientifica.