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Conoscendo Dio più da vicino si ricevono anche le indicazioni fondamentali per questa nostra vita: un po' come accadde a Mosè, che salendo sul Sinai e rimanendo alla presenza di Dio ricevette la legge incisa sulle tavole di pietra, da cui il popolo trasse la guida per andare avanti, per trovare la libertà e per formarsi come popolo in libertà e giustizia. Dal nome di Dio dipende la nostra storia; dalla luce del suo volto il nostro cammino. Da questa realtà di Dio, che Egli stesso ci ha fatto conoscere rivelandoci il suo "nome", cioè il suo volto, deriva una certa immagine di uomo, cioè il concetto di persona. Se Dio è unità dialogica, essere in relazione, la creatura umana, fatta a sua immagine e somiglianza, rispecchia tale costituzione: essa pertanto è chiamata a realizzarsi nel dialogo, nel colloquio, nell'incontro: è un essere in relazione. In particolare, Gesù ci ha rivelato che l'uomo è essenzialmente "figlio", creatura che vive nella relazione con Dio Padre, e così in relazione con tutti i suoi fratelli e sorelle. L'uomo non si realizza in un'autonomia assoluta, illudendosi di essere Dio, ma, al contrario, riconoscendosi quale figlio, creatura aperta, protesa verso Dio e verso i fratelli, nei cui volti ritrova l'immagine del Padre comune. Si vede bene che questa concezione di Dio e dell'uomo sta alla base di un corrispondente modello di comunità umana, e quindi di società. È un modello che sta prima di ogni regolamentazione normativa, giuridica, istituzionale, ma direi anche prima delle specificazioni culturali; un modello di umanità come famiglia, trasversale a tutte le civiltà, che noi cristiani esprimiamo affermando che gli uomini sono tutti figli di Dio e quindi tutti fratelli. Si tratta di una verità che sta fin dal principio dietro di noi e al tempo stesso ci sta sempre davanti, come un progetto a cui sempre tendere in ogni costruzione sociale.

Omelia, Genova, 18 maggio 2008